METAFISICA DELL`ENERGIA “Bisogna dunque seguire ciò che è

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METAFISICA DELL`ENERGIA “Bisogna dunque seguire ciò che è
METAFISICA DELL’ENERGIA
“Bisogna dunque seguire ciò che è comune. Ma pur
essendo questo logos comune, la maggior parte degli
uomini vive come se avesse una sua propria e particolare
saggezza” (Eraclito)
E’ un fatto generalmente accettato che il “problema”
dell’energia sia il più inquietante tribolo prossimo venturo.
Questo problema è segno del crac di una fede che ha
divinizzato un tipo di economia usando le stesse categorie
con cui si costruisce una religione. Ne è sortita una parodia
del Bene platonico e, nello stesso tempo, come tutte le
parodie, anche questa ha retto l’éspace d’un matin. Dal
libro sacro ai rituali, dai sacerdoti ai credenti, tutto è
confluito in una mostruosa trappola definita “benessere”
che è solo un “benavere“ tristemente camuffato.
Poco pare che ci si interroghi, perciò, sulla natura più
autentica dell’energia, natura che, come sembra, sta
diventando quasi un tabù forse per la sua necessaria
astrazione dal contesto esclusivamente quantitativo. Non
appena si ponga la questione della “natura” dell’energia la
levata di scudi è immediata: pare davvero incredibile
quante “fedi” si agitino nella scienza che pur, a detta dei
suoi stessi adepti, ne dovrebbe andar esente. Il più
importante appuntamento che aspetta l’umanità è quello
con la crisi dell’energia, infatti tutta l’antropologia e il
sistema economico conseguente sono legati a doppio filo
alla “possibilità” per eccellenza di verificarsi in un tempo
che duri.
Senza energia la stessa vita non può esistere, e ogni
rappresentazione della vita passa sempre per una
teorizzazione credibile e definita. Quando questa
teorizzazione si trovi alle corde non esistono molte
alternative ed è chiaro che la crisi dell’idea di crescita
all’infinito (nel pantheon laico si chiama riduttivamente
Progresso quello che, nel cosmo religioso, è la
Provvidenza)
è
radicalmente
destabilizzante
dell’antropologia come dell’eco-nomia.
Nicholas Georgescu-Roegen, economista “fuori dal
coro” e a cui è fondamentale fare riferimento, ci ha lasciato
questa riflessione: “Siamo costretti a renderci conto che il
vero prodotto del processo economico (o, in effetti, di
qualunque processo vitale)non è il flusso materiale degli
scarti ma l’ancora misterioso flusso immateriale del
godimento della vita. Se non si capisce questo, non si può
operare nel campo dei fenomeni vitali.”(Cfr. Energia e miti
economici, ed. it. 1982, pag.32). I “fenomeni vitali” cui si
allude sono lapalissianamente quegli stessi fenomeni che si
fondano e nutrono di energia. L’energia è la “possibilità”
per eccellenza. “Potere” (power) è energia: senza energia
non esiste potere semplicemente perché sono la medesima
cosa in qualsiasi ambito li si consideri.
La corrispondenza tra macro e micro-cosmo (Cfr. ad
es. dalla Tabula smaragdina fino a Cyrill Korvin Krasinski,
ed. it. Microcosmo e macrocosmo,1973) può già fornirci
una prima idea della natura dell’energia. Nell’universo
come nell’uomo le regole essenziali sono le stesse,
identiche. La materia che concreta l’uomo è assolutamente
la stessa di quella che fa esistere l’universo, ciò che cambia
è la forma (il modo in cui si realizza l’idea-uomo come
l’idea-cosmo) che ne darà la sostanza peculiare.
Riassumendo: la forma agisce sulla materia
“qualificandola” ovvero dandole quelle caratteristiche che
ne faranno una specifica sostanza (sostanza: sub-stantia,
ciò che sta al di sotto). Questo procedimento è il medesimo
per tutto l’universo: la “materia” è quantità (“energia in
forma di riposo”), è priva di ogni qualificazione, altrimenti
diverrebbe eo ipso “qualcosa” assumendo una forma che
incarni un’idea, idea che è un archetipo o un “universale”.
Questo archetipo viene contemplato in tutte le tradizioni
arcaiche, dall’ebraismo fino al platonismo, da San
Tommaso ad Aristotele fino a Marco Aurelio Antonino o ai
darsana hindu come il Samkhya. Alla luce di questa
corrispondenza, nell’uomo come nell’universo l’energia è
vita, la Prakrti sanscrita “prima natura materiale”
(definita
anche
la
danzatrice
cosmica)
del
Sanathanadharma: l’ANIMA, proprio quella Hawwah
(ebr. la VIVENTE) che è la DONNA nel mondo
sessuato.
Nulla può esistere senza una materia-energia proprio
perché quanto esiste ha bisogno ontologico della vita, se no
non vive, non esiste e basta.
Quale idea può esistere senza la forma, quale forma può
esistere senza la sostanza, quale sostanza può esistere senza
la materia? E sarebbe una domanda parimenti retorica
quella che capovolgesse la sequenza logica appena vista…
Realtà oltremodo palese nell’universo taoista cinese
come nel Buddhismo dove, tra l’altro, trovano la loro
apoteosi le parole che profferì Nagarjuna a cavallo tra il
secondo e il terzo secolo. Quello che viene anche chiamato
il secondo Buddha insegnava che: “Se, per te, l’esistenza
dei mezzi di conoscenza è provata di per se stessa,
indipendentemente dalle cose conoscibili, questi mezzi di
conoscenza non saranno più allora per te mezzi di
conoscenza di qualche cosa”(Cfr. La sterminatrice dei
dissensi, 32, in Le stanze del cammino di mezzo, ed, it.
1979, 147). Ogni vita e ogni conoscenza che ne è logico
corollario si poggiano necessariamente sulla realtà
conoscibile che è conoscibile in quanto viva.
Si potrebbe anche andar oltre valutando quanto la stessa
morte abbia necessario rapporto con la vita, senza la quale
non potrebbe esistere, e arriveremmo facilmente a forti
insegnamenti in particolare del neoplatonismo, del Taoismo
o del Buddhismo rischiando, però, di esulare dalle
caratteristiche di queste considerazioni.
Senza vita niente può esistere, a qualsiasi livello; di
conseguenza senza ossigeno e senza combustione
(“digestione”) non esiste nulla. L’anossismo permette solo
l’esistenza di qualche battere, semplicemente perché il
metabolismo anaerobico non pare essere possibile fuori da
certi fondali marini ed è stato recentemente verificato solo
al di sotto dei 3000 metri di profondità per esseri con
categorie assolutamente sui generis. Qui vediamo già
filtrare un secondo principio: combustione e vita possono
essere legittimamente assimilati tra loro, in tutti i sensi ed
in tutte le dimensioni del possibile. La vita deve
alimentarsi e metabolizzare energie per esistere e per questo
produce lavoro e calore (calore che si disperde, come anche
enunciato nel secondo teorema della termodinamica,
Carnot-Clausius, e formulazione dell’entropia, 1865). Un
elemento di questo processo, tanto essenziale quanto
costantemente non capito per tutte le implicazioni che
comporta, è la formazione di luce, connaturata alla
“combustione” e che comporta l’uso di energia.
Roberto Grossatesta, vescovo, filosofo e scienziato
inglese (1168 ca -1253), quando trattò della metafisica della
luce, scrisse che: “Il principio determinatore e la perfezione
di tutti i corpi è…la luce, che nei corpi superiori, però, è
più spirituale e semplice, mentre in quelli inferiori è più
corporea e maggiormente moltiplicata…tutte le cose sono
un’unica entità, perché originate dalla perfezione di una
luce…(De luce in Metafisica della luce, e. it. 1986,
pag.120). In queste righe, inoltre, si può agevolmente
ritrovare la corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo
già vista sopra.
Ecco, tra l’altro, una possibile spiegazione dell’elemento
iconologico comune a tutte le tradizioni religiose che vede
nel fuoco un motivo centrale assieme ad aureole o nimbi.
Fuoco, calore, luce e vita sono elementi indissolubili tra
loro sia in senso fisico che in senso principiale (Cfr.
Mircea Eliade, Mistica della luce in Mefistofele e
l’androgine, ed. it. 1971).
Intravediamo già una leggera traccia: fuoco,
conoscenza, vita, amore, luce, energia, calore, anima
(“eterno femminino”) sono elementi che concorrono ad uno
stesso puzzle.
Proprio il fuoco e le sue manifestazioni conducono ad
un ulteriore e immediato rimando a Eraclito che ci porta a
riconsiderare alcune affermazioni tradizionali e metafisiche.
E’ nel filosofo presocratico che questi insegnamenti hanno
raggiunto apici poi divenuti quasi inattingibili:
“Quest’ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo
fece alcuno tra gli déi o tra gli uomini, ma sempre era è e
sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne
secondo giusta misura” (Diels 202).
Quella che Eraclito chiama “giusta misura” ha, per il
filosofo, il suo limite nell’ekpyrosis, nella conflagrazione
finale che conclude una qualità ciclica di spazio-e-tempo. Il
fuoco, anche nella logica eraclitea, è la manifestazione
limite del trapasso tra universi, sia individuali che cosmici.
Notare bene che l’affermazione della simbolicità di una
realtà non la libera da altre possibili accezioni fino a
quelle più fisiche. I piani si compenetrano e non si negano
affatto l’un l’altro. Non è che qualcosa di spirituale non
possa avere una realtà fisica, anzi! Ben lo sapevano
Giordano Bruno come Nicolò Cusano sottolineando la
coincidentia oppositorum. La frattura dicotomica tra sacro
e profano (pro-fano che, anche etimologicamente, esiste
proprio perché esiste il fanum, il tempio/sacro) appartiene
ai giorni nostri, seppure con radici nella Scolastica, e si
protrae nei funesti integralismi delle diatribe tra
materialismo e spiritualismo, ateismo o fede, destra e
sinistra, ecc.
Questo fuoco, è appena il caso di dirlo, non è solo un
elemento fisico ma, come già si diceva, ha valore
polisemico.
Passiamo ora a vederne sommariamente alcuni aspetti
simbolici e direttamente metafisici.
Il primo ambito in cui cercare le valenze del “fuoco” è
quello della tradizione hindu (cfr. Atharva Veda e Rg Veda)
dove i piani in cui viene considerato sono tre: fisico
(elemento naturale), intermedio (folgore, elemento di
sintesi e di collegamento anche simbolico tra mondo
uranico e ctonio) e metafisico (esperienza realizzativa e
superamento del mondo condizionato). Vi corrispondono
tre deità, Agni, Indra e Surya che, simultaneamente,
adombrano purificazione, morte e rigenerazione su più
livelli. Nella tradizione iranica si ha modo di osservare il
fuoco nelle medesime accezioni e con finalità analoghe.
Festività particolari lo celebrano come nell’oriente più
lontano e, ad esempio, nel calendario tradizionale persiano
di cui si conservano stralci a livello popolare, la festa di
Nawrûz (all’equinozio di primavera) vede il cosiddetto
“salto del fuoco” fatto dai fedeli come antico motivo chiave
del rito. Importanti analogie presentano i rituali simbolici
degli Indiani d’America; qui il fuoco è considerato come un
essere vivente, un potere spirituale che alloggia nel fuoco
fisico degno, per questo, di tutte le attenzioni rituali
opportune (Cfr. Enrico Comba, Testi religiosi degli Indiani
del Nord America, 2001, p. 357-361 e 502-503).
Nella tradizione romana antica il simbolico fuoco viene
letto come in quella indiana evidenziandosi forti motivi
comuni a tutto il mondo indoeuropeo (Cfr. Dumézil, La
religione romana arcaica, ed. it. 1977, pag. 277 e ss.).
In tutte le tradizioni arcaiche (cioè informate ai principi
metatemporali) il fuoco ha il significato eminente di vita,
anima e reggitore di tutto (forza di coesione); nello stesso
tempo purifica (cioè presiede essenzialmente al
cambiamento di stato) e reintegra il “mondo elementato”: il
parallelo principiale con l’energia di cui s’è detto sopra è
oramai evidente.
Un sistema economico che non tenga conto del fuoco,
dell’energia, o presuma di poterne stravolgere le leggi è
fallimentare. Una esistenza eterna del fuoco nel camino di
casa è un’ubbìa come accade per i massimi sistemi anche
perché è il medesimo modello logico che si protrae sui vari
piani. Non si riesce proprio a vedere per quale motivo il
sistema economico debba andare franco dalle leggi che
regolano ogni altra logica, come se l’economia, per qualche
misterioso motivo, fosse una deità onnipotente che può
permettersi ogni genere di capriccio. E non è affatto vero.
Forse quella presente è una civiltà troppo pronta a
costruire altari per poi demandare agli déi i compiti che
sono pertinenti ad ogni uomo semplicemente e onestamente
conscio della sua dignitas. Creare e poi avere degli dèisherpa può essere comodo, forse, ma prima di tutto
desensibilizza dalle responsabilità individuali e, togliendo
la fatica, toglie anche il senso e il lascito della salita sulla
montagna della civiltà autentica. In fin dei conti, e si ripete
la frase d’apertura, questa Economia divinizzata è la
parodia deviante del Bene platonico; serve a fuorviare gli
uomini dal loro unico compito, quello, appunto, d’essere
uomini per davvero. E non consumatori.
“Non venga a scemare per voi la ricchezza, o Efesii,
perché risulti dimostrata la vostra volgarità”
(Eraclito)
“…da tutto ciò che abbiamo imparato sulla struttura della
materia vivente dobbiamo essere preparati a vederla in un
modo che non può ridursi alle ordinarie leggi della
fisica…perché la costruzione è diversa da tutto ciò che noi
abbiamo fin qui esaminato nelle nostre esperienza in un
laboratorio di fisica.”
(Erwin Schrödinger, 1995)
Maurizio Barracano