I Gruppi del Vangelo nelle case

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I Gruppi del Vangelo nelle case
CHIESA DI BOLOGNA
Convegno Diocesano dei Ministri Istituiti
fratel Enzo Biemmi
"E la Parola si diffondeva..."
I Gruppi del Vangelo nelle case
sabato 22 febbraio 2003
1. La situazione generale dell’evangelizzazione
Da dove veniamo
a) Una forma di catechesi
b) Un particolare dispositivo di iniziazione cristiana
d) Un certo tipo di parrocchia
I segni della “crisi” del modello
a) Le traversie della catechesi
b) La fine del modello di iniziazione come familiarizzazione della fede
Il cambio di direzione
a) Una parrocchia missionaria
b) Il ripensamento del processo tradizionale di iniziazione cristiana
c) La prospettiva del primo annuncio
2. I gruppi del vangelo nelle case: vocazione, pregi e limiti
I pregi
a) Il luogo: la casa
b) Lo stile della loro conduzione: la partecipazione
c) Il contenuto: esperienza e Parola
Alcuni limiti legati a questa modalità di evangelizzazione
3. La conduzione dei gruppi del vangelo
4. Alcune scelte di fondo
L’adulto come soggetto primo di evangelizzazione
Al centro la Parola
Raccontare Dio
Rapporti veri
Un annuncio ospitale
Un annuncio laicale
1. La situazione generale dell’evangelizzazione
Per capire il valore della proposta dei gruppi del vangelo nelle case, proposta che voi portate
generosamente avanti, occorre che siate consapevoli di quanto sta avvenendo più globalmente
rispetto al compito della Chiesa di annunciare il vangelo in questo contesto culturale.
La situazione attuale può essere definita per la Chiesa una situazione di crisi dei suoi modelli
tradizionali di annuncio e di catechesi, ma anche un momento che sta preparando, a parere mio, un
profondo rinnovamento. In questo rinnovamento i gruppi del vangelo nelle case possono avere una
loro particolare funzione.
Proviamo dunque a vedere da dove veniamo, i segni della crisi che stiamo vivendo e le prospettive
che si aprono per il compito della catechesi.
1. Da dove veniamo
a) Veniamo da una forma di catechesi a cui abbiamo sinteticamente dato il nome di “catechismo”.
E’ una forma facilmente descritta nelle sue costanti. Si caratterizza per quattro elementi: una classe,
un maestro (il catechista), un libro (il catechismo), un metodo: domanda e risposta. E’ il modello
che ha saputo iniziare alla fede tantissime generazioni, dalla seconda parte del 1500 fino ad oggi.
Nei contenuti era articolato nelle quattro parti tradizionali: quello che bisogna credere (il credo),
quello che bisogna ricevere (i sacramenti), quello che bisogna fare (i comandamenti), quello che
bisogna domandare (il Pater e le altre preghiere).
Questa modalità è ancora in gran parte in atto. Sono cambiate diverse cose, ma la logica continua.
La catechesi resta un impianto scolastico, che obbedisce al presupposto che la fede è già in atto.
Mira a far conoscere bene (“in maniera chiara e meglio opposta”) ciò in cui si crede.
b) Si tratta di una catechesi pensata ed efficace dentro un particolare dispositivo di iniziazione
cristiana. E’ il modello tridentino di iniziazione cristiana, che ha due caratteristiche fondamentali: è
indirizzato ai piccoli (fanciulli e ragazzi) e tutto orientato alla ricezione dei sacramenti. Possiamo
globalmente definirlo un processo di socializzazione o familiarizzazione della fede in vista della
sacramentalizzazione.
d) Un tale impianto di iniziazione ha senso ed è efficace dentro un certo tipo di parrocchia: la
parrocchia di cristianità dove la società civile coincide con quella religiosa ed entrambe sono
ancorate e definite da un preciso territorio. Si tratta di una parrocchia tutta incentrata sulla figura del
parroco e ha come compito essenziale la cura animarum. La cura animarum avviene attraverso la
predicazione, la catechesi, le predicazioni popolari, il catechismo per i sacramenti, la dottrina
cristiana per gli adulti, le devozioni e dei pellegrinaggi, e tutti quei servizi che scandiscono la vita
cristiana della gente.
In sintesi
Ci accorgiamo dei cerchi concentrici e della coerenza dei rapporti tra ogni cerchio: una cultura di
cristianità, una parrocchia come cura delle anime, un impianto iniziatico puerocentrico e
sacramentalizzato, una catechesi dottrinale e cognitiva in vista di sapere bene ciò in cui si crede.
2. I segni della “crisi” del modello
Questo equilibrio tra questi quattro cerchi concentrici ha mostrato segni di vistoso cedimento già da
diversi anni, e innescato una serie di analisi e di ripensamenti.
Come spesso succede quando ci si trova di fronte a un problema complesso, ce la siamo presa con il
cerchio più basso, quello della catechesi, perché il più esterno e quello più evidente.
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a) Le traversie della catechesi
- La terapia è stata portata con grande impegno e coraggio verso il rinnovamento della catechesi. Il
movimento catechistico italiano ha vissuto una stagione importante dopo il Concilio, operando una
profonda trasformazione del concetto e della prassi di catechesi. L’orientamento normativo è stato
dato dal Documento Base, il “Rinnovamento della catechesi” del 1970. Il cambiamento è
sinteticamente espresso nella denominazione stessa data ai catechismi: da “catechismi per la
dottrina cristiana” a “catechismi per la vita cristiana”.
Il ripensamento ha interessato la finalità della catechesi (creare una mentalità di fede), il contenuto
centrale (una persona, il Signore Gesù), le fonti (bibbia, liturgia, tradizione e creato), il destinatario
(vero soggetto della catechesi), il principio ispiratore della sua metodologia (fedeltà a Dio e
all’uomo), la figura e l’identità del catechista.
Sono queste le consapevolezze profonde che hanno animato il lavoro generoso e carico di speranza
che ha connotato responsabili e catechisti nei due decenni 1970-1990.
Dopo questo notevole impegno di rinnovamento, questi ultimi dodici anni hanno segnato nella
prassi catechistica italiana una situazione di stallo, talvolta di scoraggiamento. L’enorme profusione
di energie e di generosità impiegate non solo non hanno ottenuto i risultati sperati, ma hanno fatto
registrare degli insuccessi sempre più marcati. Il segno più acuto di tale “fallimento” è
indubbiamente la frana del processo tradizionale di iniziazione cristiana (3 su 4 ragazzi che
ricevono la cresima lasciano la pratica cristiana entro i loro 18 anni). Dove sta allora il problema?
b) La fine del modello di iniziazione come familiarizzazione della fede
Dobbiamo spostare l’attenzione al secondo cerchio, quello dell’iniziazione.
Il rinnovamento della catechesi dal 1970 ad oggi ha modificato profondamente la prassi
catechistica, ne ha rinnovato i contenuti e il metodo, ha legato il messaggio ai soggetti implicati.
Non ha però cambiato il modello. Oggi stiamo comprendendo proprio questo: è avvenuto un grande
rinnovamento, ma all’interno dello stesso modello di iniziazione. E’ come se avessimo perfezionato
il motore di una Ferrari, sviluppandolo al massimo, ma senza modificarlo. Abbiamo raggiunto il
massimo di velocità che questo motore può dare. Oppure: eravamo in una casa che sentivamo
stretta, inadeguata; abbiamo rinnovato tutto l’arredamento, continuiamo a non trovarci bene e ci
rendiamo conto che sono i muri da allargare.
Il modello ereditato da Trento (il modello del catechismo), pensato per la socializzazione religiosa
in una cultura di cristianità, risulta oggi inadeguato ad iniziare alla fede perché la cultura di
cristianità si è sgretolata ed è in atto una trasformazione nel segno della globalizzazione, della
pluralità, della contaminazione, dell’interculturalità.
L’impianto continua a funzionare ma è stato svuotato dei presupposti culturali che lo avevano
generato. E’ come la conchiglia sulla spiaggia: la vita che l’ha generata se ne è da tempo andata.
In particolare sono evidenti tre tipi di “scarto”:
- Quello culturale: il catechismo era un momento dell’iniziazione cristiana, il momento cognitivo;
questa era però avveniva per socializzazione, ad opera della famiglia, della scuola, della società.
Sono agenzie che non svolgono più questa funzione di socializzazione religiosa.
E’ dunque il modello in se stesso che non è più adatto a questa cultura, non tanto un punto o l’altro.
Nel modello tridentino, infatti, la fede prima veniva a lungo vissuta in famiglia fin dalla nascita,
veniva poi a lungo celebrata nella famiglia e nella parrocchia e poi, nel catechismo, veniva
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organizzata in conoscenze, la si imparava e la si celebrava con tappe ufficiali. Ora il primo piano
dell’edificio è completamente sparito; è inutile abbellire il 2° e il 3°: vengono giù inesorabilmente!!
L’ora di catechismo, in questa situazione, viene caricata di tutto il compito iniziatico, impresa
evidentemente impossibile.
- Un secondo divario riguarda i riti: l’iniziazione cristiana coincideva in gran parte con l’entrata dei
soggetti nella vita adulta. I riti di iniziazione cristiana corrispondevano di conseguenza
all’esperienza antropologica del divenire adulti nella vita. Ora un ragazzo di terza media, al quale si
dice che “diventa adulto nella fede”, pensa a tutto fuorché a entrare nella vita adulta. Gli si apre
davanti un tempo lungo della vita di esplorazione e sperimentazione. I riti sono così svuotati dal
supporto antropologico che li ha generati. La cresima viene vissuta come un “grande gioco”.
- Un ultimo divario riguarda il momento stesso del catechismo, pensato sulla falsariga di un’ora di
scuola, in vista dell’assimilazione dei contenuti. Un tale impianto non può iniziare alla fede e non
corrisponde più alle modalità di apprendimento di un soggetto.
In sintesi
Se facciamo attenzione, il presupposto fondamentale sul quale poggiano tutti questi livelli, è quello
di una fede già in atto. Sintetizzando in maniera un poco approssimativa, ma efficace, possiamo
dire che sono avvenuti questi passaggi nell’arco della storia della Chiesa: siamo passati da
“Cristiani non si nasce, si diventa” (che ha ispirato il modello pastorale del catecumenato), a “Non
si può non essere cristiani” (che ha ispirato il modello di trasmissione della fede da Costantino alla
fine del medioevo), a “Cristiani si nasce, bisogna sapere quello che si è e vivere quello che si è”
(che ha ispirato il modello tridentino, che ha retto fino ai nostri giorni.
Cristiani si nasce. La fede è già in atto, si succhia con il latte della mamma. La funzione di una
parrocchia è appunto la cura delle anime, la funzione dell’iniziazione è di dare i sacramenti, la
funzione della catechesi di sapere ben ciò in cui crede e indicare come si vive.
Il presupposto è anche il grande equivoco. La fede non è più in atto: va proposta e suscitata.
3. Il cambio di direzione
a) Una parrocchia missionaria
Il cambio di direzione coinvolge i tre cerchi del problema e prima di tutto il terzo cerchio, quello
più largo, quello della parrocchia. A questo livello l’affermazione base è la seguente: la necessità di
passare da una parrocchia catechizzante a una parrocchia evangelizzante, missionaria.
Si tratta di un capovolgimento di prospettiva che domanda di ripensarsi e riorganizzarsi fuori dalla
precomprensione della “cura animarum”, in una visione di primo annuncio.
b) Il ripensamento del processo tradizionale di iniziazione cristiana
In questo orizzonte di parrocchia, si colloca la necessità di procedere a piccoli passi verso un nuovo
modello di iniziazione cristiana (il secondo cerchio), che trascina con sé inevitabilmente un nuovo
ulteriore cambio del terzo cerchio, quello della catechesi (con la necessità quindi di un nuovo
“Documento Base”).
Si tratta di un cambiamento che è già partito, anche se in ordine sparso e non in maniera omogenea
in Italia. E’ un cambiamento partito dalla base, e accompagnato da alcuni momenti di riflessione a
livello di esperti e di responsabili.
c) La prospettiva del primo annuncio
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Questo cambiamento appena avviato si sta sviluppando su due direttrici complementari, che sono
come due cantieri da riaprire e tenere interdipendenti : quello del primo annuncio e quello
dell’iniziazione cristiana.
- Il primo annuncio. Con questa espressione facciamo riferimento alla necessità di non dare più per
scontata la fede delle persone, la loro adesione al Signore Gesù, a non fare più nessun conto della
socializzazione religiosa operata dalle famiglie e dalle altre agenzie educative.
Il primo annuncio consiste nella proclamazione della salvezza a chi non ne è a conoscenza o non
crede e ha come obiettivo l’adesione fondamentale a Cristo nella Chiesa. E’ quindi distinto dalla
catechesi che presuppone la scelta fondamentale.
Il contenuto del primo annuncio è il Kerigma, inteso come: racconto del mistero pasquale e alla luce
di questo dell’intera vita di Gesù come buona notizia; promessa dell’efficacia della Parola
annunciata in chi l’accoglie; invito a dare fiducia alla Parola per sperimentarne personalmente
l’efficacia; invito a entrare dentro una comunità come luogo di sperimentazione dell’efficacia della
salvezza.
Il primo annuncio si presenta come una proposta e come un luogo di primo incontro con Cristo
nella Chiesa.
Il primo annuncio è dunque un tempo che precede il catecumenato, ma ciò sarebbe riduttivo: è
anche una prospettiva, e una dimensione, che accompagna tutto il percorso. Se preso non solo come
tempo preciso, ma come dimensione, può far ripensare tutta la pastorale attuale non più nella logica
della “cura fidei”, ma in prospettiva missionaria.
Destinatario diretto è l’adulto che non battezzato. E’ a partire da questo destinatario che il “primo
annuncio” va pensato nel suo contenuto, nelle sue forme, nei suoi metodi.
Siccome però siamo in un contesto di cristianità perduta, diventano destinatari tutti gli adulti che
sono battezzati, ma che non hanno dato una reale adesione di fede (tutta la tipologia, dai
ricomincianti ai praticanti).
Sono destinatari anche i bambini e i ragazzi, per i quali “non si può presupporre quasi nulla riguardo
alla loro educazione alla fede nelle famiglie di provenienza.
2. I gruppi del vangelo nelle case: vocazione, pregi e limiti
E’ dentro questa prospettiva e questo progressivo cambiamento che va valutata ed eventualmente
ripensata quella particolare forma di evangelizzazione che sono i “gruppi del vangelo nelle case” o
“centri di ascolto”. E proprio in questa prospettiva questa forma di evangelizzazione presenta una
grande possibilità.
a) I pregi
Il pregio dei cda può essere individuato in tre aspetti:
- Il luogo: la casa
- La casa è il luogo di vita e di ritrovo della gente: lì si raggiungono persone che in parrocchia non
verrebbero mai.
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- La casa è il luogo dove si affronta la vita, i problemi, le relazioni, le gioie e le difficoltà, le nascite
e le morti, la salute e la malattia. Trovarsi in casa porta spontaneamente a parlare del vissuto. Non è
possibile, in casa, fare dei discorsi sulla fede slegati dalla vita.
- La casa è il luogo naturale della comunicazione tra le persone. Incontrarsi in casa è subito un
invito alla parola, al dialogo. In casa non c'è chi insegna e chi ascolta, anche se i ruoli sono
differenti. In casa tutti parlano.
- La casa richiama un gruppo primario, cioè piccolo, a cui ci si identifica, non strutturato: un gruppo
basato sulle relazioni e non sulla struttura.
Il primo pregio dei cda è quello di aver operato e di operare una “deistituzionalizzazione” della
catechesi. Il Vangelo torna nelle strade, entra nelle case. La fede diventa una cosa di cui parlare,
quotidiana, legata alla vita della gente.
b) Lo stile della loro conduzione: la partecipazione.
I metodi di conduzione di un cda variano leggermente, ma hanno tutti per loro natura una
caratteristica comune: sono impostati su uno stile partecipativo. Non è possibile in una casa fare una
conferenza e poi chiedere ai presenti cosa ne pensano. Il catechista laico non è capace di fare una
conferenza e la gente non li frequenta per questo motivo. Li frequenta per parlare, per comunicare,
per condividere.
I cda operano quindi una “declericalizzazione” della catechesi: la Parola di Dio torna risorsa
disponibile per tutti. Il buon pane della Parola è dato alla gente. In un contesto culturale di
isolamento, di solitudine, di non comunicazione, i cda vengono incontro al bisogno (insito nella
fede) di tornare a comunicare e a comunicare attorno a ciò che ci fa vivere.
c) Il contenuto: esperienza e Parola.
Il contenuto dei cda articola sempre l'esperienza dei partecipanti con la Parola di Dio.
Si chiamano "centri di ascolto" perché per forza si è obbligati, dentro una casa, a ascoltare le
persone e la realtà sociale che esse vivono con gli occhi e gli orecchi carichi del messaggio
cristiano; d'altra parte si è obbligati ad ascoltare la "Parola di Dio" senza disgiungerla dalla "parola
dell'uomo", dai suoi bisogni, dalle sue ansie, dalle sue aspirazioni.
I cda operano così una "deintellettualizzazione" e "deritualizzazione" dell'annuncio, slegandolo
dalla preoccupazione della sacramentalizzazione e obbligandolo a confrontarsi continuamente con
la vita.
I cda, se ben condotti, portano ad organizzare una Chiesa più basata sulle relazioni e meno
sull'organizzazione, una Chiesa nella quale i laici riprendono la parola e diventano protagonisti
della loro fede.
Ecco una serie di testimonianze raccolte in un’indagine fatta nella mia regione ecclesiale:
- "Stando il vuoto quasi totale dei tradizionali luoghi di informazione-formazione umano-cristiana e volendo avvicinare
i così detti lontani, i cda sono il necessario "nuovo areopago" della nuova evangelizzazione" (Piove di Sacco, Padova).
- "Ha raggiunto un centinaio di persone che non sarebbero mai venute in chiesa" (Costa di Rovigo)
- Ha permesso a molte persone un contatto con la Parola che non avrebbero mai avuto. E' l'effetto riscoperta della
Parola.
- Ha ricreato una rete di relazioni all'interno della comunità. "Si sono creati rapporti migliori tra le persone, rapporti di
amicizia, di stima, scoprendo le ricchezze interiori di tanti partecipanti che via via dimostrano di superare le fatiche del
parlare di sé".
- Ha permesso l'inserimento di famiglie appena arrivate.
b) Alcuni limiti legati a questa modalità di evangelizzazione
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Trent’anni di esperienza dei cda hanno anche rilevato una serie di limiti.
- Il primo e più evidente dalle esperienze fatte è che i cda non raggiungono chi è lontano dalla
Chiesa. Nati con vocazione missionaria, si ritrovano ad essere, nella realtà, dei mezzi di catechesi
"decentrata", soprattutto dopo i primi tempi. Mettono cioè il dito su una delle principali piaghe della
nostra catechesi: la sua anemia missionaria.
- Il secondo limite è che non sono frequentati da giovani. Inizialmente aperti a tutta la famiglia, vi
partecipano di fatto adulti di età medio alta (più alta che media), in prevalenza donne.
- Il terzo limite è che, dopo una fase di euforia iniziale, tendono a chiudersi nel cerchio stretto dei
partecipanti. Questi acquisiscono uno stile e un linguaggio loro (il linguaggio “della tribù”), che
rende pressoché impossibile l'accesso di nuove persone.
- Un altro limite è la superficialità che spesso manifestano nell'accostare la Parola. La lettura della
Parola nei cda è spesso una lettura specchio: serve da punto di partenza per parlare dei propri
problemi, non è affrontata, per incapacità, come un interlocutore che interroga e rimette il gruppo in
discussione. Questo fa sì che, non raramente, la gente si stanchi, si senta frustrata e come reazione
chieda la presenza del prete.
Queste difficoltà e questi limiti sono da segnalare per introdurre quelle attenzioni e quei correttivi
che possono conferire a questa forma di evangelizzazione tutta l'efficacia di cui è portatrice.
3. La conduzione dei gruppi del vangelo
Uno degli elementi decisivi perché i gruppi del vangelo mantengano la loro originalità è legato al
modo con il quale vengono condotti dagli animatori, cioè dal metodo adottato. Non mi soffermo su
questo aspetto, che sarà oggetto di un’altra giornata di formazione per voi. In cartella avete un mio
articolo che presenta tre modi di conduzione di un gruppo del vangelo. Mi preme soltanto dire che
il metodo, giustamente variabile, dovrebbe evitare di cadere in due estremi: diventare troppo
espositivi (una piccola lezione fatta da qualcuno nelle case); diventare troppo dispersivo,
riducendosi a una comunicazione di idee o di esperienze tra i partecipanti.
Un buon metodo deve essere per forza partecipativo (non si fanno lezioni sui testi biblici, ma si dà
la parola a tutti a partire da un testo), ma deve anche prevedere un tempo nel quale il gruppo possa
effettivamente lasciarsi interrogare dalla Parola, assimilando elementi che non possiede
spontaneamente. Deve quindi essere dominante la comunicazione reciproca, ma non lasciata a se
stessa.
4. Alcune scelte di fondo
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L’adulto come soggetto primo di evangelizzazione
E’ questo di sicuro il cambio primo da operare. Si tratta di una convinzione già ampiamente
presente nei documenti ufficiali della catechesi, sia a livello della Chiesa universale che della
Chiesa italiana. Questa serie di dichiarazioni è però rimasta una semplice intenzione.
I dati a livello nazionale sono spietati. Le energie ecclesiali restano in gran parte disequilibrate.
Infatti, 274.000 dei 300.000 cristiani sono impiegati per i fanciulli e i ragazzi e il resto per i giovani
e gli adulti1. Sarebbe come se i medici italiani fossero per il 90% pediatri, e per il rimanente 10% si
1
Questi dati, certamente da aggiornare ma comunque molto vicini alla realtà, sono tratti dall’indagine curata
dall’Università Salesiana: MORANTE Giuseppe, I catechisti parrocchiali in Italia nei primi anni ’90. Ricerca socioreligiosa, LDC, Leumann (Torino) 1996.
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occupassero della salute dei giovani, degli adulti e degli anziani. Di fatto l’organizzazione
catechistica e pastorale italiana è ancora tutta centrata sui fanciulli e i ragazzi, cioè è ancora tutta
predisposta per un contesto sociale, ecclesiale e culturale che non esiste più. I “gruppi del vangelo”
sono un passo concreto e che non deve essere smentito della scelta dell’adulto come soggetto primo
e principale dell’evangelizzazione.
•
Al centro la Parola
La seconda convinzione largamente condivisa è il primato da assegnare alla Parola di Dio in
qualsiasi forma di evangelizzazione. Non esiste annuncio che non scaturisca dalla Parola e che non
si traduca come risposta ai suoi appelli. Annunciando, la Chiesa dice da dove essa nasce: dalla
Parola ascoltata, celebrata e vissuta.
I risultati più significativi a livello di prima evangelizzazione (per persone non ancora raggiunte
dall'annuncio cristiano), di rievangelizzazione (di persone battezzate, ma lontane) e anche di
catechesi di approfondimento per persone inserite nella comunità si ottiene là dove si torna ad
annunciare, leggere ed attualizzare la Parola. Il buon pane della Parola sta tornando poco per volta
alla gente, e se ne sentono gli effetti benefici.
Ci sono comunità parrocchiali che sono rinate grazie al ritorno della Parola: essa mantiene una forza
di appello uguale a quella che aveva agli inizi, nel mondo pagano.
Questo primato ridato alla Parola permette di liberare l'annuncio da una eccessiva ritualizzazione
(un annuncio per troppo tempo finalizzato ai sacramenti), e di ricuperare la dimensione relazionale
della fede. La Parola è sempre infatti la rivelazione di un appello alla libertà umana come risposta a
un Dio che si autocomunica nel Figlio suo Gesù Cristo. La Parola porta anche ad un ricupero della
dimensione spirituale, che si è sovente smarrito dentro forme di catechesi o troppo dottrinali o
troppo esperienziali.
I gruppi del vangelo devono rimanere luoghi di ascolto e dialogo attorno alla Parola di Dio.
•
Raccontare Dio
Una terza convinzione che cresce è il bisogno di passare da forme di annuncio impostate sui registri
dell’insegnamento e della spiegazione a forme di racconto della fede. Infatti, siamo chiamati ad
annunciare una persona. “Evangelizzare Gesù” (At 8,35) è raccontare Gesù. Veniamo da una
catechesi illuministica e dottrinale. Quando la gente cerca la vita, e non più le idee, è necessario
tornare a raccontare. Quando una cultura è in mal d’identità, bisogna tornare a raccontare. Quando
si è disorientati e si ha sete, bisogna tornare a raccontare.
Raccontare Gesù e non spiegare Gesù2. Il racconto è un tessuto di esperienze, non un complesso di
idee e di nozioni. Nel racconto si intrecciano sempre tre storie: la storia di Gesù e della comunità
primitiva, la storia del narratore, la storia degli ascoltatori. Si racconta la storia fondante di una
persona che è giunta alla sua realizzazione e l’ha resa accessibile agli altri (risurrezione); si racconta
la storia del Signore così come essa è andata a segno nella propria esistenza, come ha salvato la
propria vita (chi racconta è competente a narrare se è già stato salvato dalla storia che narra); si
racconta la storia del Signore come storia che interpella, che offre significati e traccia itinerari.
Raccontando così la fede, essa ha già in se stessa la capacità di produrre ciò che annuncia.
I gruppi del vangelo devono essere luoghi di racconto più che luoghi di spiegazioni.
2
Si veda l’articolo di: TONELLI Riccardo, Il vangelo nella catechesi dei giovani, in “Servizio della Parola” 289,
agosto 1997, 25-33.
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•
Rapporti veri
Un’altra convinzione che si è fatta strada è la necessità di un annuncio e di una pastorale basati sui
rapporti personali, sulle esperienze di relazione interpersonale, e sempre di meno sulle strutture. La
fede nasce dai rapporti. Stiamo in qualche modo tornando ad una situazione simile a quella della
comunità primitiva. Le prime "chiese" sono nate da esperienze di comunicazione, attorno ad un
evento che ha fatto irruzione nella loro vita. Le comunità sono nate da parole profonde che un
gruppo di uomini e donne si sono scambiati, parole rese possibili dalla Parola, dall'esperienza
comune del Signore Risorto. Questa esperienza originaria, torna a rivelarsi decisiva in un processo
di nuova evangelizzazione. Essa comporta due risvolti:
- la necessità di puntare su nuclei piccoli, su comunità primarie, gruppi di intense relazioni
interpersonali, per avviare un processo di trasformazione evangelica. E' una strada che viene
incontro al bisogno della gente, dentro un contesto segnato dall'anonimato, dall’aumento dei mezzi
di comunicazione e dalla diminuzione della capacità di comunicazione vera;
- la consapevolezza che nulla sostituisce il rapporto di testimonianza e di annuncio da persona a
persona. Usando un'espressione provocatoria, si potrebbe lanciare l'invito a intraprendere una
strategia di adozione spirituale: “adotta un adulto”. Adottare un adulto significa accettare la strada
lunga dell'accostamento personale, della testimonianza come presenza e come parola con le persone
con le quali si vive in famiglia, nel posto di lavoro, nelle attività sociali o del tempo libero. Il tempo
dell’esclusiva in campo religioso, dei grandi numeri o della totalità delle adesioni è tramontato.
Inizia il tempo dei piccoli passi.
I gruppi del vangelo sono luoghi di relazioni vere ispirate al vangelo.
•
Un annuncio ospitale
Un’altra scelta per una catechesi evangelizzatrice è il suo coraggio di ripensarsi in profondo legame
con i problemi della gente. Può essere definita come una catechesi "ospitale", perché fa spazio
all'uomo concreto, lasciando ogni forma di indottrinamento e di visione pessimistica.
Abbandonando sterili nostalgie che portano a dispensare sicurezze, si tratta di accettare la sfida e la
fatica di riformulare il messaggio, senza tradirlo, a partire dai problemi della gente, dalle loro
esperienze, dalle loro aspirazioni. Si può trasmettere un complesso di verità ben organizzato e
fissato una volta per sempre, da far assimilare passivamente; o si può accettare di salire sul carro
della gente (At. 8) e reimparare a ridire l'essenziale del vangelo a partire da ciò che fa vivere e
preoccupa le persone.
Questa sfida domanda alla catechesi l’abbandono della sua vesta marcatamene dottrinale (la
“dottrina cristiana”), non al fine di smarrire l'integrità e l’organicità dell'annuncio, ma nell’intento di
ricuperarne la significatività, la sua portata di buona novella. E’ necessario annunciare la “totalità
intensiva” della fede prima che la “totalità estensiva”.
I gruppi del vangelo sono luoghi nei quali il vangelo risuona in tutta la sua ospitalità.
•
Un annuncio profano (laicale)
Un ultima scelta, da affrontare con coraggio per fare uscire la catechesi dalla sua sindrome
intraecclesiale, è la “laicizzazione” dell’annuncio, intesa innanzitutto come impegno assunto da
laici adulti nei confronti di altri laici adulti.
Il parroco resta il primo responsabile dell’annuncio del vangelo nella comunità, ma è impensabile
che ne sia l'unico o il principale. Egli ha bisogno di reperire adulti, singoli e in coppia, che siano
aiutati ad animare altri adulti; deve curare la loro formazione e formarsi con loro. Va rafforzata
dunque la scelta di una Chiesa ministeriale animata dalla fiducia nei confronti dei ministeri laicali.
Solo il superamento di un certo clericalismo (spesso inconsapevole e basato su buone intenzioni)
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permetterà di passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria. E’ difficile
pensare che persone formate in una cultura ecclesiale/ecclesiastica, nel bene e nel male segnate da
un linguaggio da iniziati (il “linguaggio della tribù”), siano in grado di raggiungere gli uomini e le
donne nel cuore della loro profanità. Un laico credente può farlo.
Questo primo livello di laicizzazione, intesa come presa in carico da parte dei laici dell’annuncio
evangelico agli adulti, può portare a un secondo livello di laicizzazione dell’annuncio, più
determinante: la capacità di farlo risuonare in termini “non religiosi”, nel senso attribuito da
Bonhoeffer a questa espressione: dire il Vangelo di salvezza di Gesù Cristo senza partire da
premesse “religiose” e fuori da un linguaggio metafisico, in termini profani.
I gruppi del vangelo sono una scelta nella linea della laicizzazione dell’annuncio, così intesa.
Conclusione
E’ certamente un’interpretazione personale, che andrà verificata molto più avanti (chi vive gli
avvenimenti non è in grado di percepirne la portata oggettiva): penso che il cambio di millennio
abbia costituito veramente un nuovo avvio per l’annuncio della fede in Italia, secondo le linee del
progetto pastorale della CEI “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”. Certamente sta
facendo uscire la catechesi italiana dal senso di depressione che l’ha colta a partire da metà degli
anni ’90. L’elemento veramente decisivo in tutto questo processo resta il cambio di prospettiva, da
una catechesi per la cura della fede a una catechesi missionaria.
Rispetto a questo devono misurarsi e ripensarsi i gruppi del vangelo nelle case, e rispetto a questo
devono riscoprire e tenere alta la loro originalità: una forma di prima evangelizzazione per gli
adulti.
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