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La due rose è un thriller a tinte gialle. Una storia cruda e cinica, con momenti di violenza inaudita,
raccontate in modo esplicito e coinvolgente, ma al tempo stesso, piena di momenti di delicatezza,
tenerezza ed amore.
Il racconto si sviluppa tra San Diego, New York, Montecarlo e soprattutto, Berlino e pur
collegandosi alla Stasi degli anni ’80, non è una storia di spionaggio ma è ambientato nei giorni
nostri, 2010 e narra di una serie di delitti e della caccia ad una spietata assassina da parte di un
agente dell’Interpol tedesca.
I due protagonisti sono assai diversi tra loro: giovane, bellissima, cinica e spietata lei; più maturo,
ligio, serio ed integerrimo lui.
Nel corso della storia ciascuno cederà un parte della sua personalità all’altro e alla fine, i due si
scopriranno molto più simili.
Nella vicenda entreranno anche: una valigetta piena di diamanti e un misterioso personaggio che
solo alla fine mostrerà il suo vero volto.
Il racconto è esposto in modo molto scenografico con estremo realismo e descrizioni tese a
suscitare nel lettore emozioni forti e farlo immedesimare nei personaggi e nelle vicende da essi
vissute.
Le due rose è anche un viaggio nell’alta società e ne mette a nudo tutte le debolezze con un passo
del libro decisamente significativo:
“Quelle feste erano un perverso connubio di ipocrisia e lussuria, mostravano il vero volto dei
potenti: persone inette, suscettibili, capricciose e perfino psicologicamente fragili.”, una frase di
grande attualità.
Antefatto
La bara contenente il corpo senza vita di Jaques Bernard stava per essere tumulata e
nascosta per sempre agli occhi terreni.
Non c'era un solo parente presente al suo funerale, Jaques non ne aveva, e non aveva
neppure amici. C'era però, moltissima gente comune venuta a dare l'estremo saluto ad un
concittadino che tutti conoscevano assai bene.
Era stata Amelie Labat a scoprire il cadavere. Amelie era una giovane operatrice sanitaria
e quel giorno faceva il servizio di pronto intervento. La telefonata di una donna, una vicina
di casa del signor Bernard, le segnalò che l’uomo non usciva di casa da tre giorni e dal
suo appartamento non si udiva segno di vita. Amelìe chiamò immediatamente il suo
collega, salirono frettolosamente sull’ambulanza e si precipitarono a sirene spiegate verso
l’abitazione di Jaques Bernard. Quando riuscirono ad abbattere la porta ed entrare in
casa, lo trovarono davanti alla sua scrivania, riverso su una sedia, era morto da almeno
due giorni, stroncato da un infarto fulminante.
Amelie sapeva che Jaques Bernard non era uno come tanti, era un uomo speciale ed
anche se era sempre stato solitario e riservato, non c'era persona in città che non
conoscesse la sua storia, un tristissima storia.
La ragazza rimosse quel corpo con una delicatezza e una cautela inusuali, quasi non si
trattasse di un defunto, ma di un malato da curare, e mentre componeva la salma sulla
barella il suo viso si inumidiva per le lacrime che sgorgavano copiose dai suoi grandi occhi
verdi.
Jaques Bernard aveva 70 anni ed abitava, fin dalla sua nascita, in quella modesta casa di
Angouleme, una tranquilla cittadina nel nord ovest della Francia, tra Parigi e Bordeaux.
Aveva solo 4 anni quando fu coinvolto in un drammatico incidente automobilistico, le
vetture presero fuoco e nel gigantesco rogo, suo padre morì, mentre lui rimase
orrendamente sfigurato in viso e perse una gamba. Non riuscì mai a superare la sua
diversità, veniva schernito ed emarginato da tutti, in particolar modo dai compagni di
scuola - i bambini nel loro candore possono essere più crudeli degli adulti - e malgrado
fosse molto intelligente, non fu capace di andare oltre la scuola dell'obbligo.
Jaques Bernard però, era un uomo brillante: consapevole del suo isolamento, si era
inventato un lavoro che poteva svolgere senza uscire da casa, un lavoro che gli
permetteva di restare ai margini della società, lontano da quella gente che lo rifiutava.
Divenne un sarto, ma sarebbe più appropriato dire uno stilista, probabilmente il più bravo
del suo tempo. Disegnò e confezionò gli abiti più belli del mondo, per Armani, Chanel e
Yves St. Laurent, autentiche opere d'arte dell'haute couture indossati dalle donne più
famose del pianeta, e tutto senza mai uscire dalla sua casetta di Angouleme, un luogo in
cui si sentiva protetto.
Proprio l’isolamento fu la causa del suo declino. Ostinatamente legato ai costumi della sua
epoca, non riuscì mai ad adattarsi al cambiamento del mondo. La sua firma era molto
nota, ma quasi nessuno sapeva che dietro ai suoi capolavori c’era quell’omino zoppo col
volto deturpato. Jacques non si mostrava mai in pubblico e nel mondo della moda divenne
talmente etereo che fu presto dimenticato da tutti. Restarono vive però, le sue splendide
creazioni, abiti d’altri tempi, esposti nei musei di tutto il mondo o battuti alle aste per cifre
da capogiro.
Abbandonato, senza amici e senza affetti, finì per sentirsi lui stesso un oggetto di
antiquariato, al pari delle sue opere, ma non si perse d'animo e da autodidatta, quasi per
reagire ad un mondo che lo considerava "vecchio" nel suo lavoro, iniziò a coltivare la
passione per l'elettronica e le nuove tecnologie.
Jaques Bernard era proprio un uomo brillante, un genialoide, e la sua passione generava
sempre qualcosa di grande. In poco tempo riuscì ad ideare, progettare e realizzare a
livello di prototipo, uno strumento assolutamente innovativo, in grado di trasformare il
concetto stesso di mobilità, un sistema capace di recuperare l'energia normalmente
dispersa dagli autoveicoli durante le frenate e renderla disponibile al riutilizzo.
Per la prima volta nella sua vita si sentì pervaso da un incredibile senso di euforia, ce
l’aveva fatta, aveva sconfitto il tempo, lui, l’obsoleto, poteva diventare il simbolo della
modernità.
Brevettò la sua invenzione in Francia, Stati Uniti e Italia, e iniziò a proporla alle aziende del
settore automobilistico per l’industrializzazione. L’interesse fu enorme e Jaques venne
presto convocato da una grande multinazionale tedesca nella propria sede di Berlino. Gli
pagarono perfino il biglietto aereo e il pernottamento nel migliore hotel della capitale.
Per tre giorni mostrò ai migliori tecnici tedeschi il risultato del genio della sua mente
semplice. Fu una soddisfazione enorme vedere il gotha dei laureati germanici pendere
dalle labbra di uno che non aveva neppure conseguito un misero diploma.
Terminata la dotta esposizione con la presentazione del prototipo funzionante, Jacques fu
congedato con una vigorosa ed entusiastica stretta di mano, da parte nientemeno, che
dell’amministratore delegato della società, con la formale promessa che sarebbe stato
ricontattato al più presto per la stipula di un contratto e l’avvio della industrializzazione del
prodotto.
Due mesi dopo Jaques Bernard lesse sul giornale una notizia che lo fece rabbrividire: una
notissima multinazionale tedesca, la stessa alla quale lui aveva presentato la sua
invenzione poche settimane prima, annunciava il lancio sul mercato di un innovativo
sistema di recupero dell'energia frenante per gli autoveicoli, il suo sistema.
Forti della loro potenza i tedeschi avevano deciso di ignorare i brevetti di Jaques e
realizzare in proprio il dispositivo senza nulla riconoscere al suo inventore.
Iniziò una battaglia legale nella quale Jaques Bernard, per fare valere i suoi diritti, spese in
avvocati tutto il denaro guadagnato in anni e anni di apprezzato lavoro.
Il caso, in realtà, era assai semplice e tutti i documenti provavano in modo inconfutabile le
ragioni di Jaques, ma alla fine, incredibilmente, il tribunale gli diede torto e lo condannò
perfino a pagare le spese processuali.
In quella battaglia tra Davide e Golia, come spesso capita, fu Golia a vincere.
Jaques seppe in seguito, per via informale, che la potente multinazionale tedesca riuscì a
sovvertire quel verdetto scontato, corrompendo sia il Giudice, che il suo avvocato.
Solo, ridotto in povertà e senza il denaro per appellarsi a quella sentenza ingiusta, Jaques
Bernard cadde in una profonda depressione e si rinchiuse ancor di più nel suo isolamento.
Non usciva quasi mai e dal giorno della morte della madre non aveva più voluto nessuno
accanto a se. L’unica persona a poterlo avvicinare era una vicina, che ogni giorno gli
faceva la spesa e gli dava una mano per la pulizia della casa.
Le finestre del suo appartamento erano sempre chiuse, quasi avesse paura del contatto
col mondo esterno. Passava tutto il suo tempo davanti alla scrivania, a battere con forza
sui tasti di una vecchia macchina da scrivere, una Remington dei primi del '900, un vero
pezzo di antiquariato. Scriveva, scriveva, scriveva sempre; migliaia di fogli dattiloscritti
facevano bella mostra di se ordinatamente impilati sugli scaffali della libreria. Erano tutti i
viaggi che faceva con la fantasia, storie che immaginava di vivere, libri scritti solo per se
stesso e che nessuno avrebbe mai letto.
Quando Amelie lo trovò, era seduto davanti alla scrivania, con l'ultimo foglio ancora nel
rullo della macchina da scrivere, era l'ultima pagina di un romanzo, l'ultimo volo di un
uomo solo.
Amelie prese quei fogli, li portò con se e la sera stessa, dopo cena, iniziò a leggere quello
straordinario parto della fantasia di un uomo sfortunato.
Capitolo 1 - San Diego (estratto parziale)
San Diego d'estate è bellissima, la luce del cielo azzurro proietta l'immagine della città e
dei suoi palazzi nelle acque della baia. L'arsura dell'entroterra californiano si mitiga con la
fresca aria dell'atlantico dando alla città un clima gradevole.
Una città viva, vitale, non viziosa e frenetica come Los Angeles o San Francisco ma,
comunque, di grande fascino, nella quale si sentono ancora oggi voci che sembrano
provenire dal passato, direttamente dall'epopea del vecchio west.
Anche gli arredi dei grandi alberghi risentono di questo passato e sono un miscuglio di stili
che nella ricerca spasmodica del lusso e dell'eleganza, passano dallo stile art decò ad
arredi minimalisti abbinati al peggior kitch americano con terribili tocchi di modernità
europea.
L’US Grant Hotel è una struttura imponente, uno degli alberghi più belli di San Diego, nel
pieno centro della città.
Un taxi si ferma davanti alla hall e ne scende una donna giovane ed elegante, che si
dirige immediatamente verso l'ampio bancone della reception, mentre il personale
dell'hotel si occupa dei suoi bagagli scaricando dall’auto due costosissime valige di Louis
Vuitton.
La donna attraversa decisa l'enorme salone della Hall, illuminato da grandi lampadari in
gocce di cristallo stile inizio '900, tra eleganti poltroncine e divanetti che fungono da luoghi
conviviali per pochi manager svogliati o ricchi uomini d'affari. Il suo incedere trasmette
classe, eleganza e una certa abitudine alla frequentazione di luoghi così esclusivi.
Arrivata di fronte alla reception, un impiegato cordiale l'accoglie con un ampio sorriso
- "Ben arrivata al Grant signorina ..?" –
- "Allison, Janet Allison" –
rispose decisa la donna.
Aveva un timbro di voce suadente, musicale, ed era decisamente affascinante, un tipo di
donna che non passa certo inosservato.
L'uomo alla reception rimase per un breve momento incantato a guardarla.
- Ah... certo... miss Allison, ha prenotato per tre notti –
Janet fece un sorriso di assenso e porse all'impiegato il suo documento e la carta di
credito, notando l'espressione ammirata dell'uomo alla vista della sua American Express
Oro, un tipo di carta che normalmente era indice di grandi disponibilità economiche.
Completate le operazioni di registrazione l'impiegato della reception, evidentemente rapito
dall'avvenenza della nuova ospite, contravvenne al protocollo, si fece sostituire al bancone
e accompagnò personalmente Janet alla sua stanza, la suite al quinto piano, con un
servilismo quasi indisponente.
- Ecco miss Allison, questa è la sua suite, è una delle camere più belle
dell'hotel, i suoi bagagli sono già in camera. Se ha bisogno di qualcosa,
qualsiasi cosa, non esiti a chiamarmi: io sono Mark –
A momenti le faceva un inchino, era chiaro che non se ne sarebbe andato senza un segno
tangibile di riconoscenza. Janet prese una banconota da 10 dollari e la porse all'uomo che
la ringraziò, e dopo averle rinnovato più volte la sua totale disponibilità se ne andò.
Chiusa la porta della stanza, Janet si tolse le scarpe e si sdraiò qualche minuto sul letto
per riprendersi dalle fatiche del viaggio.
Otto ore di volo non avevano lasciato molte tracce sul suo viso. Restò a fissare un punto
imprecisato del soffitto per un po’, con i lunghi capelli castani sparsi a raggiera sul
cuscino.
Aveva grandi occhi verdi con sottili screziature dell'iride che cambiavano di intensità in
base alle giornate, rendendo il suo sguardo ancora più intenso e magnetico. Nulla
traspariva attraverso di essi, neanche la più piccola emozione.
Neppure la sua bocca, dalle labbra carnose e perfette, pareva risentire del viaggio e
risultava ancora ben definita dal rossetto Rouge Coco di Chanel, il suo preferito.
Era assorta completamente dai suoi pensieri. Poi, improvvisamente, abbandonò il grande
letto bianco della lussuosa suite e raggiunse a piedi nudi il bagno. Iniziò a spogliarsi e a
disseminare sulla moquette prima la giacca in seta color cipria, poi la camicetta in nuance
ed infine i pantaloni.
Liberata dal costoso completo Armani, ora aveva indosso solo l'intimo, era molto bella,
sembrava una modella di Victoria's Secret.
Davanti al grande specchio si soffermò a lungo, come a chiedersi chi c'era dall'altra parte.
Poi, con movimenti abituali e lenti, prese un dischetto di cotone ed iniziò a struccarsi. Ora,
senza ombretto e fard, sembrava un pagliaccio dopo lo spettacolo.
Chi è Janet? Cosa ci fa li?
……………………………..………………… Segue………………………………………………………
Capitolo 2 - Peter Green (estratto parziale)
Il buio, la paura, il silenzio rotto dal crepitio delle fiamme che stanno divorando la sua
casa, la sua vita, tra le risa compiaciute di chi ha compiuto un orrendo massacro e dal di
fuori ne osserva l'epilogo. La voglia di gridare al mondo la sua disperazione, il suo dolore
senza che dalla sua bocca , paralizzata dal terrore, esca un solo filo di voce.
La cantina in cui si era nascosta che si riempie di fumo acre, la corsa disperata alla botola
che dava verso l'esterno della casa, verso la salvezza, una piccola fessura dalla quale
entra aria pulita da respirare affannosamente, un’immagine che filtra da quella sottile
striscia di luce soffusa, la luce di un sole morente, la vista delle scarpe, e dei piedi di due
uomini accanto alle ruote di un'automobile, quei discorsi in tedesco tra loro e quelle risa
che da 6 anni risuonano ininterrottamente nella sua testa, il momento in cui la sua vita
passata di adolescente morì per sempre, la sera in cui nacque una donna nuova e
speciale.
Da sei anni, ogni notte, il suo sonno era accompagnato da questo terribile incubo, fino
all'istante in cui quegli uomini decidono che il loro compito è terminato e salgono in
macchina per andarsene lasciandola libera di conquistare l'uscita e la salvezza, è quello il
momento in cui si risveglia in un lago di sudore, con nella mente l'immagine persistente
dell'aquila tatuata sulla caviglia di uno dei due, la sola cosa che sia riuscita a vedere di
quegli assassini, un aquila che è diventata il suo tormento.
La carezza delle lenzuola di seta del grande letto del Grant riporta Janet alla realtà.
Ancora sconvolta dal suo incubo ricorrente, si guarda allo specchio e vede una ragazza
indifesa, fragile e terrorizzata, ben diversa dalla donna spregiudicata, decisa, spietata e
seduttrice che doveva impersonare.
Il trillio del telefono la scuote dal suo torpore
- Sono le 8 signorina Allison, desidera la colazione in camera o preferisce
scendere in sala? era la voce gentile e professionale di Mark, che la rassicurò ………. Segue ………….
Conclusione
Amelie Labat fu letteralmente rapita da questo racconto. Jaques Bernard aveva
ambientato una storia fantastica, cruda e perfino cinica in luoghi che non aveva mai visto.
Probabilmente si era immedesimato nei protagonisti pensando a storie d’amore e di sesso
che avrebbe potuto vivere solo nella sua fantasia.
Aveva descritto minuziosamente le diverse mise della protagonista perché conosceva le
donne quasi meglio degli uomini. In quel libro Jaques aveva infatti descritto la donna che
conosceva di più: quella classica, elegante, un po’ retrò ma soprattutto seducente e
spregiudicata, quella che per anni aveva vestito con le sue creazioni e che, a un certo
punto, gli dissero essere passata di moda.
Quel libro, ad Amelie, pareva splendido, e decise di proporlo a una grande casa editrice
perché anche altri potessero leggere l’ultimo volo della fantasia di un grande uomo.
Amelie decise che Jaques Bernard doveva lasciare una traccia del suo passato su questa
terra, e dispose che tutti i proventi della vendita del libro venissero utilizzati per realizzare il
progetto Smile Hospital che Jaques aveva così ben descritto.
Paradossalmente, proprio la stessa grande multinazionale tedesca che fu la causa del
declino di Jaques, sentendosi, anche se non citata testualmente, comunque coinvolta dal
libro, per evitare di essere travolta da uno scandalo, finì per essere il maggior sponsor di
quel progetto con un generoso contributo che ne permise la realizzazione e forse, placò il
tormento di un uomo consentendogli un sereno ed eterno riposo.
Grazie ad Amelie, Jaques Bernard non fu mai dimenticato.
Marcell Corvall
Il romanzo Le due Rose è un’opera prima, nata dal sodalizio di due scrittori torinesi che hanno al
loro attivo numerosi contributi editoriali: Mariella Valente in campo giornalistico, Marco Corrini
in quello economico ed umoristico.
Lo pseudonimo Marcell Corvall nasce dalla fusione del nome dei due autori ed è un’unione
creativa che proseguirà nel tempo.
Le due rose
Marcell Corval
Opera depositata ai sensi della Legge sulla tutela dei diritti d’autore.
Tutti i diritti sono riservati a Marco Corrini e Mariella Valente