Ministero delle Attività Produttive - Dipartimento per lo Sviluppo e la
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Ministero delle Attività Produttive - Dipartimento per lo Sviluppo e la
MAP- DGCII Settembre 2005 Sviluppo e innovazione: un approccio integrato Sintesi La struttura economica italiana sta affrontando una crisi di competitività, che si riflette in una bassa crescita, inferiore a quella degli altri principali paesi europei. Tra i principali motivi della diminuzione della capacità competitiva del paese vi è la carenza di innovazione, anche in presenza di un sistema di aiuti alle imprese esteso e intenso, specie nel Mezzogiorno. La proposta sostenuta in questo testo è di focalizzare le politiche pubbliche per lo sviluppo, e le risorse finanziarie connesse, in particolare quelle relative alla politica regionale comunitaria, sull’obiettivo di un rapido e diffuso processo di innovazione della base produttiva: sia per il miglioramento della produttività e redditività del sistema delle imprese; sia per il pieno sfruttamento delle potenzialità offerte dall’ICT; sia per l’orientamento verso i settori a più rapido tasso di sviluppo, adeguando la specializzazione del sistema produttivo italiano ai rapidi mutamenti dei mercati e delle possibilità di sviluppo. Dalla metà degli anni novanta la crescita dell’economia italiana è sensibilmente rallentata, entrando, dal 2002, in una fase di stagnazione. Da quell’anno il Pil pro capite italiano è ritornato sotto al livello medio europeo. Nel 2004 il rapporto tra i due è risultato pari al 96,7% con una perdita dal 1995 di oltre sette punti percentuali. La bassa crescita è riconducibile principalmente a un deficit di capacità di competere, derivante da una lenta dinamica della produttività, che si è tramutata in costi unitari relativamente crescenti rispetto ai paesi concorrenti. Dal 1995 al 2004 l’aumento del prodotto per addetto è stato in Italia circa la metà di quello medio della UE15, con un divario annuale di crescita di 0,7 punti. La bassa crescita ha cause strutturali, che originano principalmente dalla specializzazione produttiva italiana, orientata, rispetto a quella europea, verso settori a bassa tecnologia, minore capitale umano e dominati da imprese di ridotte dimensioni. A differenza di altri paesi europei, che hanno modificato nel tempo la struttura del loro apparato produttivo, il modello di specializzazione italiana non solo risulta obsoleto ma anche persistente. Il recupero di competitività delle imprese italiane richiede quindi di adattare la struttura produttiva alle nuove condizioni dei mercati e ai nuovi fattori di successo, così come già avvenne nei primi anni ottanta. Una delle condizioni, se non la principale, è che vi sia un rapido, diffuso e pervasivo processo di innovazione della base produttiva. I risultati dell’European Innovation Scoreboard 2004 segnalano come la capacità innovativa dell’Italia è inferiore a oltre il 70% di quella media europea; il gap è ancora più ampio con Francia, Germania e Regno Unito. Inoltre l’Italia si colloca, insieme a Austria, Estonia e Repubblica Ceca, nel gruppo di paesi che, anche in termini dinamici, stanno perdendo capacità competitiva. Il divario riguarda tutti i campi analizzati dal sistema di indicatori: il capitale umano necessario per l’innovazione, la creazione di nuova conoscenza, la trasmissione e l’applicazione del nuovo sapere, le innovazioni finanziarie e nei mercati. Il divario nelle regioni del Mezzogiorno è ancora più vasto, con particolare riferimento agli indicatori relativi alla spesa privata in R&S, all’ occupazione nei settori tecnologici, alle richieste di brevetti. Esso riflette le differenze di sviluppo esistenti ma rappresenta soprattutto un fattore che genera il perpetuarsi nel tempo del ritardo di alcune aree del paese. Non sono mancate, nel periodo, le politiche volte all’innovazione e allo sviluppo tecnologico. Il livello di spesa pubblica in R&S rispetto al Pil in Italia è simile a quello degli altri paesi europei. La 1 MAP- DGCII Settembre 2005 loro efficacia è risultata però limitata. In primo luogo, l’innovazione non è stata una priorità delle politiche. L’insieme delle politiche per la ricerca e sviluppo, che comprende interventi nazionali, conferiti e regionali, ha contato solo per il 22% del totale delle agevolazioni approvate nel periodo 2000-2004. Complessivamente, per questo obiettivo, sono state approvate agevolazioni per circa 10 miliardi di euro sui 46 miliardi circa di aiuti alle imprese (pari mediamente a 2 miliardi di euro l’anno). Fatta eccezione per i finanziamenti dei Fondi Strutturali, le risorse pubbliche per incentivi alle imprese che hanno finanziato investimenti in R&S ed innovazione sono state allocate in proporzione maggiore al Centro Nord rispetto al Mezzogiorno. Un ulteriore aspetto da considerare riguarda la ripartizioni delle responsabilità e dei compiti tra diversi livelli di governo. Sulla base del titolo V della Costituzione, la “ricerca scientifica e tecnologica ed il sostegno all'innovazione per i settori produttivi” rientrano tra le materie a legislazione concorrente. Gli attori a livello nazionale concertano le politiche e gli strumenti di innovazione del sistema produttivo con le Amministrazioni regionali. Nell’ambito della definizione dei singoli programmi di azione, la ripartizione di competenze - su cui si è concordato - lascia al livello nazionale gli interventi di ricerca e sviluppo precompetitivo ed alle Amministrazioni regionali i processi di innovazione delle PMI e dei processi di sviluppo che riguardano, in particolare, le aggregazioni territoriali. Ne deriva non solo la diversa entità degli interventi per livello di governo (la dimensione degli interventi regionali è poco più del 20% di quelli nazionali e quasi l’80% di quelli conferiti), ma anche il diverso peso delle politiche per l’innovazione tra strumenti nazionali e regionali (nelle regioni la spesa per R&S è pari a poco più del 3% di quella complessiva). Questo è motivato dalla suddetta ripartizione degli strumenti per livello di governo, e riflette, a sua volta, la differente percezione delle esternalità della R&S a livello locale e nazionale. L’analisi mostra che i principali strumenti di intervento nazionali nel settore dell’innovazione, quali il FAR (Fondo agevolazioni per la ricerca), Legge 488/92-Ricerca, FIT (Fondo per l’innovazione tecnologica), a cui si associa il recente PIA Innovazione, che integra agevolazioni all’investimento e all’innovazione, pur avendo riscosso un certo successo tra le imprese, presentano alcuni aspetti problematici: in primo luogo si rileva una sorta di gap, ovvero una mancanza di sostegno, dalla fase di sviluppo precompetitivo a quella dell’acquisto di macchinari innovativi con tecnologia già incorporata; inoltre l’attenzione degli strumenti è concentrata sull’abbattimento dei costi per la realizzazione delle attività, mentre manca il collegamento con reti o emissari che possano fare da tramite e da contatto con le aziende interessate sia nella fase di identificazione del bisogno e dell’avvio della fase progettuale sia nella fase finale di valorizzazione dell’esperienza realizzata. Di fatto il networking è pressoché assente; infine sono poco presenti attività di sfruttamento ed impiego su larga scala dei risultati della ricerca nazionale ed internazionale. Infine negli ultimi anni è da considerare la riduzione delle disponibilità finanziarie per le attività di sostegno all’innovazione tecnologica, nonostante gli sforzi del Ministero delle Attività Produttive di mantenere stabili i livelli di operatività del FIT con operazioni di finanza straordinaria. I tratti di debolezza identificati per gli interventi nazionali si ripropongono anche con riferimento agli interventi del QCS: fatte salve alcune eccezioni – es. il PIA Innovazione del PON Sviluppo Imprenditoriale Locale – mancano gli strumenti che saldano le attività di ricerca a monte e diffusione dei risultati e messa in produzione da parte delle PMI o delle aggregazioni di impresa, a valle. Inoltre gli interventi regionali non sono articolati in una logica di complementarietà, ma ripropongono il ciclo completo del processo di R&S degli strumenti nazionali, dal finanziamento delle strutture universitarie alle azioni di trasferimento tecnologico alle PMI, concentrandosi in particolare sull’attività a monte. Anche gli strumenti di incentivazione per lo sviluppo locale avrebbero potuto aiutare ulteriormente le imprese a innovare, ma così non è stato. Per quanto riguarda i contratti di programma, che pur avevano fra i loro obiettivi l’innovazione, il finanziamento di attività innovative è stato molto 2 MAP- DGCII Settembre 2005 ridotto negli ultimi anni, anche perché l’uso intenso dello strumento fatto dai consorzi di PMI ha ridotto la dimensione media dell’investimento. La 488 ha ben adoperato, ma il metodo di selezione, che rappresenta l’aspetto più originale e più solido dello strumento, non è stato orientato in questa direzione. Gli incentivi automatici sono stati spesso di intensità irrilevante per l’addizionalità dell’investimento finanziato. L’azione pubblica deve quindi essere volta a stimolare la capacità di generare innovazione e di renderla disponibile alle imprese. Questo richiede di formulare una strategia nazionale delle politiche dell’innovazione, che consideri sia gli interventi diretti a incrementare l’efficienza del “sistema ricerca” e la propensione all’innovazione della struttura produttiva, sia una serie di azioni “di sistema”, finalizzate a rafforzare e integrare– tra livello centrale e livello regionale – il governo degli interventi pubblici atti a sostenere l’attività di ricerca scientifica e innovativa e a potenziare l’efficienza del sistema innovativo nel suo complesso. L’aspetto fondamentale, in un contesto di risorse scarse, deve essere la selettività degli interventi, che si devono focalizzare, come avviene in altri paesi europei, verso i settori innovativi e verso le imprese con maggiore potenziale di crescita. La strategia generale individua quattro obiettivi specifici dell’intervento: • diffusione dei risultati della ricerca pubblica di base • trasferimento di tecnologia, anche tramite il trasferimento dei risultati della ricerca pubblica alle imprese • creazione di un mercato di servizi dell’innovazione e dei brevetti • aumentare l’utilizzo dell’ICT presso le imprese, come strumento capace di aumentare il grado di conoscenza anche della ricerca e delle tecnologie. Non è nello scopo di questa proposta individuare con precisione gli strumenti capaci di raggiungere gli obiettivi delineati, che dovranno scaturire da un dibattito tra Amministrazioni centrali e locali, imprese e centri di ricerca. Può essere utile invece segnalare alcune tipologie di intervento, che appaiono particolarmente adatte alla struttura economica del paese: a. Politiche volte a rafforzare i processi innovativi, specie tra le PMI: si tratta di accompagnare lo sviluppo innovativo delle imprese fornendo non solo il sostegno finanziario ma anche le conoscenze necessarie al miglioramento organizzativo e alla riqualificazione del capitale umano, ad esempio mettendo a disposizione dell’impresa strumenti e capitale umano allo scopo di aiutare l’imprenditore a scegliere la migliore tecnologia e la formazione del personale; b. Politiche volte alla costruzione di capacità innovative e di ricerca in alcuni settori a elevato contenuto tecnologico: questo può essere raggiunto finanziando in modo selettivo programmi di accordi università-imprese in alcuni settori critici, con interventi finalizzati non solo alla ricerca ma anche al suo sfruttamento industriale; c. Politiche volte alla costruzioni di aggregazioni di eccellenze: in coordinamento con il precedente intervento si tratta costruire poli di eccellenza in settori scelti, attraendo risorse umane anche dall’estero, e intorno a questi aiutare la formazione di aggregazione di imprese e la nascita di spin-off di ricercatori; d. Politiche volte alla diffusione di nuove tecnologie e alla promozione dei risultati della ricerca: programma di base per un upgrading tecnologico, in particolare per quanto riguarda le tecnologie informatiche e di comunicazioni per le imprese, sempre legato anche a processi di formazione e. Politiche volte al superamento di fallimenti e rigidità nei mercati, in particolare quello del credito: si tratta di migliorare la capacità di valutazione dei progetti e delle capacità innovative da parte delle istituzioni pubbliche e di quelle finanziarie, che forniscano, sulla 3 MAP- DGCII Settembre 2005 base di metodi oggettivi e competenze specializzate, una valutazione obiettiva delle capacità e delle possibilità di sviluppo di un progetto o di un’impresa (rating tecnologico). La quantificazione degli obiettivi è stata effettuata sulla base del livello di innovatività media di due tra i nostri più diretti competitori - Francia e Germania - utilizzando i dati del censimento 2001. Per raggiungere in tre – quattro anni la loro quota di imprese innovative, il numero di imprese coinvolgibili è di circa 20.000 imprese di cui 8000 circa nell’industria, e circa il 90% PMI . La stima dell’impegno finanziario necessario al conseguimento di questo obiettivo è di circa 16.000 milioni di euro di investimenti di cui i 2/3 realizzati da piccole imprese, che potrebbe equivalere ad un volume di risorse destinate ad incentivi pari a circa 8000 milioni di euro di cui 6.500 per piccole imprese. A questa stima deve essere comunque affiancata una valutazione dell’ammontare degli incentivi destinati alle piccolissime imprese e di quelli necessari per mantenere il livello dell’attività innovativa delle imprese che hanno già innovato nello scorso quinquennio. Sulla base dello storico si stima che al fine di garantire il mantenimento del livello di innovatività siano necessari ulteriori 17.000 milioni di euro per interventi al livello centrale e regionale. Nel complesso, una stima, comunque prudenziale, dell’intero intervento di sostegno all’innovazione, sia da parte delle Amministrazioni centrali che regionali, potrebbe collocarsi intorno ai 25.000 milioni di euro. Ne consegue pertanto che, applicando la medesima percentuale del 13% (quota delle imprese da sostenere localizzate nel Mezzogiorno) all’importo di 25.000 milioni di euro, l’ammontare di risorse destinate al Piano di azione per l’innovazione nel Mezzogiorno (di seguito indicato) è pari a 3.250 milioni di euro. Tenute presenti le caratteristiche tecniche degli strumenti di intervento e la natura degli investimenti da questi agevolabili, si può ragionevolmente indicare la seguente ripartizione dell’importo di 3.250 milioni di euro: l’80% circa destinato all’Amministrazione centrale (2.600 milioni di euro) ed il 20% destinato alle Amministrazioni regionali (650 milioni di euro). Considerate le difficoltà dell’attuale periodo di programmazione in termini di governance, il raggiungimento degli obiettivi sopra indicati non può prescindere dalla fissazione, prima della definizione dei POR e del PON, di un quadro certo e condiviso. Tale quadro riguarda non solo le risorse, ma soprattutto le competenze e modalità di realizzazione e sorveglianza - tra gli attori che hanno titolo a programmare e a gestire interventi per l’innovazione, in altre parole l’attivazione di un efficace partenariato tra Regioni e Ministero. A titolo esemplificativo alcune prime indicazioni sono riportate nell’ipotesi di un Piano di azione per l’innovazione di seguito indicato, i cui dettagli sono descritti al paragrafo 3.5 del presente documento. La previsione di gruppi di coordinamento con funzioni non solo programmatorie ma anche attuative e la valorizzazione di meccanismi amministrativi già rodati (quali ad es. APQ) costituiscono alcuni degli strumenti per garantire l’operatività. 4 MAP- DGCII Settembre 2005 INIZIATIVA CENTRALE INIZIATIVA REGIONALE • Politiche di innovazione in relazione a profili strategici per il paese (settoriali e dimensionali) ed al rafforzamento della dimensione d’impresa • Supporto al finanziamento dello sfruttamento industriale dei risultati della ricerca • Supporto alla creazione e messa in rete nazionale dei poli di eccellenza • Valorizzazione del potenziale innovativo delle politiche orizzontali (es. energia, ambiente) • Politiche di innovazione e trasferimento tecnologico rispondenti alla vocazione produttiva locale. • Politiche di innovazione diffusa per le PMI, con particolare attenzione alle piccole e micro imprese • Creazione di un ambiente favorevole all’innovazione • Valorizzazione ai fini industriali del potenziale di ricerca regionale Il MAP e le Regioni in partenariato Gruppo di coordinamento Stato/Regioni Piano di azione per l’innovazione delle imprese RISORSE PROGRAMMA NAZIONALE RISORSE PROGRAMMI REGIONALI (Fondi strutturali 2007-2013) STRUMENTI CENTRALI STRUMENTI REGIONALI • Pacchetti integrati ed interventi di networking di dimensione multiregionale • Interventi strategici di innovazione settoriale/tematica • Interventi di spill over di progetti strategici • Reti nazionali ed internazionali • Strumenti finanziari per l’avvio di progetti innovativi • Interventi di regolamentazione • Interventi di animazione e stimolo della domanda • Interventi di innovazione diffusa ad investimenti di dimensione minore • Pacchetti integrati semplificati • Servizi per l’innovazione ed il trasferimento tecnologico • Reti regionali e collegamenti con università e tessuto di imprese locali • Strumenti finanziari per l’innovazione, in particolare garanzie 5 MAP- DGCII Settembre 2005 Sviluppo e innovazione: un approccio integrato Indice 1. Le difficoltà competitive delle imprese italiane: la diagnosi 1.1 Una crescita insufficiente 1.2 I divari di capacità innovativa 1.3 I divari territoriali: Centro-Nord e Mezzogiorno 2. Le politiche e gli strumenti per l’innovazione in Italia: una valutazione critica 2.1 Gli obiettivi delle politiche 2.2 Le competenze tra diversi livelli di governo 2.3 Gli strumenti di incentivazione della R&S: gli interventi centrali 2.4 Gli strumenti di incentivazione della R&S: gli interventi regionali 2.5 Strumenti di incentivazione dello sviluppo locale 2.6 La legge 488 2.7 I contratti di programma 2.8 Gli incentivi automatici 3. Strategie nazionali per l’innovazione e lo sviluppo 3.1 L’obiettivo generale 3.2 Gli obiettivi specifici 3.3 Una quantificazione degli obiettivi dell’intervento 3.4 Le tipologie di intervento 3.5 Modelli di relazioni istituzionali e di governance 6 MAP- DGCII Settembre 2005 Sviluppo e innovazione: un approccio integrato La struttura economica italiana sta affrontando una crisi di competitività, che si riflette in una bassa crescita, inferiore a quella degli altri principali paesi europei. Tra i principali motivi della diminuzione della capacità competitiva del paese vi è la carenza di innovazione, anche in presenza di un sistema di aiuti alle imprese esteso e intenso, specie nel Mezzogiorno. La proposta sostenuta in questo testo è di focalizzare le politiche pubbliche per lo sviluppo, e le risorse finanziarie connesse, sull’obiettivo di un rapido e diffuso processo di innovazione della base produttiva: sia per il miglioramento della produttività e redditività del sistema delle imprese; sia per il pieno sfruttamento delle potenzialità offerte dall’ICT; sia per l’orientamento verso i settori a più rapido tasso di sviluppo, adeguando la specializzazione del sistema produttivo italiano ai rapidi mutamenti dei mercati e delle possibilità di sviluppo. 1. Le difficoltà competitive delle imprese italiane: la diagnosi 1.1 Una crescita insufficiente Il processo di catching up della struttura produttiva dell’Italia con l’Europa si è concluso negli anni ottanta. Durante la prima metà degli anni novanta il prodotto pro capite dell’Italia, espresso in parità di potere d’acquisto, si è mantenuto qualche punto percentuale al di sopra di quello medio dell’UE15. Dal 1995 la crescita dell’Italia è sensibilmente rallentata, con una riduzione del tasso di crescita più intensa dal 2002. Da quest’anno il Pil pro capite italiano è ritornato sotto al livello medio europeo. Nel 2004 il rapporto tra i due è risultato pari al 96,7% con una perdita dal 1995 di oltre sette punti percentuali. La minore crescita si accompagna a un deficit di competitività. La quota di mercato mondiale delle esportazioni italiane (a prezzi costanti) in dieci anni si è quasi dimezzata, calando dal 4,6% nel 1995 al 2,9% nel 2004. Parte di questa riduzione è la controparte dell’ingresso nel commercio mondiale di nuovi paesi produttori. D’altronde, il calo delle esportazioni italiane, più accentuato di quello rilevato negli altri paesi europei (Fig. 1), è un segnale di perdita di capacità competitiva dell’industria italiana. La riduzione delle quote a prezzi correnti risulta inferiore di quella a prezzi costanti, indicando la possibilità di uno spostamento dell’esportazioni italiane verso la fascia più elevata del mercato, di maggiore qualità e prezzi, con però una riduzione dei volumi complessivi, specie dei prodotti qualitativamente inferiori. Il rifugio nella nicchia di qualità non è però una risposta sufficiente a garantire lo sviluppo complessivo del sistema produttivo italiano. La perdita di competitività è strettamente legata alla bassa crescita della produttività, che si tramuta in costi unitari relativamente più elevati rispetto ai paesi concorrenti. Dal 1995 al 2004 l’aumento del prodotto pro capite è stato in Italia circa la metà di quello medio della UE15, con un divario annuale di crescita di 0,7 punti. Nel periodo 2001-2004 la crescita è stata negativa, a differenza del resto d’Europa, con un aumento del differenziale all’1,3% annuo (Fig. 1). La bassa crescita ha cause strutturali, che originano per molti versi dalla specializzazione produttiva italiana, orientata, rispetto a quella europea, verso settori a bassa tecnologia, minore capitale umano e dominati da imprese di ridotte dimensioni. In particolare, l’Italia risulta specializzata, rispetto al resto dell’Europa, in comparti con intensità tecnologica medio-bassa e bassa (Fig. 2). A differenza di altri paesi europei, che hanno modificato nel tempo la struttura del loro apparato produttivo, il modello di specializzazione italiana non solo risulta obsoleto ma anche persistente. Tale struttura 7 MAP- DGCII Settembre 2005 appare particolarmente svantaggiata rispetto alle due principali modifiche di contesto dell’economia mondiale: i processi di globalizzazione e internazionalizzazione delle filiere produttive, che hanno portato nel mercato mondiale paesi caratterizzati da un costo del lavoro particolarmente basso comparato a quello europeo e italiano in particolare, e lo sviluppo delle tecnologie informatiche e di comunicazione, i cui riflessi sulla produttività risultano appropriabili in misura maggiore da imprese di grandi dimensioni e caratterizzate da un elevato capitale umano. Inoltre il quadro competitivo del mercato italiano favorisce relativamente meno, rispetto all’Europa, lo sviluppo: la presenza di vistosi fallimenti e rigidità dei mercati, specie in quelli del credito e della finanza, e l’ancora inferiore dotazione infrastrutturale, rende disagevoli i processi di crescita e di acquisizione di vantaggio competitivo delle imprese. Fig. 1 Crescita del Pil, del prodotto per addetto e delle esportazioni (tasso medio annuo in%, valori a prezzi costanti) 7 6 5 Pil Produttività Esportazioni 4 3 2 1 0 -1 Italia 1995-2004 UE15 1995-2004 Italia 2001-2004 UE15 2001-2004 Il recupero di competitività delle imprese italiane richiede quindi di adattare la struttura produttiva alle nuove condizioni dei mercati e ai nuovi fattori di successo, così come già avvenne nei primi anni ottanta. Questo richiede in primo luogo un rapido, diffuso e pervasivo processo di innovazione della base produttiva: sia per il pieno sfruttamento delle potenzialità dell’ICT; sia per l’orientamento verso i settori a più rapido tasso di sviluppo, come quelli high-tech; sia infine per il miglioramento della produttività e redditività dell’impresa, tramite innovazioni di prodotto e di processo. Il concetto di innovazione ha qui un significato ampio: sia perché l’introduzione dell’ICT porta a alla presenza di miglioramenti organizzativi e al riordino dei processi produttivi che non necessariamente si accompagnano a innovazioni tecnologiche; sia perché queste valutazioni rivestono un carattere di particolare rilevanza in Italia dove l’innovazione organizzativa, per esempio, l’ “innovazione di disegno”, è vitale per molte piccole e medie imprese che attraverso essa riescono a fare fronte, sotto il profilo della qualità d’eccellenza, a produzioni simili, qualitativamente inferiori, ma prevalenti per quantità e contenimento dei costi; sia, infine, perché l’innovazione non è necessariamente diretta ed esclusiva applicazione della ricerca; che invece è solo uno degli strumenti possibili per fare innovazione così come l’applicazione industriale della 8 MAP- DGCII Settembre 2005 ricerca fatta da altri. Questo è particolarmente vero per molte PMI di settori tradizionali che mettono in moto processi di “innovazione senza ricerca”. Fig. 2 Produzione manifatturiera per intensità tecnologica dei settori (anno 2002, composizione percentuale) 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Alta Medio-alta Medio-bassa Italia Bassa UE15 1.2 I divari di capacità innovativa L’esigenza di un’accelerazione dei processi innovativi in Italia risulta comunque evidente. I risultati dell’ European Innovation Scoreboard 2004 segnalano come la capacità innovativa dell’Italia è inferiore a oltre il 70% di quella media europea; il gap è ancora più ampio con Francia, Germania e Regno Unito (Fig. 3). Non è solo una questione di dimensione: le imprese italiane innovano meno anche a parità di classe dimensionale (Fig. 4). Inoltre l’Italia si colloca, insieme a Austria, Estonia e Repubblica Ceca, nel gruppo di paesi che, anche in termini dinamici, stanno perdendo capacità competitiva (Fig. 5). Fig. 3 In d i c a t o r e d i i n n o v a t i v i t à p er p a es e (D a t i E u r o p e an In n o v a t i o n S c o r eb o a r d 2 00 4) 0 ,6 0 ,5 0 ,4 0 ,3 0 ,2 0 ,1 0 DE ES FR IT 9 UK EU 15 MAP- DGCII Settembre 2005 Fig. 4 Imprese con attività innovativa (%) 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 IT-P IT-M IT-G FR-P FR-M FR-G Fig. 5 10 GE-P GE-M GE-G SP-P SP-M SP-G MAP- DGCII Settembre 2005 Il divario riguarda tutti i campi analizzati dal sistema di indicatori: il capitale umano necessario per l’innovazione, la creazione di nuova conoscenza, la trasmissione e l’applicazione della conoscenza, le innovazioni finanziarie e nei mercati. Fig. 6 Indicatori di capitale umano (Indici relativi UE25=100) 250,0 200,0 150,0 100,0 50,0 0,0 DE ES FR IT UK EU15 Laureati in Scienze e ingegneria (% classe 20-29 anni) Popolazione in età lavoratica con istruzione post secondaria (% classe 25-64 anni) Formazione permanente (% pop. lavorativa) Per quanto riguarda la presenza e la formazione di capitale umano per l’innovazione, la posizione relativa dell’Italia è pari, in termini di indicatori analizzati, a circa il 50% di quella europea, e molto inferiore anche a quella della Spagna (Fig. 6). Il problema è particolarmente rilevante in quanto molti studi hanno sottolineato la complementarietà fra capitale umano e innovazione, e taluni attribuiscono proprio al basso livello della prima il motivo della scarsità della seconda in Italia. Qualsiasi politica per l’innovazione deve quindi avere come corollario interventi per irrobustire la formazione di capitale umano adeguato. Mentre l’impegno del settore pubblico per la creazione di conoscenza non è distante da quello degli altri paesi europei, il deficit di spesa riguarda principalmente il settore privato, in questo caso sfavorito, come segnalato precedentemente, dalla composizione settoriale e dimensionale (Fig. 7). Questo si riflette nella capacità di creare innovazione: il numero di brevetti per milione di abitanti è circa la metà di quello europeo, e ben lontano da quanto raggiunto da Germania, Francia e Regno Unito. Se si considerano anche i brevetti registrati negli Stati Uniti, quest’ultimo paese raggiunge livello pari a quasi il 50% di quelli medi europei, mentre il distacco con l’Italia cresce ulteriormente. 11 MAP- DGCII Settembre 2005 Fig. 7 Indicatori di creazione di conoscenza (indicatori relativi UE25=100) 250,0 200,0 150,0 100,0 50,0 0,0 DE ES FR IT UK Spesa pubblica in R&S (% Pil) Spesa privata in R&S (% Pil) Brevetti all'European Patent Office (settori high tech) Brevetti all'European Patent Office (tutti settori) EU15 La quota di PMI che innovano in Italia è elevata rispetto agli altri paesi, e questo è un sintomo di vitalità del sistema, anche se nel complesso le PMI innovano meno che le grandi imprese. L’aspetto che preoccupa è che tale innovazione viene creata e gestita interamente all’interno della stessa impresa (Fig. 8). I dati mostrano che gli accordi per l’innovazione in Italia sono rari: mancano i network innovativi che possono fare superare alle PMI le difficoltà concernenti il basso livello di capitale umano interno, che è necessario per innovare. Questo si riflette in una quota ridotta di fatturato speso in attività innovative. L’innovatività delle imprese italiane ha solide basi nell’innovatività di processo. La Fig. 9 mostra come il fatturato in prodotti “nuovi per il mercato” (ricavato da un’apposita indagine campionaria tra diversi paesi europei) è in Italia particolarmente elevato. D’altronde, è il mercato che è ancora poco permeabile all’innovazione: l’accesso a internet è ancora poco diffuso; le spese in ITC sono ancora una parte ridotta del fatturato, rispetto agli altri paesi europei. 12 MAP- DGCII Settembre 2005 Fig. 8 Trasmissione e applicazione della conoscenza (Indicatori relativi UE25=100) 160,0 140,0 120,0 100,0 80,0 60,0 40,0 20,0 0,0 DE ES PMI innovative (in % tutte PMI) FR IT PMI con accordi di cooperazione per l'innovazione UK EU15 Spesa in innovazione delle imprese (in % del fatturato) Fig. 9 Innovazione nel mercato (indicatori relativi UE25=100) 180,0 160,0 140,0 120,0 100,0 80,0 60,0 40,0 20,0 0,0 DE ES FR IT UK EU15 Prodotti "nuovi" per il mercato (in % fatturato totale) Prodotti "nuovi" per l'impresa ma non per il mercato (in % fatturato totale) Accesso a internet (indicatore composito famiglie e imprese) Spesa in ITC (in % valore aggiunto) Quota del valore aggiunto nei settori high-tech 13 MAP- DGCII Settembre 2005 La presenza di un divario innovativo così ampio solleva la questione se sia opportuno innovare e diffondere innovazione sul territorio, oppure non convenga assecondare i processi “naturali” di polarizzazione. La risposta è che la dimensione spaziale dell’innovazione è importante per lo sviluppo: la diffusione di cluster e aggregazione di imprese innovative sul territorio è il modo con cui l’innovazione si genera e produce crescita. Il favorire sistemi innovativi sul territorio è quindi parte del compito delle politiche di sviluppo territoriale. 1.3 I divari territoriali: Centro-Nord e Mezzogiorno Affermare che i divari di sviluppo esistenti tra regioni del Centro-Nord e Mezzogiorno si riflettono anche sul grado di innovatività delle due aree del paese segnala una visione corretta ma riduttiva dell’importanza dei processi innovativi per la crescita. Infatti, la mancanza di innovazione può essere considerata uno dei fattori che generano il perpetuarsi nel tempo dei divari territoriali. D’altronde, l’attivazione di processi di diffusione dell’innovazione nel sistema produttivo del Mezzogiorno appare particolarmente complessa, a causa delle caratteristiche settoriali e dimensionali dell’economia meridionale, che sono anch’esse all’origine del basso livello di innovazione. In primo luogo, un fattore critico è l’elevata presenza di settori tradizionali, che sono quelli dove i cali di competitività sono più ampi, e che sono caratterizzati da una minore contenuto di ICT, ridotta manodopera qualificata, minore R&S di laboratorio come fonte di innovazione di frontiera, e più esposti alla concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro e dei servizi, ma solo nelle fasce basse e medie di qualità. A questo si associa il crescente svantaggio comparato nei settori intensivi in R&S. La bassa propensione alla R&S non dipende d’altronde solo dalla composizione del prodotto ma anche dai comportamenti delle imprese a parità di settori e dimensione media d’impresa. In secondo luogo, la ridotta dimensione delle imprese comporta un minor livello e tasso di crescita della produttività del lavoro, minori investimenti fissi per addetto, minor retribuzione per addetto con conseguente minore capacità di attrarre capitale umano qualificato, minori investimenti in ICT, con una minore propensione ad adottare tecnologie gestionali basate su codifiche e standard informativi, minori innovazioni di prodotto e organizzative-gestionali e minor capacità di intraprendere forme di internazionalizzazione più attiva della pura esportazione. Le seguenti tabelle presentano alcune informazioni comparative derivate dal Regional Innovation Scoreboard del 2003 (il più recente disponibile). Il quadro che ne risulta conferma l’esistenza di divari territoriali fra Centro-Nord e Mezzogiorno. A differenza delle regioni del Sud, dove il differenziale con la media europea e nazionale risulta in genere relativamente omogeneo, le regioni del Centro-Nord mostrano talvolta una maggiore variabilità interna: per molti degli indicatori nazionali esistono aree di eccellenza, con valori superiori alla media europea, mentre altre aree sono al di sotto della media nazionale. 14 MAP- DGCII Settembre 2005 Le differenze nella dotazione di capitale umano non sono molto accentuate, plausibilmente a causa delle politiche nazionali perseguite nel settore, sebbene per entrambe le circoscrizioni la differenza con la media europea risulti significativa (Fig. 10). Sebbene l’indicatore presentato sia solo uno dei tanti possibili, la figura mostra come spiccano per dotazione molte regioni del Centro, mentre le regioni più a Sud sono quelle con minore dotazione. Molto diverso è il caso della propensione a innovare delle imprese. Le differenze tra le aree sono marcate, anche in seguito alle difformità settoriali e dimensionali precedentemente ricordate (Fig. 11). Nel Centro-Nord, il Piemonte supera la media europea, mentre la Lombardia se ne accosta. D’altronde, Trentino, Veneto, Umbria e Marche risultano significativamente al di sotto della media nazionale. Al Sud, solo l’Abruzzo si avvicina alla media nazionale, mentre le altre regioni ne rimangono molto al di sotto. Da questo punto di vista, la spesa pubblica ha in un certo qual modo cercato di colmare i divari di R&S registrati tra la spesa delle imprese private nelle aree del paese (Fig. 12). La metà delle regioni del Mezzogiorno ha infatti indicatori superiori alla media. Particolarmente elevato risulta il valore dell’indicatore nel Lazio, sede di numerosi centri di ricerca. Per quanto riguarda l’occupazione nei settori altamente tecnologici, il valore medio dell’indicatore per l’Italia risulta allo stesso livello di quello europeo. D’altronde i divari territoriali rimangono evidenti (Fig. 13). Molte regioni del Centro-Nord hanno un valore dell’indicatore superiore a quello europeo, mentre in tutte quelle del Mezzogiorno il valore risulta inferiore ad eccezione della Basilicata, dove l’industria dell’automobile e il suo indotto hanno un peso relativo elevato. Il divario si acuisce in termini di capacità brevettuale (Fig. 14). Lombardia ed Emilia Romagna superano i valori medi europei, mentre nel Mezzogiorno solo l’Abruzzo raggiunge livelli pari ai due terzi dell’indicatore nazionale, e le altre regioni sono al di sotto di un terzo dello stesso. Ne consegue che la capacità brevettuale nel Mezzogiorno è meno di un ottavo di quella media europea. 15 MAP- DGCII Settembre 2005 Fig. 10 a – Centro-Nord Popolazione con laurea (% della popolazione con 25-64 anni, anno 2002) 25.00 20.00 15.00 10.00 5.00 La zi o ch e ar M br ia U m a sc an om -R To ag na iu lia G Em ilia Fr Tr e nt in iu liVe n ez ia Ve ne to e oAl to ba r m Lo Va l Ad ig di a ia Li gu r ta d' Ao s le on te Pi em Ita lia EU 15 0.00 Fig. 10 b - Mezzogiorno Popolazione con laurea (% della popolazione con 25-64 anni, anno 2002) 25,00 20,00 15,00 10,00 5,00 0,00 EU15 Italia Abruzzo Molise Campania 16 Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna MAP- DGCII Settembre 2005 Fig. 11a Centro-Nord Spesa privata in R&S (% del PIL, anno 2000) 1.60 1.40 1.20 1.00 0.80 0.60 0.40 0.20 0.00 EU15 Italia Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia TrentinoAlto Adige Veneto FriuliVenezia Giulia EmiliaToscana Romagna Umbria Marche Fig. 11b - Mezzogiorno Spesa privata in R&S (% del PIL, anno 2000) 1,40 1,20 1,00 0,80 0,60 0,40 0,20 0,00 EU15 Italia Abruzzo Molise Campania 17 Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Lazio MAP- DGCII Settembre 2005 Fig. 12 a – Centro-Nord Spesa pubblica in R&S (% del PIL, anno 2000) 1.60 1.40 1.20 1.00 0.80 0.60 0.40 0.20 0.00 EU15 Italia Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia TrentinoAlto Adige Veneto FriuliVenezia Giulia EmiliaToscana Romagna Umbria Marche Lazio Fig. 12 b - Mezzogiorno Spesa pubblica in R&S (% del PIL, anno 2000) 0,80 0,70 0,60 0,50 0,40 0,30 0,20 0,10 0,00 EU15 Italia Abruzzo Molise Campania 18 Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna MAP- DGCII Settembre 2005 Fig. 13 a – Centro-Nord Occupazione nei settori mediamente tecnologici e altamente tecnologici (% del totale dell'occupazione, anno 2002) 14.00 12.00 10.00 8.00 6.00 4.00 2.00 La zi o ch e ar M br ia a U m om -R Em ilia To ag sc an na iu lia G ez ia Fr Tr e nt in iu liVe n Ve ne to e oAl to ba r m Lo Va l Ad ig di a ia gu r le Li ta d' Ao s on te Pi em Ita lia EU 15 0.00 Fig. 13 b - Mezzogiorno Occupazione nei settori mediamente tecnologici e altamente tecnologici (% del totale dell'occupazione, anno 2002) 10,00 9,00 8,00 7,00 6,00 5,00 4,00 3,00 2,00 1,00 0,00 EU15 Italia Abruzzo Molise Campania 19 Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna MAP- DGCII Settembre 2005 Fig. 14 a – Centro-Nord Richieste di brevetti per milione di abitanti (European Patent Office, 2001) 200.00 180.00 160.00 140.00 120.00 100.00 80.00 60.00 40.00 20.00 La zi o ch e br ia ar M To om -R Fr Em ilia U m a ag sc an na iu lia G ez ia iu liVe n Ve ne to e Tr e nt in Lo m oAl to ba r Ad ig di a ia Li gu r ta lle d' Ao s on te Va Pi em Ita lia EU 15 0.00 Fig. 14 b- Mezzogiorno Richieste di brevetti per milione di abitanti (European Patent Office, 2001) 180,00 160,00 140,00 120,00 100,00 80,00 60,00 40,00 20,00 0,00 EU15 Italia Abruzzo Molise Campania 20 Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna MAP- DGCII Settembre 2005 2. Le politiche e gli strumenti per l’innovazione in Italia: una valutazione critica Sebbene il divario di competitività e innovazione tra l’Italia e il resto d’Europa sia rimasto ampio, come testimoniano le analisi svolte nel precedente capitolo, le politiche per l’innovazione negli ultimi cinque anni sono state numerose. La loro efficacia è dipesa, d’altronde, dal contesto economico e istituzionale in cui hanno agito. 2.1 Gli obiettivi delle politiche In primo luogo, l’innovazione non è stata una priorità delle politiche. Se si esaminano nel complesso gli interventi di incentivazione alle imprese si nota che quelli finalizzati a fattori di competitività1 hanno un peso inferiore rispetto agli interventi “generalisti”, in particolare nelle regioni meridionali. Fig. 15 Interventi “generalisti” e interventi finalizzati a fattori di competitività (agevolazioni concesse) 8.000 6.000 4.000 2.000 2000 2001 2002 Interventi carattere generale 2003 2004 Interventi per la competitività Fig. 16 Interventi “generalisti” e interventi finalizzati a fattori di competitività - Centro Nord e Mezzogiorno (agev. concesse) 6000 5000 4000 3000 2000 1000 0 2000 Interventi generalisti cn 2001 Interventi generalisti mz 2002 2003 Interventi per la competitività cn 2004 Interventi per la competitività mz 1 Per interventi più strettamente correlati a fattori di competitività delle imprese, si intendono quelli finalizzati alla ricerca e sviluppo, innovazione ed internazionalizzazione. 21 MAP- DGCII Settembre 2005 Più in dettaglio, l’insieme delle politiche per la ricerca e sviluppo, che comprende interventi nazionali, conferiti e regionali, ha contato solo per il 22% del totale delle agevolazioni approvate nel periodo 2000-2004. Complessivamente, per questo obiettivo, sono state approvate agevolazioni per circa 10 miliardi di euro. Nella precedente fase di programmazione gli strumenti di policy maggiormente finanziati sono stati orientati allo sviluppo territoriale, anche nelle sue componenti di attrazione di grandi progetti d’investimento e di creazione di reti territoriali d’imprese a livello locale. La logica che ha guidato questo intervento assegnava il recupero di competitività dell’area principalmente attraverso la creazione di infrastrutture e capitale sociale, mentre gli strumenti di incentivazione avevano fondamentalmente il ruolo di mantenere e sviluppare i livelli occupazionali in sistemi locali in difficoltà, come testimoniano gli indicatori utilizzati per la costruzione delle graduatorie della 488 e i risultati della fase di contrattazione dei contratti di programma. D’altronde, la pressione competitiva sulle imprese, piuttosto che sui territori, originata dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica dei concorrenti, non veniva all’epoca avvertita nell’intensità attuale, né l’UE aveva posto al centro delle sue iniziative le politiche dell’innovazione, come invece avviene oggi con la strategia definita a Lisbona. Più in generale nelle tabelle che seguono (Tab. 1-2) è riportato il volume complessivo di agevolazioni per incentivi alle imprese nel periodo 2000-2004, distinto nelle componenti di politica ordinaria e di politica regionale. Anche in questo caso se si guarda alla destinazione delle risorse, con qualche differenza tra le diverse componenti, si trova conferma dell’esiguità del volume dei finanziamenti allocato sull’obiettivo di innovazione e R&S, in particolare nel Mezzogiorno (Fig. 17). Tabella 1 - Volume complessivo delle risorse destinate agli incentivi alle imprese (interventi agevolativi delle Amministrazioni Centrali) Agevolazioni concesse (mln euro) 2000 1.819,1 Centro Nord 2.091,8 Mezzogiorno 426,9 Non Classificata Totale 4.337,8 2001 2.861,3 7.066,9 303,7 10.231,8 2002 Agevolazioni erogate (mln euro) 2000 1.285,3 Centro Nord 1.906,2 Mezzogiorno 508,4 Non Classificata Totale 3.700,0 2001 1.496,2 3.082,2 432,8 5.011,1 2002 3.819,6 6.176,2 561,7 10.557,5 1.900,1 4.415,8 563,0 6.878,9 22 2003 1.998,6 5.121,4 544,1 7.664,0 2004 1.870,7 4.594,7 470,9 6.936,3 Totale 12.369,1 25.051,1 2.307,3 39.727,5 2003 1.635,2 3.025,0 651,4 5.311,6 2004 1.669,1 2.837,2 223,5 4.729,7 Totale 7.985,9 15.266,4 2.379,1 25.631,3 MAP- DGCII Settembre 2005 Tabella 2 - Volume complessivo delle risorse destinate agli incentivi alle imprese (interventi agevolativi MAP di politica ordinaria e politica regionale) Agevolazioni concesse (mln euro) 2000 420,1 Centro Nord 1.105,4 Mezzogiorno 90,0 Non Classificata Totale 1.615,5 Agevolazioni erogate (mln euro) 2000 678,3 Centro Nord 1.315,1 Mezzogiorno 83,4 Non Classificata Totale 2.076,8 2001 1.370,1 5.553,1 108,2 7.031,5 2002 2.103,2 3.825,1 208,8 6.137,1 2003 1.085,1 2.812,3 515,0 4.412,3 2004 2001 2002 2003 2004 783,7 1.877,2 112,2 2.773,1 621,9 2.142,4 289,3 3.053,6 879,6 1.972,0 499,0 3.350,6 987,3 1.616,8 84,1 2.688,3 847,1 2.408,2 380,3 3.635,6 Totale 5.825,6 15.704,2 1.302,2 22.832,0 Totale 3.950,8 8.923,5 1.068,0 13.942,3 Tabella 2-a - Volume complessivo delle risorse destinate agli incentivi alle imprese (interventi agevolativi MAP di politica regionale – FAS e Fondi Strutturali) Agevolazioni concesse (mln euro) 2000 95,8 Centro Nord 1.075,2 Mezzogiorno Totale 1.170,9 Agevolazioni erogate (mln euro) 2000 182,8 Centro Nord 1.193,6 Mezzogiorno Totale 1.376,4 2001 2002 2003 2004 817,8 5.447,0 6.264,8 247,5 3.372,0 3.619,6 330,2 2.735,8 3.066,0 328,1 2.150,5 2.478,5 2001 2002 2003 2004 239,0 1.736,4 1.975,5 173,6 2.133,3 2.306,9 248,2 1.924,9 2.173,1 202,9 1.383,2 1.586,2 Totale 1.819,3 14.780,5 16.599,8 Totale 1.046,6 8.371,5 9.418,1 Tabella 2-b - Volume complessivo delle risorse destinate agli incentivi alle imprese (interventi agevolativi MAP di politica regionale – PON Sviluppo imprenditoriale locale) Agevolazioni concesse (mln euro) 2000 0 Centro Nord 544,5 Mezzogiorno Totale 544,5 2001 0 2.183,9 2.183,9 2002 0 546,7 546,7 2003 0 617,9 617,9 2004 0 379,5 379,5 Totale 0 4.272,4 4.272,4 Agevolazioni erogate (mln euro) 2000 0 Centro Nord 402,7 Mezzogiorno Totale 402,7 2001 0 546,9 546,9 2002 0 679,7 679,7 2003 0 657,9 657,9 2004 0 1.135,6 1.135,6 Totale 0 3.422,7 3.422,7 23 MAP- DGCII Settembre 2005 Fig, 17 Ammontare age volaz ioni conce sse pe r politica (mln e uro) 45.000 40.000 39.727 35.000 30.000 22.832 25.000 20.000 16.600 15.000 10.000 8.989 5.882 4.272 5.000 931 931 T otale di cui politiche aiuti innovazione e pubblici R&S nazionali T otale politiche MAP Centro Nord di cui innovazione e R&S T otale di cui T otale di cui politiche innovazione e politiche innovazione e regionali R&S regionali R&S MAP MAP (PON) (FAS e Fondi Strutturali) Mezzogiorno Non Classificata 2.2 Le competenze tra diversi livelli di governo Un ulteriore aspetto da considerare per valutare l’efficienza delle politiche per l’innovazione riguarda la ripartizioni delle responsabilità e dei compiti tra diversi livelli di governo. Sulla base del titolo V della Costituzione, la “ricerca scientifica e tecnologica ed il sostegno all'innovazione per i settori produttivi” rientrano tra le materie a legislazione concorrente. Gli attori a livello nazionale coinvolti – il MIUR, il MAP ed il DIT – concertano le politiche e gli strumenti di innovazione del sistema produttivo con le Amministrazioni regionali. Nell’ambito della definizione dei singoli programmi di azione, la ripartizione di competenze - su cui si è concordato - lascia al livello nazionale gli interventi di ricerca e sviluppo precompetitivo ed alle Amministrazioni regionali i processi di innovazione delle PMI e dei processi di sviluppo che riguardano, in particolare, le aggregazioni territoriali. Ne discende non solo la diversa entità degli interventi per livello di governo, come mostra la Tab. 3, ma anche il diverso peso delle politiche per l’innovazione tra strumenti nazionali e regionali, segnalato nelle Tabb. 4 e 5. Questa differenza è motivata dalla ripartizione degli strumenti per livello di governo, e riflette, a sua volta, la differente percezione delle esternalità della R&S a livello locale e nazionale: mentre per le regioni sono particolarmente importanti le ricadute tecnologiche e di sviluppo a livello locale, l’azione centrale tiene in considerazione sia gli effetti di spill-over sovraregionali, che sono fondamentali in settori avanzati e particolarmente innovativi, sia l’esigenza di coordinamento tra regioni, per esaltare le complementarietà e ridurre le 24 MAP- DGCII Settembre 2005 sovrapposizioni, sia infine gli effetti legati alla scarsità di risorse tecnologiche e di capitale umano, che potrebbe influenzare l’allocazione ottimale delle stesse tra regioni se vi fossero limiti alla loro mobilità o se il sistema di incentivi portasse a distorsioni allocative. Tabella 3 - Investimento medio per tipologia di intervento 2 (periodo 2000-2004) Ripartizioni territoriali investimento investimento investimento medio interventi medio interventi medio interventi nazionali conferiti (migliaia regionali (migliaia (migliaia di Euro) di Euro) di Euro) CENTRO NORD 1190,0 92,9 68,6 MEZZOGIORNO 213,5 61,9 63,9 ITALIA 317,9 86,3 68,1 Tabella 4 - Agevolazioni approvate riferite agli strumenti nazionali (ivi inclusi i conferiti) per obiettivo nel periodo 2000-2004 (valori percentuali) 3 Obiettivi 2000 2001 2002 2003 2004 2000-2004 Sostegno agli investimenti Nuova imprenditorialità Riduzione degli squilibri territoriali sviluppo Ricerca e Sviluppo Internazionalizzazione Equilibrio della gestione finanziaria Tutela ambientale Razionalizzazione di settore Calamità naturali Totale 9,6 10,3 4,1 6,2 3,8 2,7 4,6 5,7 4,5 14,2 4,8 7,0 26,2 25,9 12,2 10,3 0,1 3,9 1,6 100,0 62,5 14,2 3,7 5,4 0,0 2,3 1,5 100,0 48,7 29,1 5,1 3,4 1,1 5,5 0,5 100,0 47,8 29,0 6,5 5,9 0,1 0,1 0,4 100,0 46,5 21,1 5,2 7,3 0,1 1,0 0,0 100,0 49,3 23,5 5,8 5,8 0,3 2,7 0,8 100,0 di Tabella 5 - Agevolazioni approvate riferite agli strumenti regionali per obiettivo nel periodo 2000-2004 (valori percentuali) Obiettivi 2000 2001 2002 2003 2004 2000-2004 Sostegno agli investimenti Nuova imprenditorialità Ricerca e Sviluppo Internazionalizzazione Equilibrio della gestione finanziaria Tutela ambientale Razionalizzazione di settore Servizi reali Altro 52,6 16,5 3,4 3,7 8,5 6,7 8,5 0,0 100,0 60,4 11,9 3,4 2,6 7,5 5,4 8,7 0,0 100,0 64,0 9,1 3,8 2,9 4,6 7,3 8,3 0,1 100,0 64,5 6,6 1,5 3,6 3,4 7,5 1,2 9,4 2,3 100,0 62,1 8,2 3,6 3,0 4,5 8,7 1,5 8,1 0,3 100,0 61,1 10,1 3,1 3,2 5,5 7,2 0,6 8,6 0,6 100,0 Totale 2 Si noti che il dato medio risente di una significativa eterogeneità degli investimenti considerati. A fronte di interventi FIT e FAR con investimenti medi di circa 2,6 meuro - più diffusi al centro nord rispetto al mezzogiorno - i dati relativi al credito di imposta, con un investimento medio di circa 59.000 euro, sono per la quasi totalità localizzati nelle regioni meridionali. 3 Con riferimento agli obiettivi “Ricerca e sviluppo” ed “Equilibrio della gestione finanziaria” il dato delle agevolazioni approvate stima in eccesso il beneficio effettivamente destinato alle imprese. Per queste due finalità il valore delle agevolazioni approvate è riferito al volume dei prestiti oppure delle garanzie concesse. 25 MAP- DGCII Settembre 2005 È quindi importante che l’azione di sostegno alla R&S avvenga attraverso un concerto tra i diversi livelli di governo. Inoltre, la valutazione degli strumenti di incentivazione deve differenziarsi per gli interventi nazionali e per quelli regionali. 2.3 Gli strumenti di incentivazione della R&S: gli interventi centrali Se si guarda alle cornici programmatiche in relazione al livello centrale di intervento al momento è possibile fare riferimento al: PNR (Piano Nazionale per la Ricerca) elaborato dal MIUR4 per il periodo 2005-2007 Piano per l’innovazione digitale elaborato dal DIT e dal MAP Per gli interventi di innovazione e competitività del sistema imprenditoriale non è stata predisposta una cornice programmatica, in quanto si è operato più come sostegno dal lato della domanda di innovazione da parte delle imprese piuttosto che come indirizzamento dell’offerta. Il motivo, in questo caso, è che le rapide variazioni delle aspettative nei mercati avrebbero impedito una qualsiasi opera di indirizzo con effetti sull’efficienza delle scelte. È anche vero che oggi l’analisi sulle possibili ricadute della ricerca sui settori industriali e sui fattori di competitività di natura non tecnologica appaiono più consolidate, aprendo prospettive anche nel campo di un sostegno mirato di tipo settoriale. Gli strumenti di intervento che fanno riferimento ai documenti sopra indicati consistono principalmente nel FAR (Fondo agevolazioni alla ricerca) e nella Legge 488/92-Ricerca gestiti dal MIUR e nel FIT (Fondo per l’innovazione tecnologica), gestito dal MAP. I due fondi operano come strumenti di prestito – con integrazioni di contributo in conto capitale, attivabili per una pluralità di interventi con una significativa unicità di gestione e flessibilità di procedure. A questi strumenti vanno aggiunte le leggi di supporto dell’ICT gestite dal MAP che finanziano sia l’introduzione di nuove tecnologie all’interno delle PMI sia il finanziamento di imprese innovative attraverso interventi di venture capital. Per quanto riguarda gli interventi finanziati con il contributo di risorse comunitarie, nel QCS 20002006 l’innovazione del tessuto imprenditoriale è stata realizzata attraverso più assi prioritari5 e con il coinvolgimento di più attori ai livelli di governo nazionale e regionale, senza le necessarie garanzie di organicità degli interventi.6 Il tentativo di realizzare una saldatura tra le attività di sviluppo precompetitivo e la successiva fase di messa in produzione è stato attuato tramite il PIA Innovazione7, misura 2 del PON “Sviluppo 4 Il Programma nazionale per la ricerca 2005-2007 è stato elaborato dal MIUR a gennaio 2005 sulla base del DL 204/98 5 Asse III Risorse Umane per quanto attiene alla Ricerca ed Innovazione; asse IV Sviluppo Locale; asse VI Reti e nodi di servizio per quanto attiene agli aiuti per investimenti in ICT. 6 Gli interventi di livello multiregionale sono realizzati mediante il PON Ricerca, gestito dal MIUR ed il PON Sviluppo Locale gestito dal MAP, mentre le regioni nell’ambito delle rispettive misure hanno programmato ed attivato interventi legati alle specifiche esigenze imprenditoriali e rivolte alle PMI (v. infra). Obiettivo fondamentale del PON Ricerca è rafforzare la capacità di ricerca ed innovazione del sistema meridionale sulla base del fabbisogno innovativo espresso dai soggetti economici. Gli interventi del PON Ricerca, di particolare interesse per l’analisi, riguardano l’asse I “Ricerca e sviluppo dell’industria e dei settori strategici nel Mezzogiorno” e parte dell’asse II “Rafforzamento ed apertura del sistema scientifico e di alta formazione”6. 7 Il modello PIA innovazione è stato adottato anche a livello regionale (es. Umbria e per certi versi Puglia) per l’integrazione tra lo sviluppo precompetitivo e l’industrializzazione. 26 MAP- DGCII Settembre 2005 Imprenditoriale Locale” che insieme ai servizi di tutoraggio ed alla versione ambientale della legge 488 hanno rappresentato, fino al 2004, la strumentazione di supporto all’innovazione del tessuto imprenditoriale. Il primo bando PIA, che ha impegnato risorse nel 2003, da solo ha agevolato 234 iniziative, mentre il secondo bando ancora in fase istruttoria ha registrato la domanda di 1275 iniziative, di cui circa l’87% sono state formulate da PMI. L’andamento degli impegni per gli interventi di ricerca ed innovazione a livello centrale evidenzia, dopo il picco del 2002, una dinamica discendente che riporta gli impegni ad un livello analogo ai valori del 2001 (Fig. 18). Il 2002 è stato un anno particolare in quanto sono si sono dispiegati gli effetti della riforma degli strumenti di sostegno alla RSI. Desta invece preoccupazione la riduzione delle risorse finanziarie destinate al FIT, cui il MAP ha opposto l’attivazione di operazioni di finanza straordinaria (es. cartolarizzazioni dei crediti e Cassa depositi e prestiti) e un migliore targeting degli interventi, al fine di mantenere stabile il livello di interventi e di aumentarne l’efficacia. In ogni caso, rimane un obiettivo fondamentale contrastare l’erraticità delle risorse finanziarie destinate a questi interventi, che non fornisce garanzie alle imprese per una adeguata programmazione degli stessi. Fig. 18 Agevolazioni approvate ripartite per annualità 2000-2004 e per i principali strumenti nazionali rientranti nell’obiettivo di ricerca e sviluppo – con l’esclusione degli interventi conferiti (Meuro) 1400 1200 FIT - Legge 46/82 1000 FAR - D.lgs 297/99 ICT - Legge 388/2000 800 Legge 488 - Ricerca 600 PIA Innovazione 400 Ricerca legata a specifici settori 200 0 2000 2001 2002 2003 2004 Se si guarda al contenuto degli interventi, la maggior parte di essi sono destinati a finanziare le attività di ricerca o innovazione che l’impresa intende realizzare singolarmente, anche se, conformemente a quanto previsto in sede UE, sono quasi sempre contemplate premialità - sotto forma di un incremento dell’intensità delle agevolazioni - per il ricorso a strutture universitarie e per la ricerca cooperativa. Questo non sostiene la formazione di spill-over “di rete”, importanti per l’efficacia della ricerca. Ciascun regime copre le spese sostenute dall’impresa a partire dai costi di fattibilità fino alla fase di realizzazione del prototipo, tuttavia si rileva una sorta di gap, ovvero una mancanza di sostegno dalla fase di sviluppo precompetitivo a quella dell’acquisto di macchinari innovativi con tecnologia già incorporata. L’attenzione degli strumenti è concentrata all’interno dell’impresa, 27 MAP- DGCII Settembre 2005 sull’abbattimento dei costi per la realizzazione delle attività. Manca il collegamento con reti o emissari che possano fare da tramite e da contatto con le aziende interessate sia nella fase di identificazione del bisogno e dell’avvio della fase progettuale sia nella fase finale di valorizzazione dell’esperienza realizzata. Inoltre sono poco incentivate le attività di scouting, animazione, servizio, finalizzate alla “project generation” o alla creazione delle condizioni per la realizzazione di progetti di ricerca o per la industrializzazione dei risultati della ricerca pubblica. Di fatto il networking è pressoché assente. Parimenti non sono contemplate attività di sfruttamento ed impiego su larga scala dei risultati della ricerca nazionale ed internazionale. Nel complesso, quindi, non solo le risorse dedicate alla ricerca a livello nazionale appaiono declinanti dal 2002, ma risultano principalmente focalizzate sulla domanda delle imprese, mentre non indirizzano l’offerta e danno poco sostegno alla creazione di reti. Sebbene alcune analisi di valutazione mostrano che alcuni di questi incentivi sono stati capaci di innalzare il livello di capitale immateriale delle imprese, questo non appare ora sufficiente a rendere competitive le imprese stesse. 2.4 Gli strumenti di incentivazione della R&S: gli interventi regionali Il calo registrato a livello nazionale nella dotazione finanziaria degli strumenti di incentivazione della R&S non appare compensato da un corrispondente aumento degli impegni a livello regionale, anche volendo considerare la concentrazione degli impegni POR nel 2004 (Fig. 19). Fig. 19 Agevolazioni approvate riferite agli strumenti regionali ripartite per i principali obiettivi nel periodo 2000-2004 (mln di euro) 1000 900 Sostegno agli investimenti 800 700 Nuova imprenditorialità 600 Ricerca e Sviluppo 500 400 300 Internazionalizzazi one 200 Servizi reali 100 0 2000 2001 2002 2003 2004 I tratti di debolezza identificati per gli interventi nazionali si ripropongono anche con riferimento agli interventi del QCS: mancano anche in questo caso strumenti che saldino attività di ricerca a monte e diffusione dei risultati e messa in produzione da parte delle PMI o delle aggregazioni di impresa, a valle. 8 8 Gli interventi di supporto ad iniziative di innovazione del tessuto produttivo hanno trovato collocazione anche nell’ambito di APQ (Accordi di Programma Quadro), nonostante il potenziale di tale cornice in termini di identificazione e realizzazione concordata di strategie per l’innovazione non sia ancora sfruttato a pieno. Attraverso gli 28 MAP- DGCII Settembre 2005 Anche rispetto alla ripartizione di competenze ipotizzata nel protocollo MIUR, gli interventi regionali non sono articolati in una logica di complementarietà, ma ripropongono il ciclo completo del processo di R&S dal finanziamento delle strutture universitarie alle azioni di trasferimento tecnologico alle PMI, concentrandosi in particolare sull’attività a monte. Inoltre, anche negli interventi regionali, e quindi ad un livello di maggiore prossimità al territorio, risultano carenti le attività finalizzate alla “project generation” ed alla capacità di accompagnare le imprese in un percorso innovativo. In aggiunta, le difficoltà di attuazione degli interventi innovativi nei POR sono state rilevanti: dei 56 strumenti innovativi programmati nei POR - un numero piuttosto elevato soprattutto alla luce delle risorse effettivamente impegnate - solo 26 sono effettivamente partiti, con una concentrazione sulle tre regioni (Campania, Puglia e Sicilia) che registrano gli impegni più elevati. 2.5 Strumenti di incentivazione dello sviluppo locale L’obiettivo principale delle policy di intervento presso le imprese è stato quello di incentivare l’accumulazione di capitale privato e, attraverso questa, lo sviluppo locale in termini di occupazione e reddito prodotto. Gli aiuti alle imprese per la riduzione dei divari territoriali hanno necessariamente carattere transitorio, in quanto aiutano la crescita delle imprese finché il processo di sviluppo non diventi autopropulsivo, anche per merito di azioni sui fattori strutturali e di contesto, come quelle riguardanti la crescita delle infrastrutture, della sicurezza, delle capacità della Pubblica Amministrazione. D’altronde, questi interventi richiedono tempo: non solo per la loro realizzazione, ma soprattutto per il pieno svolgimento di tutti gli effetti sullo sviluppo. Nella fase di transizione le politiche di sviluppo tramite il sostegno all’accumulazione di capitale privato appaiono quindi utili ed efficaci. Queste politiche hanno riguardato quasi il 55% delle domande agevolate (61% a livello regionale). Gli interventi principali nell’ultimo quinquennio hanno riguardato: legge 488/92, contratti di programma, incentivi automatici, includendo fra questi la “Sabatini”, patti territoriali. Tutti questi strumenti hanno contribuito a cambiare ed incrementare le attrezzature produttive delle imprese agevolate e, per questo tramite, potevano essere diffusori di innovazione nel sistema produttivo, specie in quello meridionale dove l’intervento è stato più intenso. I dati segnalati nel primo paragrafo indicano che così non è stato: i livelli di innovatività nel Mezzogiorno appaiono ancora molto ridotti anche in presenza di un intervento agevolativo massiccio. D’altronde, non era questo l’obiettivo primario degli strumenti. La mancanza di innovatività può essere attribuita a diversi fattori. In primo luogo, ovviamente, non è sufficiente una modifica delle attrezzature per essere innovativi. Molti studi segnalano che l’innovazione è un processo complesso, che comporta spesso una forte riorganizzazione produttiva, che molte imprese italiane non vogliono o non sono in grado di condurre, per mancanza di competenze e di capitale umano. In secondo luogo le imprese non conoscono necessariamente i processi e i prodotti innovativi oppure, pur conoscendoli, non sono in grado di adottarli o produrli. APQ Sviluppo Locale le Regioni, in particolare quelle meridionali, hanno finanziato principalmente contratti di programma ed iniziative, anche infrastrutturali, collegate ai patti territoriali per un totale di 17 iniziative nel centro nord e 20 nel Mezzogiorno. In questo caso, segnatamente nei casi di finanziamento di contratti di programma, nonostante lo strumento abbia caratteristiche che lo candidano ad assicurare un contributo all’obiettivo di innovazione, l’effettività di tale contributo è dipesa dalle caratteristiche delle iniziative finanziate (caratteristiche di innovatività dei progetti) e non da scelte o indirizzi di programmazione regionale o nazionale. Nel corso del 2004 si è incrementato il numero degli APQ sottoscritti nel settore della ricerca scientifica e tecnologica con 7 nuovi accordi nel Centro Nord (per un totale di 8). Alla fine del 2004 non risultava alcun APQ in R&S nel Mezzogiorno. 29 MAP- DGCII Settembre 2005 Infine gli strumenti hanno interessato con maggiore intensità settori a tecnologia matura, dove l’innovazione è più rara. Appare comunque utile una sintetica valutazione dei più importanti (in termini di spesa) strumenti di incentivazione alle imprese per lo sviluppo territoriale, allo scopo di evidenziare caratteristiche positive e negative, in particolare per quanto riguarda i loro effetti sull’attivazione di innovazione nelle imprese agevolate, e quindi eventuali modifiche necessarie per la riproposizione di strumenti analoghi. Vengono di seguito brevemente trattati gli incentivi derivanti dalla 488/92, dai contratti di programma e i cosiddetti incentivi automatici. 2.6 La legge 488/92 Nonostante numerose critiche, lo strumento di agevolazione previsto dalla Legge 488/92 non solo rimane la policy di aiuto agli investimenti delle imprese più importante degli ultimi anni, ma anche un intervento capace di creare occupazione e sviluppo, in particolare nel Mezzogiorno. L’impatto della legge sulle aree di intervento è stato capillare: comprendendo i primi 16 bandi, la legge ha agevolato o sta agevolando quasi 35.000 progetti di investimento (il 47% delle domande presentate), dei quali circa i tre quarti nel Mezzogiorno. Inoltre la legge ha reso bene allo Stato: a fronte della concessione di agevolazioni per quasi 19 miliardi di euro (di cui 16,5 miliardi in favore delle regioni del Mezzogiorno), pari a circa il 30 % del totale degli aiuti alle imprese, sono previsti investimenti per tre volte tanto (65,3 miliardi). L’incremento occupazionale atteso da questi interventi è pari a circa mezzo milione di posti di lavoro (esattamente 492 mila unità, di cui 371 mila, il 75%, nel Mezzogiorno): in media, ogni posto di lavoro creato dagli incentivi è costato allo Stato meno di 39 mila euro. I buoni risultati ottenuti dallo strumento in termini di progetti finanziati e portati a termine hanno subito negli ultimi anni un rallentamento, a seguito della fase congiunturale negativa, che ha portato a un minore utilizzo delle agevolazioni. A questo ha contribuito anche la concorrenzialità con il credito d’imposta agli investimenti (nella sua prima versione). Numerosi studi indicano che le imprese agevolate creano maggiore occupazione di quelle non agevolate. Anche a livello territoriale l’impatto netto è positivo. È mancato, invece, l’utilizzo di questo strumento non solo per incrementare l’innovazione ma anche per modificare la struttura del sistema produttivo, sempre dominato dalle PMI nei settori ad alta intensità di lavoro. Il merito dei risultati positivi dello strumento deve essere attribuito principalmente al meccanismo di selezione, che risulta esplicito, trasparente, e capace, con l’indicatore di capitale proprio, di selezionare le imprese migliori oppure quelle che credono maggiormente all’investimento che propongono. In realtà, il metodo di selezione è un sistema capace di tradurre delle preferenze (esplicitate in termini di indicatori) in un meccanismo di selezione: da questo punto di vista, potrebbe essere utilizzato anche se tra le preferenze venisse esplicitata quella per l’innovazione, nella misura in cui questa potesse essere tradotta in un set di indicatori misurabili. Anche le Regioni hanno utilizzato questo meccanismo, al fine di rendere gli investimenti agevolati coerenti con i propri obiettivi settoriali e dimensionali. Le modalità di attuazione della legge appaiono d’altronde perfettibili: la recente riforma sostanziale dei meccanismi della legge ha lo scopo di instaurare un rapporto costruttivo banca-impresa nella selezione dei progetti di investimento, premiandone i contenuti innovativi nonché la capacità di creare valore aggiunto. La riforma è inoltre orientata ad un maggior ricorso al finanziamento agevolato rispetto al contributo in conto capitale, ai fini di responsabilizzare le imprese sulla “qualità” degli investimenti e sulle ricadute produttive, di contenere l’onere sulla finanza pubblica, aumentando, nel contempo, il numero di destinatari degli interventi di sostegno pubblico. 30 MAP- DGCII Settembre 2005 2.7 I contratti di programma I contratti di programma nascono per fornire un canale privilegiato di aiuto agli investimenti, in genere di grandi imprese, con ampio impatto territoriale attraverso modalità di tipo contrattuale, con un duplice scopo: attrarre grandi progetti di investimento nazionali ed internazionali, per i quali c’è competizione tra aree; intervenire nella fase decisionale (per eventuali modifiche) di grandi progetti che hanno impatto sul territorio, per valutarne esternalità positive e negative. Tra gli obiettivi dei contratti era inoltre esplicitata l’attivazione di iniziative “caratterizzate da un elevato grado di innovatività”. Con la riforma del 1994 possono accedere ai contratti di programma anche i consorzi di piccole e medie imprese (PMI), con quelle del 1996 e 1997 anche rappresentanze di distretti industriali e imprese del settore agricolo e pesca. Tecnicamente, il Contratto di Programma è un contratto stipulato tra PA, grandi imprese, consorzi di PMI e da rappresentanze di distretti industriali, agricoli, agroalimentari ed ittici per la realizzazione di interventi oggetto di programmazione negoziata (infrastrutture ed aiuti alle imprese). Il fine è quello di attivare iniziative atte a generare significative ricadute occupazionali e innovative. Esiste quindi un contributo di tale strumento all’innovazione, soprattutto nei casi in cui è stato diretto al finanziamento di progetti di investimento di notevoli dimensioni nel settore manifatturiero, agendo anche da fattore di attrazione degli investimenti dall’estero. Purtroppo questa dimensione è risultata poco sfruttata nell’attuazione dello strumento. Dall’aprile 1996 al 2004 sono stati deliberati 70 contratti (considerando solo quelli in regime L. 488/92, ovvero escludendo quelli in regime L. 64/86), con 1.087 iniziative, con circa 8.022 milioni di euro di investimenti, di cui la metà agevolati, e con 26.000 nuovi addetti previsti. Inoltre, e questa è la caratteristica che influenza negativamente in misura maggiore la capacità di creare e diffondere innovazione dello strumento, 41 contratti (il 58%) hanno riguardato consorzi di PMI, mentre solo 13 hanno riguardato grandi imprese, 11 hanno riguardato gruppi industriali e solo 1 ha riguardato multinazionali. Dato che la dimensione media (nel periodo fino al 2003) delle iniziative agevolate era pari, per i consorzi, a 3,4 milioni di euro, rispetto ai 52,8 della grande impresa, ne consegue che la dimensione media degli interventi è stata di 7,3 milioni di euro, con un valore medio per il 2003 di 2,2 milioni. Il valore medio degli interventi per la 488 era di 1,9 milioni di euro. Specie quindi nell’ultimo periodo i contratti sono stati spesso strumento concorrente con la 488, in questo perdendo alcune loro specificità. Inoltre la mancanza di criteri definiti, fino al 2003, per la concessione delle agevolazioni, ha spesso tramutato la forte discrezionalità dello strumento in procedure più laboriose e molto protratte nel tempo, specie se comparate con quelle della 488. In questo quadro non meraviglia che alcuni studi sottolineino i limitati effetti occupazionali dello strumento, se si escludono alcuni rari casi di successo. L’uso di questo strumento per uno stimolo all’innovazione richiede quindi una rifocalizzazione del suo ruolo, anche per aumentarne l’efficacia. In particolare, appare necessario collegare gli aiuti agli investimenti a un forte orientamento all’innovazione e trasferimento tecnologico e al capitale umano. Questo potrebbe affiancarsi alla valorizzazione della componente di concertazione e contrattazione e a un aumento dell’efficienza dei processi di selezione con: tempi certi di approvazione; soglie minime di intervento; discrezionalità garantita da esperti, come ad esempio, per lo strumento analogo, nel Regno Unito. È da ricordare che proprio in questa direzione si sono mosse le modifiche dei processi di selezione approvate dal MAP alla fine del 2003. 2.8 Gli incentivi automatici Con la dizione di incentivi automatici vengono incluse le diverse politiche di aiuto all’investimento che non prevedevano, nè prevedono, meccanismi di selezione. Essi comprendono ad esempio la “Sabatini” (1329/65), la 341/95 (incentivi automatici per le aree depresse), 266/97 (incentivi 31 MAP- DGCII Settembre 2005 automatici alle PMI su tutto il territorio nazionale), 140/97 (incentivi automatici per la ricerca e sviluppo). Anche il credito d’imposta potrebbe essere compreso in questa categoria. La logica di questi interventi è quella di consentire un rapido accesso allo strumento, e questo ne dovrebbe limitare la discorsività. In realtà esiste un necessario limite alle risorse disponibili, che ha di fatto ridotto, in molti casi, l’entità dell’incentivo. Questo è giustificabile dall’evidenza che tali strumenti spesso sono poco additivi, ovvero che, in mancanza di selezione, essi contribuiscono in misura limitata alla crescita rispetto a quanto si sarebbe comunque realizzato in loro assenza. Ad esempio, uno studio compiuto sulla 341 indica che incentivi al di sotto di una certa soglia hanno un impatto pressoché nullo sulle decisioni d’investimento. Inoltre anche gli strumenti più indirizzati all’innovazione (es. 140) sono risultati, dalle analisi compiute, poco efficaci allo scopo. Questi incentivi hanno quindi ragione d’essere, in un quadro di potenziamento degli strumenti per l’innovazione, solo se si vuole attraverso di essi innestare un processo di upgrading tecnologico generalizzato (dati i limiti finanziari, questo deve avvenire in aree limitate). 3. Strategie nazionali per l’innovazione e lo sviluppo 3.1 L’obiettivo generale A fronte di un divario di crescita del Mezzogiorno con l’Europa sempre maggiore, appare necessario indirizzare le risorse verso politiche in grado di sollecitare uno sviluppo sostenuto e duraturo. Uno dei limiti più importanti allo sviluppo delle imprese è stato precedentemente identificato nell’arretratezza tecnologica , in particolare nella ridotta penetrazione delle nuove tecnologie dell’ICT, e nella minore propensione a innovare, con conseguenze negative sulla competitività. L’azione pubblica deve quindi essere volta a stimolare la capacità di generare innovazione e di renderla disponibile alle imprese, anche in vista di una trasformazione della struttura settoriale dell’economia, per renderla più consona ai cambiamenti tecnologici in atto. Questo richiede di formulare una strategia nazionale delle politiche dell’innovazione, che consideri sia gli interventi diretti a incrementare l’efficienza del “sistema ricerca” e la propensione all’innovazione della struttura produttiva, sia una serie di azioni “di sistema”, finalizzate a rafforzare e integrare – tra livello centrale e livello regionale – il governo degli interventi pubblici atti a sostenere l’attività di ricerca scientifica e innovativa e a potenziare l’efficienza del sistema innovativo nel suo complesso. L’aspetto fondamentale, in un contesto di risorse scarse, deve essere la selettività degli interventi, che si devono focalizzare, come avviene in altri paesi europei, verso i settori innovativi e verso le imprese con maggiore potenziale di crescita. L’intervento deve essere d’altronde calato nel contesto dell’economia del Mezzogiorno, caratterizzato dalla presenza preponderante di PMI. In particolare, è necessario in questo caso considerare l’innovazione come un processo ampio, non riconducibile solo alla spesa in R&S oppure all’acquisto di nuovi macchinari, ma che tiene conto dei fattori immateriali del processo produttivo, compresi gli aspetti organizzativi, commerciali, distributivi, di internazionalizzazione e di formazione. In questo ambito, l’iniziativa che si vuole qui proporre è finalizzata ad uno degli aspetti del processo innovativo, che appare di fondamentale importanza per lo sviluppo delle imprese, ovvero quello di rendere la ricerca di base utile e sfruttabile industrialmente dalle imprese. Tale fase appare critica in particolare per le PMI, che avendo meno mezzi, rispetto alle grandi imprese, per sviluppare internamente la ricerca, devono necessariamente utilizzare i risultati di processi di ricerca sviluppati altrove, specie in ambito pubblico. Esiste quindi un problema di diffusione dell’informazione e di trasferimento delle tecnologie, che richiede un’attività pubblica di coordinamento e di sostegno anche finanziario all’utilizzo dei risultati della ricerca, colmando con questo alcuni tipici fallimenti del mercato del capitale e del credito legati all’appropriabilità e all’incertezza dei risultati dei processi innovativi. 32 MAP- DGCII Settembre 2005 3.2 Gli obiettivi specifici La strategia generale individua quattro obiettivi specifici dell’intervento: • diffusione dei risultati della ricerca pubblica di base • trasferimento di tecnologia, anche tramite il trasferimento dei risultati della ricerca pubblica alle imprese • creazione di un mercato di servizi dell’innovazione e dei brevetti • aumentare l’utilizzo dell’ICT presso le imprese, come strumento capace di aumentare il grado di conoscenza anche della ricerca e delle tecnologie. La diffusione dei risultati della ricerca richiede un avvicinamento, se non un’esplicita collaborazione, tra ricercatori, provenienti prevalentemente dall’università, e sviluppatori dalle imprese. Sono infatti numerose le esperienze, anche internazionali, che sottolineano i vantaggi di una contiguità fisica, se non di una esplicita compartecipazione ai progetti, tra i ricercatori e le imprese. Inoltre la diffusione si deve necessariamente accompagnare a processi di formazione del personale, se non di trasferimento diretto presso le imprese. Anche il processo di trasferimento di tecnologia verso le PMI risulta più complesso, richiedendo l’acquisizione complementare, insieme alle nuove tecnologie, di capitale umano e di condivisione del rischio finanziario. Infine l’analisi precedente ha mostrato la necessità di un aumento del grado di penetrazione presso le imprese della ICT: questo è fondamentale per “essere in rete”, ovvero sfruttare le informazioni esistenti, rimanendo aggiornati sugli sviluppi tecnologici e segnalando la propria presenza sui mercati. Tali obiettivi sono compatibili con la presenza di processi di intervento selettivi, individuando priorità settoriali, come i settori ad alta tecnologia, e favorendo forme di cooperazione tra imprese ed enti pubblici di ricerca. 3.3 Una quantificazione degli obiettivi dell’intervento Se la strategia generale dell’intervento è di facilitare la generazione e la diffusione dell’innovazione, per trasformare la struttura produttiva e renderla più consona ai cambiamenti tecnologici in atto, una misura complessiva dell’effetto dell’intervento deve basarsi sulla capacità di stimolare azioni innovative tra le imprese. Questo approccio è anche alla base del monitoraggio e valutazione che la Commissione Europea esercita nell’area dell’innovazione. Allo scopo di costruirsi una solida base quantitativa per l’analisi, la Commissione indice ogni quadriennio un’indagine sullo stato dell’innovazione in Europa (CIS, Community Innovation Survey), basata su un questionario rivolto a un campione rappresentativo di imprese nei vari Stati membri. La base metodologica è fornita dal cosiddetto Manuale di Oslo (seconda edizione). L’indagine, di tipo campionario, è rivolta a oltre 60.000 imprese del settore industriale (manifatturiero, estrazione di minerali e energia, gas e acqua) e dei servizi rivolti alle imprese (commercio, trasporti e comunicazioni, intermediazione finanziaria, servizi alle imprese quali informatica, ricerca, attività professionali e imprenditoriali), divise in piccole (10-49 addetti), medie (50-249 addetti), grandi (250 addetti e più). L’ultima CIS (CIS 3) è stata condotta nel 2001 e presentata nel 2004 (Commissione Europea, Innovation in Europe, Lussemburgo, 2004). Tra i risultati di questa indagine, che risulta essere comparabile tra i diversi paesi europei, vi è la determinazione della quota di imprese che ha svolto nel triennio 1998-2000 attività innovativa. La definizione di impresa innovativa è ampia, in quanto include” enterprises that introduce new or significantly improved products (goods or services) to the market or enterprises that implement new or significantly improved processes. Innovations are based on the results of new technological 33 MAP- DGCII Settembre 2005 developments, new combinations of existing technology or the utilisation of other knowledge acquired by the enterprise. The term covers all types of innovator, namely product innovators, process innovators, as well as enterprises with only on-going and/or abandoned innovation activities” (Innovation in Europe, pag. 17). Questa quota rappresenta quindi un indicatore comparabile della diffusione dell’innovazione tra le imprese, e quindi può essere oggetto di un target delle politiche. I risultati del CIS 3 segnalano come la quota di imprese innovative sia, in Italia, sempre inferiore a quella della media europea, per settore e dimensione d’impresa (Tav. 1). D’altronde, la stessa quota europea risente del peso non trascurabile di alcuni paesi a basso tasso di innovatività. Si è quindi scelto di individuare come benchmark la quota di imprese innovative media in Francia e Germania, che sono paesi con una struttura industriale e con un livello competitivo analogo a quello italiano. Come si nota sempre in Tav. 1, anche in questo caso la quota di imprese innovative in Italia è sempre inferiore al benchmark, per settore e dimensione. Ovviamente in questa comparazione pesa sia l’effetto dimensionale (la dimensione media delle imprese italiane è comunque minore anche all’interno delle classi identificate) che settoriale (i settori di specializzazione italiani sono in genere a minore innovatività). D’altronde, è necessario considerare che il benchmark scelto è statico, in un periodo dove i processi innovativi si sviluppano molto velocemente. Il target delle politiche di diffusione dell’innovazione presso le imprese viene identificato con l’obiettivo di raggiungere in un periodo di tre-quattro anni il livello di attività innovativa medio nel 2001 di Francia e Germania, ovvero la loro quota di imprese innovative. Dalla tabella risulta come il differenziale varia per settore e dimensione, e risulta maggior per le imprese di piccola dimensione e per i servizi: nel manifatturiero varia dal 9% delle piccole al 4% delle medie, nei servizi dal 19% delle piccole al 16% delle medie. Per identificare l’obiettivo in termini di numerosità di imprese si è ricorso al Censimento 2001 per settori e dimensione comparabile all’indagine. Nel complesso, il numero di imprese che dovrebbe essere sollecitato ad innovare per raggiungere la quota target è pari a circa 20000 imprese, di cui 8000 circa nell’industria. Di queste circa il 90% sono di piccola dimensione. Tale stima segnala che quindi circa l’8% delle imprese industriali ed il 19% di quelle dei servizi dovrebbero innovare in aggiunta a quelle che già lo fanno per raggiungere il benchmark. Si è inoltre valutata la quota di imprese da sostenere localizzata nel Mezzogiorno. Tenendo presente non solo l’allocazione delle imprese nelle regioni meridionali per settore e classe dimensionale, ma anche il fatto che la propensione all’innovazione rimane al Sud circa il 70% di quella del CentroNord, la stima è che oltre 2600 imprese (il 13% di quelle da sostenere) si trova nel Mezzogiorno. La valutazione delle imprese nelle quali stimolare l’innovazione rimane largamente prudenziale: in primo luogo perché non considera tutte le imprese al di sotto dei 10 addetti che sono in Italia numerosissime e che devono anch’esse innovare per mantenersi competitive sui mercati; in secondo luogo perché assume che le imprese che hanno innovato nel passato continuino a farlo nel futuro, per cui l’attenzione viene rivolta solo al differenziale. Tale assunto, in realtà, non è di facile verifica, e quindi richiede un’ulteriore impegno da considerare. Dato il target in numero d’imprese, è necessario valutare quale possa essere l’impegno finanziario necessario per un suo conseguimento. Data l’impossibilità di svolgere un’indagine presso le imprese per identificare, anche in termini quantitativi, il loro fabbisogno d’investimento, si è scelto di guardare al passato, ovvero di utilizzare l’investimento medio relativo alle diverse politiche d’incentivazione dell’innovazione, distinguendo fra diversi strumenti (PIA Innovazione, 46 ITC, 46, PIA networking, 488, Contratti di programma, incentivi regionali, tutoraggio e formazione). Si è quindi ipotizzato, sulla base della passata esperienza, una possibile attribuzione delle diverse 34 MAP- DGCII Settembre 2005 imprese ai diversi strumenti, distinguendo anche in questo caso per settore e dimensione. Il risultato finale di questo esercizio è una stima di investimenti pari, nel complesso del periodo, a circa 16.000 milioni di euro, di cui i due terzi destinati alle piccole imprese. Questo potrebbe equivalere a un ammontare di incentivi nel periodo pari a circa 8.000 milioni di euro, di cui 6.500 per le piccole imprese. A questa stima deve essere comunque affiancata una valutazione dell’ammontare degli incentivi destinati alle piccolissime imprese e di quelli necessari per mantenere il livello dell’attività innovativa delle imprese che hanno già innovato nello scorso quinquennio. Dal 2000 al 2004 le domande di agevolazioni per investimenti in innovazione nei vari strumenti sono state oltre 72.000. Ipotizzando che questi investimenti avvengano con cadenza quinquennale, possiamo stimare che nel periodo di programmazione prossimo l’ammontare delle imprese da aiutare possa essere simile. Se si stima un investimento medio di 0,5 meuro per impresa, otteniamo un ammontare di incentivi “ordinario” pari a circa altri 17.000 milioni di euro, che comprendono interventi al livello centrale e regionale. Nel complesso, una stima, comunque prudenziale, dell’intero intervento di sostegno all’innovazione, sia da parte delle Amministrazioni centrali che regionali, potrebbe collocarsi intorno ai 25.000 milioni di euro. Ne consegue pertanto che, applicando la medesima percentuale del 13% (quota delle imprese da sostenere localizzate nel Mezzogiorno) all’importo di 25.000 milioni di euro, l’ammontare di risorse destinate al Piano di azione per l’innovazione nel Mezzogiorno (descritto nel paragrafo 3.5) è pari a 3.250 milioni di euro. Tenute presenti le caratteristiche tecniche degli strumenti di intervento e la natura degli investimenti da questi agevolabili, si può ragionevolmente indicare la seguente ripartizione dell’importo di 3.250 milioni di euro: l’80% circa destinato all’Amministrazione centrale (2.600 milioni di euro) ed il 20% destinato alle Amministrazioni regionali (650 milioni di euro). 35 MAP- DGCII Settembre 2005 Tav. 1 Quota di imprese innovative in Italia e in Europa Variabili Settore Industria s.s.(in % di tutte le imprese) Piccole (10-49) Medie (50-249) Grandi (250+) Imprese con attività innovativa: Italia (%) 37 60 77 Imprese con attività innovativa: Europa (%) 40 63 80 Imprese con attività innovativa: Francia e Germania (Media, %) 46 64 84 differenziale per l'Italia rispetto a Francia e Germania Sett. servizi alle imprese(in % di tutte le imprese) Piccole (10-49) Medie (50-249) Grandi (250+) 22 42 60 36 54 69 41 58 77 19 16 17 9 4 7 Imprese rilevate nel Censimento 2001 83876 11048 1583 57320 6590 1351 differenziale per l'Italia: numero imprese 7549 387 103 10891 1021 223 36 MAP- DGCII Settembre 2005 3.4 Le tipologie di intervento Non è nello scopo di questa proposta individuare con precisione gli strumenti capaci di raggiungere gli obiettivi delineati, che dovranno scaturire da un dibattito tra Amministrazioni centrali e locali, imprese e centri di ricerca. Può essere utile invece segnalare alcune tipologie di intervento, che appaiono particolarmente adatte alla struttura economica del paese: a) Politiche volte a rafforzare i processi innovativi, specie tra le PMI: si tratta di accompagnare lo sviluppo innovativo delle imprese fornendo non solo il sostegno finanziario ma anche le conoscenze necessarie al miglioramento organizzativo e alla riqualificazione del capitale umano, ad esempio mettendo a disposizione dell’impresa strumenti e capitale umano, allo scopo di aiutare l’imprenditore a scegliere la migliore tecnologia e la formazione del personale; b) Politiche volte alla costruzione di capacità innovative e di ricerca in alcuni settori ad alta intensità tecnologica: questo può essere raggiunto finanziando in modo selettivo programmi di accordi università-imprese in alcuni settori critici, con interventi finalizzati non solo alla ricerca ma anche al suo sfruttamento industriale; c) Politiche volte alla costruzione di aggregazioni di eccellenze: in coordinamento con il precedente intervento si tratta di costruire poli di eccellenza in settori scelti, attraendo risorse umane anche dall’estero, e intorno a questi aiutare la formazione di aggregazioni di imprese e la nascita di spin-off di ricercatori; d) Politiche volte alla diffusione di nuove tecnologie e alla promozione dei risultati della ricerca: realizzazione di un programma di base per un upgrading tecnologico, in particolare per quanto riguarda le tecnologie informatiche e di comunicazioni per le imprese, sempre legato anche a processi di formazione; e) Politiche volte al superamento di fallimenti e rigidità nei mercati, in particolare quello del credito: si tratta di migliorare la capacità di valutazione dei progetti e delle capacità innovative da parte delle istituzioni pubbliche e di quelle finanziarie, che forniscano, sulla base di metodi oggettivi e competenze specializzate, una valutazione obiettiva delle capacità e delle possibilità di sviluppo di un progetto o di un’impresa (rating tecnologico). 3.5 Modelli di relazioni istituzionali e di governance Il tema dell’assetto istituzionale delle politiche per l’innovazione, e in particolare l’integrazione tra politiche regionali e politiche nazionali trasversali è al centro dell’attuale dibattito sulla governance dei processi innovativi. Infatti nel corso dell’ultimo decennio, tanto gli affinamenti teorici nell’analisi sistemica del progresso scientifico e tecnologico, quanto traiettorie di mutamento di ordine generale nell’impostazione delle politiche di sostegno alla competitività hanno sostenuto la necessità di circoscrivere l’analisi dei fenomeni innovativi alla dimensione territoriale regionale, e quindi di delineare conseguentemente strategie regionali per l’innovazione. Sul piano teorico esistono alcuni elementi specifici del modo con cui viene prodotta e diffusa l’innovazione, che forniscono giustificazione alla definizione di strategie regionali per l’innovazione, evidenziati recentemente anche a seguito del successo, sia in relazione alle dinamiche del progresso scientifico e tecnologico, sia nella competizione internazionale, di sistemi 37 MAP- DGCII Settembre 2005 innovativi a dimensione geografica regionale, ossia la Finlandia e la Svezia. Un fattore che appare particolarmente rilevante riguarda la componente “tacita” della conoscenza scientifica e tecnologica. Il progresso scientifico e tecnologico non può essere integralmente ricondotto ad informazione codificata (ossia in formati facilmente accessibili a coloro che non hanno partecipato al processo innovativo, quali quelli dei manuali), per cui l’accumulazione di conoscenza (specialmente nella sua componente tacita), tende a configurarsi come processo place specific, proprio perché non necessariamente riproducibile in altri contesti regionali (oltre alle differenze negli ambienti socio-istituzionali locali). L’attività innovativa delle imprese di una data area territoriale e anche la loro maggiore o minore propensione a cooperare con altre imprese o con Centri di ricerca viene quindi a dipendere da molteplici fattori legati anche alla struttura territoriale, come la tipologia produttiva , la presenza e il comportamento innovativo dei nuclei oligopolistici e il grado di integrazione della filiera produttiva di cui sono parte. Questi fattori specifici, infatti, incidono in misura rilevante sia sulle fonti di acquisizione di conoscenze scientifiche e tecnologiche, sia sulle traiettorie tecnologiche delle singole unità produttive. Caratteristiche e grado di integrazione della filiera produttiva, inoltre, condizionano in modo particolare i processi di assorbimento di conoscenze attraverso i rapporti con i sub-fornitori e con gli stessi clienti. La letteratura economica più recente, anche sulla scorta delle verifiche sulle performances competitive dei distretti industriali italiani, tende invece a ridimensionare il ruolo delle ridotte dimensioni aziendali sulla propensione all’innovazione. Se quindi la possibilità/esigenza di adattare le politiche alle specifiche caratteristiche dei territori è importante, il ruolo delle politiche nazionali non è per questo diminuito. In genere, pur considerando la varietà dei modelli adottati, in tutti i paesi europei è riconosciuto un ruolo rilevante del livello centrale di governo, con compiti che vanno dalla definizione di obiettivi strategici alla gestione diretta di programmi. In alcuni casi (es. Svezia) questo ruolo è svolto con ampia delega a enti strumentali, come Agenzie, che assicurano comunque un approccio nazionale ai problemi. Anche in questo caso l’esperienza internazionale segnala la necessità di uno stretto coordinamento tra le attività dei diversi livelli di governo, sia nella fase di formulazione delle strategie sia nella fase dell’integrazione degli strumenti di sostegno alle imprese9, legato all’ottima utilizzazione delle risorse, al coordinamento delle opzioni settoriali e territoriali, all’impatto potenziale dei progetti. In primo luogo, la scelta di concentrare le risorse su alcuni settori richiede necessariamente un coordinamento sovraregionale, in quanto deve logicamente tenere conto del posizionamento competitivo e delle opzioni strategiche del Paese. Allo stesso modo l’individuazione di aggregazioni di eccellenza ha valenza che supera l’ambito della regione. In generale, il coordinamento nazionale è fondamentale nei casi in cui si debba raggiungere l’utilizzazione ottimale dei fattori produttivi e delle competenze disponibili nel paese o in ampie aree di esso, evitando dispersioni e frammentazioni. Questo è, per esempio, il caso di progetti di grandi dimensioni, che hanno impatto nazionale o anche internazionale. Inoltre è utile anche nei casi in cui si debba integrare e coordinare le politiche dell’innovazione con altre politiche nazionali (ad esempio quelle infrastrutturali). Un altro aspetto che, anche nell’esperienza internazionale, è demandato al livello nazionale riguarda la valutazione degli interventi, per individuare best practices e fare attività di benchmarking. Questo è indispensabile se l’attività di valutazione è legata a meccanismi premianti. 9 Nell’esperienza internazionale (tra gli altri Francia; Regno Unito, Germania, Austria), pur in presenza di un chiaro ruolo di indirizzo e coordinamento nazionale, non si riscontrano rigide ripartizioni di competenze e funzioni tra la programmazione e gestione, né tra le varie fasi del processo innovativo (R&S, trasferimento tecnologico, innovazione). I diversi livelli di governo si integrano nelle varie fasi con una significativa flessibilità, sulla base delle caratteristiche dei progetti e delle specificità dei territori/ regioni interessati. 38 MAP- DGCII Settembre 2005 Nel complesso, la governance di un progetto per lo sviluppo e la diffusione dell’innovazione potrebbe essere attuata attraverso una forte l’interazione delle Amministrazioni centrali e regionali in un rapporto partenariale, con l’identificazione effettiva dei luoghi e delle modalità di confronto e collaborazione. A questo proposito si evidenzia anche la necessità di “organizzare l’integrazione” non solo attuando il partenariato istituzionale, ma trasformando quest’ultimo in soluzioni organizzative, in cui la flessibilità di azione sia strettamente legata alla rispondenza di tutti i soggetti coinvolti ad una cornice programmatica unitaria. La proposta concertata di intervento coglierebbe indicazioni provenienti principalmente dalle amministrazioni centrali per quanto riguarda l’attività di individuazione dei settori strategici, la gestione di progetti strategici per l’intero Mezzogiorno, la valutazione degli interventi (con predisposizione e gestione di una eventuale premialità), la predisposizione di strumenti di intervento finanziario comuni, proveniente principalmente dalle amministrazioni regionali per quanto riguarda progetti a valenza regionale e la predisposizione di strumenti specifici regionali. In stretto rapporto partenariale potrebbe essere gestito il coordinamento delle linee di azione e l’accompagnamento dei progetti di maggiore dimensione. Lo schema che segue presenta, a titolo esemplificativo, un possibile processo per la definizione dei livelli di governance tra Amministrazioni centrali e Amministrazioni regionali nell’ambito di un Piano di azione per l’innovazione delle imprese concertato. Nell’indicazione degli strumenti si fa riferimento a interventi nazionali già sperimentati, in ogni caso l’elencazione va intesa come meramente indicativa in quanto, come già sostenuto, l’individuazione degli strumenti capaci di raggiungere gli obiettivi delineati, dovrà scaturire dal processo partenariale. Il Piano di azione viene definito ed attuato in partenariato attraverso un Gruppo di coordinamento Stato / Regioni. In questo contesto, sotto il profilo gestionale, gli APQ potrebbero rappresentare un metodo “da ottimizzare” per quanto attiene al coordinamento di strategie, flussi finanziari e strumenti di intervento, dotandolo anche di un più efficace monitoraggio. Il Piano dovrà prevedere il raccordo a livello nazionale (con le altre amministrazioni centrali) e a livello internazionale per garantire una maggiore efficacia degli aiuti. In ogni caso, la cornice normativa per la definizione e l’attuazione del Piano dovrebbe prevedere modalità e tempi definiti, previa condivisione da parte di tutti gli attori coinvolti. Ad esempio, rispetto ai tempi, al fine di rendere efficaci gli interventi e considerata l’evoluzione della materia, il Piano di azione per l’innovazione potrebbe essere definito con cadenza annuale o biennale. Mentre potrebbero essere definite ipotesi di riserve e cofinanziamento per l’utilizzo delle risorse del Piano, tanto nazionali quanto regionali, ai fini del raggiungimento degli obiettivi prefissati. 39 MAP- DGCII Settembre 2005 INIZIATIVA CENTRALE INIZIATIVA REGIONALE • Politiche di innovazione in relazione a profili strategici per il paese (settoriali e dimensionali) ed al rafforzamento della dimensione d’impresa • Supporto al finanziamento dello sfruttamento industriale dei risultati della ricerca • Supporto alla creazione e messa in rete nazionale dei poli di eccellenza • Valorizzazione del potenziale innovativo delle politiche orizzontali (es. energia, ambiente) • Politiche di innovazione e trasferimento tecnologico rispondenti alla vocazione produttiva locale. • Politiche di innovazione diffusa per le PMI, con particolare attenzione alle piccole e micro imprese • Creazione di un ambiente favorevole all’innovazione • Valorizzazione ai fini industriali del potenziale di ricerca regionale Il MAP e le Regioni in partenariato Gruppo di coordinamento Stato/Regioni Piano di azione per l’innovazione delle imprese RISORSE PROGRAMMA NAZIONALE RISORSE PROGRAMMI REGIONALI (Fondi strutturali 2007-2013) STRUMENTI CENTRALI STRUMENTI REGIONALI • Pacchetti integrati ed interventi di networking di dimensione multiregionale • Interventi strategici di innovazione settoriale/tematica • Interventi di spill over di progetti strategici • Reti nazionali ed internazionali • Strumenti finanziari per l’avvio di progetti innovativi • Interventi di regolamentazione • Interventi di animazione e stimolo della domanda • Interventi di innovazione diffusa ad investimenti di dimensione minore • Pacchetti integrati semplificati • Servizi per l’innovazione ed il trasferimento tecnologico • Reti regionali e collegamenti con università e tessuto di imprese locali • Strumenti finanziari per l’innovazione, in particolare garanzie 40