amigdala - NeoOffice Writer - Camilla e il pirata Caravaggio

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amigdala - NeoOffice Writer - Camilla e il pirata Caravaggio
Amigdala
Un manto di petali
Sono i Greci a narrare di Fillide dai bianchi petali.
La principessa Tracia incontrò Demoofonte figlio di Teseo, sbarcato nel
suo regno per una sosta durante la navigazione verso Troia. I due giovani si
innamorarono perdutamente, ma Demoofonte fu costretto a proseguire con gli
Achei per combattere nella guerra di Troia. La giovane principessa, dopo
dieci anni di attesa, non vedendolo tornare si lasciò morire per la
disperazione. La dea Atena commossa da questa struggente storia d’amore
decise di trasformare Fillide in uno splendido albero di mandorlo. Ma
Demoofonte non era morto e quando seppe che Fillide era stata trasformata in
albero abbracciò la pianta che, per ricambiare le carezze fece prorompere dai
suoi nudi rami, fiori invece di foglie. Un manto di bianchi petali cadde ai
piedi dell’amato, da allora il bianco dei mandorli annuncia la primavera.
Ovidio recupera il mito greco nelle Heroides facendo scrivere a Fillide,
che presto sarà trasformata in mandorlo, una lunga struggente lettera a
Demofoonte, interessante la descrizione dei luoghi in essa contenuti, gli stessi
luoghi in cui dimoreranno per secoli i mandorli.
“Io, la tua Fillide nata nella terra del Rodope, io che ti accolsi, o
Demofoonte, lamento che tu stia lontano più del tempo avevi promesso.
Avevi convenuto di tornare a gettare le ancore alle mie sponde quando le
corna della luna si fossero riunite una prima volta a formare il disco
completo. Per quattro volte la luna si è nascosta e per quattro volte ha
completato nuovamente il suo disco, ma l'onda sitonia non porta con sé navi
attiche.
Se fai con precisione conto del tempo, che noi innamorati sappiamo
calcolare bene, il mio lamento non giunge troppo presto.
Anche la speranza è stata tarda a lasciarmi; non ci affrettiamo a credere
alle cose che, se credute, ci procurano dolore; ma ora mi fanno male perché
mio malgrado le credo, e continuo ad amarti.
Spesso ho ingannato me stessa a tuo favore, spesso ho creduto che i venti
tempestosi respingessero le tue bianche vele. Ho maledetto Teseo, perché non
voleva lasciarti partire, ma forse non fu lui a ritardare il tuo viaggio.
Talvolta ho temuto che mentre ti dirigevi verso le acque dell'Ebro, la tua
nave naufragasse, sommersa dai flutti spumeggianti. Spesso con preghiere e
sacrifici fumanti d'incenso ho supplicato gli dèi che tu, scellerato, fossi salvo.
Spesso vedendo i venti favorevoli in cielo e sul mare mi sono detta: "Se sta
bene, ritorna". Insomma il mio amore fedele ha immaginato qualunque
ostacolo si può opporre a chi si affretta, e fui abile ad escogitare pretesti.
Ma tu ti attardi lontano, non ti riportano indietro i giuramenti fatti sugli dèi e
il nostro amore non ti sprona a tornare.
Demofoonte, tu hai sciolto ai venti le vele e le tue promesse: lamento che
le vele non abbiano ritorno e le parole sincerità.
1
Dimmi, che cosa ho fatto se non amarti dissennatamente?
Con la mia colpa, avrei potuto guadagnarmi la tua benevolenza?
Mi si può accusare di un solo misfatto, di averti accolto, malvagio, ma
questo misfatto ha assunto il peso ed il valore di un merito.
Dove sono adesso i giuramenti, la fedeltà e la destra unita alla destra e
quel dio più volte invocato dalla tua bocca menzognera? Dov'è ora Imeneo,
promesso per gli anni di vita comune, che era per me garanzia e pegno di
matrimonio?
Mi hai giurato sul mare sconvolto dai venti e dalle onde, che spesso hai
attraversato e che avevi l'intenzione di attraversare ancora, e su tuo nonno,
se anch'egli non è frutto di invenzione, che placa le acque sconvolte dai venti,
e su Venere e sulle armi anche troppo efficaci su di me, l'arma dell'arco e
l'arma delle torce, e su Giunone che benigna protegge i talami nuziali e sui
sacri misteri della dea che porta la fiaccola.
Se di tanti che hai offeso, ciascun dio vendicasse la sua maestà
oltraggiata, tu da solo non basterai per i loro castighi. E dire che io, folle, ho
riparato le navi squarciate, affinché fosse solido lo scafo col quale tu potessi
abbandonarmi e ti ho dato remi perché ti allontanassi, pronto a fuggire.
Ahimè, soffro per le ferite inferte dalle mie stesse armi. Ho creduto alle tue
parole carezzevoli, delle quali sei prodigo; ho creduto alla tua stirpe e ai tuoi
avi illustri; ho creduto alle lacrime, o anche a queste si insegna a fingere?
Anch'esse conoscono gli artifici e sgorgano a comando?
Ho creduto anche agli dèi.
Perché tante garanzie per me? Una qualsiasi parte di esse sarebbe stata
sufficiente a conquistarmi. E non rimpiango di averti aiutato concedendoti
approdo e rifugio: ma questo avrebbe dovuto essere il limite massimo della
mia generosità. Mi pento di aver aggiunto alla mia ospitalità il letto
coniugale, coprendomi di vergogna, e di aver unito il mio fianco al tuo.
Preferirei che la notte precedente a quella fosse stata l'ultima per me, quando
io, Fillide, potevo morire ancora onorata.
Ho sperato in meglio, perché credevo di averlo meritato: è legittima ogni
speranza che deriva dal merito. Non è gloria conseguita faticosamente
ingannare una fanciulla fiduciosa: la mia ingenuità avrebbe meritato
riguardo. Sono stata ingannata dalle tue parole e come donna e come
amante: concedano gli dèi che questo sia il tuo merito più alto!
Ti si innalzi una statua nel centro della città, fra i discendenti di Egeo e ti
stia dinanzi tuo padre, celebrato da iscrizioni onorifiche. E dopo aver letto di
Scirone e del bieco Procuste e di Sini e dell'essere dalle fattezze di toro e
insieme di uomo e di Tebe sottomessa in guerra e della sconfitta dei centauri
bimembri e della violazione della cupa reggia del re delle tenebre, la tua
statua, collocata dopo quelle con tante scritte sia contrassegnata da questo
attestato d'onore: "Questi è colui che sedusse con l'inganno la donna che lo
amava e che lo aveva ospitato".
Delle tante imprese e gesta di tuo padre, solo l'abbandono della fanciulla
cretese si è impresso nella tua mente; ammiri in lui quell'unico fatto, l'unico
di cui dovrebbe scusarsi: tu ti comporti come erede dell'inganno di tuo padre,
o traditore. Ma lei - non la invidio - gode di un marito migliore e siede in alto
sul carro trainato dalle tigri aggiogate. Invece i Traci, che ho disdegnato,
rifuggono dal matrimonio con me, perché si dice che ho anteposto uno
2
straniero ai miei compatrioti. E qualcuno dice: "Se ne vada ormai alla dotta
Atene; ci sarà un altro a governare la Tracia bellicosa: il risultato riconosce
la validità delle azioni". Mi auguro che non abbia successo chiunque ritenga
che le azioni vadano giudicate dal loro risultato.
Ma se il mio mare spumeggiasse sotto i colpi dei tuoi remi, allora solo si
dirà che ho provveduto bene a me e ai miei. Ma io non ho provveduto bene e
tu non ti darai pensiero della mia reggia e non laverai le stanche membra
nell'acqua bistonia. Mi rimane fissa negli occhi l'immagine della tua
partenza, quando la flotta, pronta a salpare, era assiepata nel mio porto.
Osasti abbracciarmi e, abbandonato sul collo di chi ti amava, unire
strettamente a lungo le nostre bocche nei baci e confondere le mie lacrime
con le tue e rammaricarti perché la brezza era favorevole alle vele e, sul
punto di partire, dirmi con le tue ultime parole: "Fillide, ti raccomando,
aspetta il tuo Demofoonte!".
Dovrei aspettare te, che sei partito per mai più rivedermi? Dovrei aspettare
delle vele alle quali è interdetto il mio mare?
E tuttavia aspetto.
Torna, anche se tardi, da chi ti ama, fa' in modo che la tua promessa sia
stata solo rinviata nel tempo.
Ma che cosa mi auguro, sventurata?
Ormai forse ti trattiene un'altra sposa e Amore che ci è stato avverso. Da
quando la mia immagine ti è sfuggita dalla mente, tu non conosci più, credo,
nessuna Fillide, se chiedi, ahimè, chi sia Fillide e da dove venga!
Sono quella che offrì un porto in Tracia e ospitalità a te, Demofoonte,
provato dal lungo errare; io che ho accresciuto i tuoi beni con i miei e che da
ricca offrii molti doni a te nel bisogno, e molti te ne avrei ancora dati; sono
colei che mise ai tuoi piedi l'immenso regno di Licurgo, poco adatto ad
essere governato da una donna, dove il Rodope coperto di ghiacci.4 si
estende fino all'Emo ombroso e il sacro Ebro riversa nel mare le sue acque
che scorrono impetuose; a te sacrificai sotto funesti presagi la mia verginità
e la casta cintura fu sciolta dalla tua mano infida. Tisifone presiedette alle
nozze e fece risuonare il suo ululato in quel talamo, e un uccello solitario
intonò un lugubre canto; era presente Alletto, con il collo cinto di piccoli
serpenti, e una torcia funebre spandeva la sua luce.
In pena mi aggiro tra gli scogli e gli arbusti della marina e, sia che la
terra si schiuda al calore del giorno, sia che brillino le gelide stelle, spingo
innanzi il mio sguardo, là dove si apre alla mia vista l'ampia distesa del
mare, per veder quale vento muova le onde. E ogni vela che vedo avvicinarsi
da lontano, subito mi auguro che siano i miei dei. Vado di corsa verso il
mare, trattenuta a stento dalle onde, là dove il mare frangendosi protende le
sue acque, e quanto più le vele si avvicinano, tanto meno sono padrona di
me, mi sento mancare e cado fra le braccia delle mie ancelle, pronte a
sorreggermi.
C'è un'insenatura che si incurva leggermente come un arco teso, alle sue
estreme propaggini si ergono rocce scoscese. Ho avuto il pensiero di gettarmi
nelle acque sottostanti, e, poiché continui ad ingannarmi, così sarà. Le onde
sospingano il mio cadavere ai tuoi lidi e il mio corpo si presenti insepolto al
tuo sguardo! Anche se superi in durezza il ferro, l'acciaio e te stesso, dirai:
"Non in questo modo, Fillide, dovevi seguirmi!".
3
Spesso ho sete di veleni, spesso vorrei finire la mia vita con una morte
sanguinosa, trapassata da una spada; vorrei anche stringermi un laccio
attorno al collo, perché si è offerto alla stretta delle tue braccia infide.
Ho deciso di riscattare il mio pudore giovanile, con una morte opportuna.
Indugerò ben poco nella scelta della morte. Tu sarai indicato sulla mia
tomba come l'odioso responsabile e sarai ricordato per questo epitaffio o per
uno simile: "Demofoonte causò la morte di Fillide, lui, suo ospite, fece
morire lei che lo amava; egli fornì la causa della morte, lei la mano".1
1
Publio Ovidio Nasone, “Heroides”, Torino, Einaudi, 1966, pp.25-31
4
La mandorla: tema sacro ed erotico
Nella simbologia paleocristiana e poi nell’iconografia medievale, la
mandorla è la figura che circonda spesso il Cristo o la Vergine Maria. E’
l’aureola di luce che rivela la presenza divina anche nell’arte rinascimentale.
Per i mistici essa è il frutto simbolo dell'essenziale, creato dalla intersecazione
di due cerchi, la figura risultante è detta anche “vescica pescis”,
simboleggiante l’incontro/differenziazione dei mondi e delle sostanze. Le
circonferenze sono emblemi di spirito e materia, di cielo e terra, di antico e
nuovo. Alla sostanza essenziale e nascosta della mandorla si contrappone il
guscio: l’apparente, l’ingannevole, il mutevole.
Gesù è spesso raffigurato racchiuso in una mandorla a simboleggiare che
la natura divina è nascosta e discosta da quella umana.
Una più estesa valutazione del significato della “vescica piscis” rivela una
molteplicità di significati; essa è sia simbolo femminile somigliante alla vulva
(vescica in latino è anche vagina), sia rimando all’elemento acqua, universo
femminile per eccellenza. Inoltre, nella simbologia cristiana, il pesce, ICTUS,
rimanda alle iniziali di Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore.
Il riferimento al tema della mandorla appare costante anche nell’arte
orientale (basti pensare alla sua presenza come tema decorativo nei disegni
dei tappeti Bothè), mentre la correlazione tra mandorla e sesso femminile è
esplicitata nella letteratura orientale.
Per i “Coralli” di Einaudi nel 2005 è uscito il lungo racconto erotico
dell’autrice marocchina Nedjma dal titolo “La mandorla”.
L’autrice considera l'educazione sentimentale e sessuale di una donna
marocchina che rieduca il proprio corpo all’amore; la mandorla è per
l’appunto il nome del sesso femminile della protagonista. Fuggendo il mondo
maschile in cui tutto è combinato e sottoposto al giogo della tradizione, che
del corpo femminile valuta verginità e capacità riproduttive, Nedjma
riacquista il suo corpo, l’identità individuale e la libertà spirituale che deriva
dalla cognizione di tutte le parti del sé.2
2
Nedjma, La mandorla, Torino, Einaudi, 2005
5
Introduzione
“Il raccolto si fa quando la drupe è aperta e la frutta bene asciugata si porta
nel magazzino.” 3
Scrive così il torittese Felice Scarangella nel suo “Armadietto agricolo”,
raccolta di note teorico-pratico di agraria e zootecnia, datato 1933.
I 232 metri sul livello del mare del Comune di Toritto ne fanno un luogo
perfetto per la diffusione della mandorlicoltura. Il comune, complice il
microclima (clima freddo e ventilato in inverno che ritarda la fioritura ed
evita le gelate primaverili dei germogli) e il terreno arido e roccioso (che
costringe a potature annuali con la duplice funzione di ridurre la
ramificazione e mantenere fresca la pianta, oltre che rendere concentrato
l’assorbimento di quelle sostanza e che danno tipicità al frutto) fino alla metà
degli anni 70 deteneva il record di produzione di mandorle in Europa.
La mandorla è il seme di un albero che appartiene alla stessa famiglia del
pesco (prunus amygdalus). originario della Persia e diffusosi in tutto il
mediterraneo, si presenta come una drupa verde, a forma ovoidale con
endocarpo legnoso contenente uno o due semi oleosi commestibili, di sapore
dolce o amaro secondo la varietà.
Il mandorlo, pianta robusta che cresce anche su terreni poveri, poco
profondi e aridi è nota non solo per i preziosi semi, ricchi in vitamine e
proteine, ma anche per le foglie che costituiscono un ottimo mangime,
apprezzato soprattutto dagli ovini. Inoltre, i malli e i gusci si prestano alla
produzione tradizionale di carbonella, così come le ceneri dei gusci, ricche di
potassio, sono un ottimo fertilizzante naturale.
I lavori di smallatura e le conseguenti fasi per ottenere il frutto secco
hanno costituito per la comunità torittese, un ricco apparato di precisi rituali
per lo più celebrati nelle strade, complice il numero ridotto di autoveicoli.
Negli scorsi anni, era lavoro prevalentemente femminile quello della
smallatura che avveniva lungo il ciglio della strada o sui marciapiedi,
complici le giornate miti e piacevoli di settembre. Su un piano sorretto da
sedie, si svuotavano i sacchi di mandorle fresche ancora nei verdi malli e si
procedeva alla smallatura da parte di donne e bambini. Sui marciapiedi e
lungo interi pezzi di asfalto stradale si sistemavano lunghi teli (i panni) su sui
le mandorle venivano adagiate al sole. Per favorire e facilitare l’asciugatura si
rivoltavano con la pratica dell’aratura. Si entrava con le scarpe nel tappeto di
mandorle e si praticavano dei solchi. Quando i noccioli risuonavano nelle
bucce, e la resa era buona e si trovava un mediatore disposto a pagare
degnamente il prodotto, si continuava con la schiacciatura. Ancora le donne.
Armate di aggeggi in ferro e di pile di pietra in cui si deponevano le
mandorle, si procedeva alla schiacciatura a cui sarebbe seguita la fase della
separazione del nocciolo dalla buccia. Venduti i noccioli, restavano le scorze,
ottime alleate dei focolari invernali.
L’automazione subentrata negli ultimi anni ha affidato alle macchine il
lavoro femminile, mentre l’asciugatura lungo le strade è diminuita di gran
lunga, tanto che il ricordo di queste vaste distese di mandorle è consegnato
alla memoria dei più adulti.
Si deve all’operosità e allo spirito di iniziativa di alcuni agricoltori nell’800 le
introduzioni di alcuni varianti locali di mandorli: la “Antonio De Vito”, la
3
Felice Scarangella, Armadietto agricolo, Roma, Carlucci Editore, 1933, p. 59
6
Genco e la “Filippo Cea” (di cui sopravvive la pianta “madre” in località
Matine di Toritto).
Alla diffusione negli anni 80 e 90 della mandorla californiana, altamente
più competitiva della mandorla pugliese, è subentrata la sempre più cosciente
valorizzazione delle biodiversità che di recente ha riacceso l’attenzione sulle
varietà locali. Il rilancio della mandorla Cea, supportata dai giovani
agricoltori che ne hanno riconosciuto la superiorità rispetto alle più produttive
varietà californiane, la nascita di associazioni nate per la tutela e il rilancio
della qualità Filippo Cea (un consorzio per la difesa è in corso di
costituzione), così come la promozione del prodotto e dei suoi impieghi in
gastronomia in manifestazioni quali slow food, è suggello di un progetto di
ampio respiro.
La presenza di un Presidio Pugliese che si propone di sostenere questa
complessa attività culturale ed economica, avendo come obiettivo la
sopravvivenza della mandorlicoltura tradizionale, è un ulteriore avallo di
quanto detto.
Dal Presidio Pugliese leggiamo che: “ La mandorla Filippo Cea, presenta
caratteristiche di eccellenza: un alto contenuto in olio e acidi grassi
polinsaturi, una bassissima acidità e una sapore intenso ma, allo stesso tempo,
equilibrato, con note di burro finali. La spiccata pastosità la rende ideale per
l’utilizzo in pasticceria.
La mandorla è tra i principali protagonisti della pasticceria pugliese sotto
forma di Pasta Reale e “torte rosate” in particolare, ma è consumata anche al
naturale, da sgranocchiare semplicemente dopo una leggera tostatura che la
priva della buccia. Una delle modalità di consumo più frequente è caramellata
sotto forma di “croccante”. A Toritto però, la tradizione è il latte di mandorla
che qui si serve fresco con qualche chicco di riso.4
4
Presidi di Puglia:www.slowfoodpuglia.itmandorla%20toritto.htm
7
Amigdala
Il progetto Amigdala, nasce nell’ambito del Master “Studi culturali,
comunicazione e cultura visuale” della Facoltà di Scienze di Formazione
dell’Università degli Studi di Bari.
Nell’ambito del modulo di fotografia si è imposta in modo imperante la
dimensione progettuale inerente la visione fotografica, la carica conoscitiva,
interpretativa e concettuale di ogni singolo scatto.
La storia della fotografia è costellata di molteplici vite. Dalla dimensione
documentaristica a dimensione etno-antropologica (si pensi a tutto il
materiale incluso negli archivi Alinari in Italia) in Giappone Hamaya Hiroshi,
in America è Dorothea Lange che si pone a capostipite del fotogiornalismo,
attento ai destini umani, di cui sarà protagonista Robert Capa e i suoi
reportage di guerra. Alle sperimentazioni avanguardistiche di Lee Miller e
Man Ray (in cui grande potere è affidato al ruolo creativo della camera oscura
col metodo della solarizzazione), o dei fotomontaggi di Laszlò Moholy-Nagy
per cui si parla di fotoplastica. Alla ricerca dell’obiettivo come “occhio
attivo” dell’uomo, capace di creare visioni e prospettive insolite, divergenti
da quelle della prospettiva classica, nell’ottica costruttivista di Rodcenko.
Allo sguardo grottesco e collegato alla cinematografia americana degli anni
50 di Cindy Sherman; a quello dissacrante, pungente, spietato e surreale, fatto
di forti contrasti drammatici, sottolineati anche dall’alternarsi di luce e buio,
sulla società newyorchese di Weeggee.5
A queste vite fotografiche qui appena accennate e per sommi capi, si
affianca il potenziale terapeutico delle foto, lo scrigno di ricordi strettamente
personale che una più consapevole lettura ordina, scruta e utilizza in funzione
clinica.6
Sontang già negli anni 70 evidenziava il portato rivoluzionario della
diffusione della macchina da presa e il relativo utilizzo di massa, la
constatazione di un salto epocale in cui cade il pregiudizio platonico sul
mondo imperfetto delle immagini contrapposto a quello delle verità reale, per
far risaltare un carattere di veridicità che equipara le immagini alla realtà.
L’attendibilità e il consenso intorno al mondo della fotografia è attestata
dall’uso che ne fanno gli organi preposti al controllo; conservando le foto
negli archivi e negli schedari, quali funzionali strumenti di controllo.7
La facilità con cui oggi si scattano foto da macchine digitali e da qualsiasi
dispositivo di telefonia mobile, rende la realtà facilmente registrabile e
cancellabile, a portata di qualsiasi occhio esperto e non. Al potenziale
creativo della camera oscura subentra l’universo di manipolazione e di
invenzione di photoshop, alla grana della pellicola, i pixel digitali. La
funzione dialogica della foto classica muta e si velocizza con il digitale,
Donata Wenders, afferma che nel digitale si è presi dal risultato immediato e
quando si è soddisfatti dall’immagine del display, si passa oltre, rendendo più
episodico e frammentario il rapporto con il soggetto fotografico.8
L’avvento della fotografia digitale che facilita, velocizza e diffonde
ampiamente la “fotografabilità”, ripropone il tema della perdita dell’aura, un
tema ottocentesco che Walter Benjamin formula in seguito alla diffusione
5
Fotografia del XX secolo, Museum Ludwig Colonia, Taschen, 2001
Berman, La fototerapia in psicologia clinica, Trento, Erickson, 1993
7
Susan Sontag in “Teorie della fotografia” Dizionario degli studi culturali, Roma,2004 Meltemi, pp.514-515
8
Da un dialogo con Donata Wenders, Bari, 21/04/2005
6
8
della prima macchina fotografica di facile uso da parte della Kodak, il tema
della riproducibilità tecnica delle opere d’arte, è in realtà, ieri come oggi,
indice del bisogno di nuove categorie estetiche, capaci di leggere una realtà
mutata nella percezione e resa di tempi e spazi.
Amigdala si inserisce come conseguenza di queste riflessioni e letture,
quale percorso amatoriale che inizia a riflettere sulla valenza euristica dello
scatto fotografico. Nasce da una visione progettuale a più obiettivi: rendere il
carico simbolico ed evocativo dell’universo delle mandorle, divergendo dalla
dimensione documentaristica ed etnografica delle tradizioni popolari;
coinvolgere altri sguardi, portarli a guardare lo stesso soggetto, al fine di
realizzare un lavoro collettivo, in cui le prospettive, le tecniche e le
prospettive possano dialogare e interrogarsi reciprocamente. Tacere la parola,
consegnarsi al mondo della immagine e ancor di più a quello della
intermittenza del senso, della ottusa significanza che è sempre rapporto di
unico a unico.9
Di ogni autore si propongono 10 scatti e un breve commento nato dal
dialogo continuo mantenuto durante le varie fasi del progetto.
Le foto a colori sono in formato 20x30 stampate su carta opaca e scattate con
macchina digitale.
Le foto in bianco e nero sono stampate su Pellicola ILFORD DELTA 3200Stampa 24x30 su carta ILFORD MULTIGRADE FB IV.
9
Roland Barthes, L’ovvio e l’ottuso, Torino, Einaudi, 1982
9
Sostanza
Teresa Piccinninno, webgraficdesign.
Teresa Piccininno usa la macchina fotografica come un martello.
Se nella iconografia classica il guscio della mandorla rappresenta
l’apparente, l’ingannevole, ma anche il guscio che protegge il nocciolo della
sacralità, Teresa è allora una iconoclasta. La sua mandorla cerca la rottura e il
rapporto con il corpo senza mediazioni di alcun tipo.
E in questo rapporto cerca il ritmo dinamico della sequenza e allude al
movimento di un video.
La sequenza del piede scalzo che schiaccia senza il ricorso di scarpa e
calzino, ricorda le vecchie e terribili punizioni scolastiche delle ginocchia
sulle scorze puntute. Ma si allontana immediatamente da qualsiasi riferimento
tradizionale. Stride questa nudità a confronto del legno insidioso della
mandorla e diventa una nudità più nuda.
La sequenza di facce e di bocche e di denti che tentano di schiacciare la
mandorla costituiscono il racconto di un dolore passeggero a cui segue il
piacere di gustare il frutto di cui l’autrice ci esclude per scelta la visione.
Ancora più netto è il distacco dalla tradizione nella foto della mandorla in
bicchiere d’acqua. Nell’uso comune, la mandorla deve proteggersi
dall’umidità, deve conservare la sua secchezza, acquisire la consistenza dura
che la farà risuonare nel legno della buccia, piccola maracas di Puglia. Ragion
per cui, violenti e sacrileghi sono gli acquazzoni che in estate prorompono
sulle distese di mandorle stese al sole. Si bestemmiano le nubi traditrici, si
corre al riparo, è tutto un andirivieni di secchi e di sacchi e di braccia.
Teresa decide di lasciare in ammollo la mandorla e ci permette una visione
insolita, di paradosso che si avvera. La rivincita delle nubi e dell’acqua che
restituiscono forza al frutto, il quale si affranca da qualsiasi
strumentalizzazione umana e si afferma quale mandorla in acqua.
10
11
Attesa
Franca Cicirelli (insegnante di lettere)
L’autrice del presente lavoro, è alle prese con il suo primo progetto
fotografico. La sua Reflex Yashica FX-3 Super acquistata diversi anni or
sono, si è sempre soffermata allo scatto di un ritratto isolato e non ha mai
coltivato l’idea di un soggetto da seguire nel tempo. Neppure ha mai
seguito i suoi scatti in camera oscura prima di mettere mano a questo
lavoro.
Le mandorle di seguito presentate, seppure rapportate ai supporti che
le ospitano, che le contengono, le afferrano per schiacciarle, oggetti della
tradizione contadina, sono mandorle in cerca di liberazione. Un
mutamento che si impone all’orizzonte visivo e che ne cerca il riscatto e
il gioco. All’ordine sicuro degli oggetti della tradizione che in una foto è
reso dalla nitidezza dell’immagine, dalla precisa dislocazione, dal rigore
conoscitivo con cui si accostano gli elementi del reale, si oppone invece
la sfocatura, il disordine del contorno incerto. Così in alcune foto,
seguiamo il disfacimento dei contenitori, oggetti indefiniti e per questo
meno contenitori, e la liberazione di una sola o di un piccolo gruppo di
mandorle. Si cerca così anche di tessere il racconto dell’attesa di una
liberazione, della liberazione dell’orizzonte visivo dallo stereotipo della
tradizione contadina. L’accostamento delle foto in mini sequenze, la
proposta di alcune foto pendant si inseriscono nella piccola struttura
narrativa che si vuole proporre.
Contenitori sfuocati. La texture delle mani anziane che le trattengono,
e da cui poi guizzano. Quelle più giovani che le liberano dai malli. Così
la primordiale pietra cava, architettura primitiva e semplicemente perfetta
per la funzione affidata, che le trattiene e ne facilita la schiacciatura.
Mandorle. Il secchio che le ha sul fondo, si bea dell’ombra lunga e si
sdoppia. Tra le dita sono tenute ferme col martello premuto contro e la
sedia (che condensa così tante immagini di sud), che fa da base alla
schiacciatura. In bilico. Vince la mandorla che sfida la mano, il martello e
la sedia (la tradizione) e si pone sullo schienale, in equilibrio precario,
attestando la propria identità separata. Una sfida che nella precarietà e
instabilità acquisisce il senso del ludico.
In cerchio. Senza nessuna funzione rispondente a un uso pratico, per il
puro disegno, richiamando i disegni dei marmi e dei tappeti in cui la
mandorla spesso è protagonista assoluta.
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13
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Metamorfosi
Giulio Castellani, architetto.
Lo sguardo di Giulio Castellani è uno sguardo urbano rivolto a una, due,
tre mandorle. Lì dove la consuetudine contadina considera il mucchio, il
sacco, la distesa indistinta, Giulio sceglie tre protagoniste assolute, tre prime
donne. Vuota lo spazio intorno che diventa bianco o nero, i due non colori,
capaci di assorbire e riflettere.
Da questi sfondi, le sue mandorle parlano la lingua sconosciuta dei pianeti
inviolati. Crateri, crepe, fenditure, squarci, rotture. Cicatrici senza guarigioni.
Una, due, tre e viceversa.
L’autore, fortemente attratto dalla soggettività del frutto, ne segue la vita
segreta, misteriosa e affascinante della texture.
Dalle mandorle ancora contenute nei malli grigioverdi coglie la peluria,
l’avanzamento della muffa, la punta di arancio ruggine che spunta sul verde,
la metamorfosi che avviene sempre quando la vita si aggiunge alla vita. Vita
indipendente. Vita parassitaria.
Dalle mandorle ripulite il calore del legno sottile. Pelle viva. Pelle
sensuale.
Mandorla vergine che mantiene il segreto inviolabile del nocciolo.
Mandorla che accenna nelle sue linee principali alla fenditura, alla doppia
vita, alla simmetria del mondo parallelo del fuori che accenna a un dentro
intoccabile.
16
Scheda Tecnica foto Giulio Castellani
NIKON d70
Tipo:
reflex, obiettivi intercambiabili
Sensore:
CCD da 6,10 MP effettivi
Dimensioni sensore:
23,70 x 15,60mm
Fattore di moltiplicazione:
1,50x
Monitor:
TFT di 1,80 pollici
Obiettivo utilizzato per foto mandorle:
Nikon 18-70 mm f3.5-4.5 DX G AF-S
sensibilità utilizzata:
ISO 200
Modo di misurazione utilizzato:
spot e multi-zona
modo colore:
Ia (sRGB)
bilanciamento del bianco:
8000 °K
FOTO MANDORLE (settembre 2005):
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lunghezza focale 70mm - 1/160 sec - F/6.3
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lunghezza focale 35mm - 1/60 sec - F/10
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lunghezza focale 35mm - 1/125sec - F/5
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lunghezza focale 35mm - 1/100sec - F/5
Le foto sono state scattate in formato JPEG (8-bit) senza l'ausilio di luce artificiale, corrette e
ritagliate con Adobe Photoshop e trasformate in formato TIFF.
La dimensione originale dei file è di 3008 x 2000.
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Indice bibliografico
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Hichs R., Schultz F., Fotografia di oggetti, Graphia, Milano, 1998
Nedjma, La mandorla, Torino, Einaudi, 2005
Presidi di Puglia:www.slowfoodpuglia.itmandorla%20toritto.htm
Responsabili del Presidio
Pasquale Porcelli, tel. 0833 563282 - 335 6544642
[email protected]
Emilia D’Urso, tel. 080 5617833 – 349 4374955
[email protected]
Publio Ovidio Nasone, “Heroides”,
Rebuzzini M., “Guida alla fotografia in studio”, Editrice Reflex, 1996
Scarangella, F., Armadietto agricolo, Roma, Carlucci Editore, 1933
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