Joseph Babinski, Jerry Lewis... la stampante del corpo umano

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Joseph Babinski, Jerry Lewis... la stampante del corpo umano
Pathologica (2001) 93:693-695
© Springer-Verlag 2001
RILETTURE
P. Scarani
Joseph Babinski, Jerry Lewis... la stampante del corpo umano
“Vieni a vedere il piede destro: si muove male. Sarà l’ernia
del disco?” In effetti, si muove male. Non so da quale parte
del cervello, mi parte l’impulso a stimolare la pianta del piede: e, nitidissimo come in un incubo, subito compare il riflesso del Babinski. Non l’avevo mai visto dal vero. Forse
per questo, non riuscii a farmi prendere subito sul serio. A
dimostrare il grande valore di questo riflesso, sono poi, purtroppo, comparse l’emiplegia e l’afasia. Adesso, i Soloni
sprecano commenti sulla tempestività dei soccorsi. Chissà
perché, a tempo scaduto, la gente dice tante sciocchezze.
Non riesco a capire perché la paleopatologia sia così poco
praticata, vista la morbosa passione della gente per le analisi postume.
In questa piccola burrasca familiare, ha cominciato a
frullarmi per la testa il nome di Babinski. Cosa opportuna:
si tratta infatti d’un tipico caso di “unsung hero”.
Joseph François Félix Babinski
Di lui in genere si ricorda soltanto il cognome. I libri di storia
della medicina lo nominano di rado. Quando va bene, citano
rapidamente le sue scoperte. Allora compaiono anche il nome
e, fra parentesi, le date di nascita e di morte (1857-1932).
Babinski nasce e muore a Parigi. Il cognome, tuttavia, è
slavo. A oriente di Mosca, poco lontano da Nizhniy
Novgorod, si trova la città di Babino. Babia Gora è invece un
monte al confine tra Polonia e Slovacchia. Babina, in Polacco
e in Russo, è una donna anziana. Babcia, è invece la nonna.
Babinka, è invece una povera vecchia. Il tutto deriva da baba, donna in genere anziana, nonna. La Rzeczpospolita
Babinska (più o meno “repubblica delle vecchie pettegole”)
P. Scarani ()
Anatomia Umana Normale, Via Irnerio 48, I-40126 Bologna, Italia
e-mail: [email protected]
fu un’associazione di umoristi del Cinquecento (in Polacco,
la “n” di babinska ha l’accento acuto).
Tutto questo, comunque, ha poca importanza. Babinski
fa parte della fiorentissima scuola di Jean-Martin Charcot, il
re della neurologia e del metodo anatomo-clinico. Come tutti i grandi, anche Charcot genera una scuola formidabile.
Essa non è tuttavia costituita da yes-men. Si tratta infatti di
uomini capaci di sviluppare un filone di ricerca che, pur movendo dalle premesse del maestro, si dilata lungo strade autonome, spesso in stridente contraddizione col punto di partenza. Babinski non è soddisfatto degli studi di Charcot sull’isteria. In particolare, è fermamente convinto della sua natura non organica. I suoi sforzi sono pertanto volti a stabilire criteri diagnostici utili a stabilire se una certa sintomatologia neurologica sia isterica, o sia invece dovuta a lesioni
anatomiche della sostanza nervosa [1]. Egli arriva così a
scoprire il riflesso che porta il suo cognome: quando la stimolazione della pianta del piede produce estensione dell’alluce, il fascio piramidale presenta una anomalia organica,
non funzionale. In particolare, quando tale fascio è completamente sviluppato, il riflesso di Babinski denota una lesione organica (ischemia, emorragia o altro). Prima della completa mielinizzazione del fascio piramidale, invece, tale riflesso è ancora fisiologico. Questo semplice concetto, verificabile anche da un dilettante della medicina, rimane tuttora di grandissima importanza, e “parla” al medico quando
ancora le sofisticate tecnologie moderne non sono in grado
di percepire le lesioni della sostanza nervosa.
Babinski non scoprì soltanto il suo riflesso, ma anche
molti altri segni neurologici che portano il suo nome: la riduzione del riflesso achilleo nella sciatica (assente nell’isteria); la contrazione più vigorosa del platisma dal lato opposto all’emiplegia; l’emiplegico, passando dalla posizione supina a quella seduta, flette l’arto colpito, sollevandone il tallone dal piano del letto; ponendo in supinazione l’avambraccio paralizzato, questo in seguito torna spontaneamente
in pronazione.
Oltre a questi studi, tutti chiaramente rivolti a distinguere la patologia isterica da quella organica, Babinski scoprì la
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distrofia adiposo genitale di Babinski-Froelich. Si accorse
inoltre della frequente associazione, nella sifilide terziaria,
tra la patologia del sistema nervoso (tabe, meningite, demenza paralitica) e quella cardiovascolare: tale quadro è infatti denominato “sindrome di Babinski” o “di BabinskiVaquez”. Scoprì anche una sindrome dovuta a lesioni multiple del fascio piramidale (zona delle piramidi bulbari) e delle vie sensitive, denominata sindrome di Babinski-Nageotte.
Questa non la descrivo, perché dovrei copiarla. Inoltre, mi
sembra di fare un po’ troppo la parte del saccente.
Un grande osservatore, Babinski. Non si deve tuttavia
credere che egli fosse un’eccezione. I grandi medici della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento avevano il senso della morfologia. In presenza d’un particolare segno clinico, andavano a cercarne la controparte anatomica. Questo fu
il trionfo della morfologia: la nascita della clinica moderna,
intesa come espressione di quella sintesi finale tanto intensamente auspicata da Goethe per le scienze della natura [2].
Quest’epoca della storia è veramente impressionante.
Dalla guerra franco-prussiana allo scoppio della seconda
guerra mondiale, i medici di tutte le parti del mondo compiono sforzi titanici e ottengono risultati sbalorditivi. Tutto
questo in un clima di collaborazione (con le ovvie, dovute
eccezioni, naturalmente!) che sarebbe certamente stato di
grande conforto per Goethe. Riempie d’amarezza invece la
constatazione dell’esattezza di quanto Goethe percepiva a
proposito del deterioramento morale del mondo politico, con
l’apparizione dell’imperialismo selvaggio e degli assolutismi senz’anima del mondo moderno e attuale.
Più che mai vicino a noi patologi è lo splendore della
neuroanatomia. Le correlazioni tra la clinica e la localizzazione delle lesioni in autopsia consentono infatti di stabilire
le funzioni svolte dalle diverse parti del nevrasse e uno studio dell’anatomia delle vie nervose, grazie alla degenerazione walleriana da distruzione di particolari strutture, indotta
in modo naturale dalle malattie.
In questo clima, nel quale ha una netta preminenza la
scuola francese, matura la neurologia moderna, la quale,
grazie alle proprie raffinate capacità di diagnostica differenziale, da allora vanta, forse non a torto, la capacità di attuare, già con la semeiotica fisica, una vera e propria dissezione anatomica del sistema nervoso.
Babinski è solo la prima parte di questo scritto. Dopo,
c’è Jerry Lewis. L’ho incontrato 3 volte: da piccolo, nel “circo a tre piste”, con Dean Martin; nel 1982 a Londra; adesso, quando è iniziata la riabilitazione, in mezzo ai “computer con la stampante che non va”.
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a questo possiamo farci una modestissima idea di quel che
possa provare chi sia impedito ad usare i propri muscoli: la
nostra stampante.
I muscoli, se ci pensiamo bene, sono il mezzo con cui il
sistema nervoso comunica con l’esterno: per esprimersi (col
linguaggio e coi gesti), per nutrirsi (non solo con la masticazione e la deglutizione, ma anche con l’attività della muscolatura liscia), per espellere le scorie (vie urinarie, etc.),
per far giungere il nutrimento a se stesso e agli altri organi
(apparato cardiovascolare), per respirare e per mettere al
mondo una nuova creatura al momento del parto. Al momento giusto, il sistema nervoso centrale “stampa” sul mondo reale che lo circonda le proprie necessità, le proprie impressioni, i propri drammi, la propria intima essenza.
In teoria conoscevo questo problema, ma non ne percepivo la drammatica portata. La percepii quando il riflesso di
Babinski mi fece approdare a “Sol et salus” (Torre Pedrera,
Rimini). Qui si cerca (come in altri posti, naturalmente), con
estrema ostinazione, di riparare il sistema di stampa, quando non funziona più in modo adeguato. I problemi sono infiniti. Può essere alterato o distrutto il sistema centrale di
coordinazione dei muscoli, possono essere danneggiati i cavi o l’interfaccia con i muscoli, oppure i muscoli stessi. Cose
note. Meno nota è la spaventosa sofferenza di chi ha ‘la
stampante rotta’.
Potete chiedere tutto, al cervello. Non potete però chiedergli di vivere in una torre d’avorio. Basta guardarsi attorno, per capirlo. Gli animali più adatti a sviluppare un rapporto intensamente affettivo con gli uomini (cani e maiali),
hanno una vita sociale estremamente intensa, favorita da un
linguaggio corporeo e vocale particolarmente complesso e
plastico [3]. Per tali animali, una vita sociale non è soltanto
necessaria per fini pratici: diviene un’autentica esigenza vitale. Forse proprio per questo essi riescono a sviluppare un
così intenso e peculiare rapporto con gli uomini (per altro,
in genere, sentitamente ricambiato). La straordinaria complicazione del cervello umano e le svariate attività ad essa
connesse rendono ragione della vera e propria fame di vita
sociale e di comunicazione da cui ognuno di noi è affetto.
Certamente, a volte si cerca la solitudine. Si tratta tuttavia
d’una ricerca che ha una via di ritorno, accessibile in qualunque momento. Una solitudine non cercata, non voluta,
apparentemente senza vie d’uscita, uccide l’anima.
Chi capisce queste cose, e cerca di porvi rimedio, è da
premio Nobel.
Qui subentra Jerry Lewis.
Der reine Tor (Richard Wagner, Parsifal)
Quando non riusciamo più a stampare
Quando si dorme, i muscoli sono deafferentati: è ben nota la
spaventosa esperienza che si prova quando ci si sveglia troppo velocemente, impedendo la ‘riafferentazione’. Pensando
Da bambino, mi piacevano Jerry Lewis e Dario Fo. Mia madre diceva che ero scemo, e, una volta, mi prese quasi a sberle perché una signora le disse che ero proprio un piccolo Fo.
A me sembrava così intensamente poetico …. (ricordate le
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ventimila lire in monetine da 5?). Le ricordai l’episodio
quando ebbe il Nobel.
Jerry Lewis mi sembrava la persona più amabile di questa terra. Me ne convinsi verso la fine degli anni sessanta,
quando seppi che aveva cercato con ogni mezzo di alleviare
le sofferenze della vecchiaia a quelli che considerava i propri maestri: Stan Laurel e Buster Keaton. Il modo in cui li
presentò nei propri spettacoli faceva chiaramente intendere
quanto Lewis percepisse la loro tragedia di uomini votati a
comunicare al pubblico una propria profonda interiorità, ma
oramai in gravi difficoltà comunicative.
Capii da dove provenisse questa volontà indomita di lottare contro le avversità, quando, nel 1982, mi trovai di fronte, a Londra, alla Jerry Lewis foundation per lo studio delle
malattie del muscolo, allo Hammersmith Hospital. Lewis si
era trovato in famiglia un problema di “stampante rotta” e da
allora aveva deciso di combattere una guerra personale contro queste malattie. Fra l’altro, ideò, credo, per primo, quei
megaspettacoli volti a raccogliere finanziamenti per la ricerca, che oggi sono quasi una moda. Una battaglia importante, quella per la patologia delle stampanti, perché si tratta di
un problema cui i medici sono poco sensibilizzati. Col rischio, fra l’altro, di non saper capire queste malattie, al momento del loro manifestarsi.
Da Guillaume-Benjamin-Armand Duchenne de Boulogne
alla distrofina
Duchenne (1806-1875) era un morfologo nato. Partiva dalla
vecchia fisiognomica e dalla frenologia. Ciò che lo interessava veramente era l’espressione delle emozioni umane (ed
animali). Desideroso com’era di documentare con cura le
proprie osservazioni, trovò nella fotografia il mezzo ideale
(allora, le fotografie si chiamavano dagherrotipi). Lasciò così una collezione iconografica imponente, di eccezionale
bellezza, tuttora frequentemente utilizzata da studiosi della
neurologia e del comportamento [4]. La peculiare capacità
di fine osservatore dell’anima umana, posseduta da
Duchenne, gli consentì di individuare svariate malattie neurologiche e neuromuscolari. In particolare, descrisse in modo mirabile la caratteristica postura e l’andatura della malattia muscolare che oggi porta il suo nome e anche la meno
nota distrofia facioscapoloomerale.
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Se consideriamo gli enormi progressi fatti negli ultimi 50
anni, grazie soprattutto alla microscopia elettronica e alla
biologia molecolare, l’opera di Duchenne ci può forse apparire di poco conto. Oggi, con gli anticorpi anti-distrofina,
possiamo fare un’accurata diagnosi morfologica di malattia
di Duchenne, in base all’assenza di tale antigene. La biologia molecolare potrebbe addirittura far sperare in una non
lontana terapia farmacologica di molte gravi malattie ereditarie. Queste acquisizioni della scienza moderna presuppongono tuttavia le conoscenze stabilite da Duchenne, Babinski,
e da tanti altri.
Duchenne e Babinski significano una sola cosa: un accurato studio del malato. Tale studio, evidentemente, spesso
manca. Ne sono un esempio i pazienti con myastenia gravis,
spesso troppo a lungo considerati isterici. Oppure quelli con
miopatie ereditarie, considerati psicolabili, pur in presenza
di titoli sierici elevati della creatinfosfochinasi. Oppure casi
di poliomielite anteriore acuta interpretati, nonostante la febbre, come avvelenamenti da pesticidi.
Per le gravi sofferenze che impongono, le malattie neurologiche dovrebbero essere un patrimonio di base nelle conoscenze dei medici generici, spesso primi testimoni della
loro esistenza.
Mi si dirà: che cosa c’entrano i patologi? Certamente, la
diagnostica neuropatologica è altamente specialistica. È ben
noto, tuttavia, che anche un patologo non specialista in questo
settore “deve” saper trattare in modo adeguato il materiale da
esaminare, così da permettere una diagnosi corretta a chi dovrà formularla, impedendo un ulteriore, doloroso prelievo. Su
questo, mi chiedo, ci sentiamo veramente tranquilli?
Bibliografia
1. Harrington A (1987) Medicine, mind and the double brain. A
study in 19th century thought. Princeton University Press,
Princeton
2. Scarani P (2001) Riflessi goethiani sui problemi della scienza contemporanea. Pathologica 93:71-73
3. Serpell J (1986) In the company of animals. Blackwell,
Oxford
4. Madlener E (1989) Ein kabbalistischer Schauplatz. In:
Clair J, Pichler C, Pircher W (eds) Wunderblock. Eine
Geschichte der modernen Seele. Wiener Festwochen,
Vienna, pp 159-180