1 Anna Vanzan, Università IULM, Milano GRUPPI SCIITI IN ITALIA E

Transcript

1 Anna Vanzan, Università IULM, Milano GRUPPI SCIITI IN ITALIA E
1
Anna Vanzan, Università IULM, Milano
GRUPPI SCIITI IN
TRANSNAZIONALI 1
ITALIA
E
CONNESSIONI
CON
LE
RETI
SCIITE
Relazione presentata al Convegno L’islam in Italia. Appartenenze religiose plurali e strategie
diversificate, Torino, 2-3 dicembre 2004
Premessa
La comunità musulmana in Italia è di origini recenti, 2 ma è cresciuta enormemente negli ultimi
anni per cui l’islam è ora la seconda religione praticata nel paese. Sebbene gli sciiti rappresentino
una minoranza della umma italiana, pure hanno compiuto notevoli passi nello sviluppo e
organizzazione delle loro attività. In molte città italiane esistono moschee sciite, oppure semplici
sale di preghiera dove gli sciiti si raccolgono autonomamente rispetto ai loro fratelli sunniti per le
loro celebrazioni cultuali. 3
Ancora più significativo è che vi sono rappresentanti della comunità sciita ufficialmente
riconosciuti come tali dalle autorità italiane – e quindi autorizzati a partecipare alla gestione di
procedure che concernono la comunità stessa, come nel caso di alcune personalità iraniane
accreditate presso l’ambasciata della Repubblica Islamica d’Iran in Roma. 4
Gli sciiti in Italia sono perlopiù di origine iraniana o libanese, ma c’è un crescente numero di
conversioni all’islam sciita da parte di italiani e di altri cittadini di diverse nazioni occidentali;
alcune conversioni sono il frutto di matrimoni misti (è il caso soprattutto di italiane che sposano un
musulmano sciita proveniente dall’Iran, dal Libano o dall’Iraq); ma molti abbracciano la shi’a
islamica per varie ragioni che saranno esaminate nel corso di questo lavoro.
Chi e quanti
Non si può avere una cifra esatta, se non per grande approssimazione, degli sciiti presenti in
Italia e per molte ragioni, prima di tutte quella che non vi è esattezza neppure sul numero globale
dei musulmani in Italia, numero su cui le statistiche del Ministero dell’Interno sono in contrasto con
quelle fornite da altri osservatori privilegiati, in primis quello della Caritas.
Per quanto riguarda gli sciiti, il primo passo sarebbe quello di considerare quanti iraniani
risiedono in Italia; ma dei circa 13mila abitanti con passaporto rilasciato da autorità iraniane vi è
un’alta percentuale di aderenti alle religioni bahai, armena e ebraica. Inoltre, gran parte degli
iraniani sono venuti in Italia negli anni successivi all’instaurazione del governo islamico e il motivo
del loro esilio è stato proprio la volontà di fuggire da un regime religioso, per cui molti di loro non
amano neppure definirsi musulmani, men che meno sciiti. Molti degli iraniani da me intervistati
hanno affermato che non frequentano nessuna moschea, ma che pregano a casa propria in quanto si
sentono musulmani e sciiti “nel profondo del loro animo”.
Un autorevole ufficiale dell’ambasciata della Repubblica Islamica in Roma mi ha confermato
che non si ha un’idea precisa sul numero degli sciiti in Italia; neppure un approssimativo conto in
2
moschea è possibile, in quanto – come il funzionario ha precisato - anche il personale in servizio
presso l’ambasciata di Ro ma e il consolato di Milano si uniscono agli altri musulmani – sunniti – in
occasione del venerdì e delle principali feste del calendario islamico.
Per quanto riguarda le occasioni esclusivamente sciite, soprattutto quelle ricorrenti nel mese di
Moharram, 5 alcuni iraniani affermano che tentano di organizzare le loro periodiche visite alla
madrepatria in quel particolare periodo, in modo da condividere con familiari e conoscenti quel
periodo così pregno di significati per la loro comunità. Altri, celebrano a casa propria dei
rouzekhani 6 privati con parenti e amici; altri ancora intensificano pratiche quali il digiuno o
l’elemosina in modo da celebrare in modo visibile il sacrificio dei martiri di Kerbela.
Quindi, sembrerebbe che essere sciita in Italia fosse soprattutto una questione privata: perfino
l’epifenomeno del hejab, causa principale di apprensione, biasimo e preoccupazione in rapporto al
mondo islamico presso la maggioranza degli italiani (e non solo fra di loro!) non è un indicatore
utile, poiché la maggioranza delle donne iraniane che vivono in Italia e si professano sciite non
usano nessun tipo di velo: anzi, la coercizione a portarlo in Iran è stato per molte di loro uno dei
principali motivi della loro dipartita.
Tuttavia gli sciiti non sono invisibili in Italia, in quanto alcuni di loro si sono organizzati in
associazioni che promuovono e sponsorizzano una vasta gamma di attività religiose, culturali e
sociali. In modo analogo a quanto accaduto alle loro controparti sunnite, perlomeno all’inizio delle
loro attività, queste associazioni sono frequentemente animate da italiani convertiti alla shi’a per i
più svariati motivi.
Pochi, divisi ma militanti
Le prime organizzazioni di sciiti manifestatesi pubblicamente erano, e alcune sono ancora,
locate a Trieste, Roma e Napoli. Nel 1992 un gruppo di italiani convertiti aprì a Trieste un centro
chiamato Salman Farsi con l’intento di incoraggiare studi e ricerche sul mondo sciita. Attualmente
la loro attività pare esplicarsi solo occasionalmente con la pubblicazione di opuscoli di varia
consistenza neppure facili da ottenere.
Sempre negli anni novanta del XX secolo si è affermato il gruppo napoletano sciita Ahl Al
Bayt, che è divenuto uno dei più importanti centri di riferimento per gli sciiti in Italia, posizione
prima occupata dal Centro Islamico Europeo, nome sotto cui si riunivano un gruppo di sciiti il cui
punto di riferimento era l’ambasciata della Repubblica Islamica d’Iran presso il Vaticano. Negli
anni 1980 il gruppo romano aveva pubblicato alcuni testi di argomento vario, perlopiù traduzioni
(dall’arabo e dal persiano) di opere dottrinali, nonché un unico numero della rivista Il puro islam.
Nel 1991, la testata venne rilevata da un piccolo gruppo di convertiti italiani localizzati a Napoli e
diretti da uno dei più attivi nuovi musulmani italiani, il giornalista Luigi De Martino, che ha assunto
da convertito il nome di Ammar. Il primo numero napoletano de Il puro islam venne pubblicato nel
significativo mese di Ramadan e consisteva in due fogli ciclostilati. Sette anni dopo, però, il Il puro
islam era diventato un giornale stampato, a colori, pubblicato quattro volte l’anno. Soprattutto, il
giornale è ora divenuto il bollettino ufficiale dell’associazione Ahl Al Bayt, unica sezione italiana
dell’omonima organizzazione transnazionale sciita.
In un’intervista rilasciata nel Novembre 1998, durante una manifestazione organizzata a
Milano per commemorare la nascita della figlia del profeta dell’islam, Fatima, Ammar Luigi De
Martino ha rivelato i motivi della sua conversione alla shi’a:
3
Ero un cristiano evangelista praticante, tenevo sermoni regolarmente. Ad un certo punto
mi sono però distaccato e ho cominciato a leggere Guénon, Burckardt, Evola; queste letture
mi hanno portato alla politica, e mi sono avvicinato a certe frange extra parlamentari di
destra. Con i miei compagni facevamo delle gite in montagna e di notte ci radunavamo
attorno al fuoco a parlare dei mali della società. Ma una volta rientrati in città ci
comportavamo come gli altri, se non peggio. Improvvisamente, realizzai che tutti gli autori
delle mie letture preferite si erano convertiti all’islam. Erano gli anni in cui stava avvenendo
la rivoluzione islamica in Iran, e io ne ero attratto. Mi piaceva perché condotta in nome di
Dio, in nome di valori spirituali invece che marxisti o imperialisti. Mi misi in contatto con dei
musulmani attraverso il piccolo centro che dirigevo a Napoli. Un giorno un giovane
musulmano venne da me a propormi di organizzare una conferenza sull’islam, il
conferenziere era un professore italiano convertito all’islam. Passò un anno durante il quale
ebbi l’opportunità di riflettere e pensarci. L’anno successivo, decisi di unirmi all’islam. Nel
1983 avevo letto ‘L’imam nascosto’ di Henry Corbin, in quel periodo avevo anche incontrato
alcuni studenti iraniani. Questo libro squarciò il velo che avevo davanti agli occhi e
abbracciai la scuola sciita. Dopo qualche anno, mentre viaggiavo per l’Algeria insieme a mia
moglie e a uno dei miei figli – entrambi convertiti all’islam – decidemmo di creare qualcosa
di duraturo e fu così che demmo luce al giornale ‘Il puro islam’. Adesso molta gente è in
contatto con noi perché la comunità islamica in Italia è in crescita.7
Alcuni fattori importanti per capire il sentiero seguito da alcuni convertiti in Italia emergono
dalle parole di De Martino: il più significativo riguarda il fatto che egli fu condotto all’islam da
letture di autori quali René Guénon e Julius Evola, ovvero i cosiddetti pensatori tradizionalisti,
interessati alla ricerca spirituale ed esoterica che ad un certo punto della loro vita si rivolsero
all’islam (anche se non vi è prova che Evola divenne musulmano). I simpatizzanti della destra sono
amanti di questi autori e molti italiani convertiti all’islam li citano, specialmente Guénon, fra gli
autori che li hanno indirizzati alla religione di Muhammad. 8
Il riferimento ad una tradizione che è sia spirituale/religiosa e politica è anche comune a tutti i
convertiti “ di destra”. Un altro partecipante alla summenzionata commemorazione per Fatima, un
ragazzo appena ventenne, dichiarò che la sua conversione all’islam era stata favorita dalla lettura di
testi di Guénon in cui il mondo moderno veniva criticato come fautore di corruzione dei valori
umani conducente all’annichilimento dell’uomo. Questo giovane convertito, Paolo Jafar, confessò
di aver visto il fascismo come ultimo bastione in difesa dei valori umani, per cui era divenuto un
militate pro-islam in un gruppo di estrema destra. Più tardi, era venuto a conoscenza de Il puro
islam e aveva quindi cominciato a “sentire l’altro come un fratello”. 9
E’ anche da notare che alcuni convertiti confluiti della shi’a italiana vengono invece dalla
“sinistra”, come nel caso di alcuni molto giovani all’epoca del sorgere della rivoluzione islamica in
Iran e da questi attirati. Ecco l’esperienza del ferroviere Mustafa, proveniente dal sud Italia,
convertito nel 1979 quando era ventunenne:
Fui colpito dalla rivoluzione iraniana. Ero particolarmente impressionato da questo evento
religioso: venivo da una famiglia cattolica praticante, ma qualcosa mi aveva sempre tenuto
distante dalla chiesa, ed ero diventato un sorta di estremista di sinistra. Dopo cinque anni di
matrimonio anche mia moglie si è convertita all’islam.10
Una certa convergenza dalle due estremità extra parlamentari nella comunità musulmana è
vista con preoccupazione da molti osservatori, dai servizi segreti italiani agli stessi musulmani. Per
quanto riguarda la comunità sciita, il gruppo che fa riferimento all’associazione di Napoli è stato in
4
passato bersaglio di diatribe per alcune posizioni apertamente intolleranti apparse sul bollettino Il
puro islam. Nell’aprile del 1997 accadde un significativo episodio. Il Corriere della sera aveva
accompagnato un articolo sulla possibilità di un attacco al Papa con una lista di bollettini etichettati
come “giornali delle frange islamiche estremiste”. 11 Nella lista compariva anche Il puro islam
definito “un giornale per la comunità musulmana […] i cui articoli esaltano i kamikaze islamici
[…] e chiamano alla jihad”.
La denuncia rimbalzò nel seno di un altro gruppo, l’Associazione di informazione e cultura
Italo-Persiana, con sede a Roma, la quale, tra le altre attività, provvedeva alla pubblicazione di un
bollettino chiamato Name –ye parsi (Lettera persiana). L’associazione, fondata da un gruppo di
persone vicine ad alcuni rappresentanti ufficiali del governo iraniano con sede a Roma era per lo più
volta ad aumentare e migliorare i legami culturali ed economici tra Italia e Iran. Quindi il suo
bollettino, pubblicato dal 1997 al 2001, ospitava articoli su specifici aspetti della cultura persiana,
su episodi di storia comune tra Italia e mondo islamico (soprattutto nella sua versione sciita), e sulle
prospettive d’investimento in Iran, essendo il suo target essenzialmente il mondo economico
finanziario italiano (l’associazione era anche uno dei promotori della Camera di Commercio ItaloIraniana). In questa prospettiva, l’Associazione tentava il suo meglio per mettere in luce gli aspetti
più affascinanti – e perlopiù sconosciuti in Occidente – dell’Iran, denunciando al contempo la
pungente campagna anti Iran/islam perseguita dalla maggioranza dei media italiani. A questo
proposito, una delle rubriche fisse del bollettino era dedicata ai più eclatanti pregiudizi ed errori di
valutazione sull’islam apparsi nella stampa e alla tv.
Ma nel numero del 5 maggio del 1997 il criticismo di Lettera persiana non si rivolgeva contro
giornalisti italiani bensì contro Il puro islam. In un articolo durissimo e puntuale “ A chi serve il
“Puro Islam”?” lo staff editoriale di Lettera persiana prendeva le distanze dal bollettino dell’Ahl Al
Bayt napoletana:
La copia [de Il puro Islam] giunta in nostro possesso è il n. 4/5 dell’ottobre-novembre
1996. L’abbiamo letta…e ce ne siamo immediatamente ritratti. Inorriditi. Indignati.
Preoccupatissimi. Il puro islam è un’espressione di puro delirio intollerante. […] [vi sono]
varie pagine di esegesi, o piuttosto di sommaria enunciazione, dei testi sacri islamici, scritte in
stile differente: ma si può ritenere si tratti soltanto di approssimate “traduzioni” da volumi –
ben diversi per spessore, validità, impostazione e toni – editi dai Centri di cultura religiosa. I
brani sono “tagliati” e accostati frettolosamente, spesso contraddittoriamente, all’unico scopo
di consentire deduzioni (tanto più enfatiche quanto più contorte) circa la dottrina dell’Islam e
dello Sciismo. Il trauma, il vero e proprio shock arriva con l’inserto centrale, dal titolo Bianco
e nero/dedicato ai negri bianchi; quattro pagine di assoluto delirio che partono da Malcom X
per giungere…non si capisce dove. […] Ciò che -purtroppo- si riesce a cogliere è davvero,
come suggeriva il Corriere della Sera, il continuo invito all’odio contro i “nemici dell’islam”
chiamati “diabolici” ,“oppressori”, “divoratori di immondo suino” e l’inquietante
esortazione a creare “in tutte le città” nuclei di “oppressi o ribelli senza causa”.
L’articolo, firmato da “Kavè” continua prendendo le distanze dal gruppo sciita napoletano:
Anche l’islam sciita, la religione in cui la maggior parte dei collaboratori iraniani di
Lettera Persiana sono stati educati, la religione che vari tra i collaboratori cristiani hanno
voluto studiare ed approfondire, non ha nulla a che fare con l’Islam quale è presentato e
propagandato da questo periodico.
Kavè finisce lanciando un attacco contro un certo tipo di convertiti:
5
Un tentativo di spiegazione è stato proposto appunto da un italiano, il quale ci ha ricordato
che in tutte le chiese vige da sempre l’antico monito: “Guardatevi dallo zelo dei neofiti”. Può
capitare che qualche neo convertito […] si sforzi di diventare “più islamico del Corano” e
perda il senso del limite, della realtà, della logica e del buon senso.
Indubbiamente, l’appello all’islam militante era lanciato da più di un gruppo neo islamico, e la
presenza di estremisti in queste associazioni rischiava di sbilanciarle verso forme di intolleranza.
Posizioni, comunque, in qualche caso ribilanciate e ripensate dopo gli avvenimenti dell’11
settembre 2001, come vedremo.
Scarsa armonia tra associazioni di sciiti in Italia, dunque, perlomeno negli anni ’90 del XX
secolo; tuttavia, la più forte e meglio organizzata comunità sciita, ovvero la Ahl Al Bayt di Napoli,
vanta stretti legami con le comunità sciite internazionali, da quella libanese a quelle britanniche.
Legami transnazionali, tradizione e tecnologia
Le attività del gruppo Ahl- Al Bayt di Napoli sono ben pubblicizzate sul loro sito internet,
www.shia- islam.org: la home page introduce il gruppo e la sua storia (o, piuttosto, la storia della
pubblicazione de Il puro Islam, alle cui precedenti edizioni il lettore può accedere direttamente on
line). Dalla home page si ha accesso ad una serie di informazioni sulle teorie islamiche sciite che
variano, così come mutano periodicamente i links. Restano punti fermi alcuni elaborati di
introduzione allo sciismo duodecimano, 12 il perché sia preferibile alla versione sunnita, uno
sguardo alla presenza sciita nel mondo storico e contemporaneo, una storia dei quattordici
personaggi di riferimento dello sciismo, 13 nonché una finestra dedicata alla figura femminile
nell’islam. Restano anche fissi alcuni servizi quali un calendario islamico, l’orario delle preghiere
quotidiane, e la pubblicità di alcuni manuali preparati a cura dell’associazione e acquistabili dagli
interessati, fra cui spiccano alcuni testi scritti da Ruollah Khomeini, il vate della rivoluzione
islamica d’Iran.
I links offerti dall’associazione portano direttamente alla Innovative minds, un gruppo islamico
stanziato oltremanica, che si definisce: a young software house specialising in the application of
Internet and multimedia technology for promoting a better understanding of islam in the west.14
Questo gruppo sciita del Sussex promuove la conoscenza dell’islam anche attraverso la produzione
di CD Rom, giochi per bambini, biglietti di auguri e così via.
La sua home page è particolarmente interessante e offre, tra l’altro, un elenco aggiornato di marchi
da boicottare in quanto legati a Israele (Boycott Israeli Goods, tra cui spicca il boicottaggio della
catena di fast food Mc Donald’s e della Coca Cola; alcune interviste a personaggi di spicco del
mondo religioso ebraico che criticano la politica sionista di Israele; la campagna di supporto alle
donne che vogliono indossare il velo in paesi in cui ciò è ampiamente sconsigliato, quali la Turchia
e – recentemente – la Francia; periodici aggiornamenti sulla situazione palestinese; una rubrica
dedicata al premio per “islamofobia” (le ultime edizioni sono state vinte rispettivamente da George
W. Bush e Ariel Sharon).
Anche una scorsa home page della Ahl Al Bayt napoletana aveva un occhiello dedicato alla
campagna “Boicotta Israele”, nonché un interessante link offerto a chi abbia quesiti sulla religione
sciita con risposte direttamente fornite da ulama del Centro islamico di Londra.
6
Un occhiello ora apparentemente disconnesso congiungeva il sito a quello dell’emittente televisiva
libanese al Manara che si presenta come un mezzo per “to stage an effective psychological warfare
against the Zionist enemy”.
In questa pagina vi è anche una finestra intitolata “Intifada unica soluzione” con link al
Palestine Monitor, operato da un gruppo militante pro- Palestina. Tutti gli animatori di questi link,
oltre ad invocare un legittimo supporto alla causa palestinese, hanno un approccio alquanto
aggressivo verso la politica israelo-statunitense in Medio Oriente.
Com’è intuibile, l’associazione italiana è legata al cordone ombelicale dei paesi in cui lo
sciismo è nato e si è sviluppato: Iraq, Iran, Libano. L’ayatollah Seyyed Ali Khamenei, guida
spirituale della Repubblica Islamica d’Iran, è considerato il marja’at taqlid,15 ovvero la fonte
d’imitazione per la comunità sciitica internazionale, compresa quella italiana, e quindi frequenti
sono estratti di discorsi condotti da Khamenei tradotti in italiano e pubblicati sul sito al Ahl Al
Bayt, soprattutto in occasione di eventi internazionali importanti o in occasione di celebrazioni
religiose islamiche. Ovviamente l’ayatollah di Tehran dispone di un proprio sito, attraverso il quale
può essere contattato, espresso anche in inglese e francese, come la maggioranza degli ayatollah
sciiti, alcuni dei quali, oltre che essere “leggibili” nelle maggiori lingue del mondo islamico (arabo,
persiano, urdu, turco) sono tradotti in inglese, francese, e persino, come nel caso dell’ayatollah
Makarem Shirazi, in italiano. 16
Religiosi facenti capo alle suddette organizzazioni sciite locate in Medio Oriente sono stati in
passato invitati dai gruppi sciiti italiani per presenziare a celebrazioni di eventi religiosi, che sempre
più regolarmente si svolgono in località turistiche dell’alto adriatico (Rimini) dove la recettività è
ampia e i prezzi più accessibili di altre località della penisola.
In alcuni casi, religiosi iraniani e libici sono intervenuti per insegnare a veri e propri seminari rivolti
a fedeli sciiti, come fu il caso del Hojjat al eslam Abbas shameli, dell’Istituto di Ricerca Khomeini
di Qom, che tenne un seminario intitolato “Irfan, il sentiero spirituale dell’islam” a Cervarolo di
Villa Minozzo (RE) nell’estate del 2002.
Il seminario si inseriva in un ciclo iniziato con il nuovo millennio, pubblicizzato dalla Ahl Al
Bayt napoletana in collaborazione con gruppi sciiti locati in Emilia Romagna e con comunità sciite
europee, consistente in una serie di seminari estivi annuali da condursi in un’amena località
dell’Appennino tosco-emiliano. Scopo del ciclo di seminari è proprio quello di rafforzare i legami
di fratellanza fra i membri delle varie comunità sciite europee. Per cui, sciiti provenienti da varie
località italiane e nord europee hanno l’opportunità di incontrarsi per un approfondimento di alcune
tematiche legate alla religione musulmana sotto la direzione di prominenti ulema.
L’accomodamento è spartano (viene richiesto di portare con sé le proprie lenzuola) ma in compenso
assai economico, tale da favorire la partecipazione di intere famiglie (130 euro per gli adulti, 50 per
i bambini sopra i nove anni mentre per i più piccoli è gratuito per una settimana di vitto e alloggio
oltre al corso).
Tema del seminario di quest’anno, tenutosi dal 18 al 23 luglio, era “Vita e comportamento dei
musulmani in Europa alla luce degli insegnamenti dell’islam” e le lezioni erano tenute
dall’ayatollah Waezi, responsabile del Centro islamico di Stoccolma e rappresentante in Europa
dell’ayatollah Khamenei; ennesima prova della volontà “europeista” degli sciiti nostrani.
Anche nell’edizione passata (2003) vi era stata una rappresentanza svedese, capeggiata
dall’Hojjat al eslam Hamed Al Thaery, imam del venerdì del Centro islamico di Stoccolma. In
un’intervista, l’imam aveva descritto l’attività del centro, anch’esso collegato all’Assemblea
Mondiale dell’Ahl Al Bayt, e punto di riferimento per le questioni islamiche sul territorio svedese.
Intervistati a cura dell’Ahl Al Bayt napoletana, i due leader del medesimo centro si erano
espressi in modo alquanto diverso per tono e contenuti. L’imam Thaery, pur ammettendo che i
rapporti con la società svedese “in linea di massima non sono cattivi”, aveva stigmatizzato il
7
comportamento del mondo non islamico internazionale, accusandolo di non desiderare nessun
dialogo con l’islam. “Noi musulmani abbiamo lanciato l’idea di questo ‘dialogo tra le civiltà’ per
dimostrare la falsità dell’accusa secondo la quale non vogliamo dialogare con chicchessia.
Purtroppo, per esperienza, fino a questo momento, ci ha dimostrato l’inutilità di questo nostro
sforzo sulla via di un costruttivo dialogo”.17 L’imam svedese aveva continuato lamentando come
scrittori quali Salman Rushdie e Taslima Nasrin che avevano insultato il credo dell’islam fossero
stati abbondantemente premiati dalla società occidentale, mentre il filosofo francese Roger Garaudy
fosse stato accusato di negazionismo allorché aveva ridotto la portata del genocidio ebraico durante
la seconda guerra mondiale. Per l’imam Thaery, “questa è una prova della falsità dell’Occidente:
quando si enunciano punti di vista diversi da quelli propinati dalla propaganda sionista, allora è
‘antisemitismo’, quando si parla contro i musulmani è ‘libertà di parola’.” 18
Meno polemico invece è senz’altro più pregnante il messaggio dell’ayatollah Mohammad Said
Waezi, iracheno formato in patria e in Iran.
Per Waezi “non c’è nessuna contraddizione tra l’essere fedeli in un mondo laico. La fede va
sempre rispettata. Ma consiglio anche di rispettare quella degli altri. Condurre un’esistenza
improntata alla convivenza, evitando i contrasti”.19
Dimostrando malleabilità e lungimiranza, Waezi esprime la liceità di musica e sport per i
giovani musulmani, in quanto “ il Corano suggerisce di usufruire della bellezza del creato. Una
manifestazione della bellezza è l’arte. La musica, il cinema, il teatro sono espressioni dell’arte.”20
Inoltre “non c’è differenza di comportamento da seguire per le donne e gli uomini. Anche le donne
devono tener presente i precetti e i doveri islamici. […] quello che sottolineo è che bisogna
mantenere la propria fede e i propri costumi, rispettando la fede e i costumi degli altri. Mai
offendere la croce appesa in una scuola.”21
L’ayatollah Waezi si esprime con equilibrio e avvedutezza anche in merito alla questione,
scoppiata contemporaneamente alla sua visita in Italia, della classe liceale per soli studenti
musulmani da creare a Milano. Premesso che “non ha informazioni sul caso” ma secondo il leader
sciita “in una società libera bisogna offrire l’opportunità, a chi ne facesse richiesta, di acquisire le
conoscenze di una determinata fede in una scuola specifica, A Stoccolma esiste la scuola per
studenti musulmani, e io faccio parte del Consiglio direttivo, in cui l’orientamento è islamico, come
esistono anche le scuole cattoliche. Tuttavia se l’intenzione fosse quella di creare contrapposizione
tra i giovani e la società che li circonda, allora la scuola specifica non è ammissibile”. 22
L’ayatollah di Stoccolma è fiducioso anche sull’atteggiamento della società europea nei
confronti dei musulmani in quanto non ha “sentimenti di ostilità verso la comunità islamica”:
piuttosto sono stati “i mezzi di informazione che in questi ultimi anni hanno cercato di diffondere
un’immagine negativa dei musulmani”.
Equilibrato è anche il giudizio di Waezi nei confronti della contestazione cui era stato fatto
oggetto lo Sheikh Youssef Qaradawi (personaggio sunnita indicato come vicino all’associazione dei
Fratelli Musulmani) in Inghilterra: Waezi non condivide tutte le riflessioni dello sheikh sull’islam,
ma è convinto che la contestazione sia perlopiù frutto della campagna tesa al divide et impera delle
società islamiche. 23
Cosa è cambiato dopo l’11 settembre 2001
Com’è noto, gli eventi del settembre 2001 e successivi hanno provocato un grande
cambiamento nella percezione globale del mondo islamico. La crescente islamofobia dei media ha
rinforzato l’equazione islam=terrorismo e membri della comunità musulmana in Occidente sono
8
continuamente attaccati – e non solo verbalmente – dall’opinione pubblica. Gran parte della
associazioni di musulmani sparse nel mondo hanno sentito la necessità di dissociarsi ufficialmente
dagli autori del disastro delle Torri Gemelle, e così hanno fatto pure la maggioranza delle comunità
musulmane italiane, producendo documenti di condanna all’attacco e di solidarietà alle vittime.
Dopo la reazione iniziale, molte comunità musulmane hanno iniziato un profondo processo di
ripensamento a proposito di tematiche etiche e soprattutto in merito ai loro rapporti con il mondo
non musulmano. Sfortunatamente il post 11 settembre ha significato anche una serie di asserzioni
apologetiche quanto assurde sulla “compensazione” che gli Stati Uniti avrebbero avuto per colpa
della loro politica nel Medio Oriente.
E’ quindi interessante guardare ciò che a proposito ha espresso l’Associazione Ahl Al Bayt
attraverso il suo giornale (Il puro Islam) e il suo sito web, come la posizione “ufficiale” dello
sciismo italiano. Il gruppo napoletano infatti è in qualche modo legittimato anche da molti gruppi
sunniti italiani: quasi tutti i siti sunniti italiani hanno un link con la Ahl al Bayt e i leader sunniti da
me contattati per conoscere la loro opinione in merito allo sciismo hanno consigliato di contattare il
gruppo napoletano.
Anche le considerazioni dell’Ahl Al Bayt post 11 settembre si muovono nella prospettiva
dell’uso dell’attacco terrorista all’America come scusa per perpetuare e esacerbare l’ostilità
Occidente/Oriente, come alternativa per divergere l’attenzione internazionale dalla brutale
occupazione israeliana della West Bank di Gaza e come pretesto per attaccare le società islamiche
in tutto il mondo.
Seguendo l’approccio iraniano/sciita al regime dei Taleban, in un bollettino lanciato on line
durante la guerra in Afghanistan, la Ahl Al Bayt sottolineava come i mass media, appellando come
“islamici” i signori di Kabul, rinforzasse la connotazione negativa dell’islam e compiacesse
l’Occidente con l’equazione feroci Taleban=musulmani. Il rapporto degli sciiti napoletani
continuava con asserzioni che sarebbero diventate luogo comune di là a poco, sottolineando gli
stretti legami tra Taleban e Stati Uniti durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan, puntando un
dito accusatore verso l’Arabia Saudita e prendendo le distanze da quel “non islam”.
Mentre gli echi del post 11 settembre e della questione afgana si affievolivano parzialmente ma
solo per dar fiato alla nuova, drammatica, “questione irachena”, la Ahl Al Bayt inaugurava un
nuovo modo per esprimere le proprie opinioni sollecitando, al contempo, quelle di affiliati e
“curiosi” attraverso un forum on line. Qui pareri ufficiali dei leader della Ahl Al Bayt italiana e
internazionali si alternano con opinioni, quesiti, polemiche di chiunque si iscriva al gruppo di MSN.
Fra anatemi per l’occupazione militare dell’Iraq e estratti di sermoni di ayatollah in materia,
sono interessanti le risposte a quesiti che neo sciiti pongono alle autorità in tema di etica, di fede, di
quotidiano comportamento all’interno della società italiana. Ci si interroga sulle procedure da
seguire alla nascita di un figlio, su come controllare che i cibi venduti nei supermercati non
contengano sostanze proibite ai musulmani, sul comportamento da tenere nei giorni “santificabili”
dai musulmani (per esempio il venerdì, giornata non festiva in Italia), sull’abbigliamento
indossabile dalla donna musulmana. Alcuni scambi sono particolarmente vivaci per l’inserimento di
interlocutori anche francamente provocatori, ma è comunque possibile trarre le conclusioni, ovvero
il pensiero del gruppo sciita Ahl Al Bayt come regolatore della comunità sciita di riferimento nel
nostro paese.
Iniziamo dalla vexata questio del velo: in un messaggio del 230 giugno 2004, si riportano
“alcune regole riguardanti la donna secondo i verdetti dell’imam Khomeini”, che prevedono tra
l’altro:
la donna, in presenza di non mahram maturi islamicamente,24 deve coprire tutto il corpo,
eccetto le mani fino ai polsi e la parte del viso che è obbligatorio lavare durante l’abluzione;
9
per la preghiera se non sono presenti non mahram può anche mostrare i piedi fino al malleolo,
se sono presenti non mahram deve coprire anche i piedi.
Se le mani e il viso sono abbelliti. Deve coprirli.
Se viene osservata con desiderio: per non cadere in peccato è necessario che copra anche
le mani e il viso.
Da altre donne: è obbligatorio coprire le parti intime; da uomini mahram: è obbligatorio
coprire le parti intime ed è meritorio coprire il corpo dall’ombelico al ginocchio. Dal marito:
può mostrare tutto il corpo.
E’ chiaro che l’arcigno fautore della Rivoluzione islamica contemplava una versione assai
ristretta di hejab 25 per le donne sciite, ma è interessante vedere alcuni risvolti sul concetto di abito
da parte dell’imam Khomeini e dei suoi seguaci poco conosciuti in Occidente:
Proprietà dell’abito: l’abito deve essere di colei che lo indossa o di qualcuno che dia il
permesso per il suo utilizzo. Anche nei seguenti casi l’abito viene considerato usurpato: non
paghi l’abito quando lo compra; non abbia intenzione di pagarlo; lo paghi con i soldi che
avrebbe dovuto utilizzare per dare il khums;26 nel momento in cui lo compra abbia intenzione
di pagarlo con i soldi che avrebbe dovuto utilizzare per dare il khums.
Abiti insoliti: non bisogna indossare abiti il cui colore o modello siano insoliti per la
persona che li vuole indossare e attirino l’attenzione della gente.
L’uomo non deve indossare abiti che sono femminili e la donna non deve indossare abiti
che sono solo maschili. Un abito che vesta le parti obbligatorie da coprire è sufficiente, però
secondo l’imam Khomeini il ciador è il miglior hejab.
Non bisogna indossare abiti provocanti o seducenti.
Da quanto sopra si evince che per i musulmani sciiti (e non solo per loro) la questione
dell’abito non si riduce solo all’amletico dubbio velarsi o non velarsi, ma, dando per scontato il
dovere per la donna di velarsi in presenza di estranei, entra anche nel merito dell’acquisto
dell’abbigliamento e del suo utilizzo corretto.
Che il precetto coranico rivolto alle musulmane di “essere caste e di non mostrare, dei loro
ornamenti, se non quello che appare” sia un chiaro comando all’uso del velo non è messo in
dubbio dall’Associazione Ahl Al Bayt: nel numero de Il puro Islam dello scorso aprile 2004,
interamente dedicato alle vicissitudini del velo islamico in Francia (Francia: la paura del velo
islamico è il titolo del n. 10) l’editoriale (La questione dell’hejab) ribadisce che
In tal versetto appare chiaro che Allah, il Clemente, il Misericordioso, ordina alle sorelle
d’indossare quello che noi musulmani definiamo l’hejab, il vero ornamento per ogni donna
musulmana. Un chiaro precetto della nostra religione che noi credenti abbiamo l’obbligo, che
ci viene da Dio, di osservare.27
L’articolo continua criticando la Francia “mostruosamente razzista e intollerante, principale
avversaria sul continente europeo dell’Islam”, preoccupata del fatto che “Gli occidentali, privi
come sono di riferimenti forti cui fare affidamento per fronteggiare i ritmi frenetici delle società
moderne, l’ateismo di massa, l’idolatria più ipocrita e il laicismo eretto a sistema, potrebbero
trovare nell’Islam la soluzione organica.” E dà una definizione singolare di quello che è il velo per
le donne occidentali: “ il velo per le donne occidentali significa percorrere un cammino esistenziale
che porta all’autonomia intellettuale, al coraggio di esprimere liberamente la propria scelta
religiosa, all’indipendenza di giudizio. Scegliere di vivere secondo il credo islamico per le donne
occidentali non implica abbandonare del tutto la propria personalità; bensì significa imparare ad
ascoltare la propria femminilità in modo diverso, sicuramente più autentico, sul sentiero di
10
equilibrio, armonia e pudore che il Corano insegna alle credenti allo scopo di donare serenità allo
spirito sia individuale che comunitario. 28
L’articolo continua su questo tono, sottolineando l’opportunità che hanno le neo convertite
velate “di guadagnare immensi benefici nell’Aldilà con un gesto così naturale e semplice” e
ribadendo un concetto chiave per le società islamiche: “Le donne sono pilastri indispensabili della
società che crolla inevitabilmente se esse si abbandonano ad una condotta lasciva e lussuriosa. Ma
se le donne sono forti nel difendere sia la loro dignità umana sia il rispetto loro dovuto quali
moglie e credenti, ci sarà un riscatto anche per l’intera società.29
Il numero ospita altri interventi in materia, tutti contrari alla presa di posizione delle autorità
francesi, da quella di Zahra Mustawafi Khomeini, figlia del defunto Imam, a quella di Hesam
Musavy, docente universitario e direttore generale della sezione economica della Fondazione
intitolata all’Imam Khomeini per la regione del Fars, nel sud dell’Iran; ma anche di semplici fedeli
sciite italiane, tra cui quella di una liceale quindicenne, “musulmana di nascita” come ella stessa si
definisce.
Interessante anche un brano dedicato alla posizione della madre in seno alla famiglia islamica,
posizione, secondo l’articolista, che a volte viene svilita e svillaneggiata dalla componente maschile
della famiglia stessa: ci sono mariti che non trattano la moglie come dovuto, e che con le loro
“continue critiche e recriminazioni davanti ai loro figli tolgono alla madre autorità”, o che si
permettono di scherzare davanti ai figli in tema di poligamia con battute tipo “sono stufo di vostra
madre”. Secondo l’articolista, è una situazione “più comune di quanto di pensi” e si pone quindi di
“correggere modelli e atteggiamenti negativi che si sono cristallizzati nel tempo e che sono dannosi
per tutta la società islamica, portando all’interno della famiglia incomprensioni e risentimenti
invece che amore e armonia”. 30
Segno tangibile che almeno una parte della comunità islamica-sciita si rende conto che non può
mantenere un atteggiamento solo apologetico nei confronti della figura femminile, caricandola di
tutte le responsabilità di tenuta della società, ma che c’è anche bisogno di intervenire in merito a
comportamenti e situazioni – soprattutto nel privato – che sono contrari e diametralmente opposti
agli insegnamenti islamici.
Un altro punto che infiamma la discussione del gruppo di discussione msn è il conflitto
iracheno e alcune delle problematiche da esso scatenate. In particolare, è degno di attenzione
l’atteggiamento che gli aderenti alla Ahl Al Bayt hanno nei confronti del problema . Scontata la
totale disapprovazione dell’occupazione degli Stati Uniti e dei loro alleati nel paese mesopotamico,
posizione reiterata e rafforzata nel sito da prese di posizione in materia non solo di autorevoli
esponenti del mondo islamico internazionale, soprattutto sciita, ma corroborata anche da inserzioni
di testimonianze di addetti stampa (italiani e stranieri), di influenti personaggi del mondo politico
italiano contrari all’intervento e alla prolungata occupazione, nonché da interviste a militari italiani
di ritorno dalla missione irachena che denunciano violenze, abusi e furti compiuti da loro
commilitoni contro la popolazione civile.
Sul controverso quesito riguardante la resistenza irachena (ovvero: si tratta di resistenza o di
barbari assassini?), i gestori del sito sembrano propendere per definire quanto sta accadendo in Iraq
come epifenomeni di resistenza, salvo bollare come “azioni [dietro alle quali] si celano i servizi
segreti Usa e sionisti, e non musulmani”, secondo quanto dichiarato dall’Imam Khamenei, alcune
esecrabili comportamenti quali il rapimento e l’uccisione di ostaggi civili. 31
Nei messaggi è anche esplicita la dichiarazione che “il mondo islamico ha a disposizione
milioni e milioni di persone pronte a sacrificare la propria vita in difesa della propria fede e dei
propri valori, sul sentiero di Dio e della Resistenza, e non certo del terrorismo di Al-Qaeda creato
dagli USA, e funzionale ai suoi progetti.”32
11
A questo punto s’impone una parentesi. La questione del sacrificio e dei “kamikaze”33 nel
mondo islamico si è acutizzata con l’aggravarsi della crisi palestinese e con gli sviluppi della
situazione irachena; ma non è storia recente. Il suicidio politico è stato praticato nel mondo islamico
sin dai suoi albori soprattutto in seno a eresie e sette estreme: per quanto riguarda gli sciiti, la loro
stessa raison d’être appoggia su una situazione di martirio. L’episodio che in pratica segna la
nascita della shi’a è il martirio patito da Hosein, figlio del califfo Ali e nipote del profeta
Mohammad, quando nel 680 affrontò insieme a un manipolo di seguaci le truppe del califfo sunnita
Yazid, ritenuto un usurpatore dagli sciiti, nella piana di Kerbela, in Iraq. Hosein e i suoi, prima di
essere uccisi, vennero privati dell’accesso all’acqua del fiume Eufrate, e per dieci giorni del mese di
Moharram, primo mese del calendario lunare islamico, soffrirono la sete nella calura del deserto. Il
dieci di Moharram, conosciuto come asciura, Hossein e i maschi dell’accampamento furono
massacrati dall’esercito del califfo, le loro teste vennero inviate al califfo in trofeo insieme alle
donne, fatte prigioniere.
Da allora gli sciiti commemorano annualmente il martirio di Hossein e dei suoi seguaci nei
primi giorni del mese di Moharram (soprattutto nel giorno di asciura): il dramma di Kerbela
assurge a simbolo di supremo sacrificio, di martirio di Hossein e di conseguenza di tutti gli sciiti ad
opera degli usurpatori. L’immaginario sciita si riconosce in un’entità di perseguitati e di sconfitti e
durante Moharram la commozione coinvolge l’intera comunità sciita che si identifica con i martiri, i
giusti, gli offesi, coloro che hanno il diritto di soffrire e di esprimere senza ritegno la propria
sofferenza. I rituali, alquanto complessi, costruiti nel corso dei secoli, sono sentiti come momento
liberatorio, una catarsi collettiva in cui la comunità ritrova se stessa. Vengono inscenate
rappresentazioni di quanto accadde nella piana irachena nel VII secolo, che muovono al pianto gli
astanti, mentre in processioni organizzate dai vari quartieri i fedeli maschi si flagellano in
“espiazione” di quanto accaduto al loro leader Hossein.
Il paradigma di Kerbela è diventato un momento centrale e cruciale della prima fase della
rivoluzione islamica d’Iran, quando il paese si è trovato a fronteggiare, oltre alla crisi interna, la
guerra contro l’Iraq di Saddam Hossein. L’imam Khomeini ha orchestrato una resistenza iraniana
basata soprattutto su una martellante propaganda che usava i simboli del martirio di Hossein:
fontane grondanti sangue dei martiri, enormi manifesti che sovrapponevano le immagini dei soldati
caduti al fronte con quelle immaginarie dei soldati di Hossein, immagini su banconote e francobolli
che inneggiavano ai martiri d’ogni epoca e così via. 34
Anche nell’Iran post bellico tali rituali hanno un’enorme importanza, così come sono cruciali
in alcune zone del Libano, della Turchia, in India e nei paesi del golfo dove vi è una minoranza
sciita. Recentemente, a seguito della fine del regime di Saddam Hossein, le celebrazioni hanno
preso vigore anche in Iraq. Si tratta di momenti clou della comunità sciita, in cui si rafforzano i
legami con la tradizione passata ma anche si afferma con vigore la propria identità.
E’ chiaro quindi quanto importante sia per gli sciiti il concetto di sacrificio, di una perenne
espiazione, dell’immolarsi per una giusta causa, concetti peraltro rafforzati da un reiterarsi di
immagini simboliche che fanno sempre parte dell’apparato iconografico che accompagna ad
esempio le pubblicazioni sciite o le campagne pubblicitarie del regime di Tehran (tulipani rossi,
simbolo di sacrificio, madri avvolte in neri ciador che offrono la vita dei figli per “giuste” cause,
colombe dalle ali macchiate di sangue, giovanissimi soldati con la fronte cinta da fazzoletti
inneggianti a Dio e a personalità sciite magari macchiate di sangue ecc.).
Superfluo quindi chiedere se la cultura sciita appoggi o meno il sacrifico della vita del fedele
per quella che lui ritiene una giusta causa.
Ma poiché spesso il sacrificio di martiri islamici coincide con azioni terroristiche – e non solo
ai danni degli occidentali, anzi, si può affermare che perlomeno negli ultimi anni siano stati
12
compiuti più attentati rivolti contro altri musulmani, si veda in primis quanto sta accadendo nel
martoriato Iraq – sarà interessante vedere cosa pensino in proposito gli sciiti nostrani.
A questo proposito, nel sito di Ahl al Bayt è stato pubblicato il 21 settembre 2004 una
dichiarazione a cura dell’ayatollah Mohsen Araki su “Il principio della sicurezza pubblica e del
terrorismo secondo la prospettiva dei diritti islamici”.
Nel documento si ribadiscono principi elementari dell’islam quali “Ogni essere umano ha
diritto alla propria vita, alla proprietà, alla salvaguardia della castità e della reputazione, e la
violazione di questi non è permessa”; e versi coranici come “chiunque uccida un uomo che non
abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra sarà come se avesse
ucciso l’umanità intera” (Sura 5, 32).
Vi sono altresì affermazioni dell’ayatollah Araki degne di attenzione, quali: “la guerra è
permessa solo a condizione che venga condotta contro la tirannia di un oppressore, al fine di
fermarla ed abolirla. Quindi nelle guerre è proibito violare, trasgredire la sicurezza di persone che
non hanno nessun ruolo nell’oppressione o di coloro che sono vittime di questa stessa”.
Quanto sopra è evidente sancisca la legittimità della lotta di palestinesi ed iracheni, che lottano
contro gli oppressori (rispettivamente israeliani e statunitensi), ma proibisca azioni cruenti, ad
esempio, sui volontari di organizzazioni umanitarie o sui giornalisti.
Oltre a ciò “In guerra, donne e bambini e anziani impegnati nella loro vita quotidiana non
devono essere esposti alle aggressioni e all’ingiustizia, anche se questi appartengono alla nazione
del nemico e anche se i loro bambini vengono utilizzati come difensori e visti come nemici. Questo
principio è quello di proteggere i civili (donne, bambini, anziani e malati) dalla violenza diretta nei
loro confronti da un qualsiasi aggressore.”
Poi, l’ayatollah analizza il concetto del terrorismo dal punto di vista della giurisprudenza
islamica. Egli definisce il terrorismo in quanto:
“Il terrorismo può significare ogni tipo di negazione della sicurezza delle persone ordinarie,
vale a dire di coloro che non interferiscono sulla sicurezza degli altri. Tali persone sono civili
non-militari che non si stanno preparando per nessun tipo di azione militare. […] Il terrorismo
così definito è un serio crimine.”
E ancora:
“Il terrorismo può significare un passo preso al fine di negare il diritto alla vita di un
individuo o di un organismo. La probabilità o la possibilità di giungere a tal livello non
autorizza la vendetta poiché una persona non può essere punita per un atto che non è stato
compiuto. E’ sia lecito che necessario prendere misure di sicurezza al fine di prevenire atti
criminali, ma tali misure non devono violare la sicurezza di nessuno che non abbia commesso
un crimine”.
E’ chiaro anche da quanto segue che l’ayatollah ribalta l’accusa di terrorismo al mittente
americano:
“Il terrorismo può essere definito come la negazione della sicurezza degli altri quando
questi non sono i veri trasgressori. Ciò può essere incoraggiato da un paese potente al fine di
fornire una giustificazione per combattere i criminali ma che di fatto elimina la sicurezza degli
altri sotto il pretesto di combattere il terrorismo e al fine di diffondere la trasgressione e
l’oppressione contro gli esseri umani, legalizzando le proprie basse gesta.”
E’ altresì vero che tutto quanto esposto da Araki può essere applicato alle azioni rivendicate da
sedicenti organizzazioni terroristiche islamiche: anche se non è una chiara presa di posizione, pure
si evince la condanna per le azioni che colpiscono civili anche se utilizzati come difensori e visti
13
come nemici, quindi l’anatema è estensibile anche alle esecrabili operazioni condotte da al-Qaeda e
i suoi epigoni.
Inoltre, l’ayatollah ribadisce l’illiceità della tortura, riportando un detto dell’imam Ali: “non
torturate poiché ho sentito dire dal Profeta: - Non torturate nessuno, neanche se si tratta di un cane
impazzito”.
Monito ai carcerieri di Guantanamo ma anche alla galassia incontrollata di sequestratori e
terroristi vari che presumono di agire sotto la protezione di Allah.
Sciiti loro malgrado
Nell’ondata di interesse sia sincero che in malafede (ovvero nel tentativo di eguagliare l’islam
al terrorismo) provocato dall’attacco alle Twin Towers, le guerre in Afghanistan e in Iraq e
dall’ondata di tragici avvenimenti internazionali degli ultimi anni, molti musulmani residenti in
Occidente si sono adoperati, tramite scritti e pubblici interventi, a spiegare ai non musulmani “cos’è
l’islam”. Alcuni però, sfiduciati dalla scarsa volontà di molti di staccarsi da stereotipi e pregiudizi,
hanno scelto la strada del silenzio, in un atteggiamento del tipo “qualsiasi cosa diciamo, il ritratto
negativo dell’islam è già forgiato nell’immaginario collettivo”.
Questa attitudine è condivisa anche dai membri dell’Organizzazione Culturale Internazionale
Islamica “Alif”, con sede a Venezia-Mestre, il cui presidente è Wael Farhat, sciita di origini
libanesi. Durante una conversazione tenutasi nell’estate 2002, alla domanda sul perché
l’Associazione da lui presieduta non organizzasse pubblici dibattiti su argomenti pertinenti la civiltà
islamica, Wael Farhat ha mostrato il proprio scetticismo affermando: “La maggior parte della gente
vuole sentire parlare solo degli aspetti negativi dell’islam”.
Farhat, da vent’anni in Italia, sposato con un’italiana, è uno degli architetti che ha proposto la
costruzione di una grande moschea a Venezia: un progetto molto ambizioso, che prevede, oltre al
sito religioso, un centro sociale e culturale annesso al luogo di culto. Su questo progetto, Farhat ha
organizzato tre simposi cui hanno preso parte studiosi italiani del mondo islamico, rappresentanti
delle istituzioni locali (compresi ministri della chiesa cattolica) e ambasciatori dei maggiori paesi
islamici accreditati presso il governo italiano.
Nonostante il suo promotore sia uno sciita, la moschea e le sue attività connesse sono pensate
come multiconfessionali, e si rivolgerebbero sia ai sunniti che agli sciiti, nonché ai membri delle
varie confraternite sufi presenti in Italia. Come Farhat afferma:
“Non credo in una separazione tra sunniti e sciiti, almeno per quanto concerne il punto di
vista strettamente religioso. La mia associazione [ovvero Alif] è aperta a tutti i musulmani”. 35
Di fatto Wael Farhat è presidente di un’organizzazione culturale che offre corsi su vari
soggetti, dal computer alla lingua araba, da corsi di lingua inglese a quelli dedicati alla danza del
ventre, corsi aperti a tutti. Al contempo, egli è l’unico, o almeno il più rilevante, interlocutore sciita
che interagisce con le istituzioni locali quando si tratta di prendere decisioni che coinvolgono la
comunità musulmana locale e il suo interagire con quella non musulmana.
Wael Farhat si definisce un moderato, ed effettivamente lo è; nondimeno la sua moderazione
non è in contrasto con la sua posizione sulla situazione internazionale, alquanto pessimista, né con
la sua critica nei confronti della politica degli Stati Uniti in Medio Oriente, particolarmente dura.
Considerazioni finali
14
Temi come la questione palestinese, quella irachena, e lo squassato ordine mondiale fanno
rimandare ogni questione di separazione “teorica” tra sciiti e sunniti a tempi speriamo migliori. Nel
generale dibattito, presente in tutte le società islamiche, su “dove va l’islam” è una questione
minore, sorpassata dalla più importante distinzione tra islam moderato e islam radicale. 36
A questo proposito è da notare la presa di posizione dell’associazione napoletana di Ahl Al
Bayt a seguito del cosiddetto “Manifesto dei musulmani moderati” apparso sulla stampa italiana il 2
settembre 2004.
In un comunicato apparso sul proprio sito il 6 settembre, l’associazione ha reputato di dover
assumere una posizione particolare rispetto a quella assunta dai firmatari del “Manifesto”.
L’associazione ribadisce che “I musulmani di tutto il mondo, le guide e i popoli, i sapienti
religiosi e le persone ordinarie, hanno condannato e condannano ogni atto di terrorismo atto a
colpire la dignità umana e a diffondere barbarie su scala locale” ; conferma che:
“conformemente agli insegnamenti dell’Islam, condanniamo l’assassinio di esseri umani e
le stragi di innocenti e questa è la nostra posizione categorica, senza discriminazione. Non vi è
alcuna differenza se queste stragi di massa vengono perpetrate a Jenin o a Beslan, a Lahore, a
Najaf e Fallujia, a New York o Madrid.[…] crediamo piuttosto che gli agenti di tali efferatezze
facciano tutti parte di un’unica forza che vuole indebolire e distruggere la pacifica convivenza
tra i popoli.
Esprimiamo dunque solidarietà a tutte le famiglie vittime di ogni tipo di atrocità, ma
condanniamo governi oppressivi e corrotti che attualmente continuano nel loro genocidio
mondiale. Stiamo parlando di quegli Stati che hanno le loro truppe in territori che non gli
appartengono, dove continuano a massacrare le popolazioni native”.
Dopo questo evidentissimo riferimento a Stati Uniti e Israele, l’associazione conferma il
basilare concetto di lealtà dei musulmani al paese che li ospita:
“Noi, in quanto Musulmani italiani e/o residenti in Italia, abbiamo il dovere religioso di
rispettare le leggi e la costituzione dello Stato italiano” ma altresì puntualizza:
“ma non per questo condividiamo e ci sottomettiamo alle sue decisioni sul piano
internazionale, decisioni che ultimamente si sono dimostrate essere nient’altro che atti indegni
nei confronti dei popoli diseredati, quello palestinese e quello iracheno in primo piano. Noi ci
opponiamo alle dichiarazioni dei responsabili dello Stato italiano di complicità del terrorismo
e l’arroganza degli Stati Uniti e Israele. Il rispetto e la convivenza all’interno dello stato in cui
si vive non possono portarci alla negazione dei principi della nostra religione, vale a dire alla
collaborazione con entità che minacciano e violentano famiglie di uomini e donne che altro
non chiedono di poter vivere in pace nelle proprie case.
Il rispetto dello Stato italiano, inoltre, non implica la nostra adesione o condivisione di
valori che sono alla base delle moderne società occidentali, criticati e condannati
frequentemente dalle stesse autorità vaticane,37 oltre che da ogni persona dotata di buon
senso.”
Rispetto per le leggi dello stato quindi, ma profondo dissenso sul suo operato internazionale;
inoltre, volontà di dissociarsi dai firmatari del Manifesto dei musulmani moderati, in quanto, come
recita sempre la dichiarazione si tratta di un “fenomeno che, seppur insignificante davanti a tutta la
Comunità Islamica Mondiale, potrebbe creare alcune incomprensioni nei cuori e nelle menti di chi
sinceramente sia alla ricerca dei veri valori Islamici”.
Valori di cui ovviamente gli aderenti alla Ahl al Bayt si sentono portatori, a differenza di altri:
ulteriore segno della divergenza di vedute in seno all’islam italiano.
15
Questo breve viaggio fra le comunità sciite in Italia induce ad alcune considerazioni. E’
evidente che non possiamo parlare di un’unica comunità sciita organizzata che copra tutto il
territorio nazionale. La maggioranza degli sciiti “di nascita” sono iraniani che si rifiutano di
definirsi tali; altri sono uomini/donne obbligati a convertirsi per sposare un cittadino iraniano. Ci
sono inoltre iraniani e libanesi che seguono la loro confessione senza pubblica esposizione,
seguendo così – consciamente o no – la storica tradizione sciita di celare il proprio credo qua ndo
necessario, soprattutto in circostanze avverse.
La comunità meglio organizzata e più attiva è l’associazione Ahl Al Bayt, con sede a Napoli,
formata quasi interamente da convertiti italiani; strettamente legata a organizzazioni sciite dislocate
sia nel mondo occidentale che orientale, il gruppo napoletano si sta consolidando in un nucleo
autosufficiente anche per quanto riguarda la presenza di un Hojjat al eslam parlante italiano, come
ha dichiarato il suo leader, Ammar Luigi De Martino durante una conversazione telefonica.38
Questa nuova autorità sciita dovrebbe presumibilmente sostituire i leader libanesi, iraniani e
iracheni invitati negli anni passati a presenziare le celebrazioni sciite e i seminari estivi, e potrebbe
costituire un punto di riferimento per tutta la comunità sciita italiana.
E’ quantomeno auspicabile che gli sciiti italiani possano giocare un ruolo cruciale nella nostra
società, non solo come mediatori tra musulmani e non, ma, più generalmente, nella costruzione
europea di un homo islamicus.
1
In quest’articolo si è usata una traslitterazione dei termini arabo-persiani semplificata, mantenendo nelle citazioni la
grafia originalmente usata.
2
Anche se vi sono profonde tracce di presenze musulmane nel nostro paese nei secoli passati, su cui sono state condotte
molte ricerche, in particolare da S. Bono, di cui si ricorda Schiavi musulmani nell’Italia moderna, Edizioni Scientifiche
Italiane, Università degli Studi di Perugia, 1999.
3
Anche se sulla presenza ufficiale di alcune di loro pende una controversia all’interno della stessa comunità sciita.
4
Si ricorda che l’Iran è paese a stragrande maggioranza sciita e dove lo sciismo è religione di stato dal 1501.
5
Primo mese del calendario lunare islamico, in questo mese gli sciiti celebrano le loro ricorrenze principali.
6
Commemorazioni in onore dei fondatori dello sciismo condotte da un officiante che narra gli avvenimenti che hanno
portato al loro martirio.
7
“Islam in Italia”, Missioni Consolata, di Angela Lano e Lucia Avallone, art. pubblicato in rete, giugno 1999.
8
Su questo punto v. S. Allievi, I nuovi musulmani, Ed. Lavoro, Roma, 1999, pp. 81-85.
9
“Islam in Italia”, cit. s.p.
10
Ibid., s.p
11
Corriere della Sera 19 aprile 1997.
12
La principale corrente sciita, maggioritaria nel mondo, che riconosce una catena di dodici imam legittimi come
successori del profeta Mohammad, fondatore dell’islam, corrente cui fa riferimento la Ahl Al Bayt napoletana.
13
Ovvero i dodici imam più il profeta Mohammad stesso e la figlia Fatima, oggetto di culto degli sciiti duodecimani.
14
www.innovativeminds.co.uk
15
Figura esclusiva del mondo sciita, rappresentata da colui che, attraverso i suoi atti, la sua sapienza e moralità, sia
riconosciuto come degno di essere seguito in tutti i punti di pratica religiosa e legale dalla generalità degli sciiti.
16
www.makaremshirazi.org.
17
Intervista pubblicata nel sito di Ahl Al Bayt il 6 dicembre 2003.
18
Ibidem.
19
Intervista pubblicata nel sito di Ahl Al Bayt il 25 luglio 2004.
20
Ibidem.
21
Ib.
22
Ib.
23
Ib.
24
Si tratta di persone di sesso maschile con cui il matrimonio (ovvero il rapporto sessuale) è potenzialmente possibile.
25
Ovvero l’abito islamico.
26
Letteralmente “un quinto” , tassa originariamente pagata al profeta Muhammad e, dagli sciiti, all’imam; ora pagabile
al marja’ at taqlid
16
27
Ibidem, p. 1.
Ib., pp. 2-3.
29
Ib.
30
Ib., p. 23.
31
Precisazione di “Hoseyn” firmatario non solo di numerosi messaggi sul forum, ma anche responsabile dell’aggiunta
di brani ed articoli su fatti ed avvenimenti politici riguardanti il mondo islamico firmati da autorità italiane ed estere.
32
Messaggio del 23 settembre 2004 firmato Hoseyn, v. nota sopra.
33
Si usa questo termine per comodità dal momento che è entrato nel linguaggio comune, pur essendo consapevoli
dell’inesattezza del paragone tra i martiri islamici e quelli nipponici.
34
Per una trattazione esauriente si veda P. Chelkowski-H. Dabashi, Staging a Revolution. The Art of Persuasion in the
Islamic Republic of Iran, New York University Press 1999.
35
Questa e le altre affermazioni di Wael Farhat mi sono state rilasciate nel corso di una conversazione avvenuta
nell’agosto 2002.
36
L’uso dei termini “moderato” e “radicale” è anch’esso di comodo e tende a conformarsi al significato generalmente
dato nel dibattito internazionale dei media ai due termini.
37
Anche il richiamo al papa come condividente alcuni valori islamici è frequente nei comunicati della Ahl Al Bayt.
38
Avvenuta nell’estate 2002.
28