R.Riverso_morti da amianto = vittime del dovere

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R.Riverso_morti da amianto = vittime del dovere
Norme ad processum e morti da amianto “vittime del dovere”
Senza suscitare grandi clamori, in una stagione di decadenza del diritto che
forse passerà alla storia per le c.d. norme ad personam, ritagliate in base alle
esigenze processuali della singola persona del Presidente del Consiglio, un’altra
categoria patologica di norme si va facendo strada; sono norme che potrebbero
chiamarsi ad processum; destinate ad affossare singoli procedimenti. Sotto
l’apparente etichetta di legge di interpretazione autentica vengono emanate
norme che in realtà costituiscono un evidente abuso della funzione legislativa;
commesso da un legislatore che reputandosi onnipotente vorrebbe violare
anche il principio di realtà (per far dire retroattivamente ad un medesimo
enunciato linguistico quello che esso non potrà mai dire). Nella materia
dell’amianto, ne troviamo un esempio recente nel campo penale e civile, grazie
allo specialissimo art.20 del c.d. collegato lavoro.
Roberto Riverso, Giudice lavoro Tribunale Ravenna
1.- Amianto ed ammiragli nel collegato lavoro
Se si vuole impedire che si concluda un processo pendente - ad es. presso il tribunale di
Padova - che vede imputati alti ufficiali della Marina militare per omicidio colposo di lavoratori
(militari) esposti all’amianto; che si fa? ovvio: una norma ad processum.
Dopo oltre 55 anni dalla legge delega 12 febbraio 1955, n. 51 (ai fini delle norme sull'igiene del
lavoro), il legislatore del 2010 si avvede della indefettibile necessità di interpretare
autenticamente (sic!) la stessa legge delega e di stabilire - con l’art. 20 della legge 132/2010
(c.d. collegato lavoro) – che l’applicazione delle norme protettive in materia di igiene sul lavoro
(dettate dal successivo dpr 303/56) non si applicano ai lavoratori viaggianti sulle navi militari.
Si potrebbe far fatica a credere, ma così è: l’art. 20, comma 2 della legge dispone infatti
che….
“ Fermo restando il diritto al risarcimento del danno del lavoratore, le norme aventi
forza di legge emanate in attuazione della delega di cui all'articolo 2, lettera b), della
legge 12 febbraio 1955, n. 51, si interpretano nel senso che esse non trovano
applicazione in relazione al lavoro a bordo del naviglio di Stato e, pertanto, le
disposizioni penali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n.
303, non si applicano, per il periodo di loro vigenza, ai fatti avvenuti a bordo dei mezzi
del medesimo naviglio.
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I provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie
eventualmente intraprese in ogni sede, dai soggetti danneggiati o dai loro eredi, per
l'accertamento della responsabilità civile contrattuale o extracontrattuale derivante
dalle violazioni delle disposizioni del citato decreto n. 303 del 1956.
A nulla è valsa neppure l’opposizione del Presidente della Repubblica Napolitano che, nel
proprio messaggio di rinvio alle Camere del 31 marzo 2010, aveva prontamente censurato
(oltre alle norme sulla clausola compromissoria e sull’arbitrato obbligatorio) questa norma in
materia di amianto, davvero unica per la sua singolarità.
Nel chiedere una nuova deliberazione sul punto, il messaggio presidenziale osservava anzitutto
come la norma fosse esplicitamente diretta ad evitare che alle morti o alle lesioni subite dal
personale imbarcato su navigli militari e cagionate dal contatto con l'amianto, potessero
continuarsi ad applicare - come stava accadendo in procedimenti pendenti davanti ad autorità
giudiziarie - le sanzioni penali stabilite dal DPR 19 marzo 1956, n. 303, che disciplina
l'applicazione di tali sanzioni.
Il Presidente della Repubblica evidenziava inoltre la bizzarria di una normativa che, invece di
intervenire sulla normativa delegata, interveniva in realtà su una legge delega che aveva
certamente esaurito la propria funzione dopo l'adozione della prima (il DPR attuativo n. 303
del 1956); risultando così di fatto una norma inapplicabile e priva di effetti.
Peraltro nella successiva versione, approvata dopo il rinvio presidenziale, questa svista logica è
stata corretta perché ora la norma fa pure riferimento alle disposizioni penali di cui decreto
303/1956.
Tuttavia, poiché è ovviamente da escludere che questa legge potesse eliminare il
carattere penale dell’omicidio e delle lesioni colpose per le vittime militari da amianto;
c’è da chiedersi ancora quale sia la reale portata della normativa.
Sembra infatti ancora da escludere che l’aver stabilito che non si applichino ai navigli militari
le disposizioni penali di cui decreto sull’igiene sul lavoro, possa impedire di configurare le
stesse disposizioni di cui al DPR 303/1956 alla stregua di un precetto cautelare idoneo ad
integrare la nozione di colpa valevole in generale ai sensi del codice penale.
Se fosse così, mentre non si potrebbero applicare ai fatti commessi sui navigli militari le
autonome contravvenzioni previste dal dpr (in quanto disposizioni penali), quelle stesse
disposizioni dovrebbero invece costituire precetto cautelare utile ai fini della colpa.
Pertanto, come conferma quella parte della disposizione dedicata al risarcimento del danno (v.
avanti), la norma non sarebbe riuscita (ancora un volta) a raggiungere lo scopo di rendere
irrilevanti sul piano penale le morti e le lesioni colpose da amianto per gli imbarcati sui navigli
militari; sarebbe quindi rimasta inutile, pur dopo la sua correzione in sede di rinvio: gli stessi
fatti (di omicidio o lesioni colposi) continuano ad integrare tutti gli elementi costitutivi
dell’illiceità penale, anche per la violazione dei precetti di cui al dpr 3030/56 (oltre che di
regole diverse), intesi nel loro substrato di regole cautelari.
In ogni caso, quale che sia il senso di questa oscura normativa, resta insuperabile il difetto
essenziale che la inficia sul piano costituzionale; siccome la norma interpretata non contiene
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alcun riferimento lessicale al preteso significato assegnatole dalla norma di interpretazione
(ovvero che le norme penali non devono trovare applicazione in relazione al lavoro a bordo del
naviglio di Stato);
•
l’art.2 lettera b) della legge delega menzionava infatti soltanto "il lavoro a bordo
delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili" e non parla punto di mezzi militari
di sorta. Lo stesso vizio del resto era già stato precisamente individuato dal
Presidente della Repubblica allorché osservava che:
“l'articolo 20 in esame non esplicita alcuno dei possibili significati dell'articolo 2,
lettera b), della legge del 1955 e quindi non interpreta ma apporta a tale disposizione
una evidente modificazione integrativa.”
Si configura con ciò un evidente abuso della funzione legislativa che espone la norma a forti
sospetti di incostituzionalità: in base all’assetto costituzionale vigente il legislatore non può
invero dire quello che gli pare, modificando retroattivamente l’ordinamento e fingendo di
dettare interpretazioni di norme che non contengono alcuno dei significati interpretati.
Certamente sul piano penale anche le modifiche introdotte attraverso sistemi consimili,
finiscono per avere comunque un effetto retroattivo, in quanto norme più favorevoli al reo; ma
esse non possono essere nondimeno considerate legittime sul piano costituzionale perché non
possono essere introdotte attraverso sistemi surrettizi, come una sorta di ius singulare
destinato ad alterare l’esito di uno specifico procedimento pendente; costituendo tale
modus operandi una pesante intrusione nelle prerogative della giurisdizione che viola il
principio di indipendenza e quello del giusto processo.
2.- Morti sul lavoro vittime del dovere e risarcimenti del danno
Ma non è soltanto questa la sola grave anomalia della normativa in discussione; anche
sul piano civilistico del risarcimento del danno si tratta di disciplina che appare di
difficile comprensione.
Sotto questo aspetto, la stessa norma dell’art. 20 lg. 183/2010, oltre ad aver
precisato che “le disposizioni penali” di cui al dpr 303/56 non si applicano ai fatti
commessi a bordo del naviglio militare, premette che resta fermo il risarcimento del
danno, in ipotesi da riconoscere dunque anche da parte dello stesso giudice penale che
(stando almeno alle intenzioni del legislatore) dovrebbe assolvere gli imputati militari
in sede penale.
La norma prevede inoltre che i provvedimenti (da intendersi, assolutori) adottati dal
giudice penale non possono mai pregiudicare le azioni risarcitorie di danno
(contrattuale o extracontrattuale) eventualmente intraprese in ogni sede, dai soggetti
danneggiati o dai loro eredi, per l'accertamento della responsabilità civile derivante dalle
violazioni delle disposizioni del citato decreto n. 303 del 1956.
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Se quindi esiste ancora una grammatica nel dritto, anche questa disposizione, conferma per
altra via che la norma nel suo contenuto precettivo, aldilà dei problemi di costituzionalità cui
può dar vita, ha escluso soltanto la possibilità di applicare le sanzioni penali di cui al dpr 303 ai
fatti che si sono svolti a bordo del naviglio militare in relazione all’esposizione all’amianto; ma
non ha invece eliminato il precetto sostanziale in quanto tale; tant’è che la sua violazione può
dar luogo al risarcimento del danno.
Ciò conferma quanto si osservava prima; ovvero che se le violazioni delle disposizioni
sostanziali di cui al DPR 303/1955 continuano ad integrare violazioni di legge, esse
continueranno pure a costituire un precetto integrativo della nozione di colpa in sede penale
(ex art 43 c.p. “inosservanza di leggi. …”) ; al punto da poter determinare la stessa
condanna degli imputati per la imputazione di cui agli artt. 589 e 590 c.p. (fermo restando
l’assoluzione condanna degli stessi per i reati contravvenzionali di cui al dpr 3030/56).
Si tratta comunque di una disposizione contraddittoria, di cui sfugge il senso; una disposizione
che vorrebbe congelare gli effetti di disposizioni penali mentre vorrebbe mantenerle in vigore
a fini civili; ignorando che colpa civile e colpa penale riposano sullo stesso concetto, costituito
dalla violazione di regole cautelari; e sopratutto ignorando che in materia di risarcimento del
danno ai fini civili, occorre delibare la natura penale del fatto, quanto meno ai fini del danno
differenziale.
Forse è proprio per questa confusione di fondo, che la prima parte della stessa disposizione
contiene un’ulteriore iperbole, dal momento che pare introdurre una sorprendente
assimilazione, equiparando le vittime sul lavoro a quelle cadute nell’adempimento di un dovere.
Il primo comma della norma si apre infatti disponendo un incremento dell’autorizzazione di
spesa stanziata dall’art.1, comma 562 della legge 266/2005; si tratta della previsione che
estende i benefici previsti per le vittime di terrorismo e criminalità a tutte le vittime del
dovere individuate ai sensi dell’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, ed inoltre ai
dipendenti pubblici deceduti che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio
o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in
conseguenza di eventi verificatesi in particolari circostanze (contrasto ad ogni tipo di
criminalità; svolgimento servizi di ordine pubblico; vigilanza ad infrastrutture civili e militari;
operazioni di soccorso; attività di tutela della pubblica incolumità; azioni recate nei loro
confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di
ostilità); nonché agli altri soggetti equiparati, che abbiano contratto infermità
permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione di missioni dentro e
fuori dai confini nazionali (riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari
condizioni ambientali od operative).
Ci si chiede, posto che la norma si limita a prevedere un aumento degli
stanziamenti, se la norma abbia pure equiparato i militari vittime di esposizioni
all’amianto alle c.d. vittime del dovere.
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In mancanza di espressa equiparazione resta infatti problematica l’assimilazione di morti per
malattia professionale alle vittime di un dovere; riesce difficile intuire come persone che
contraggano malattie mortali per essere state esposte a sostanze pericolose di cui
ignoravano l’esistenza per colpevole incuria di chi avrebbe dovuto informarli e
proteggere, possano essere trasformate in vittime di un dovere.
Si tratta in sostanza di una soluzione mistificatrice che - mentre potrebbe forse
servire per precostituire un titolo autonomo per la corresponsione di un indennizzo risponde ad una visione retorica del lavoro la quale poteva trovare spazio all’interno
del modello corporativo, superato per fortuna da molto tempo.
Una soluzione che, mentre comprime le responsabilità del datore, mira a
concedere un sussidio discrezionale e compassionevole, che si pone contro la
visione del lavoro accolta nella nostra Costituzione la quale muove dalla garanzia
piena dei diritti dei lavoratori; prima di tutto alla sicurezza e alla dignità di
persone.
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