Bollettino Radiogiornale - Ammiratori di Papa Francesco

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Bollettino Radiogiornale - Ammiratori di Papa Francesco
Maria Felice <[email protected]>
Bollettino Radiogiornale
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11 gennaio 2016 16:29
Sommario del 11/01/2016
Il Papa e la Santa Sede
Papa: ascoltare grido dei migranti vincendo cultura dello scarto
Mons. Gallagher: Papa invita a guardare il mondo con occhi di misericordia
La Santa Sede intrattiene relazioni diplomatiche con 180 Stati
Papa: lottare contro usura e azzardo. Galantino: tutelare famiglie
Gli impegni di Papa Francesco nei mesi di gennaio e febbraio
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Oggi in Primo Piano
Oltre 100 migranti morti nel Mar Rosso: migliaia di vittime ogni anno
Lega Araba condanna Iran per “ingerenza”. Sale tensione tra Riad e Teheran
Colonia: aumentano denunce per attacchi contro le donne
Trivelle nelle Tremiti, mons. Castoro: scelta sbagliata
Mafia: 20 anni fa la barbara uccisione del piccolo Di Matteo
Morto David Bowie, geniale trasformista del rock
Nella Chiesa e nel mondo
Vietnam: la visita del card. Reinhard Marx
Terra Santa: vietato accesso a delegazione vescovi a Cremisan
Iraq: cristiani e islamici al cimitero cristiano profanato a Kirkuk
Regno Unito: incontro Primati anglicani su sfida della comunione
Salvador: Chiesa chiede a Usa di fermare espulsioni di migranti
Chiesa Honduras agli Usa: porre fine a espulsioni di immigrati
Portogallo: programma di aiuti della Chiesa per i rifugiati
Caritas Senegal lancia nuovo programma per la lotta all’Ebola
Senegal: pellegrinaggio della reliquia di Sant'Eugenio di Mazenod
Filippine. Card. Tagle: insieme a Gesù, non si è mai soli
Il Papa e la Santa Sede
Papa: ascoltare grido dei migranti vincendo cultura dello scarto
◊ Un accorato appello in difesa della dignità umana e in particolare dei migranti che sfuggono da guerre e
miseria in cerca di un futuro di speranza. E’ questa la cifra del lungo, appassionato discorso che Francesco
ha rivolto nel tradizionale incontro di inizio anno con il Corpo Diplomatico, nella Sala Regia del Palazzo
Apostolico. Il Papa ha incoraggiato le nazioni e le organizzazioni internazionali a risolvere le situazioni di crisi
e conflitto ed ha ribadito che per costruire la pace, sconfiggere la miseria e proteggere l’ambiente bisogna
vincere l’indifferenza e “ribaltare la cultura dello scarto”. La Santa Sede intrattiene oggi rapporti diplomatici
pieni con 180 Paesi. Il servizio di Alessandro Gisotti: Ancora oggi udiamo il grido di Rachele che piange i suoi figli
Anche oggi come duemila anni fa, “udiamo il grido di Rachele che piange i suoi figli perché non sono più”. Tra
le mura della Sala Regia, di fronte agli ambasciatori di tutto il mondo, Francesco fa idealmente riecheggiare il
pianto di una madre per la morte dei propri figli:
“E’ la voce delle migliaia di persone che piangono in fuga da guerre orribili, da persecuzioni e violazioni dei
diritti umani, o da instabilità politica o sociale, che rendono spesso impossibile la vita in patria”. È il grido,
riprende, “di quanti sono costretti a fuggire per evitare le barbarie indicibili praticate verso persone indifese,
come i bambini e i disabili, o il martirio per la sola appartenenza religiosa”.
Non fare diventare “normalità” la morte dei migranti
Come allora, soggiunge, “udiamo la voce di Giacobbe che dice ai suoi figli” di lasciare la propria terra per
conservarsi “in vita e non morire”. È la voce, dice il Papa, “di quanti fuggono dalla miseria estrema, per
l’impossibilità di sfamare la famiglia o di accedere alle cure mediche e all’istruzione, dal degrado senza
prospettive di alcun progresso, o anche a causa dei cambiamenti climatici e di condizioni climatiche
estreme”. Purtroppo, avverte Francesco, “è noto come la fame sia ancora una delle piaghe più gravi del
nostro mondo, con milioni di bambini che ogni anno muoiono a causa di essa”. Ed esprime il suo rammarico
nel “constatare che spesso questi migranti non rientrano nei sistemi internazionali di protezione in base agli
accordi internazionali”:
“Come non vedere in tutto ciò il frutto di quella cultura dello scarto che mette in pericolo la persona umana,
sacrificando uomini e donne agli idoli del profitto e del consumo? E’ grave assuefarci a queste situazioni di
povertà e di bisogno, ai drammi di tante persone e farle diventare normalità. Le persone non sono più sentite
come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se non servono ancora – come i
nascituri –, o non servono più – come gli anziani”.
Rovesciare la cultura dello scarto, nessuno venga dimenticato
Siamo “diventati insensibili – prosegue – ad ogni forma di spreco, a partire da quello alimentare, che è tra i
più deprecabili, quando ci sono molte persone e famiglie che soffrono fame e malnutrizione”. Auspica dunque
la buona riuscita del Primo Vertice Umanitario Mondiale, convocato nel maggio prossimo dall’Onu:
“Occorre un impegno comune che rovesci decisamente la cultura dello scarto e dell’offesa della vita umana,
affinché nessuno si senta trascurato o dimenticato e altre vite non vengano sacrificate per la mancanza di
risorse e, soprattutto, di volontà politica. Purtroppo, oggi come allora, sentiamo la voce di Giuda che
suggerisce di vendere il proprio fratello (cfr Gen 37,26­27). È l’arroganza dei potenti che strumentalizzano i
deboli, riducendoli ad oggetti per fini egoistici o per calcoli strategici e politici”.
Fermare traffico di persone, basta bambini morti in mare
“Laddove è impossibile una migrazione regolare – riprende – i migranti sono spesso costretti a scegliere di
rivolgersi a chi pratica la tratta o il contrabbando di esseri umani, pur essendo in gran parte coscienti del
pericolo di perdere durante il viaggio i beni, la dignità e perfino la vita”:
“In questa prospettiva, rinnovo ancora l’appello a fermare il traffico di persone, che mercifica gli esseri umani,
specialmente i più deboli e indifesi. E rimarranno sempre indelebilmente impresse nelle nostre menti e nei
nostri cuori le immagini dei bambini morti in mare, vittime della spregiudicatezza degli uomini e
dell’inclemenza della natura”.
Mettere fine al commercio degli armamenti
“Chi poi sopravvive e approda ad un Paese che lo accoglie – sottolinea – porta indelebilmente le cicatrici
profonde di queste esperienze, oltre a quelle legate agli orrori che sempre accompagnano guerre e violenze.”
Francesco rimarca che molti migranti “non lascerebbero mai il proprio Paese se non vi fossero costretti”. Tra
questi, rammenta, “vi sono numerosi cristiani che sempre più massicciamente hanno abbandonato nel corso
degli ultimi anni le proprie terre, che pure hanno abitato fin dalle origini del cristianesimo”. Il pensiero del Papa
va proprio ai cristiani del Medio Oriente desiderosi di contribuire, come cittadini a pieno titolo, al benessere
spirituale e materiale delle rispettive Nazioni”. Gran parte delle cause delle migrazioni, rileva, “si potevano
affrontare già da tempo. Si sarebbero così potute prevenire tante sciagure o, almeno, mitigarne le
conseguenze più crudeli”:
“Anche oggi, e prima che sia troppo tardi, molto si potrebbe fare per fermare le tragedie e costruire la pace.
Ciò significherebbe però rimettere in discussione abitudini e prassi consolidate, a partire dalle problematiche
connesse al commercio degli armamenti, al problema dell’approvvigionamento di materie prime e di energia,
agli investimenti, alle politiche finanziarie e di sostegno allo sviluppo, fino alla grave piaga della corruzione”.
No ad aiuti condizionati da imposizione ideologie
Le politiche migratorie, riprende, “dovrebbero da un lato aiutare effettivamente l’integrazione dei migranti nei
Paesi di accoglienza” dall’altro, “favorire lo sviluppo dei Paesi di provenienza” con politiche “solidali, che però
non sottomettano gli aiuti a strategie e pratiche ideologicamente estranee o contrarie alle culture dei popoli
cui sono indirizzate”. Il Papa fa riferimento alle situazioni drammatiche che si vivono alla frontiera tra
Messico e Stati Uniti, ma si sofferma in particolare su quanto sta accadendo in Europa con un “imponente
flusso di profughi – molti dei quali hanno trovato la morte nel tentativo di raggiungerla – che non ha
precedenti nella sua storia recente, nemmeno al termine della seconda guerra mondiale”.
L’Europa non abbandoni il suo spirito, accolga chi fugge
I migranti che vengono dall’Asia e dall’Africa, sottolinea il Papa, “vedono nell’Europa un punto di riferimento
per principi come l’uguaglianza” e “l’inviolabilità della dignità”. Tuttavia, i massicci sbarchi sulle coste del
Vecchio Continente “sembrano far vacillare il sistema di accoglienza” e “sono sorti non pochi interrogativi
sulle reali possibilità di ricezione e di adattamento delle persone”. “Altrettanto rilevanti – constata Francesco
– sono i timori per la sicurezza, esasperati oltremodo della dilagante minaccia del terrorismo internazionale”:
“L’attuale ondata migratoria sembra minare le basi di quello ‘spirito umanistico’ che l’Europa da sempre ama
e difende. Tuttavia, non ci si può permettere di perdere i valori e i principi di umanità, di rispetto per la dignità
di ogni persona, di sussidiarietà e di solidarietà reciproca, quantunque essi possano costituire, in alcuni
momenti della storia, un fardello difficile da portare. Desidero, dunque, ribadire il mio convincimento che
l’Europa, aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, abbia gli strumenti per difendere la centralità
della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri
cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti”.
Italia non affievolisca suo senso di ospitalità
Il Papa non manca di esprimere gratitudine a quanti Stati, Organizzazioni umanitarie hanno favorito la
dignitosa accoglienza dei migranti e cita in particolare il Libano, la Giordania, la Turchia e la Grecia:
“Una particolare riconoscenza desidero esprimere all’Italia, il cui impegno deciso ha salvato molte vite nel
Mediterraneo e che tuttora si fa carico sul suo territorio di un ingente numero di rifugiati. Auspico che il
tradizionale senso di ospitalità e solidarietà che contraddistingue il popolo italiano non venga affievolito dalle
inevitabili difficoltà del momento, ma, alla luce della sua tradizione plurimillenaria, sia capace di accogliere ed
integrare il contributo sociale, economico e culturale che i migranti possono offrire”.
È importante, afferma ancora, che le nazioni “in prima linea nell’affrontare l’attuale emergenza non siano
lasciate sole”, “non si possono, infatti, pensare nell’attuale congiuntura soluzioni perseguite in modo
individualistico dai singoli Stati, poiché le conseguenze delle scelte di ciascuno ricadono inevitabilmente
sull’intera Comunità internazionale”. “Nell’affrontare la questione migratoria – ammonisce – non si potranno
tralasciare, infatti, i risvolti culturali connessi, a partire da quelli legati all’appartenenza religiosa”.
Fondamentalismo trova terreno nel vuoto di valori
“L’estremismo e il fondamentalismo – è il suo avvertimento – trovano un terreno fertile non solo in una
strumentalizzazione della religione per fini di potere, ma anche nel vuoto di ideali e nella perdita d’identità –
anche religiosa –, che drammaticamente connota il cosiddetto Occidente”. Da tale vuoto, riconosce, “nasce
la paura che spinge a vedere l’altro come un pericolo ed un nemico, a chiudersi in sé stessi, arroccandosi su
posizioni preconcette. Il fenomeno migratorio pone, dunque, un serio interrogativo culturale, al quale non ci si
può esimere dal rispondere”:
“L’accoglienza può essere dunque un’occasione propizia per una nuova comprensione e apertura di
orizzonte, sia per chi è accolto, il quale ha il dovere di rispettare i valori, le tradizioni e le leggi della comunità
che lo ospita, sia per quest’ultima, chiamata a valorizzare quanto ogni immigrato può offrire a vantaggio di
tutta la comunità. In tale ambito, la Santa Sede rinnova il proprio impegno in campo ecumenico ed
interreligioso per instaurare un dialogo sincero e leale che, valorizzando le particolarità e l’identità propria di
ciascuno, favorisca una convivenza armoniosa fra tutte le componenti sociali”.
Non si può mai uccidere nel nome di Dio
Francesco sottolinea inoltre che la “convivenza pacifica tra appartenenti e religioni diverse” è possibile
“laddove la libertà religiosa è riconosciuta”. D’altra parte, soggiunge “ogni esperienza religiosa autenticamente
vissuta non può che promuovere la pace”. Il Papa non manca poi di ricordare i suoi viaggi apostolici, tutti
all’insegna della costruzione di ponti di pace. Ricorda che a Filadelfia ha ribadito l’importanza della famiglia,
“prima scuola di misericordia” oggi “minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni di ridefinire la stessa
istituzione del matrimonio”. In particolare poi si sofferma sull’apertura della Porta Santa nella Cattedrale di
Bangui, nella Repubblica Centrafricana:
“Laddove il nome di Dio è stato abusato per commettere ingiustizia, ho voluto ribadire, insieme con la
comunità musulmana della Repubblica Centroafricana, che «chi dice di credere in Dio dev’essere anche un
uomo o una donna di pace», e dunque di misericordia, giacché non si può mai uccidere nel nome di Dio. Solo
una forma ideologica e deviata di religione può pensare di rendere giustizia nel nome dell’Onnipotente,
deliberatamente massacrando persone inermi, come è avvenuto nei sanguinari attentati terroristici dei mesi
scorsi in Africa, Europa e Medio Oriente”.
Pace per la Siria e per i popoli che soffrono a causa della guerra
Francesco ricorda dunque con soddisfazione l’accordo sul clima raggiunto alla Conferenza di Parigi e chiede
che gli “impegni assunti non rappresentino solo un buon proposito ma costituiscano per tutti un effettivo
obbligo” per salvaguardare la nostra Terra. Ancora, auspica la soluzione politica del conflitto in Siria come
della crisi israelo­palestinese. Pace chiede anche per la Libia e gli altri Paesi del Medio Oriente. Francesco
incoraggia la distensione nella regione del Golfo Persico, dopo l’accordo sul nucleare iraniano mentre esprime
preoccupazione per il recente esperimento nucleare condotto nella penisola coreana. Speranze di
riconciliazione il Papa le esprime infine per i tanti Paesi africani che soffrono a causa delle violenze.
Nell’Anno Santo della Misericodia, Francesco ribadisce che la sfida che ci aspetta è “vincere l’indifferenza
per costruire insieme la pace”. La Santa Sede, conclude Francesco, “non smetterà mai di lavorare perché la
voce della pace possa essere udita fino agli estremi confini della terra”.
Mons. Gallagher: Papa invita a guardare il mondo con occhi di misericordia
◊ Per un commento al discorso del Papa al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ascoltiamo
mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, al microfono di Philippa Hitchen: R. – Credo che il Santo Padre abbia voluto guardare con un’ottica di spiritualità anche a queste situazioni
mondiali così conflittuali. Lui ha inserito tutto questo anche nel contesto del Giubileo della Misericordia. E’ un
Giubileo in cui noi dobbiamo guardare alla situazione della comunità internazionale con occhi misericordiosi.
Il Papa ha fatto il suo elenco dei problemi, dei conflitti nel mondo, anche con qualche denuncia, però non è
stato un discorso di condanna. Lui desidera che noi veramente ci sentiamo incoraggiati, che noi – come
società umana, come Paesi individuali – siamo capaci di affrontare questi problemi. Sono problemi
gravissimi, come quello delle migrazioni europee. Però dobbiamo essere capaci di affrontare queste
situazioni. Così, il Papa ha voluto dare veramente una spinta positiva, una spinta che è pure una sfida alla
comunità internazionale, rappresentata dai suoi ambasciatori presso la Santa Sede, ma in pari tempo ha
voluto dire: “Siamo misericordiosi, cerchiamo di lavorare in questo senso; la Santa Sede è disposta a
collaborare con voi, ad esservi accanto, anche il Papa stesso”.
D. – Il Santo Padre ha denunciato fortemente il terrorismo e chi usa il nome di Dio per uccidere. E ha insistito
anche sull’importanza del dialogo, della cooperazione con il mondo musulmano …
R. – Sì, questi sono i due poli. Ribadire l’importanza, il valore del dialogo con l’islam, con altre religioni e con
tutta la società, è indispensabile; e in pari tempo, la sua condanna dell’uso o dell’abuso della religione in
nome della violenza o del terrorismo. Questo, sì. Perché questo – soprattutto per il Santo Padre – è uno
scandalo tremendo: che la gente in nome di Dio uccida altre persone, soprattutto persone innocenti e
vulnerabili, che la gente sottometta intere comunità ad anni e anni di sofferenze e violenze. Questo è un
grosso scandalo che noi dobbiamo vincere. E noi, come Santa Sede, come entità religiosa, sentiamo questo
in maniera ancora più forte, forse, delle società secolari o laiche, perché noi vediamo che il vero messaggio
della religione, che è l'amore, è così distorto in questo modo. E il Papa, giustamente, denuncia queste cose
con la massima energia.
D. – Parlando della crisi migratoria, il Papa ha ringraziato per gli sforzi compiuti da Paesi come Turchia,
Grecia e soprattutto l’Italia, per salvare le vite di tanti migranti nel Mediterraneo. E ha insistito sulla necessità
di una politica paneuropea per affrontare questo problema …
R. – Sì, il Papa ha voluto presentare un elogio e riconoscere gli sforzi tremendi, i grandi sacrifici che hanno
fatto diversi Paesi che sono o quelli che hanno accolto immediatamente i rifugiati, Giordania e Libano e poi i
Paesi di frontiera come la Turchia, l’Italia e la Grecia, perché nonostante che la questione migratoria sia una
crisi per l’Europa di oggi, in pari tempo molte di queste società, di questi governi, di queste autorità e
individualmente molti privati, vengono a soccorrere questa gente che, come il Papa ha detto, “non sono
persone anonime, sono persone umane come noi, sono bambini …”. E così, noi dobbiamo affrontare questo
problema spinoso, questa crisi molto grave. E in questo, non stiamo sottovalutando le difficoltà e i problemi
né i problemi interni di certi Paesi: assolutamente no. Però, in pari tempo affermiamo che sia necessario fare
uno sforzo ulteriore, perché questo è un problema che merita attenzione, perché è un problema non solo
sociale, ma è essenzialmente una crisi morale per l’Europa. Come noi reagiamo a questa situazione,
determinerà che tipo di Paese saremo. E l’idea che dobbiamo difendere i nostri valori, chiudere la nostra
società, forse ci farà più danno che aprire le nostre porte e i nostri cuori per accogliere queste persone in
difficoltà.
La Santa Sede intrattiene relazioni diplomatiche con 180 Stati
◊ In occasione dell'incontro odierno del Papa con il Corpo Diplomatico nella Sala Regia in Vaticano, una nota
ricorda che sono 180 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Ad
essi vanno aggiunti l’Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta, come anche la Missione
Permanente dello Stato di Palestina. Per quanto riguarda le Organizzazioni internazionali, il 4 giugno 2015 la
Santa Sede è diventata Osservatore presso la Comunità caraibica (CARICOM).
Le Cancellerie di Ambasciata con sede a Roma, incluse quelle dell’Unione Europea e del Sovrano Militare
Ordine di Malta, sono 86, essendosi aggiunte nel corso dell’anno le Ambasciate di Belize, di Burkina Faso e
di Guinea Equatoriale. Hanno sede a Roma anche la Missione dello Stato di Palestina e gli Uffici della Lega
degli Stati Arabi, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dell’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati.
Nel corso del 2015 si sono firmati quattro Accordi: il 1° aprile, la Convenzione tra la Santa Sede e il Governo
della Repubblica Italiana in materia fiscale; il 10 giugno, l’Accordo tra la Santa Sede, anche a nome e per
conto dello Stato della Città del Vaticano, e gli Stati Uniti d’America per favorire l’osservanza a livello
internazionale degli obblighi fiscali e attuare la Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA); il 26 giugno,
l’Accordo globale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina; e il 14 agosto, l’Accordo tra la Santa Sede e la
Repubblica democratica di Timor­Leste sullo statuto giuridico della Chiesa cattolica. Il 22 giugno 2015 è stato
ratificato l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica del Ciad sullo statuto giuridico della Chiesa cattolica,
che era stato firmato il 6 novembre 2013. Il 10 settembre, poi, è stato siglato un Memorandum d’Intesa tra la
Segreteria di Stato e il Ministero degli Affari Esteri dello Stato del Kuwait sulla conduzione delle consultazioni
bilaterali.
Papa: lottare contro usura e azzardo. Galantino: tutelare famiglie
◊ Bisogna lottare “con tutte le forze per sconfiggere le diffuse piaghe sociali dell’usura e dell’azzardo, che
generano continui fallimenti non solo economici, ma anche familiari ed esistenziali”. Così Papa Francesco,
attraverso un messaggio del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ha rivolto il suo saluto al seminario
della Consulta nazionale antiusura, che si è svolto oggi a Roma all’ostello della Caritas della Stazione
Termini. Il servizio di Michele Raviart con le interviste di Alessandro Guarasci: In Italia sono oltre 1 milione e quattrocento mila le famiglie che, secondo le recenti stime della Banca d’Italia
versano in una condizione di vita tecnicamente fallimentare. Per loro aumentano i rischi di ricorrere all’usura
o al gioco d’azzardo per uscire dai debiti. In tutto il territorio nazionale sono infatti presenti 340 mila slot
machines e 51 mila “videolottery”. Strumenti, spiega mons. Alberto D’Urso, segretario generale della
Consulta nazionale antiusura, “che distribuiscono illusioni e seminano disperazioni” per oltre 900 mila italiani
a rischio dipendenza da azzardo:
“Si fa molto poco per eliminarlo, e continua a spadroneggiare la pubblicità ingannevole. Poi, per quanto
riguardo l’usura, è tornata anche l’usura della porta accanto, che sembrava sparita: il che significa che nella
quotidianità la gente trova sempre più difficoltà per pensare al pane quotidiano. Per ora, i segni di ripresa che
noi riscontriamo non sono ancora evidenti”
Qualche segnale da parte delle istituzioni è arrivato. La legge 3 del 2012 prevede un percorso guidato dal
giudice per le famiglie “sovraindebitate”, con il rischio tuttavia di carichi penali per chi non rispetta le
procedure. Il professor Maurizio Fiasco, sociologo e consulente della Consulta nazionale antiusura:
“Se non si affronta questo problema, la crisi economica perdura, perché non è un problema solo di solidarietà
e di sofferenza intra­familiare: è un’ipoteca che grava sullo sviluppo del Paese. Non può esservi politica
economica di ripresa, e quindi di fuoriuscita dalla crisi, senza trattare il debito familiare. Perché questo
provoca una bassa domanda di beni e di servizi, quindi un’ulteriore prosecuzione della recessione
economica, oltreché costi umani e sociali enormi in termini di sofferenza delle persone, e di conflitto
all’interno delle famiglie”
In un contesto particolarmente significativo come l’Ostello della Caritas di Roma, dove Papa Francesco ha
aperto la Porta Santa della Carità, mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha ricordato
l’impegno della Chiesa e dei cristiani nella società civile italiana:
“Si dice che senza per esempio le unioni vivili siamo arretrati. Si dice che senza le unioni omosessuali siamo
un 'Paese da Terzo Mondo'. Mi piacerebbe dire: 'Che Paese siamo noi quando chiudiamo gli occhi di fronte a
un milione e 400 mila famiglie? Anche dal punto di vista numerico, il milione e 400 mila famiglie sono più di
altri tipi di interesse che in questo momento si stanno muovendo. Non voglio metterle in alternativa, ma
almeno riuscire a dare la stessa attenzione”.
E sulla posizione della Cei sul ddl Cirinnà per le unioni civili ha aggiunto:
“Non c’è da prendere iniziative nuove, noi stiamo continuando a lavorare su questa cosa. E l’obiettivo
fondamentale dei vescovi italiani è quello soprattutto di aiutare tutti quanti i laici impegnati a rendersi
consapevoli del ruolo che loro devono avere tutte le volte in cui sono in gioco realtà che riguardano le
persone e la società”
Mons. Galantino ha poi sottolineato l’importanza dell’8 per mille nel realizzare progetti che siano “reale
promozione dell’uomo”, come la recente università inaugurata nel Kurdistan iracheno. In particolare ha
ricordato che per ogni miliardo ricevuto dall’8 per mille la Chiesa ne restituisce 11 volte tanto in servizi
sociali.
Gli impegni di Papa Francesco nei mesi di gennaio e febbraio
◊ La liturgia conclusiva della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – con i Vespri presieduti in San
Paolo fuori le Mura lunedì 25 gennaio alle 17.30 – e il viaggio apostolico in Messico dal 12 al 18 febbraio.
Sono due dei principali impegni di Papa Francesco nei prossimi due mesi.
Nell’agenda delle celebrazioni rese note dal maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, mons. Guido
Marini, figurano anche la chiusura del Giubileo della Vita consacrata, in programma alle 17.30 del 2 febbraio,
Festa della Presentazione del Signore, i riti del Mercoledì delle Ceneri del 10 febbraio e la Messa di lunedì 22
febbraio, in San Pietro alle 10.30, per il Giubileo della Curia Romana.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Fenomeno mondiale: in prima pagina, un editoriale del direttore sul discorso del Papa al corpo diplomatico
accreditato presso la Santa Sede.
L'eredità più grande: Francesco battezza ventisei neonati.
Sdegno senza fine: oltre cinquecento denunce per le violenze di Colonia e si rafforza l'ipotesi di un'azione
organizzata.
Il bene non viaggia mai da solo: da Tirana, Rossella Fabiani sull'Albania fra tradizione e tempo che non si
ferma.
Discrezione e civiltà: Alberto Fabio Ambrosio su iniziative culturali a Parigi.
La morte di David Bowie, artista mai banale.
Oggi in Primo Piano
Oltre 100 migranti morti nel Mar Rosso: migliaia di vittime ogni anno ◊ Sono 112 i corpi recuperati morti nel mar Rosso davanti alla regione autonoma del Somaliland, al nord
della Somalia: profughi etiopi e somali in fuga per una vita migliore. La loro barca è andata a picco, 75 sono
stati salvati dalla Guardia Costiera. Altri ­ s’ignora quanti ­ sono dispersi. Tre i membri dell’equipaggio
arrestati. I fatti risalgono a venerdì scorso, ma sono passati quasi inosservati sulla stampa. Come mai?
Roberta Gisotti lo ha chiesto a Christopher Hein, portavoce e consigliere strategico del Consiglio italiano
rifugiati (Cir): R. – C’è nella stampa, nei media in generale e certamente non solo in Italia, una forte tendenza a considerare
solo le notizie che riguardano il nostro continente e quindi anche di pensare che la rotta dalla Libia, dal Nord
Africa verso la Sicilia sia l’unica rotta marittima dei rifugiati, dei richiedenti asilo, dei migranti, senza
considerare che situazioni simili le vediamo già da anni, dalla costa somala verso lo Yemen, anche se a
volte sono poi le stesse persone, gli stessi rifugiati somali, eritrei o etiopi che arrivano pure in Europa
occidentale: certamente non si fermano in Yemen, quando riescono ad arrivare sani e salvi. Purtroppo,
quest’ultima tragedia non è la prima e non sarà neanche l’ultima.
D. – Si stima quanti siano questi profughi, che attraversano il Mar Rosso?
R. – Si parla, per l’anno 2015, di oltre 80 mila persone che attraversano il Golfo di Aden e quindi il Mar
Rosso, partendo appunto dalla costa somala inclusa la costa del Somaliland, a Nord della Somalia. Quindi, si
tratta di un numero comunque impressionante di persone, anche se certamente ancora una volta non
paragonabile a quello dell’attraversamento del Mediterraneo.
D. – Questi profughi hanno come prima meta lo Yemen. Sappiamo che lo Yemen nel 2015 è stato – e lo è
tuttora – attraversato da un sanguinoso conflitto interno…
R. – Lo Yemen certamente non è un Paese in grado di accogliere i rifugiati, in questo periodo, e non è
neanche l’obiettivo di quelli che attraversano il Mar Rosso, quanto piuttosto lo è quello di transitare attraverso
lo Yemen per raggiungere l’Arabia Saudita e poi da lì o verso il nord – anche verso Israele, dove infatti ne
sono arrivati tanti – oppure più a ovest, verso Egitto, Libia e poi Italia.
D. – Quindi, aumentano i rischi e le traversie per questa povera gente…
R. – Certamente. Questa del Mar Rosso è soltanto la prima parte di un viaggio lunghissimo che queste
persone fanno, che in parte preferiscono la via marittima alla via terrestre, il deserto di 3.000 chilometri per
arrivare alla costa libica del Mediterraneo.
D. – Parliamo giustamente di questi profughi, ma forse la comunità internazionale fa poco per le cause che
motivano queste persone a lasciare i loro Paesi...
R. – Prendiamo ad esempio la Somalia: è un Paese con un conflitto interno da ben 25 anni, dove negli anni
Novanta c’è stato un tentativo da parte della comunità internazionale, anche con l’invio dei caschi blu
dell’Onu. Una missione miseramente fallita. Dopodiché, ci sono state tante conferenze internazionali, c’è
effettivamente adesso un governo provvisorio non ancora democraticamente eletto per la Somalia, però la
situazione interna – anche a causa del terrorismo islamista – è sempre disastrosa.
D. – Comunque, bisogna prendere atto che le popolazioni non sono più disponibili a restare imprigionate a
vita in situazioni disumane…
R. – Certamente. Innanzitutto, i giovani che hanno anche le capacità per affrontare un viaggio così lungo e
così rischioso, e che poi non vedono altra scelta che questa, perché l’altra scelta sarebbe finire per anni e
anni in campi profughi in Kenya o in Etiopia dove non hanno libertà di movimento, dove non possono
lavorare, dove non possono farsi una nuova vita. C’è certamente anche una responsabilità della comunità
internazionale, che si accontenta dell’invio di aiuti umanitari, però non insiste nei Paesi di prima accoglienza,
nell’Africa Orientale, affinché le persone abbiano una vera alternativa per rimanere lì in attesa che finalmente
possano tornare in patria.
Lega Araba condanna Iran per “ingerenza”. Sale tensione tra Riad e Teheran
◊ I Paesi della Lega Araba ­ eccezione fatta per il Libano che conta una vasta comunità sciita ­ hanno
condannato l'Iran di "ingerenza negli affari arabi". Il pronunciamento è stato rilasciato al termine di una
riunione di emergenza richiesta dall'Arabia Saudita, tenutasi ieri al Cairo e dopo la rottura delle relazioni
diplomatiche tra Riad e Teheran, causata dall’esecuzione da parte dei sauditi di un noto imam sciita, a cui
hanno fatto seguito gli assalti alle sedi diplomatiche saudite in Iran. Sull’escalation di tensioni tra Iran e
Arabia Saudita, Marco Guerra ha intervistato Gabriele Iacovino, coordinatore degli analisti del Centro Studi
internazionali (Cesi): R. – E’ un nuovo capitolo di questa lotta per il potere e per l’influenza nell’area che prende presupposto da
una divisione religiosa tra sunniti e sciiti ma che di fatto poi è una lotta politica tra Arabia Saudita e Iran.
Certo è che era scontato che la Lega araba si andasse a schierare con l’alleato saudita che in questo
momento sta cercando di formare un fronte unico, unito, di tutti i Paesi sunniti contro lo spauracchio sciita­
iraniano. Di fatto è un qualcosa che sta andando avanti da tempo, una lotta che sta andando avanti da
tempo. L’abbiamo vista in Siria, l’abbiamo vista in Yemen, ma rischia di continuare ad alzare i toni e di
destabilizzare ulteriormente non solo la penisola arabica, ma anche l’interno scacchiere mediorientale.
D. – Infatti, questa spaccatura tra sciiti e sunniti si riflette in Libano che è l’unico Paese che non ha votato la
risoluzione di condanna della Lega Araba. Siamo quindi di fronte a uno scontro confessionale o rischia di
diventarlo?
R. – Rischia di diventarlo perché viene utilizzata una dialettica religiosa per fini politici. Questa è una lotta per
il potere e per l’influenza nell’area, una lotta politica. Di fatto, il Libano è un po’ la cartina di tornasole dove gli
equilibri sono sempre precari. Infatti, anche questo era scontato, che il Libano non votasse la risoluzione per
non andare ad ampliare uno scontro che è già abbastanza forte. Certo è che, purtroppo, quando poi per
l’influenza politica si utilizzano dinamiche religiose è sempre difficile controllarne gli effetti.
D. – In Siria e in Yemen questo scontro è già militare sul campo, è già realtà. La pacificazione nei rapporti tra
Iran e resto del mondo arabo, tra Riyad e Teheran, è condizione indispensabile per la pace in queste nazioni?
R. – Sicuramente, è un presupposto perché la ricerca di una soluzione sia più semplice. Di fatto, il
riavvicinamento allo scacchiere internazionale dell’Iran, grazie all’accordo sul nucleare, ha buttato
nell’angoscia la leadership saudita che ha visto in questo riavvicinamento il rischio di una perdita di potere e
di influenza. Questo ha fatto sì che lo scontro settario in determinati scenari, come la Siria ma anche lo
Yemen, si sia amplificato. Questa acredine, questi toni così accesi arrivano in un momento in cui la
diplomazia sembrava stesse facendo dei passi avanti soprattutto per quanto riguarda la Siria e soprattutto
per quanto riguarda i negoziati a Vienna. Questa dicotomia, questo scontro, lancia profonde minacce alla
ricerca di una soluzione diplomatica per quanto riguarda questo contesto.
D. – Il Pakistan ha detto che sarà a fianco dell’Arabia Saudita, ove si manifestasse una minaccia alla sua
integrità territoriale. Questo scontro tra sciiti e sunniti rischia quindi di allargarsi a tutti i Paesi musulmani,
anche quelli fuori dall’area del mondo arabo?
R. – Rivestono un’importanza strategica le relazioni e le alleanze. Il Pakistan è da sempre un alleato
strategico dell’Arabia Saudita, sia per quanto riguarda lo scambio di expertise militare sia per quanto riguarda
i flussi finanziari provenienti dall’Arabia Saudita verso le forze armate pakistane. Inevitabilmente uno scontro
politico così forte tra due potenze regionali come l’Arabia Saudita e l’Iran coinvolge un po’ tutti gli alleati e se
da una parte negli ultimi anni siamo stati abituati più ad un’azione capillare iraniana, per cercare di ampliare la
propria influenza con Hezbollah in Libano ma anche con lo stesso Assad in Siria, adesso stiamo vedendo
come anche l’Arabia Saudita stia cercando di utilizzare le proprie relazioni in ottica di questo scontro di
potere.
Colonia: aumentano denunce per attacchi contro le donne ◊ In Germania, sono salite a 516 le denunce per le violenze compiute contro le donne nella notte di
capodanno a Colonia. Anche nella città di Bielefeld, in Westfalia, 500 uomini avrebbero forzato l'ingresso in
una discoteca molestando molte donne. Il ministro della Giustizia tedesco, Heiko Maas, afferma che gli
attacchi sono stati "organizzati" ma mette in guardia dalle strumentalizzazioni xenofobe. La polizia, però,
nega che ci siano state pianificazioni. Secondo il ministro dell'Interno del Nord Reno Westfalia, Ralf Jaeger,
le violenze sarebbero state compiute in gran parte da stranieri e migranti. Si ha notizia, intanto, delle prime
rappresaglie a Colonia contro dei profughi. Nell’intervista di Fausta Speranza, la riflessione di Daniele De
Luca, docente di relazioni internazionali all’Università del Salento: R. – Quello che all’inizio era sembrato come un episodio estremamente “antipatico” – uso questo termine ma
ne vorrei usare altri sicuramente più pesanti – nei confronti delle donne, invece si sta rivelando come un
possibile progetto per creare ulteriore instabilità e insicurezza nelle persone in Europa. Se stiamo alle parole
del ministro tedesco che ha parlato di un possibile complotto o di azioni coordinate, allora il progetto sembra
particolarmente difficile da gestire. È notizia di queste ore come anche il capo della Polizia di Vienna abbia
invitato le donne a non uscire da sole la sera. E questo crea – ripeto – particolari difficoltà e insicurezza nelle
persone.
D. – Questo "terrore" delle donne di uscire sole è anche una forma di terrorismo, le pare?
R. – È una forma di terrorismo estremamente viscida, nascosta, che comunque colpisce in alcuni casi
persone più deboli. Nel senso che piccoli gruppi di donne, di una o due donne da sole ­ ma anche gruppi di
uno, due uomini da soli, sono comunque degli obiettivi ­ creano quello stato di terrore e di insicurezza che
non permette alle persone di vivere una vita normale così come l’abbiamo conosciuta fino a poco tempo fa.
Ora, quanto questo progetto sia stato veramente pianificato per raggiungere un obiettivo preciso, questo al
momento non ci è dato di sapere e credo sarà estremamente complicato scoprirne i dettagli. Ma questo fa
alzare, se possibile, il nostro livello di guardia. Io credo che negli ultimi tempi, per tutta una serie di ragioni, e
grazie anche alla forza della nostra democrazia, il nostro livello di guardia, della sicurezza, si era un po’
abbassato. Forse, allora dovremmo ricominciare ad alzarlo e non soltanto nel guardarci intorno per possibili
attacchi terroristici, ma – come lei ha detto giustamente – il terrorismo comincia a prendere delle facce
estremamente diverse l’una dall’altra.
D. – In un Occidente che, ovviamente, deve fare “mea culpa” per la strumentalizzazione del corpo femminile,
per tutti i femminicidi di cui abbiamo spesso parlato anche se non abbastanza visto che proseguono, colpire
la donna significa colpire i principi democratici dell'Europa...
R. – Esattamente. Ci sono voluti in Occidente anni, decenni, secoli, per poter arrivare alla libertà di
espressione della donna. Noi dobbiamo sicuramente fare un “mea culpa” per quanto riguarda i femminicidi. E
c’è da dire anche sull’uso del corpo delle donne sui media: a volte è una libera scelta delle donne stesse, a
volte no. In ogni caso, toccare le donne vuol dire toccare i principi stessi della democrazia europea, perché –
lo ripeto – ci è voluto tantissimo tempo prima che le donne potessero conquistare i loro diritti, esprimersi, fare
le stesse scelte e avere le stesse opportunità degli uomini. Non dimentichiamo che le donne hanno potuto
votare in Europa molto tardi: in Italia addirittura soltanto nel 1946 siamo arrivati al suffragio universale. Le
limitazioni e le discriminazioni ancora accadono in tantissimi Paesi, ma non devono accadere qui, in Europa,
perché veramente poter affermare e difendere i diritti delle donne vuol dire affermare e difendere i diritti di
chiunque di noi abbia la possibilità e la voglia di esprimere una qualsiasi idea.
Trivelle nelle Tremiti, mons. Castoro: scelta sbagliata
◊ In Italia il ministero dello Sviluppo economico ha autorizzato, lo scorso mese di dicembre, attività di
ricerca petrolifera al largo delle Isole Tremiti. E’ quanto rende noto il quotidiano “La Repubblica” precisando
che ad usufruire della concessione, per meno di 2mila euro l’anno, sarà la multinazionale irlandese
“Petroceltic International”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: L’arcipelago delle Isole Tremiti è uno scrigno naturale con tesori di inestimabile valore incastonati in un mare
limpido, custoditi da una rigogliosa vegetazione e circondati da fondali spettacolari. In questa oasi naturale,
ricca di biodiversità e dalla forte attrattiva turistica, c’è un’altra ricchezza, il petrolio, che richiama l’attenzione
internazionale. E particolarmente interessata a questa risorsa è una multinazionale irlandese alla quale il
governo, secondo fonti di stampa, ha concesso la possibilità di fare esplorazioni in questo straordinario tratto
di mare. Le ricerche petrolifere sono state autorizzate per poco più di 1.900 euro l’anno. Il provvedimento ha
innescato forti polemiche, soprattutto da parte della comunità locale. Per il governatore della Regione Puglia,
Michele Emiliano, le trivellazioni al largo delle Tremiti “sono una vergogna ed una follia”. Lo scorso mese di
settembre dieci regioni, tra cui Puglia, Calabria, Sardegna e Liguria, hanno depositato in Cassazione sei
quesiti referendari contro le trivellazioni sul territorio ed entro 12 miglia dalla costa. “Non può essere ­ ha
dichiarato infine Emiliano ­ che la volontà di ben dieci Regioni di tutelare il loro mare sia sbeffeggiata”.
La Chiesa pugliese è contraria a queste attività di ricerca. E' quanto sottolinea , al micrifono di Amedeo
Lomonaco, l’arcivescovo di Manfredonia­Vieste­San Giovanni Rotondo, mons. Michele Castoro: R. – Già da quando si ventilava questa possibilità, noi come vescovi di Puglia abbiamo sempre espresso
molta solidarietà alle popolazioni della regione e anche del Molise, e sosteniamo, anche con la preghiera,
l’impegno per la salvaguardia di questa parte della Puglia e del suo bel mare. Da parte nostra,
assolutamente, noi siamo contrari. La popolazione vede come un fatto nefasto questo provvedimento, che
speriamo venga scongiurato. Anche nell’attuale crisi, lo sviluppo economico non può giustificare scelte non
rispettose dell’ambiente e anche della volontà delle popolazioni locali.
D. – Come ha sottolineato anche il Papa nell’enciclica “Laudato sì” bisogna proteggere la nostra casa
comune proprio per la ricerca di uno sviluppo sostenibile integrale…
R. – Ogni riduzione economicistica può rivelarsi ­ e si rivelerà senz’altro – sbagliata e perdente, se non
perfino dannosa. Lo dice il Papa chiaramente nella “Laudato sì” e lo abbiamo ribadito anche noi in una nota
pastorale, come vescovi di Puglia. Lo dice il Papa nell’enciclica: “I beni della Terra sono dati dal Creatore a
tutti gli uomini”. Sulla base di tale principio si fonda la tessitura di un legame profondo tra economia ed etica.
Allora rifiutare le scelte facili, anche in questo campo, costituisce una risposta forte alle esigenze educative
che oggi interpellano la nostra società. Le Isole Tremiti sono per noi la perla del nostro mare Adriatico,
richiedono attività economiche che siano coerenti e compatibili con la loro identità. Tant’è vero che le Isole
Tremiti, alcuni anni fa, sono state costituite come area marina protetta, col divieto di attività incompatibili con
la vocazione naturale del territorio. Per i nostri fedeli, per i pugliesi, noi vescovi di Puglia abbiamo scritto, l’8
aprile 2012, la nota pastorale intitolata: “I cristiani nel mondo, testimoni di speranza”. Abbiamo scritto così:
“Amate la nostra terra, amatela con tutta la forza della ragione e tutta la passione della nostra fede in Cristo
morto e risorto. Amate il luogo dove viviamo e lavoriamo, così come esso è, con la sua storia e la pluriforme
tradizione culturale e religiosa, con l’identità culturale che ci ritroviamo, con le risorse che possediamo, con
le problematiche umane e sociali che siamo chiamati ad affrontare. Amate la nostra terra soprattutto in
questo momento di crisi economica e sociale, che ci provoca a ricercare nuovi stili di vita e nuovi modelli di
sviluppo per il nostro futuro. Dal Gargano a Santa Maria di Leuca, la nostra è una terra bellissima, santuario
della luce e del silenzio. Facciamo in modo che continui ad esserlo”. E’ anche l’augurio che io rivolgo a tutti
coloro che ci ascoltano attraverso Radio Vaticana.
Quella del governo italiano è una scelta insensata, sottolinea ricercatore scientifico di Legambiente Giorgio
Zampetti: R. – La scelta di autorizzare le nuove ricerche al largo della costa tra Molise e Abruzzo, proprio a ridosso
delle Isole Tremiti, è una scelta assolutamente insensata e ingiustificata. Soltanto pochi giorni prima il
governo aveva scelto, con un emendamento della legge di stabilità, di fare marcia indietro sulle trivellazioni.
Non si capisce per quale motivo continuiamo a rilasciare permessi di ricerca, tra l’altro in un tratto di mare
molto sensibile e molto pregiato, che porterebbe conseguenze gravi anche dal punto di vista ambientale. Il
petrolio nel mare italiano è poco, è di scarsa qualità e non sarebbe sufficiente a coprire il fabbisogno
energetico per più di poche settimane. Anche in termini occupazionali, continuare ad insistere sul petrolio è
veramente una strada anacronistica: è, comunque un’attività che non porta occupazione, non porta
ricchezza, se non alle società stesse che lo conducono. Oggi, quindi, quello che il governo dovrebbe fare è
scegliere tutt’altra direzione.
D. – Tra l’altro, è un tratto di mare dove i fondali sono profondi e questo porterebbe ad un rischio di
esplosione nei pozzi. E' anche una zona dove ci sono faglie sismiche. E' inoltre un contesto, quello dello
spazio marino intorno alle Isole Tremiti, in cui ci sono ancora ordigni bellici della Seconda Guerra Mondiale.
Quindi, questi ed altri fattori dovrebbero far pensare proprio a non intraprendere questo tipo di strada…
R. – L’autorizzazione che il governo ha rilasciato, la concessione, è per la ricerca. Per cui sono attività non di
estrazione vera e propria ancora, ma di ricerca petrolifera. Ma la ricerca stessa che verrà condotta viene fatta
attraverso la tecnica dell’airgun. E' una tecnica che prevede esplosioni sottomarine con onda di ritorno per
registrare il sottosuolo. Questa tecnica ha dei fortissimi impatti sulla fauna marina e sul pescato. Quella zona
dell’Adriatico è una zona di altissimo pregio dal punto di vista naturale, ma anche di altissimo pregio per il
turismo e per la pesca. Quindi è chiaro che questa attività mal si concilia con quello che invece l’Italia
vorrebbe che si facesse su quel tratto di mare: valorizzare le sue risorse naturali e tutelarle.
D. – E’ solo questo tratto di mare in Italia a rischio o ci sono anche altre zone che potranno essere soggette,
in futuro, a trivellazioni ?
R. – Il mare italiano oggi ha tantissime richieste per l’estrazione e la ricerca di petrolio, soprattutto
nell’Adriatico centrale, nel Mar Ionio e nel canale di Sicilia. Migliaia di chilometri quadrati, quindi, che
potrebbero essere oggi ipotecati all’industria petrolifera. Su questi tratti di mare oggi è richiesta una tutela
particolare, soprattutto una marcia indietro del governo, perché questo impatto ambientale e questo rischio
ambientale lo avremo a fronte di poche tonnellate di petrolio di cattiva qualità, che non gioverebbero
nemmeno dal punto di vista economico ed energetico al Paese. Un petrolio di bassa qualità. Noi dobbiamo
anche pensare che negli ultimi venti anni in Italia e nel mondo c’è stata una rivoluzione, quella della chimica
verde, per cui oggi si possono recuperare pneumatici per fare materiale per la copertura delle strade. Oggi
abbiamo il mercato e l’industria delle bioplastiche, ovvero le plastiche provenienti da materiali vegetali. Tutto
questo oggi sostituisce il petrolio. Si tratta di una chimica, di un settore industriale in crescita, innovativo,
forte. Allora è chiaro che la direzione da seguire oggi è assolutamente questa, piuttosto che continuare ad
inseguire una strada, che è quella delle estrazioni petrolifere, per continuare a cercare fonti fossili inquinanti,
con un’economica che non sarebbe per tutti, ma soltanto per poche società.
Mafia: 20 anni fa la barbara uccisione del piccolo Di Matteo
◊ Commemorato oggi a San Giuseppe Jato, nel Palermitano, il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito
di mafia, Santino, ucciso venti anni fa per impedire al padre di raccontare ai magistrati particolari della strage
di Capaci. Alessandra Zaffiro: Ai mafiosi vestiti da agenti della Dia che il 23 novembre del ‘93 lo rapirono a soli 11 anni nel maneggio di
Altofonte, raccontandogli che lo avrebbero condotto dal padre, Giuseppe Di Matteo, apparendo felice, disse:
“Papà mio, amore mio”. E invece per il bambino appassionato di cavalli, con l’unica colpa di essere figlio di
un pentito di mafia, iniziò un incubo, un calvario lungo 779 giorni vissuti nelle campagne dell’Agrigentino e del
Trapanese, tra masserie ed edifici diroccati, fino all’11 gennaio di venti anni fa, quando in un casolare­bunker
di San Giuseppe Jato, venne strangolato e il suo corpo gettato nell’acido.
Ed è proprio partendo da quel casolare sottratto ai boss, trasformato nel “Giardino della Memoria” e
assegnato al Comune di San Giuseppe Jato, che oggi si ricorda il piccolo Giuseppe Di Matteo con una serie
di iniziative, promosse anche da Libera, dal titolo “C’era un volta un bambino che amava i cavalli”. “Tutto è
stato rinnovato ­ spiega Giovanni Pagano, referente provinciale di Libera Palermo ­ ad eccezione del luogo in
cui il piccolo Giuseppe ha vissuto l’ultimo periodo della sua prigionia: un bunker sotterraneo accessibile
grazie a un complesso ingranaggio”.
Il programma della giornata prevede nella Chiesa Madre la celebrazione di una Messa “in ricordo di tutti i
bambini innocenti, vittime della violenza dell’uomo”. Prima del rito, l’interpretazione dell’artista Martino Lo
Cascio di uno scritto su Giuseppe Di Matteo. A seguire, una testimonianza sulla tragica storia del bambino
organizzata dai volontari di Libera del comprensorio della Valle dello Jato.
Per il sindaco di San Giuseppe Jato, Davide Licari, questa vicenda "resta una dolorosa ferita aperta. Un
pagina atroce nella storia della nostra comunità e di tutto il Paese. Ma che ha segnato anche la repulsione
per la mafia. E oggi San Giuseppe Jato è sulla strada della liberazione e tiene alta la guardia. Noi non
vogliamo avere a che fare con una storia di morte, con una Cosa nostra infame e senza onore".
Morto David Bowie, geniale trasformista del rock
◊ Un tweet della sua famiglia ha annunciato la scomparsa di David Bowie, una delle icone del rock mondiale
più amate e innovative. L’artista londinese, spentosi ieri, combatteva con un cancro da 18 mesi e appena
due giorni fa, in coincidenza con il suo 69.mo compleanno, aveva pubblicato il suo ultimo lavoro “Blackstar”.
Il servizio di Alessandro De Carolis: “Mito­leggenda” è binomio che oggi si scomoda anche per quei medio calibri ingigantiti dall’ipertrofia
mediatica che fa sembrare un grandioso arcobaleno una modesta ruota di pavone. Per David Bowie, no, si
tratta di appellativi meritati, perché non si sta sulla cresta dell’onda dello star system musicale per 50 anni
senza avere doti creative sublimi. E una delle qualità più celebrate della rockstar londinese è stata senza
dubbio quella immaginazione musicale ribollente – e cangiante come i suoi infiniti look – che gli ha permesso
di segnare praticamente a ogni uscita di un suo disco un prima e un dopo col quale sarebbe stato
impossibile, per i suoi colleghi, non confrontarsi.
Bowie, i mille stili del rock
Soul e jazz sono stati la sua scuola alla fine degli anni Sessanta e sonorità jazz impreziosiscono “Blackstar”,
l’ultimo lavoro pubblicato una manciata di ore prima di morire, il saluto perfetto alla sterminata platea
internazionale e intergenerazionale dei suoi fan che solo chi ha vissuto come icona poteva desiderare con
quella sincronia. In mezzo decenni di rock iridescente di mille contaminazioni – folk, beat, elettronico, new
romantic e molto altro – capace di sofisticate avanguardie e di quel pop bello e decifrabile da comuni
orecchie e garanzia di lauti incassi.
Uno e centomila
L’eclettismo compositivo del Bowie autore procede in parallelo col trasformismo a volte bizzarro del suo
personaggio, anzi dei suoi “personaggi”, che di quando in quando gli otterranno scampoli di fama anche sul
grande schermo. La carriera del figlio di un soldato e una cassiera è fin dagli esordi una e centomila facce e
costumi di scena e di vita e una certa predilezione per l’immagine androgina gli attira critiche, compresa
quella di una bisessualità che lui alimenta strategicamente per poi smentire anni dopo in un’intervista,
affermando di aver fatto sua per un periodo “la condizione di bisessuale” e spiegando: “L’ironia è che non ero
gay”.
“Torre di controllo a Maggiore Tom”
Anche quella spirituale è una dimensione che David Bowie coltiva secondo una sensibilità che lo porterà ad
affermare di attribuire a Dio “un ruolo molto importante” nella sua vita: “Mi rivolgo più spesso a Lui e più
invecchio e più Lui diventa un punto di riferimento”. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura, ha voluto ricordare la scomparsa della rockstar twittando un verso di una sua
celeberrima canzone, “Space Oddity”: "Torre di controllo a Maggiore Tom, comincia il conto alla rovescia,
accendi i motori, controlla l'accensione e che Dio ti assista”.
Nella Chiesa e nel mondo
Vietnam: la visita del card. Reinhard Marx
◊ Io sono “un missionario. Anche voi seminaristi siete missionari. Perché la natura missionaria fa parte di
ogni vocazione. Ognuno di noi deve guardare ai segni dei tempi. In particolar modo guardiamo all’esempio del
Santo Padre, che ha guardato ai segni dei tempi per realizzare la sua missione, servire la Chiesa”. Lo ha
detto il card. Reinhard Marx, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali europee, celebrando
la Messa nella facoltà di Teologia nel seminario maggiore di San Giuseppe ad Hanoi, sabato scorso. La Messa con i seminaristi ad Hanoi
Il presule ­ riporta l'agenzia AsiaNews ­ è in visita pastorale in Vietnam – dal titolo “Starkung der Ortskirche”,
“sostengo per la chiesa locale” – fino al 17 gennaio, e avrà modo di incontrare tutte le maggiori realtà della
Chiesa locale. Nella capitale del Paese, il cardinale ha celebrato la Messa insieme a 100 seminaristi,
l’arcivescovo di Hanoi card. Nguyễn Văn Nhơn e mons. Cosma Hoàng Văn Đạt, segretario generale della
Conferenza episcopale vietnamita. “Oggi – ha continuato il segretario della Conferenza episcopale tedesca –
guardiamo a Gesù. Egli ci accompagna ed è con ciascuno di noi. Egli inoltre si identifica con i poveri e i
peccatori. Nonostante questa assimilazione, il Padre ha confermato che egli è suo Figlio. Per questo noi
dobbiamo prendere la responsabilità per la gente, in special modo per i poveri”.
Oggi la Messa a Tam Đảo, nella diocesi di Bắc Ninh
Oggi il card. Marx ha visitato la parrocchia di Tam Đảo, nella diocesi di Bắc Ninh, a nord­est di Hanoi. Qui, il
presule ha celebrato Messa in latino al centro pellegrinaggi di Tam Đảo, insieme al vescovo, oltre 4mila fedeli
e 500 leader della Società eucaristica dei bambini. La diocesi di Bắc Ninh è stata stabilita 100 anni fa e al
momento conta 56 sacerdoti che si occupano di 81 parrocchie, per un totale di 125mila fedeli.
Nei prossimi giorni la visita alla Caritas ed alle suore di Thủ Thiêm
La giornata di ieri è stata dedicata all’incontro con la gioventù della Chiesa locale. Cristo, ha detto, “è il dono
venuto dalla misericordia del Padre. Grazie all’evento del battesimo di Gesù, ognuno di noi (sia che viva in
Germania sia che viva in Vietnam) gode del dono eterno di Dio”. Nei prossimi giorni, il cardinale viaggerà fino
ad Ho Chi Minh City, dove visiterà la sede di Caritas Vietnam e il convento delle suore Amanti della Santa
Croce a Thủ Thiêm. Lo scorso ottobre, le suore sono riuscite a bloccare la demolizione della scuola da loro
gestita, decisa dal governo. Anche la diocesi di Vinh, sul delta del Mekong, sarà una tappa della visita
pastorale. Lì, il card. Marx incontrerà mons. Paul Nguyễn Thái Hợp, presidente della consiglio di Giustizia e
pace del Paese. Inoltre, il presule avrà un momento di preghiera nel santuario di Sant’Antonio da Padova,
uno dei luoghi di pellegrinaggio più visitati del Vietnam. (Q.H.)
Terra Santa: vietato accesso a delegazione vescovi a Cremisan
◊ Nella mattinata di ieri i vescovi dell’Holy Land Coordination (Hlc), formato da presuli di Usa, Ue, Canada e
Sud Africa, con rappresentanti delle Chiese europee Ccee e Comece, si sono recati in visita nella zona di
Beir Onah, nella valle di Cremisan dove Israele sta costruendo il Muro di separazione. Una costruzione ­
riporta l'agenzia Sir ­ contestata da 58 famiglie cristiane, del vicino villaggio di Beit Jala, che si sono viste
espropriare le proprie terre in gran parte oliveti e frutteti che davano loro da vivere. Impedito ai vescovi l'accesso alla Valle di Cremisan
Al loro arrivo sul posto, ai vescovi, che erano accompagnati da membri dell’associazione “St.Yves” che da
anni assiste legalmente le famiglie davanti la Corte israeliana, è stato impedito l’accesso da militari israeliani.
A nulla sono valsi i tentativi di avvicinarsi alla zona dei lavori del Muro. I vescovi, dopo aver pregato insieme
il Padre Nostro, sono tornati indietro.
La popolazione cristiana sta perdendo le proprie terre
“La storia continua – ha dichiarato mons. Rodolfo Cetoloni, vescovo di Grosseto, membro italiano dell’Hlc
​
presente sul posto – con queste gravi difficoltà. La popolazione è sempre davanti al rischio di perdere le loro
terre e la libertà. Siamo nella valle tra Beit Jala e la colonia israeliana di Gilo dove l’esercito sta prendendo
terreni e ha già sradicato piante di olivo. Siamo qui per dimostrare vicinanza nel tentativo di impedire questi
fatti”. (R.P.)
Iraq: cristiani e islamici al cimitero cristiano profanato a Kirkuk
◊ Una delegazione composta da rappresentanti cristiani e musulmani ha visitato ieri, il cimitero cristiano di
Kirkuk, fatto oggetto lo scorso 23 dicembre di una profanazione vandalica, con il danneggiamento di diverse
tombe e lapidi funerarie. Alla visita – riferiscono fonti locali contattate dall'agenzia Fides ­ hanno preso parte
mons. Yousif Thoma Mirkis, arcivescovo caldeo di Kirkuk, alcuni sacerdoti e anche alcuni rappresentanti
della Lega caldea. La condanna della comunità islamica
In segno di solidarietà con la comunità cristiana locale, colpita già in altre circostanze da gravi atti
intimidatori, non hanno voluto far mancare la loro presenza rappresentanti della comunità islamica, tra cui lo
sheikh Ahmad Hamid Amin, imam di una importante moschea di Kirkuk. Tutti gli intervenuti hanno
condannato la profanazione come atto mirante a fomentare settarismi e a sabotare la convivenza pacifica tra
le diverse componenti etniche e religiose della popolazione cittadina. I rappresentanti islamici, nei loro
interventi, hanno insistito sulla necessità di fronteggiare uniti le provocazioni di chi tenta di destabilizzare la
situazione sociale nella grande città irachena. (G.V.)
Regno Unito: incontro Primati anglicani su sfida della comunione
◊ Prende il via oggi a Londra un incontro che si annuncia di fondamentale importanza per il futuro della
Comunione Anglicana. All’incontro convocato il 16 settembre scorso dall’arcivescovo di Canterbury Justin
Welby in vista della prossima Conferenza di Lambeth prevista per il 2018, parteciperanno i Primati delle 38
province che aderiscono alla Comunione anglicana in rappresentanza dei circa 85 milioni di fedeli presenti in
165 Paesi. All’ordine del giorno della riunione, che proseguirà fino al 16 gennaio, la revisione delle strutture
ecclesiastiche e soprattutto la ricerca di un approccio complessivo alla gestione di questioni come
l’omosessualità e l’ordinazione delle donne vescovo, sulle quali, soprattutto all’ultima Conferenza di Lambeth
del 2008, sono emerse profonde divergenze, in particolare tra le comunità dei Paesi occidentali e quelle
africane e asiatiche.
Una comunione più profonda fondata sul rispetto reciproco nella differenza
Questioni delicate, dunque, anche perché la Comunione anglicana non ha un’organizzazione centralizzata e
ciascuna provincia gode di una forte indipendenza, sia sul piano disciplinare e organizzativo, che teologico,
mentre la Chiesa d’Inghilterra, come “Chiesa madre”, gode solo dello status di prima inter pares. Un aspetto
questo sottolineato dallo stesso Welby nella lettera di convocazione. “Ognuno di noi — si legge — vive in un
contesto diverso. La differenza tra le nostre società e culture, così come la velocità di cambiamento culturale
che si registra in gran parte dei Paesi del nord, ci inducono a dividerci come cristiani”. E, ciò nonostante “il
comando della Scrittura, la preghiera di Gesù, la tradizione della Chiesa e la nostra comprensione teologica
ci esortino all’unità”. Da questa premessa, secondo il Primate inglese deve nascere non certamente uno
sterile unanimismo, ma una comunione a un livello forse più profondo, una unità che sappia nutrirsi
soprattutto del rispetto reciproco nella gestione delle differenze.
Trovare un equilibrio restando fedeli alla rivelazione di Cristo
Infatti, “la famiglia anglicana del XXI secolo deve trovare spazio anche per una critica e un dissenso
profondo, fino a quando si resta fedeli alla rivelazione di Gesù Cristo”. Si tratta, quindi – sottolinea Welby ­ di
arrivare a un sapiente equilibrio nella consapevolezza che “non abbiamo nessun Papa anglicano” e “che la
nostra autorità come Chiesa si trova, in ultima analisi, nella Scrittura, correttamente interpretata”
Ospite della riunione il cattolico Jean Vanier
L’ordine del giorno definitivo — si legge in un comunicato diffuso da Lambeth Palace — sarà fissato di
comune accordo con tutti i Primati. Alla riunione – riferisce L’Osservatore Romano ­ è stato invitato anche il
pensatore cattolico Jean Vanier. Una scelta che conferma la strada del dialogo ecumenico, in particolare con
il mondo cattolico, intrapresa da Welby che, come si ricorderà, nel novembre scorso aveva invitato il
predicatore della Casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa, a offrire una riflessione in occasione
dell’apertura dei lavori del Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra. (A cura di Lisa Zengarini)
Salvador: Chiesa chiede a Usa di fermare espulsioni di migranti
◊ L’arcivescovo di San Salvador ha chiesto al governo degli Stati Uniti di fermare le deportazioni di migranti
centroamericani che “solo cercano di migliorare la qualità di vita delle proprie famiglie”. Durante la consueta
conferenza stampa dopo la Messa domenicale, mons. Josè Luis Escobar Alas ha fatto riferimento alle
deportazioni di immigranti clandestini centroamericani detenuti negli Stati di Georgia, Texas e Carolina del
Nord dopo una serie di operazioni dell’Ufficio di Immigrazione e dogana iniziate i primi giorni del anno e che
continueranno anche negli altri Stati.
“Non è giusto, non sono criminali”
Mons. Escobar Alas ha affermato che è urgente una “riforma migratoria che protegga i migranti provenienti
dalla regione del Centro America. “Non è giusto, non sono criminali che devono essere deportati: si tratta di
brave persone che svolgono un lavoro onesto” ­ ha detto l’arcivescovo di San Salvador nel constatare che
per lo più sono adulti – uomini e donne­ e bambini che hanno attraversato la frontiera illegalmente e gli è
stato negato lo statuto di rifugiati. Secondo fonti del governo, 2, 5 milioni di salvadoregni su 3 si trova
clandestinamente negli Stati Uniti e le rimesse procedenti dagli immigrati rappresentano circa il 16% del Pil
della nazione centroamericana. (A cura di Alina Tufani)
Chiesa Honduras agli Usa: porre fine a espulsioni di immigrati
◊ La Pastorale della Mobilità Umana, organismo della Chiesa cattolica dell’Honduras, ha chiesto al governo
del Presidente statunitense Barack Obama di porre fine alle recenti retate ed espulsioni di immigrati
centroamericani irregolari. "Chiediamo alle autorità statunitensi di non espellere la nostra gente
centroamericana" ha detto Lidia Souza, responsabile della pastorale dei migranti, parlando all’agenzia Efe
questo fine settimana.
L'espulsione delle madri con i loro bambini
Le retate per catturare gli immigrati ­ riporta l'agenzia Fides ­ “non sono nuove”, si tratta di “una pratica” degli
Stati Uniti per espellere gli immigrati, in particolare i centroamericani, ha detto la Souza. "Ma è molto triste e
spiacevole che vengono espulse anche madri con i loro bambini" ha sottolineato.
Metodo delle retate condannato dal governo dell'Honduras
Mercoledì scorso, 6 gennaio, è rientrato in Honduras il primo gruppo di 19 bambini espulsi dagli Stati Uniti,
tutti accompagnati dalle rispettive madri. Questo metodo delle "retate" è stato condannato dal governo
dell'Honduras, che allo stesso tempo si è detto rispettoso delle misure statunitensi in tema di immigrazione
irregolare. Il Presidente dell'Honduras, Juan Orlando Hernández, nel frattempo ha chiesto ai consolati e ai
diversi uffici dell’ambasciata del suo Paese negli Stati Uniti, di assistere e consigliare gli honduregni che lo
richiedono. (C.E.)
Portogallo: programma di aiuti della Chiesa per i rifugiati
◊ Si chiama “Linea del fronte” è il programma che la Chiesa portoghese ha lanciato per aiutare i rifugiati nei
loro Paesi d’origine. L’iniziativa – informa l’agenzia cattolica Ecclesia – ha come obiettivo primario quello di
“garantire la sicurezza e la dignità delle persone a rischio, degli sfollati interni e dei rifugiati, in particolare in
Medio Oriente ed in Libano”. I primi risultati sono stati già ottenuti: i fondi raccolti grazie al programma, infatti,
verranno inviati alla Caritas Libano per sostenere le prime necessità dei profughi. Il tutto in nome della
solidarietà.
Accoglienza ed integrazione, soprattutto dei minori
Insieme alla Chiesa cattolica, a portare avanti “Linea del fronte” è la Piattaforma di appoggio ai rifugiati,
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organismo costituito da un centinaio di istituzioni della società civile ed orientato a due aree di azione: la
prima, focalizzata sull’accoglienza e l’integrazione dei minori rifugiati e delle loro famiglie in Portogallo, ed
una seconda rivolta a sostenere i profughi nei loro Paesi d’origine. Da ricordare che, nell’ambito della crisi dei
rifugiati in Europa, si prevede che il Portogallo possa accogliere, nei prossimi mesi, circa 5mila persone, in
accordo con quanto stabilito dall’Unione Europea. (I.P.)
Caritas Senegal lancia nuovo programma per la lotta all’Ebola
◊ La Caritas Senegal, insieme a diverse organizzazioni cattoliche senegalesi e tedesche, ha lanciato un
nuovo programma per la lotta e la prevenzione dell’Ebola. Lo ha annunciato il suo presidente, mons. Jean
Pierre Bassène, aprendo il 9 gennaio, i lavori della 52.ma assemblea generale dell’organizzazione caritativa.
Stanziati quasi 1,5 milioni di euro
Il programma, per il quale saranno stanziati 1.474.339 di euro, prevede la fornitura di apparecchiature
sanitarie, prodotti igienici e di disinfezione, iniziative di formazione e sensibilizzazione, la predisposizione di
padiglioni speciali nell’ospedale universitario di Fann a Dakar e nell’ospedale San Giovanni di Dio di Thiès. Vi
partecipano Misereor et le Pom (Kindermissionswerk) tedesche, l’Ufficio nazionale dell’insegnamento
cattolico del Senegal (Onecs), l’associazione nazionale delle strutture sanitarie cattoliche senegalesi
(Anpscs) e l’associazione nazionale per la promozione della donna. (Anpf).
10mila le vittime dell’epidemia del 2013­15 in Africa Occidentale
Nel 2015, nel pieno dell’epidemia, Caritas Senegal e i suoi partner hanno stanziato 6.081.649 di euro per i
loro programmi, collaborando con le autorità sanitarie del Paese per fornire alla popolazione accesso a servizi
essenziali come acqua pulita, cure sanitarie, igiene, sicurezza alimentare e altre misure necessarie. Tra il
dicembre 2013 e il dicembre 2015 la malattia, che si manifesta attraverso una febbre emorragica spesso
letale, aveva causato 10mila morti in tutta l'Africa Occidentale, creando un allarme a livello mondiale. Tra i
Paesi più colpiti la Liberia, la Sierra Leone e la Guinea.
Tra i temi al centro dell’assemblea la Laudato si’ e i nuovi statuti della Caritas
Il tema dell’assemblea generale della Caritas Senegal ­ riferisce l’agenzia Apic – è “Prendersi cura del
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Creato, una sola famiglia umana”. Al centro dei lavori, oltre all’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” sulla
cura della casa comune, vi saranno la presentazione del rapporto annuale della Caritas Senegal e di quelli
delle Caritas diocesane e la revisione dei suoi statuti in linea con le nuove disposizioni del Motu proprio
“Intima Ecclesia Naturae” del 2012 sul servizio alla carità. (L.Z.)
Senegal: pellegrinaggio della reliquia di Sant'Eugenio di Mazenod
◊ La reliquia del cuore di Sant’Eugenio di Mazenod, fondatore della Congregazione dei Missionari Oblati di
Maria Immacolata (Omi) che quest’anno celebra 200 anni di fondazione, sarà esposta alla venerazione dei
fedeli in tutto il Senegal e nella Guinea Bissau. Il pellegrinaggio della teca che la custodisce partirà il 16
gennaio dalla cattedrale di Dakar. Ne da notizia il portale della Chiesa senegalese. Il 23 e 24 gennaio la
reliquia si troverà al santuario nazionale Nostra Signora della Liberazione di Popenguine dove si svolgeranno
le celebrazioni del giubileo dei missionari oblati. Il card. Theodore Adrien Sarr presiederà la Messa solenne il
24 gennaio alle ore 10.00.
Dalla Francia la missione di vivere la Parola e di predicarla
Era il 25 gennaio del 1816 quando Eugenio di Mazenod riunì alcuni sacerdoti nel Carmelo di Aix en Provence
dando vita ad una nuova famiglia religiosa. “Al termine della rivoluzione francese la fede era quasi sparita e la
gente, soprattutto nelle campagne, era lasciata a se stessa – spiega padre Bruno Favero, superiore della
delegazione Omi Senegal­Guinea Bissau –. Questo stato di cose ha toccato il cuore di alcuni sacerdoti”. Gli
oblati sono nati così, per l’evangelizzazione e la missione, per predicare Gesù Cristo non con il prestigio
della parola, ma mostrando di aver meditato nel cuore la parola annunciata e di averla messa anzitutto in
pratica.
I missionari Oblati in Senegal da 40 anni
In Senegal i missionari Oblati sono presenti da 40 anni. L'esposizione della reliquia del cuore di sant'Eugenio
di Mazenod è significativa perchè il fondatore degli Oblati parlava spesso del proprio cuore. Lo mise al centro
della propria vita amando Dio, la gente e i suoi confratelli. Per questo volle che restasse, anche dopo la sua
morte, come simbolo del suo affetto per quanti lo conoscevano, sicché nel suo testamento dispose che al
termine della sua vita terrena il suo cuore venisse diviso in due parti da deporre una nel santuario di Notre­
Dame de la Garde, a Marsiglia, l’altra, sempre a Marsiglia, allo scolasticato di Montolivet. (T.C.)
Filippine. Card. Tagle: insieme a Gesù, non si è mai soli ◊ Insieme a Gesù, non si è mai soli: questo il cuore dell’omelia pronunciata dal card. Luis Antonio Tagle,
arcivescovo di Manila, in occasione della tradizionale processione del Nazareno Nero, svoltasi il 9 gennaio.
Milioni i pellegrini che, a piedi nudi, hanno accompagnato la statua di Gesù, in legno scuro, dal centro della
capitale filippina alla basilica di Quiapo. “Cristo raggiunge tutti – ha ribadito il card. Tagle – ci porta sulle Sue
spalle, non ci vede come un peso, perché Egli è qui per noi”.
L’importanza del sacramento dell’Eucaristia
Quindi, parlando dei tanti sacrifici compiuti dai fedeli per partecipare alla processione, il porporato ha chiesto:
“Perché si accetta tanta fatica? La risposta è: per dimostrare gratitudine a Dio. Tutti noi vogliamo rendere
grazie al Nazareno Nero per la sua infinità bontà nei nostri confronti”. “Questo sacrificio d’amore – ha
aggiunto – è un modo con cui i fedeli posso restituire a Dio un poco di quel tutto che Egli ha donato loro”. In
vista, infine, del 51.mo Congresso eucaristico internazionale, in programma a Cebu dal 24 al 31 gennaio,
l’arcivescovo di Manila ha esortato a guardare all’Eucaristia come “al compimento della devozione”, perché in
questo Sacramento i fedeli possono “vedere l’opera di Gesù che bisogna seguire ed imitare”.
L’antica devozione al Nazareno Nero
Da ricordare che la processione del Nazareno Nero è l'evento religioso più importante delle Filippine. La
statua così tanto amata dai fedeli rappresenta a grandezza naturale Gesù, piegato sotto il peso della Croce.
L’opera, che risale al XVII secolo, epoca della dominazione spagnola nel Paese, fu portata a Manila nel 1607
grazie ad un sacerdote agostiniano spagnolo che viaggiava a bordo di una nave proveniente dal Messico.
Secondo la tradizione, durante il viaggio l'imbarcazione prese fuoco, ma l'immagine del Cristo scampò
miracolosamente all'incendio assumendo il colore nero. Nonostante il danno, la popolazione di Manila decise
di conservare e onorare l'effigie. Nel 1650, sotto il pontificato di Innocenzo X, la Santa Sede istituì
canonicamente la “Confradia de Jesus Nazareno”. Anche Pio VII, nel XIX secolo, volle onorare il Nazareno
Nero concedendo l’indulgenza plenaria “a chi lo prega in maniera pia”. (A cura di Isabella Piro)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 11
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