CAPITOLO UNO ovvero L`illustre autore si presenta ed espone lo
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CAPITOLO UNO ovvero L`illustre autore si presenta ed espone lo
CAPITOLO UNO ovvero L’illustre autore si presenta ed espone lo scopo della sua opera Voglio così tante cose che non voglio niente. Voglio scrivere un libro, tanto per incominciare. Questo libro. Poi voglio imparare l’inglese, ché conosco solo tre o quattro parole, e trasferirmi in qualche paese sperduto del Minnesota prima dei trent’anni. Dei venticinque, anzi. Infine, voglio un migliore amico. Voglio qualcuno con cui parlare di libri. Un amico che sappia addirittura il nome completo di Thackeray. Che sappia che cosa ha scritto Thackeray. Un amico che veda con me i film vecchi in bianco e nero, quelli da cineforum intellettualoide, ma non solo quelli. Ad esempio, io amo le pellicole anni Ottanta, quelle con le gang tutte al femminile, e poi Pretty in pink e tutti quei film in cui i protagonisti riescono, dopo mille vicissitudini, ad avere il coraggio di essere loro stessi. Questo libro che oggi inizio a scrivere ha questo scopo: darmi il coraggio di essere quello che sono, anche se questa è una questione leggermente secondaria al capire chi sono. Adesso, però, viene la parte più difficile: battezzare i personaggi del romanzo. Il protagonista, innanzitutto, che sarei io. Avevo una fidanzata, alle medie, che diceva fosse bugia, il fatto che i grandi scrittori danno un significato anche ai nomi dei personaggi. Boiate, diceva. Invece secondo me non è così: prendi Thackeray, per esempio. Il personaggio più intelligente, affilato e pungente di Vanity Fair si chiama Becky Sharp, e Sharp, benché io non capisca una cippa d’inglese, significa affilato, aguzzo, per15 spicace. Lo dice il DeAgostini tascabile, mica io. E dunque, se il buon vecchio William Makepeace poteva dare ai nomi il giusto valore, posso farlo anch’io. Io mi chiamerò Golvan che, secondo una mia amica, è un nome celtico che significa “passerotto”. È un nome che fa un po’ guerre stellari un po’ signore degli anelli ed è così che mi sento. Sospeso. Il passerotto sul filo elettrico che potrebbe tirare le cuoia incenerito da un momento all’altro e non si rende neppure conto del pericolo che sta correndo. Anche gli altri personaggi di questo romanzo - ma non tutti, solo i più importanti - avranno dei nomi simili, tutti tratti dalla Lista dei nomi celtici con relativo significato che mi ha regalato la mia amica. Ci sono anche stato, con questa tipa, fino a quando non si è trasferita in Irlanda, a raggiungere le sue leggende sugli elfi. Cose a cui io non credo affatto, ma questa è un’altra storia. *** «Sei uno sfigato che non muove il culo fuori di casa da tre mesi se non per andare a scuola. Tre mesi. Non uno, non due. Tre». La voce di Blez attraverso la cornetta mi punge il timpano. (Ah, Blez! Vuol dire lupo. Quanto mi diverte questa roba dei nomi celtici!). «Non mi va di uscire. Non ho un amico con cui parlare». Blez fa il sospiro dell’offeso, poi alza la voce di un’ottava. «Ah! E io chi sono, l’ultima merda?». «Sì, cioè no. Sei un amico, ma non l’amico, capito? Se ti parlo di film ti metti a ridere». «Dipende dal film. E sì, i tuoi film mi fanno ridere, te lo devo concedere, ma almeno vieni a casa ché studiamo insieme! Non capisco niente di italiano». Non riesco a trattenere una risata. «Italiano! Ma dai, chiedimi aiuto in matematica, no? Bisogna essere proprio cretini per volere aiuto in letteratura». 16 E Blez lo è. Cretino, intendo. «Alzi il culo, sì o no?». «Sono già in piedi». «Sei di una simpatia travolgente. Vieni, Golvan. Vieni e porta Dante». Come sempre, Blez chiude senza salutare. Non mi ha mai spiegato il perché di questa sua abitudine, ma io sono certo che lo faccia per imitare gli attori dei film americani. Pensateci, nei film americani nessuno dice “ciao” o “alla prossima” o “mi ha fatto piacere sentirti” alla fine di una telefonata. Se ne fregano, gli attori americani. Fanno un sorrisetto alla cornetta - ma lo vede solo lo spettatore, mica quello che è all’altro capo del filo! - e riagganciano senza se e senza ma. A me confonderebbe, una cosa del genere. Magari chiedi a una ragazza se vuole uscire, lei fa il sorriso allo spettatore e riaggancia. E il tipo che gliel’ha chiesto? Quello che ne sa che ha sorriso? Certo, quando è Blez a riattaccare, le cose sono diverse: ti dà un certo sollievo, sentire il tuuutuuu del telefono al posto del suo gracchiare. «Ma’, esco». Passando davanti all’asse da stiro di mia madre noto che ha cambiato di nuovo il ferro: ne rompe uno al mese o giù di lì. Mia madre mi fa l’occhiolino. «Esci con una ragazza?». Alzo gli occhi al cielo e faccio in modo che la mia copia della Divina Commedia sia ben visibile al di là delle camicie da stirare. «Ti sembra che io possa uscire con una ragazza portando Dante?». Lei sorride, estasiata, poi solleva lo sguardo e sbatte le ciglia. Oh Dio, sta per declamare. Sta per recitare Dante a memoria sbagliando le parole, ne sono certo. E sarà sicuramente o il primo o il quinto canto dell’Inferno, perché sono gli unici due di cui conosca qualche verso. «Amor ch’a nullo amato amar perdona!». 17 E basta, si ferma qui, ché non la sa più. Mi viene da ridere, ma mi stringo il baffo con i denti di sotto. «Ah, quant’è romantico Dante!» esclama mia madre, sempre in estasi, allisciando la manica di una camicia col palmo della mano. Se Dante è romantico, io sono l’anticristo. «Non esco con una ragazza. Vado da Blez». Mamma inarca il sopracciglio, assumendo l’espressione criptata da Sarai mica gay? «Torno per cena. Non sono gay. E Dante non è romantico». E faccio la mia uscita trionfale canticchiando Exit music (for a film). Ah, comunque ho battezzato mia madre “Sevi” che in celtico significa fragola. E io, alle fragole, sono allergico dalla nascita. 18