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018 020 donne contro 1
Medico e professore universitario, Salma Hadad lavora dal 1990 con i
bambini affetti da tumori ematologici provenienti da tutto l’Irak. Il fatto
di appartenere a una famiglia sciita non costituiva un problema fino al-
Essere oncologa
a Baghdad oggi
DONNE CONTRO 1
di Farian Sabahi
la guerra contro Saddam Hussein. Oggi, invece, Salma rischia ogni giorno la vita per continuare a insegnare e a curare bambini di etnie, cultu-
Contrasto_Reuters
re e religioni diverse
DONNE CONTRO 1
Donne contro la guerra civile e i limiti alla libertà di espressione, donne contro la teocrazia che da quasi trent’anni regna in Iran, donne contro il sistema patriarcale che si
fa scudo dell’Islam più intransigente per negare i diritti e giustificare il delitto d’onore. Sono queste le caratteristiche che accomunano le quattro musulmane a cui diamo
voce in questo dossier.
La prima è l’irachena Salma Hadad: medico e professore universitario, ha dedicato la
vita a curare i bambini affetti da tumori del sangue. Fino a quattro anni fa trascorreva
la mattina nell’ospedale universitario di Baghdad e il pomeriggio nella sua clinica privata. In seguito all’occupazione non riesce più a muoversi in modo autonomo. Ma non
molla: continua a seguire i suoi piccoli pazienti e, quando serve un secondo parere, si
appoggia ai colleghi dell’Università La Sapienza di Roma.
Altrettanto indomita è Bilquis Tahira, un’avvocatessa pachistana impegnata a capo dell’associazione WADA, il cui nome significa “promessa” perché bambine e i bambini
sono il futuro ed è perciò indispensabile insegnare loro la tolleranza verso le differenze e le minoranze, in controtendenza rispetto alle correnti fondamentaliste che si
impongono in modo minaccioso e violento
Salima Ghezzali lotta invece in Algeria, dove la guerra civile ha ucciso centinaia di
migliaia di civili e, tra questi, tanti giornalisti. Voce scomoda, Salima scrive per uno
dei quotidiani più importanti, cercando di superare le forche caudine imposte dal
censore, pronti a imporre le regole dei fondamentalisti islamici.
A qualche migliaio di chilometri un’altra giornalista si batte per la libertà di espressione: come tanti altri membri della società civile iraniana, Noushin Ahmadi Khorassani
lotta per maggiori diritti facendo onore al femminismo iraniano.
avoro in ospedale dalle 8 del mattino
alle 3 del pomeriggio. È un part-time,
ormai in Iraq non esistono più impieghi a tempo pieno”, racconta l’oncologa pediatrica Salma Hadad che, nonostante le difficoltà,
continua a vivere a Baghdad. “Fino a tre anni fa
trascorrevo i pomeriggi in clinica, ma gli episodi di violenza mi hanno costretta a chiudere
l’attività. Ora, quando torno dall’ospedale non
posso nemmeno uscire per fare la spesa. Non
sono sposata e devo sempre essere accompagnata da mio fratello. Vivo con la mia famiglia
perché da sola è pericoloso e costa troppo”.
Donna, medico e professore universitario.
Questa è l’identità dell’irachena Salma Hadad.
Ma questi tre elementi rappresentano fattori di
rischio per la nota dottoressa, facile obiettivo
dei guerriglieri, criminali e militanti dei partiti
radicali islamici che cercano di imporre le loro
regole con la forza. Negli ultimi dodici mesi
Salma non ha potuto sedersi al volante della
sua auto: “È pericoloso, l’ospedale dista 14 chilometri e mi passa a prendere un collega. È frustrante, perché fino a non tanto tempo fa ero
indipendente, badavo a me stessa, aiutavo la
mia famiglia e i pazienti”.
In collegamento video da Baghdad, Salma
Hadad ammette di avere paura a “camminare
per strada da sola, a prendere un taxi. Quando
“L
esco non so se tornerò. Ho paura di saltare in
aria e scomparire per sempre. I miei timori sono
quelli di tutti gli iracheni”. Quattro mesi fa
l’oncologa ha lasciato, insieme alla famiglia, la
casa dove viveva da sempre: “Sui muri abbiamo
trovato la scritta Andatevene altrimenti vi uccidiamo”. Come noi, migliaia di iracheni sono
stati obbligati ad abbandonare le loro proprietà e
i loro beni per non essere uccisi dai ribelli che
hanno spaccato la città in due”. Cinquantadue
anni, Salma Hadad lavora dal 1990 con i bambini affetti da tumori ematologici e provenienti da
varie parti dell’Iraq: “Essere testimone delle loro
sofferenze e di quelle dei loro famigliari ha condizionato la mia vita. Mi sono dedicata a loro,
cercando tutte le cure possibili e aggiornandomi
per permettere ai bambini di sopravvivere grazie alla mediazione di amici e colleghi all’estero”. Ancora oggi, nonostante non sia facile,
Salma porta avanti un progetto di telemedicina
tramite l’organizzazione umanitaria italiana
Intersos presieduta da Nino Sergi e il sostegno
del ministero degli Affari Esteri italiano.
“La collaborazione tra i medici del Children
Welfare Teaching Hospital di Baghdad e noi del
Policlinico Umberto I di Roma è iniziata nel
2004. Il programma è centrato sull’oncoematologia pediatrica e su questioni di medicina
generica. Ogni settimana abbiamo due sessioni
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ESSERE ONCOLOGA A BAGHDAD OGGI
di teleconferenza via satellite in cui discutiamo
i casi più difficili e teniamo lezioni. L’approccio
è paritetico: a volte siamo noi romani a salire
in cattedra, a volte sono i colleghi iracheni a
esporre i loro casi clinici”, osserva il professore
Alberto Angelici che ha appena terminato la
lezione di chirurgia. Reso possibile da Alenia,
oggi il collegamento via satellite viene prolungato per rendere possibile questa intervista,
concessa con qualche difficoltà perché, spiega la
coraggiosa oncologa irachena, “raccontare è
faticoso”. Dopo anni di lavoro “non pensavo di
finire in questa situazione disperata. Incontro
tanti giovani genitori analfabeti, poveri e ignoranti, vittime di quanto è successo negli ultimi
vent’anni. Eppure, tentano tutto il possibile e
sono felici ogni volta che vengono a una visita
di controllo e ci trovano vivi e vegeti.
Recentemente una giovane madre mi ha confessato che la sua speranza nasce dalla perseveranza di noi medici”, spiega Salma che indossa
il camice e ha i capelli a caschetto che in ospedale non copre con il velo.
Salma è nata a Baghdad e ha sempre vissuto in
un quartiere occidentale della capitale. Viene da
una famiglia della classe media, il padre era un
professore universitario e, come la madre, era
sciita e non praticante. Al tempo di Saddam gli
sciiti non potevano né avere le loro moschee né
praticare i loro riti, specialmente a Baghdad
dove per decenni il potere fu gestito dai sunniti.
“Per noi sciiti non era un problema il fatto che
a comandare fossero i sunniti”, spiega l’oncologa, “ma nelle province del Sud, dove la religione è maggiormente radicata, siamo sempre stati
all’opposizione e sottomessi con la forza, com’è
successo con i curdi del Nord, oppressi, deportati e uccisi in massa perché considerati traditori e
non veramente iracheni”.
Si è laureata a Baghdad nel 1978 e avrebbe
voluto specializzarsi all’estero, come tanti altri
medici iracheni avevano già fatto. Le sue ambizioni sono state però ostacolate da quella che
gli arabi considerano la Prima guerra del
Golfo, e cioè quella del 1980 tra Iraq e Iran:
“Le opportunità di ottenere una borsa di studio
diminuirono drasticamente. Non ho più avuto
l’opportunità di andare all’estero dove si sono
invece recati, senza averne i titoli, tanti membri del partito socialista Baath. Molti avevano
deciso infatti di prendere la tessera del partito
per ottenere dei vantaggi e quindi per accedere
a posizioni a cui, in un sistema meritocratico,
non avrebbero avuto accesso”.
Questa è stata la prima delusione di Salma: “I
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valori che mi aveva trasmesso mio padre sono
poco per volta diventati un peso di fronte alle
regole del partito Baath, soprattutto a partire
dalla presa di potere da parte di Saddam
Hussein nel 1979”. Non potendo lasciare il
Paese, Salma trova lavoro all’ospedale universitario di Baghdad e, nel 1982, inizia la specializzazione in pediatria. Durante gli otto anni
della guerra contro l’Iran, muoiono un milione
di giovani iracheni, migliaia di ragazze restano
vedove e tantissimi bambini orfani. La società
irachena cambia: le donne si devono far carico
dei figli e, per scongiurare la rivolta della popolazione arrabbiata, il regime risarcisce le famiglie delle perdite concedendo denaro e privilegi.
“Queste misure incoraggiano però la corruzione e creano numerosi problemi”, spiega l’oncologa irachena. “Molti uomini si mettono a
caccia di dote e cercano cioè di sposare le vedove che hanno ricevuto denaro dallo Stato dopo
la morte dei mariti in guerra. E in cambio di
soldi e privilegi alcune famiglie non esitano a
tradire persino i parenti, dando al ministero
dell’Informazione i nomi di coloro che avevano
evitato il servizio militare. Inoltre, il regime ha
radici tribali e nomadi e queste caratteristiche
influiscono negativamente sulla cultura irachena”.
“Dopo la guerra”, continua Salma, “il regime
di Saddam impone le sue regole che contribuiscono a demoralizzare la società. Ma il peggio
arriva con le sanzioni imposte dopo la Seconda
guerra del Golfo, quella del 1991 (l’invasione
del Kuwait da parte delle truppe di Saddam):
per noi iracheni quelli sono stati anni durissimi, di privazione, che distrussero ciò che resta
di una comunità già impoverita. Il regime di
Saddam ha inoltre esagerato l’effetto delle sanzioni aumentando la sofferenza della popolazione e biasimando l’Occidente e le Nazioni
Unite per l’embargo. Quello che è successo
dopo il 2003 è un buon esempio dello stato di
confusione dopo una dittatura opprimente che
ci ha fatto accettare l’invasione straniera come
unica alternativa per liberarci di questo regime
arabo che si era guadagnato il sostegno di tutti
gli arabi e di un buon numero di occidentali, a
spese degli iracheni poveri e senza speranza.
Ora però Baghdad è nel mirino del crimine
organizzato e dei fondamentalisti appartenenti
a gruppi locali, regionali e internazionali. A
pagare il prezzo del conflitto sono i ceti sociali
più bassi, quelli che non sono riusciti a lasciare
il Paese”.