Documenti storici e storiografici sul primo cristianesimo

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Documenti storici e storiografici sul primo cristianesimo
Documenti storici
La prima persecuzione contro i cristiani: Roma, 64 d.C. (C. Tacito)
Il passo che segue è la prima testimonianza della diffusione del Cristianesimo in Roma. Odio e disprezzo circondavano i
seguaci della nuova setta, accusati dalla pubblica opinione di atrocità e di azioni infamanti. Perciò non sorprende che
Nerone abbia potuto rovesciare su di loro l’accusa, che gli era stata mossa, di avere incendiato Roma. Si noti l’onestà
dello storico che, pur avversando i cristiani, si preoccupa di ristabilire la verità e denuncia l’infamia del principe.
Perciò Nerone presentò falsamente come colpevoli, e li sottopose a raffinatissime pene, quelli che il volgo chiamava
cristiani e che erano già odiosi per le loro turpi azioni. Il fondatore di questa setta, Cristo, aveva subito il supplizio sotto
l’impero di Tiberio per volontà di Ponzio Pilato; e, domata per il momento, quella pericolosa superstizione di nuovo
erompeva, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma per Roma anche, dove confluiscono da ogni parte e trovano
seguaci tutte le atrocità e le vergogne. Dunque dapprima furono trascinati dinanzi al tribunale quelli che confessarono [di
essere cristiani], poi, per loro denunzia, una grande moltitudine di gente fu accusata non tanto dell’incendio, quanto di
avere in odio l’umanità. E alla morte fu aggiunto lo scherno, si che ricoperti di pelli di animali perivano per morsi dei
cani o crocifissi o destinati alle fiamme; e, quando la luce del giorno era scomparsa, erano bruciati a guisa di
fiaccole notturne. Per questo spettacolo Nerone aveva messo a disposizione i suoi giardini, e dava egli stesso
spettacolo da circo o mescolato alla plebe in abito da auriga o stando ritto sul cocchio. Perciò, per quanto si
trattasse di malfattori meritevoli dei più inauditi supplizi, nasceva la commiserazione, in quanto erano fatti morire
non già per pubblica utilità, ma per soddisfare la crudeltà di uno solo.
(da TACITO, Annales, XV, 44, trad, di A.D.).
Una presa di posizione ufficiale nei confronti dei cristiani:
la lettera di Plinio e la risposta di Traiano
La prima persecuzione neroniana «fu l’effetto di un odio istintivo e non il risultato di una decisione presa nell’ambito di
uno stato di diritto», scrive J. Lortz (“Storia della Chiesa nello sviluppo delle sue idee”, Roma, 1968); il quale aggiunge
che il capo d’accusa «l’odio del genere umano», pur non rappresentando un titolo giuridico realmente configurabile,
assunse vigore di legge: non licet esse vos (la vostra esistenza non è lecita). Il Cristianesimo fu dunque considerato
religio illicita, vale a dire proibita dalla legge. Ciò non toglie che le supreme autorità romane si comportarono per lo più
con moderazione nei confronti dei cristiani, come si legge nella lettera indirizzata da Plinio il Giovane, governatore della
Bitinia dal 111 al 113, a Traiano e nella risposta dello stesso Traiano. Plinio chiede all’imperatore: 1 ) se i cristiani
debbano essere perseguitati per il fatto di appartenere alla nuova religione o solo se risultino colpevoli di reati specifici,
2) se possano essere prosciolti dopoché abbiano rinnegato le loro credenze e adorato le divinità pagane. Traiano
risponde che i cristiani non debbono essere ricercati deliberatamente, ma se saranno denunciati e si rifiuteranno di
ritrattare sarà doveroso procedere nei loro confronti. Resta dunque confermato il principio della non liceità della setta,
anche se, per evitare le lotte religiose e le conseguenti ripercussioni politiche dannose alla solidità dell’impero (specie
nelle province periferiche) si consiglia moderazione.
C. Plinio Secondo a Traiano imperatore
E’ mia usanza, signore, riferirti di tutto ciò di cui sono dubbioso: chi, infatti, può meglio di te, reggere la mia incertezza o
illuminare la mia ignoranza? Io non fui mai presente a processi fatti contro i cristiani, e perciò ignoro in che, e sin
dove gli si voglia castigare o inquisirli. E fui anche molto incerto se sia da ammettersi qualche differenza tra le
diverse età, e se i fanciulli, per quanto ancor teneri, debbano esser trattati come i più forti; se si debba perdonare a
chi si pente, o se a chi fu realmente cristiano nulla giovi il non esserlo più; se si punisca il solo nome, anche se non vi
siano delitti, o se siano soggetti al castigo delitti inseparabili da quel nome. Frattanto con quelli che mi sono stati
denunciati come cristiani, io ho agito in questo modo. Li interrogai se fossero cristiani: se confessavano che sì, io facevo
due o tre volte la stessa richiesta minacciandoli del castigo, se persistevano li condannavo. Poiché io non dubitavo,
checché fosse ciò che essi confessavano di essere, doversi certo punire quella caparbietà e ostinazione invincibile. Vi
furono altri ugualmente pazzi, i quali, perché erano cittadini romani, ho stabilito d’inviare a Roma. Quindi, come suole
succedere, diffondendosi questa colpa, sorsero vari casi speciali. Mi fu consegnato un libello anonimo, dove erano scritti
i nomi di molti, i quali negavano poi di essere o di essere stati cristiani, poiché, seguendo il mio esempio, invocarono gli
dei, offersero vino e incenso alla tua immagine che a tal fine io avevo fatto recare insieme ai simulacri dei numi, e di più
maledissero Cristo, tutte cose alle quali dicesi non possano essere piegati quelli che sono cristiani davvero. Altri,
enunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, poi lo negarono: tali esserlo stati, ma non esserlo più, chi da tre chi
da parecchi, qualcuno fino da vent’anni. Anche costoro adorarono tutti la tua immagine, i simulacri degli dei e
maledissero Cristo. Affermavano poi che questa in fondo era la loro colpa o il loro errore, cioè di essere soliti adunarsi
un dì stabilito, innanzi giorno, cantare alternativamente fra loro inni a Cristo, come a un dio, obbligarsi con giuramento,
non già di commettere qualche delitto, ma di astenersi da ruberie, assassinii, adulterii, di mantenere la fede data e,
richiesti, di restituire il deposito. Dopo di che era loro costume di andarsene per raccogliersi poi di nuovo e fare insieme
un pasto, ma ordinario e innocente. Da tutte queste cose si erano tuttavia astenuti dopo il mio editto che, secondo i tuoi
ordini, aveva vietato le associazioni. Tanto più stimai necessario di ricercare anche per mezzo della tortura che cosa vi
fosse di vero, da due schiave che si dicevano ministre. Non trovai niente altro che una abominevole e sfrenata
superstizione. Perciò, sospeso il processo, ricorsi a te per consiglio, perché la cosa mi parve degna di consulto
specialmente per il grande numero di accusati, giacché molti di ogni età, di ogni ordine, di ogni sesso sono o saranno
chiamati in giudizio. Né solo per le città ma anche per le borgate e le campagne si è diffuso il contagio di questa
superstizione, la quale sembra si possa arrestare o correggere. Certo già si vede che ricominciano ad essere frequentati
i templi, prima quasi deserti, a celebrarsi i solenni sacrifici da lungo tempo dismessi, ed a vendersi da per tutto le vittime
di cui erano finora rarissimi i compratori. Dal che è facile dedurre quanta gente si possa emendare ove abbia luogo a
pentirsi.
Traiano a Plinio salute
Tu hai agito come dovevi, o mio Secondo, nell’esaminare le cause di coloro che ti furono denunciati come cristiani.
Poiché non è possibile stabilire una norma universale e direi quasi invariabile: non si debbono cercare, ma se saranno
accusati e convinti, è doveroso punirli, in modo però che se alcuno neghi di essere cristiano e lo dimostri col fatto,
adorando cioè i nostri dei, benché sospetto per l’addietro, in causa del suo pentimento ottenga il perdono. Quanto poi ai
libelli anonimi, in qualsiasi specie di accusa non debbono essere accolti, perché ciò è di pessimo esempio e indegno dei
nostri tempi.
Infami accuse contro i cristiani (Minucio Felice)
Per la segretezza della loro vita e la crudeltà del volgo, facile sempre a prestar fede a qualsiasi diceria, i cristiani
furono presto accusati dei più orribili misfatti. Fra le accuse quella di sacrifici di fanciulli al momento della iniziazione
dei nuovi adepti, di adorare una testa d’asino, di fare oggetto di culto un uomo punito con la croce per delitti di pena
capitale. Non sappiamo come sia nata la diceria che i cristiani adorassero una testa d’asino; certo è che in un graffito
inciso nella parete di una casa romana sul Palatino, vediamo un uomo crocifisso con la testa d’asino. A sinistra del
disegno è raffigurato un ragazzo (un cristiano, naturalmente) e una scritta in lettere greche: «Alexamenos adora il
suo dio». Il graffito è di mano di un anonimo denigratore dei cristiani, che si propone di deridere Cristo e i suoi
«empi» seguaci. Minucio Felice è uno scrittore cristiano del III secolo, originario dell’ Africa, autore di un dialogo
famoso, Octavius, nel quale si presenta la disputa tra un cristiano (Ottavio stesso) e un pagano (Cecilia). La pagina
riportata riferisce le accuse mosse da Cecilio ai cristiani.
E già, poiché il male alligna più rigoglioso grazie alla corruzione dei costumi, gli abbominevoli sacrari di questa empia
congrega si moltiplicano per tutto il mondo ogni giorno più. Si deve sterminarla e votarla all’esecrazione.
E’ con dei segni e simboli segreti che si riconoscono fra loro e si amano l’un l’altro quasi prima di conoscersi: a volte
essi praticano un culto che è sfogo di lussuria e si chiamano indistintamente fra loro fratelli e sorelle, sì che per
l’intervento di quel nome sacro ciò che sarebbe semplice commercio carnale diviene incesto. Così la loro vana e folle
superstizione si gloria di tali delitti! Se non vi fosse un fondo di verità, la pubblica opinione, che è perspicace, non
riporterebbe sul loro conto dei delitti talmente vergognosi e abbominevoli da non potersi ricordare senza chiedere
licenza.
Sento dire che essi consacrano e adorano la testa dell’animale più vile, l’asino, spinti da non so quale credenza:
religione ben degna e fatta apposta per simili costumi! [...] Si va dicendo che oggetto del loro culto sia un uomo punito
per delitti di pena capitale, e cosi pure un funereo legno di croce, e vengono loro attribuiti degli altari ben degni di
gente infame e criminale, perché adorino ciò che si meritano.
Il racconto che si fa circa l’iniziazione dei nuovi adepti è cosi terribile quanto noto. Un giovane viene impiastricciato di
farina per ingannare chi di nulla sospetta ed è posto dinanzi a colui che deve essere iniziato ai misteri. Tratto in inganno
dallo strato di pasta che lo copre, facendogli credere che i suoi colpi sono inoffensivi, il neofita uccide il giovane con
delle ferite invisibili e nascoste. Oh sacrilegio! essi leccano avidamente il sangue, a gara se ne disputano le membra,
con tale vittima cementano il patto, con tale complicità nel delitto si impegnano ad un mutuo silenzio! Queste cerimonie
sono più terribili di qualsiasi sacrilegio.
(da Minucio Felice, Octavius, trad. di L. Rusca, Rizzoli, Milano, 1957).
Il grido di sfida allo Stato persecutore (Tertulliano)
Nessuna persecuzione è mai riuscita a sradicare una fede religiosa, né, possiamo aggiungere, una ideologia
politica. Ogni violenza si rivela alla fine inutile e controproducente, come dimostra questa pagina di Tertulliano, che
fu il più grande apologista cristiano del III secolo d.C., autore tra le altre, di un’opera che si intitola appunto
Apologeticum, in cui si fa la difesa del Cristianesimo contro lo Stato oppressore e contro tutta la cultura pagana.
Ma sì, o buoni governanti, fate pure, sarete molto più stimati presso il popolo, se gli avrete immolato dei Cristiani!
tormentateci, torturateci, condannateci, pestateci, è una prova della nostra innocenza la vostra iniquità. Ecco perché
Dio tollera che noi soffriamo questi patimenti. [...] Pur tuttavia le crudeltà vostre, per raffinate che siano, non servono
a nulla; piuttosto servono di allettamento per la nostra setta. Diventiamo più numerosi quante volte ci mietete; il
sangue dei Cristiani è semenza.
(da TERTULLIANO, Apologeticum, trad. di F. Ramorino, in Marchesi LO).
L’Editto di Costantino (312)
Le persecuzioni di Galerio, che continuarono quelle inibiate da Diocleziano,furono le più crudeli, ma anche le ultime. Al
termine dell’anno 312 (secondo la cronologia tradizionale nei primi mesi del 31}) l’imperatore Costantino emanò da
Milano, d’accordo col collega Licinio, il famoso editto di tolleranza, che segna una svolta memorabile nella storia del
Cristianesimo e dell’impero. In esso, richiamandosi a precedenti istruzioni impartite sulla libertà di culto, si ordina ai
governatori delle province di assicurare effettivamente ai cristiani, come a tutti gli altri sudditi dell’impero, libertà di
religione e di restituire loro i beni confiscati. Apparentemente lo Stato assumeva con ciò in materia religiosa un
atteggiamento neutrale. Ma questa neutralità fu più che altro formale. In effetti il Cristianesimo cominciò ad essere
privilegiato e favorito rispetto agli altri culti. L’intento di Costantino e Licinio era quello di farsene capi e ridurlo con ciò ad
instrumentum regni.
Già da molto tempo noi [Costantino e Licinio] avevamo riconosciuto che non si deve negare la libertà di culto, ma si deve
anzi permettere a ciascuno di regolarsi nelle cose divine secondo la sua coscienza; perciò noi avevamo concesso anche
ai cristiani di potere coltivare la loro religione e di praticare il loro culto. Ma siccome nelle lettere a questo scopo publicate
erano contenute molte e diverse limitazioni, così avvenne che dopo poco tempo le nostre disposizioni per taluni caddero
a vuoto. Noi dunque, Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendo felicemente convenuti a Milano per trattare di tutto
ciò che riguarda l’interesse e la sicurezza dell’impero, pensammo che tra le cose che esigevano maggiormente l’opera
nostra, nessuna avrebbe portato tanto vantaggio alla maggior parte degli uomini, come il decidere in qual modo si debba
onorare la divinità. Perciò abbiamo risolto di accordare ai cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che
ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e
prosperità. E’ necessario dunque che la Eccellenza vostra [il magistrato a cui la lettera era rivolta] sappia come noi
vogliamo siano soppresse le restrizioni che nelle lettere giunte a codesto ufficio, a proposito dei cristiani, erano
contenute, tutte poco favorevoli e contrarie alla nostra clemenza; e sappia altresì come noi abbiamo deliberato, che tutti
coloro i quali osservano la religione cristiana, possano d’ora innanzi farlo con tutta libertà senza essere in alcuna
maniera molestati. E volemmo che ciò fosse noto con tutta la sicurezza possibile, affinché non si ignori che noi abbiamo
concesso ai cristiani la libertà più completa, più assoluta, di praticare il loro culto. Ciò che noi concediamo a costoro,
l’Eccellenza vostra dovrà comprendere che noi lo concediamo anche agli altri, come è conveniente alla tranquillità del
tempo nostro, affinché non si offenda l’onore e la religione di alcuno. Inoltre a proposito dei cristiani ordiniamo che se i
luoghi dove essi avevano prima l’uso di radunarsi sono stati nel passato confiscati o dal fisco o da qualche privato,
subito, senza alcun prezzo o formalità, vengano restituiti. Ma poiché costoro non avevano solamente questi luoghi in cui
si radunavano, ma possedevano ancora collettivamente molti beni, comandiamo che tutto ciò venga subito ridato. E
affinché la benevolenza nostra non sia più da alcuno ignorata, sia cura dell’Eccellenza vostra di far pubblicare questa
lettera in ogni luogo si che tutti universalmente la possano conoscere.
(da Editto di Costantino, in Brezzi FSC).
L’Editto di Teodosio (380)
Altrettanto importante è l’Editto di Tessalonica, emanato nel 380 dall’imperatore Teodosio insieme ai colleghi Graziano e
Valentiniano II. Per esso il Cristianesimo cessa di essere uno dei tanti culti ammessi e diventa l’unica religione consentita
entro i confini dell’impero. D’ora in poi verranno perseguitati non solo i seguaci della vecchia religione (pagani), ma
anche tutti gli eretici, cioè coloro che in qualche modo si scostavano dall’ortodossia, vale a dire dalle dottrine approvate
dalla Chiesa (dogmi). Ciò significa che gli imperatori, nello sforzo di salvare l’unità dell’impero e di controllarne le
tendente centrifughe, legiferavano ormai anche in materia religiosa. La condanna di Ario non fu perciò solo un fatto
religioso ma ebbe delle precise implicazioni politiche. La protezione imperiale non tarderà a trasformarsi per la Chiesa in
pesante tutela, mentre la Chiesa, nella crisi del vecchio stato, ne assumeva competenze e funzioni sostituendosi ad
esso.
Graziano, Valentiniano e Teodosio al popolo di Costantinopoli
Vogliamo che tutti i popoli a noi soggetti seguano la religione che l’apostolo Pietro ha insegnato ai Romani e che da quel
tempo colà continua e che ora insegnano il pontefice Damaso e Pietro, vescovo di Alessandria, cioè che, secondo la
dottrina apostolica e la dottrina evangelica, si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spinto Santo in tre
persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno eretici, né le loro
riunioni non potranno essere considerate come vere chiese; essi incorreranno nei castighi divini ed anche in quelle
punizioni che noi riterremo di infliggere loro.
(da Editto di Teodosio, in Brezzi FSC).
Documenti storiografici
Le grandi controversie cristologiche: IV-Vili secolo ( A. Omodeo)
I primi secoli del Cristianesimo, dal IV all’VIII, furono travagliati da controversie cristologiche sulla natura del Cristo, cosi
appassionate che sboccarono non solo in scomuniche ed anatemi, ma anche in tumulti sanguinosi. La prima grande
eresia è quella di Ario, prete alessandrino, che sosteneva che Cristo era non già identico, ma simile al padre, perché da
lui generato: un principio che infirmava la perfetta divinità di Cristo. La lunga contesa si concluse nel concilio di Nicea
( 32 5) , in cui prevalse la tesi della «piena divinità del figlio, consustanziale al Padre, coeterno, anteriore all’inizio dei
tempi». Chiusasi la controversia ariana, si affacciarono altre dottrine tra loro opposte, quella di Nestorio e quella di
Eutiche. Nestorio sosteneva esservi in Cristo due distinte nature, l’umana e la divina, Eutiche riconosceva in Cristo una
sola natura, quella divina (Monofisismo). Il concilio di Calcedonia ( 4 5 1) riaffermò la coesistenza in Cristo di due nature,
in un'unica persona. Ultima dottrina cristologica comparsa nel VII secolo fu quella monotelita: esservi in Cristo due voleri
(il divino e l’umano) ma il volere divino è predominante ed assorbente.
Le controversie religiose che travagliarono la cristianità dal IV all’VIII secolo in apparenza sono astrusi problemi di
teologia, che parrebbe dovessero solo interessare i dotti e i teologi. In realtà, dato che tutta la ragion d’essere della
chiesa si fondava nella sua commisurazione al Cristo, i problemi del dogma cristologico erano problemi essenziali: e
anche se essi non erano ben compresi dalle moltitudini, determinavano un diverso atteggiamento e una diversa
passione nel clero dirigente. E il dogma che arrivava a conquistare i migliori, a scuotere più profondamente, che dava un
più ricco significato alla vita ecclesiastica finiva per trionfare. Le moltitudini si lasciavano trascinare dai duci.
La prima grande controversia scoppiò poco dopo l’editto di Costantino. In Alessandria d’Egitto, in un contrasto fra il
vescovo Alessandro e il suo prete Ario, si pose una questione che non poteva essere ulteriormente differita: come cioè
conciliare due dati fondamentali e apparentemente contraddittori della fede cristiana: il monoteismo e il culto di Cristo
figlio di Dio.
La fede più antica per spiegarsi l’opera salutare di Gesù lo aveva considerato come una manifestazione del Logos di Dio
incarnato. Ora quali erano i rapporti fra Dio Padre e questo Logos-Cristo preesistente? Come concepire la loro unità e la
loro duplicità, che — quando si prendeva in considerazione anche il Santo Spirito — diveniva trinità?
Era simultanea esigenza della fede che Cristo fosse Dio e Dio fosse unico. Ario credeva di poter salvare il monoteismo
sostenendo che il Cristo preesistente — il Figlio — fosse una creatura, sia pure la prima delle creature: che perciò vi fu
tempo in cui il Figlio non era, e che fra Padre e Figlio vi fosse sempre la differenza che separa il Creatore dalle creature.
Scomunicato dal suo vescovo e costretto a fuggire da Alessandria, Ario trovò l’appoggio di molti vescovi di Siria e d’Asia
minore. Preoccupato per l’unità religiosa Costantino promosse nel 325 la convocazione d’un grande concilio a Nicea per
la soluzione del problema che metteva a soqquadro la chiesa. Si radunarono circa trecento vescovi.
Il vescovo d’Alessandria trovò l’appoggio dei vescovi occidentali e dei rappresentanti del papa di Roma. Ario fu
condannato, e fu solennemente proclamato il simbolo niceno in cui si affermava la piena divinità del Figlio,
consustanziale (homousios) al Padre, coeterno, anteriore all’inizio dei tempi.
La questione pareva risolta. Senonché i partigiani d’Ario seppero trarre profitto dall’avversione di molti vescovi orientali
per la formula del Figlio consustanziale al Padre. Essi temevano che dichiarando che il Figlio era della stessa sostanza
del Padre, si togliesse al Figlio ogni rilievo personale riducendolo a un modo d’essere o di manifestarsi di Dio: dottrina
già condannata dalla chiesa.
Questa opposizione delle chiese orientali più o meno subdola si appuntò contro il nuovo vescovo d’Alessandria
Atanasio, grande sostenitore della formula nicena, il quale per quarant’anni, fatto segno ad ogni genere di persecuzione,
cacciato più e più volte in esilio, resistette con invitta pertinacia a difesa della sua fede. Atanasio trovò l’appoggio
dell’Occidente e della chiesa di Roma; sotto i figli di Costantino, Costante e Costanzo, l’Occidente e l’Oriente si trovarono di fede divisa: niceno l’Occidente, più o meno palesemente ariano l’Oriente. Le scomuniche e gli anatemi
s’incrociavano; diversi vescovi si contendevano la stessa cattedra, tumulti sanguinosi turbavano città e chiese.
Riunitosi tutto l’impero nelle mani di Costanzo, costui cercò d’imporre una formula intermedia, anche con la violenza, ai
due concili di Rimini e di Seleucia (359). Ma il successo gli mancò perché l’Oriente per reazione contro il prevalere
dell’arianismo puro che sosteneva la dissomiglianza fra Dio e Cristo si riavvicinava all’Occidente con la tesi della perfetta
somiglianza (homoiousia) del Figlio al Padre.
Dopo lunghissime controversie, in cui, a calmare i diversi partiti, contribuì non poco un tentativo di riscossa pagana per
opera dell’imperatore Giuliano l’apostata, il ravvicinamento avvenne accentuando simultaneamente l’unità di natura e la
distinzione di persone. Includendo nella consustanzialità divina — nonostante l’opposizione d’un partito condannato
subito come eretico — anche lo Spirito Santo, si formulava definitivamente il dogma trinitario delle tre persone in
un’unica sostanza divina.
La formula dogmatica, logicamente impenetrabile, dimostrava però questo: che gli interessi della fede viva avevano finito
a prevalere sulle sottigliezze teologiche, e il risultato dell’aspra lotta durata quasi un secolo fu che la chiesa riaffermò di
comunicare a traverso il culto di Cristo con la pienezza stessa dell’unico Iddio, cosa che non era possibile con
l’arianesimo che avrebbe presso a poco ridotto il Cristo ad un semidio. Questa pienezza perfetta di rapporto con Dio era
una esigenza fondamentale del cristianesimo fin alle sue prime origini.
Chiusasi la controversia ariana, e ridotto l’arianesimo ad una setta che ebbe una certa diffusione fra i barbari Germani,
nel quinto secolo divampò una questione che derivava dalla questione trinitaria: cioè come concepire la coesistenza
dell’umanità e della divinità in Cristo, e la chiesa oscillò incerta fra le tesi opposte dei nestoriani e degli eutichiani.
Nestorio, sostenendo la coesistenza di due nature distinte in Cristo, negava alla Vergine l’epiteto di madre di Dio perché
madre di Cristo solo in quanto uomo.
Ma la sua tesi, oltre che per la questione dell’epiteto della Vergine, veniva rigettata anche per quanto si riferiva alla fede
nella redenzione. Se le due nature di Cristo erano distinte e separate e in ogni atto del Cristo storico si poteva
distinguere ciò che spettava all’uomo e ciò che spettava a Dio, sulla croce avrebbe sofferto un uomo, una natura umana
incapace d’operare il riscatto. Condannato Nestorio, apparve non meno eretica la tesi contraria d’Eutiche — o
monofisismo — che sosteneva approssimativamente un assorbimento della natura umana da parte della natura divina in
Cristo. In tal caso veniva a stabilirsi pure una differenza fra la natura sui generis del Cristo e la natura puramente umana.
Allora il sacrificio della croce non sarebbe stato efficace a vantaggio dell’uomo che doveva essere redento. Fra questi
due estremi si formulò nel concilio di Calcedonia (451), sotto l’impulso dei delegati di Papa Leone I e dei vescovi
occidentali, il dogma che a traverso tempestose controversie durate ancora un secolo prevalse come dottrina ortodossa.
Si affermava la coesistenza in Cristo di due nature in un’unica persona. Anche questa dottrina, come il dogma trinitario,
diventava una formula razionalmente inconcépibile: come cioè in Cristo potessero coesistere la passibilità umana e
l’impassibilità divina, l’onniscienza divina e la conoscenza limitata dell’uomo, la volontà di Dio e la volontà dell’uomo,
distinte, senza essere dissonanti, e concordi senza essere unità. In sostanza si rinunciava a poter raggiungere la piena
conoscenza religiosa.
Ma la tesi ortodossa non trionfò ovunque. Il monofisismo trovò molti seguaci in Oriente, perché a quelle popolazioni, che
si andavano a poco a poco spogliando della cultura ellenistica, la religione cristiana come culto del Dio Cristo
umanizzato riusciva più semplice. L’Occidente, stanco di controversie cristologiche, si adattò a concepire il dogma come
mistero enunciato ma non concepibile in questa vita. Il crollo dell’impero occidentale, il rallentarsi delle comunicazioni e
del ricambio fra le diverse popolazioni dell’impero faceva si che il cristianesimo si diversificasse nelle regioni
mediterranee.