Claudia Salvatori

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Claudia Salvatori
Anno I Numero II Maggio 2007
22
03. Editoriale + Sommario
05. Sottoterra
Lovecraft&Co.
06. Creatore di universi
07. H.P. Lovecraft, 5 racconti findamentali
09. I Miti di Cthulhu nei giochi di ruolo
11. Intervista a Luca Di Fulvio
14. Necrotales
Vampiro d’Autunno
un racconto di Claudia Salvatori
18. Il male è dentro di noi
Necrocinema
26
20. The Return
21. 28 Settimane dopo
22. Spider-Man 3
24. Le Colline hanno gli Occhi 2
26. Grindhouse
La NECROGOTHGIRL di questo numero: Lo
29. L’Arte di Paola Sala
32. The Beautiful People: Edera
35. Necrosounds: recensioni musicali
32
39. When dreams come true: Tim Lebbon
41. Necrotales
L’ombra più lunga
un racconto di Tim Lebbon
47. Necrobooks: recensioni letterarie
51. I volti di Bélmez
EDITORIALE
A settant’anni dalla sua morte anche NECRO rende omaggio a H.P. Lovecraft e alle sue storie rivoluzionarie, senza dimenticare i principali film “di genere” che stanno per approdare
(o sono già approdati) nelle sale italiane, Spider-Man 3 e Grindhouse in testa.
Gli scrittori Tim Lebbon e Claudia Salvatori, entrambi dediti alla narrativa “oscura”,
ammorbano le nostre pagine con due racconti inediti, il loro collega Luca Di Fulvio ci
ammalia con le sue parole in una lunga intervista. Le opere dell’artista Paola Sala vi
sorprenderanno con i loro piccolissimi determinanti particolari, mentre la cantante (ma
non solo) Edera tiene a battesimo la rubrica The beautiful People, dedicata alle
interviste fotografiche. Fumetti, strisce, articoli di saggio e la consueta scorpacciata
di recensioni letterarie e musicali appagheranno completamente la vostra sete di
sangue, in attesa che ritornino dal prossimo numero le rubriche Bloody Robin e
La Posta della Mannaia.
Quando leggerete queste mie parole l’estate sarà imminente e lo staff di NECRO
sarà già al lavoro sul terzo numero del magazine: le novità saranno tante e la
carne da addentare varia e saporita. Qualche anticipazione? Il sadico Hostel 2
di Eli Roth (nella foto), il ritorno del maestro Dario Argento e della sua La Terza
Madre, un racconto del grande Jack Ketchum, il ritorno del Professor Rantolo
e un lungo fumetto interamente a colori.
Avete racconti, poesie, articoli, recensioni, illustrazioni e fotografie che
vorreste vedere pubblicati sulle nostre pagine? Non abbiate così
tanta paura di noi, siamo qui per premiare i migliori di voi e concedere spazi ai più meritevoli. A aspettiamo anche le vostre lettere
e i vostri commenti. Muoriamo dalla voglia di leggervi...
NECRO NECRO
weird things, dark stuff, odd people
Numero II
Anno I
Mag-Giu-Lug 2007
THANX&RIGHTS
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dei rispettivi autori e sono tutelati da Copyright. Ogni loro uso
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Absorbitorium, Elena Giordano 2007
Direttore Generale:
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Caporedattore:
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In Redazione:
Marco Andreoletti, Alessandro Boriani, Simona Cremonini, Giulio De
Angelis, Ian Delacroix, Luca Di Gialleonardo, Andrea Franco, Andrea
Galla, Andrea Garbin, Elena Giordano, Smaniotto Maxence, Domenico Nigro, Matteo Poropat, Luigi Rubino, Matteo Servili, Virginia von
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Hanno Collaborato:
Andrea Bonazzi, Pierluigi Casolino, Massimo Cavenaghi, Simone Corà,
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Adriano Manciocchi, Errico Passaro
Fotografa:
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Illustrazioni alle pagine 6, 8, 9, 10 © by Andrea Bonazzi 2007
Illustrazione alla pagina 19 © by Pierluigi Casolino 2007
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Opere alle pagine 29, 30, 31 © by Paola Sala 2007
L’Ombra più lunga
(Casting longer shadows)
testo originale © by Tim Lebbon 2007
traduzione © by Elvezio Sciallis 2007
Vampiro d’Autunno
© by Claudia Salvatori 2007
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LOVECRAFT&CO.
H.P. Lovecraft: 5 racconti fondamentali
Scaviamo nella produzione migliore del solitario di Providence
Quali sono dunque i cinque più importanti
racconti nella produzione di Howard
Phillips Lovecraft?
Già arduo definire dei parametri di
importanza fra valore dell’opera in sé,
influenza letteraria etc., ma proviamo a
individuare e circoscrivere un tale fatidico
numero di titoli.
Dagon
(Dagon)
Scritto nell’estate del 1917, appena dopo
il primo racconto La tomba, e inizialmente
pubblicato dall’amatoriale The Vagrant nel
1919, costituisce l’esordio professionale
dell’autore con la sua uscita su Weird
Tales nell’ottobre del 1923.
Sull’orlo del suicidio, il narratore
descrive
la
propria
traumatica
esperienza di naufrago nell’Oceano
Pacifico, approdato su un’isola appena
riemersa dagli abissi ove s’imbatte in
un enorme antico monolito, inciso coi
simboli di una civiltà di uomini-pesce,
e nella creatura che dal mare giunge ad
adorarlo.
Edgar Allan Poe rappresenta il principale
modello per le storie gotiche del primo
periodo lovecraftiano, così come Lord
Dunsany per le fantasie tra l’onirico e il
meraviglioso. Come in Poe, per esempio,
il solitario protagonista è in uno stato
mentale alterato, e la credibilità del suo
resoconto si affida alla sola fiducia e
immedesimazione del lettore. Ma già in
questo breve racconto si rivelano alcuni
dei più tipici e personali temi dello scrittore:
la sopravvivenza di civiltà non umane; la
rivelazione sconvolgente che sovverte la
percezione dell’uomo di essere il centro
del proprio mondo; un orrore che si slega
dal classico elemento soprannaturale per
affrontarne uno che va oltre il naturale, in
razionale addizione al possibile.
Le opere migliori di Lovecraft, quelle
che hanno portato un vero, originale
ed essenziale contributo al Fantastico
del ventesimo secolo, sono quelle della
maturità nel periodo che segue il suo
ritorno a Providence, nel 1926, dopo i
due problematici anni vissuti a New York.
Senza porsi sullo stesso livello, Dagon
trova tuttavia una certa importanza come
base per un intero ciclo narrativo in
seguito etichettato come “Miti di Cthulhu”,
con almeno due notevoli storie, Il richiamo
di Cthulhu e La maschera di Innsmouth,
che ne rappresentano una sostanziale
riscrittura.
di Andrea Bonazzi
Il richiamo di Cthulhu
(The Call of Cthulhu)
Composto fra l’agosto e il settembre del
1926, pubblicato nel febbraio 1928 da
Weird Tales, dopo un iniziale rifiuto.
Un quadro spaventoso delle reale
posizione umana nel cosmo si rivela
al protagonista, ricomposto come
un puzzle attraverso gli appunti
dell’erudito prozio scomparso, i sogni
straordinari di tormentati artisti, le
indagini sulla recrudescenza di sinistri
ed esotici culti, e la testimonianza
di un marinaio di fronte al ritorno di
un’antica e aliena minaccia.
Perno di una vera e propria rivoluzione
copernicana nella concezione dell’orrore
fantastico, il racconto ne ribalta la
tradizionale visione antropocentrica e
soprannaturale in favore di un punto di
vista esterno, distaccato e “cosmico”,
con la rappresentazione di un universo
indifferente verso le sorti dell’umanità, se
non incidentalmente ostile. Un realismo
scientifico che rimette in discussione la
percezione delle cose, applicato a uno
stile narrativo che accumula allusioni,
indizi, rivelazioni e atmosfere.
Le entità minacciose e perturbanti non
NECRO NECROWORDS
Intervista a Luca Di Fulvio
Abbiamo intervistato l’autore de L’Impagliatore e La Scala di Dioniso
La scala di Dioniso è il titolo del tuo
ultimo romanzo, pubblicato nella
collana Omnibus di Mondadori e ora
anche negli Oscar. Tutti gli altri tuoi
libri erano ambientati ai nostri giorni,
qui invece siamo a cavallo tra l’800 e il
‘900: come mai questa scelta?
È la domanda che mi sono posto io stesso
quando ho cominciato a scriverlo. Cosa
permette a un autore di raccontare una
storia che non è ambientata nel proprio
tempo (di cui, per definizione, la scrittura
dovrebbe essere specchio)? E visto
che non riuscivo a trovare una risposta
convincente, mi ero arenato anche nella
scrittura, al punto che stavo per mollare
il progetto perché si sarebbe ridotto a
una trama e non sarebbe mai diventato
una storia. Poi mi capitò di prendere in
mano le Baccanti di Euripide, e ho capito
cosa volevo veramente scrivere. L’800
era apollineo e il 900 dionisiaco. Era
questo passaggio di consegne che volevo
descrivere e parlare del presente visto da
un secolo di distanza, non del passato.
Ho usato il mio serial killer per raccontare
il nostro secolo violento, tant’è che ho
chiuso il libro con il crollo di due torri. I
personaggi fanno uso di droghe moderne
come l’eroina (messa in commercio dalla
Bayer nel 1896) o usano mezzi meccanici
(la prima motocicletta Daimler ma anche
l’elettricità e le macchine nelle industrie).
Inizia la psicologia, le lotte di classe, le
rivendicazioni sindacali, nasce l’individuo
libero come lo intendiamo oggi. E racconto
della difficoltà di abbandonarsi all’amore
e i prodromi delle moderne nevrosi.
Insomma, ho parlato del nostro mondo
cogliendolo in un momento in cui, pur
essendo ancora un neonato, aveva già
tutte le qualità e le tare di quando sarebbe
diventato adulto. Infine, mantengo uno dei
temi che mi sono più cari, e cioè il rapporto
genitori-figli, che ritengo particolarmente
rappresentativo della nostra società.
Occhi di Cristallo, la versione
cinematografica de L’impagliatore: che
cosa pensi di questa pellicola?
Luci e ombre. Ma è più un problema
generale legato al rapporto narrativacinema. Un regista, nel momento in cui
decide di mettere in scena una storia
scritta da un altro, ha il dovere/necessità
di tradirla secondo la sua visione. In Occhi
di cristallo è evidente che il regista e gli
sceneggiatori abbiano voluto concentrarsi
sul plot thriller e questo li ha costretti a
seguire una strada diversa dal romanzo (o
da quello che il romanzo è per me). Uno
dei miei riferimenti era l’Edipo di Sofocle
(ancora una tragedia greca, lo so, ma i
greci – insieme a Shakespeare – hanno
scritto tutto quel che c’era da scrivere).
Lo sciopero dell’immondizia, che doveva
rappresentare la peste (e quindi salire fino
a intossicare la città, così come accade a
Tebe nell’Edipo), è diventato un contorno
sfumato, aneddotico e non metaforico.
La madre dell’assassino (Edipo che va a
letto con la madre, per intenderci, nel caso
dell’Impagliatore è un totem di madre che
si costruisce con le sue vittime) nel film
non c’è più.
Ed è un peccato, in effetti.
La psicologia introspettiva – che nel
libro cerca di dare motivazioni tanto
all’assassino che al suo antagonista,
stabilendo dei parallelismi, in modo da
non tracciare una riga netta tra il Bene
e il Male – è sacrificata all’azione. Infine
il finale: il mio assassino – così come
di Elena Giordano
Edipo, giudice di se stesso, si acceca da
solo – si uccideva pur potendo prevalere
sul buono. Nel film invece l’assassino fa
la fine di tutti i cattivi del cinema. Sono
scelte…
Dopo Occhi di Cristallo sono in
previsione altre due trasposizioni: La
scala di Dioniso e Dover Beach. Puoi
spifferarci qualcosa?
Al progetto de La Scala di Dioniso ho
partecipato, insieme a Carla Vangelista
e Antonio Leotti. Siamo un gruppo molto
affiatato ed è stato un piacere lavorare con
loro. All’inizio erano spaventati perché,
si sa, l’autore rischia di essere un gran
rompiscatole, troppo legato a quel che
ha scritto e poco elastico. Dopo poche
riunioni si sono spaventati di più, però.
Ero io quello che voleva cambiare tutto.
E in effetti (la prima stesura è ultimata
con grande soddisfazione) li ho convinti
a tradirmi moltissimo. Anche per ciò che
ho detto prima di Occhi di cristallo, io non
sono convinto che sia il plot a rispettare
un’opera letteraria ma il suo senso più
profondo. È il solito, vecchio problema
tra forma e significato. Io mi batto per il
significato.
Il Significato è un sasso in bocca al
Significante, diceva qualcuno…
Mi pareva, senza stare a fare tante
distinzioni, che significante fosse una
parola tronfia, da trombone, che fa
aggrottare le sopracciglia mentre ci si
interroga dicendo: che cazzo vuol dire?
Comunque in certi casi mi basterebbe
che si comprendesse il significato.
Di attori è prematuro parlare. Si sono
fatti grossi nomi internazionali. Di certo
è un film che il mercato italiano non può
sopportare economicamente (costerà
almeno 30 milioni di dollari) perciò, oltre
ai nostri capitali, ne avrà di americani e
dovrà essere un film internazionale in cui
solo alcune voci (autore, sceneggiatori
e Gabriele Salvatores alla regia)
saranno italiani. Date: fine 2007. L’inizio
delle riprese? Speriamo. Gabriele si
è innamorato di questa storia quando
ancora non era scritta, gliela raccontai
una sera a cena e la comprò a scatola
chiusa. L’entusiasmo è un gran propulsore
(e non inquina). Nel frattempo Gabriele
sta preparando un altro film e i produttori
lavorano alacremente per portare a buon
fine questo ambizioso progetto.
Dover Beach: paradossalmente (avendolo
scritto prima, venduto al cinema prima ed
essendo un film a budget accessibile)
è più indietro nella preparazione. Ma è
una storia molto dura. Non me ne sono
occupato però due sceneggiatori di cui
mi fido ciecamente e coi quali sono in
grande sintonia, Carla Vangelista e Ivan
NECRO 11
NECROTALES
VAMPIRO D’AUTUNNO
Un racconto di
Claudia Salvatori
Abel pensa che, per un vampiro, essere prete cattolico
sia veramente chic, e anche un segno che il mondo sta
cambiando: o almeno, che sta ulteriormente cambiando,
da quando la scuola progressista del Pensiero Estremo
ha indotto l’umanità a superare ogni paura delle
diversità più diverse, e i mostri vivono fra noi. Un prete
cattolico vampiro è il massimo di quello che chiamano
monstersmirk, il ghigno del mostro, che sarebbe qualcosa
come l’umorismo yiddish: un cocktail di autosberleffo,
vittimismo aggressivo e provocazione. Monstersmirk è la
mania dei vampiri di portare vistosi crocifissi barocchi e
gemme di tutti i colori incastonate nei canini. E’ quando
un lupo mannaro si tinge il pelo di verde, fucsia e blu
elettrico e dice: guardate il mio look, non è da urlo? O
quando gli zombi fanno scherzi agli amici sbucando dagli
angoli delle strade truccati come i cadaveri ambulanti dei
vecchi film. Monstersmirk era quel vampiro eccentrico
che si era fatto una dozzina di plastiche per somigliare
a Nosferatu di Murnau, e passeggiava appoggiandosi a
un bastone da passeggio di legno di frassino. Guizzante,
bifida ironia, che serpeggia e avvolge umani e mostri
come la lingua di una serpe.
Lui stesso, Abel, è un po’ monstersmirk, quando si
presenta dicendo di essere un po’ morto, alludendo al suo
quarto di sangue zombi che gli viene dalla madre, Vida
Dark, figlia di un santone resuscitato di Haiti e di una
intellettuale newyorchese. Lo stesso nome che si è scelto
all’interno della Non Human Defence, l’associazione
che si batte per la difesa dei mostri e la loro integrazione
sociale, è una rivendicazione tipicamente monstersmirk:
Alive. Ma questo risale a un periodo della sua vita
in cui era ancora fragile, e non avrebbe sopportato di
essere trattato da mostro. Come tutti i non umani belli,
vincenti e dotati di una diversità non visibile, a lungo si
è spacciato per umano; più tardi, disprezzandosi per la
sua vigliaccheria, ha attraversato una fase in cui sentiva il
bisogno di dichiarare a tutti, in qualsiasi situazione, quello
che è. Fino a quando, all’inaugurazione di una galleria
d’arte, una pittrice lo ha schizzato, alzando le spalle con
un sorrisetto annoiato: Sei un pelino zombi, e allora?
Non è un privilegio da sbandierare, né una vergogna da
nascondere.
Da allora, Abel non confessa di essere in parte mostro,
se non glielo chiedono. Ma, se glielo chiedono, non ha
difficoltà ad ammetterlo.
Queste sono più o meno le riflessioni di Abel mentre
si dirige verso la parrocchia di Santa Maria Goretti,
nella sezione 6 dell’hinterland, dove Padre Gabriel lo ha
convocato. A mezzanotte, sotto una luna piena lattiginosa
diluita in una nuvola, la fatiscente chiesa barocca
erosa da un milione di epoche barocche, incastrata in
un’architettura di vetro, metallo, plastica e cemento,
sembra avvolta da morbide dita d’ombra. A un lato della
14 NECRO
chiesa, c’è un cimitero di automobili. All’altro lato, un
cimitero gotico: finto, ricostruito dal parroco vampiro per
far giocare i membri più piccoli della sua comunità. Padre
Gabriel raccoglie intorno a sé mostri impazziti o drogati,
zombi senza tetto, puttane in fuga da mercanti di carne
non umana, vampire bambine create dai succhiasangue
pedofili.
Abel trova Padre Gabriel in sacrestia, intento, come
al solito, a guardare la televisione. La teledipendenza
dei vampiri è una barzelletta ormai; in realtà, la tivù è
il solo strumento che hanno a disposizione per vedere la
vita che si svolge durante il giorno, e bisognerebbe ben
capire quanto possano esserne avidi. Padre Gabriel ha
scelto, come molti della sua specie, un nome da angelo
o da demone o da antico re o mago, e ha la propensione
a lasciar cadere in disuso il cognome. Veste con eleganza
vampiresca, di stoffe fruscianti e setose grigie o nere;
stanotte porta la tonaca e un piccolo crocifisso d’argento.
E’ una specie di Cristo sbarbato, con lunghi capelli biondi
e lisci che ricadono in due bande su un volto nevrotico e
convulso, e non dimostra più di diciotto anni, sebbene ne
abbia vissuti almeno trenta. Le parrocchiane lo trovano
deliziosamente tragico, e affollano in massa le sue messe
celebrate al crepuscolo o un’ora prima dell’alba, messe
che pur non essendo nere devono sembrare loro un po’
confuse nella tenebra. Perfino Abel, una volta, ha provato
un brivido alla schiena nel vederlo celebrare un funerale.
Non c’è dubbio che i mostri abbiano un talento per la
morte; gli snob umani adorano far seppellire i parenti
defunti a zombi e vampiri, e molti zombi sono impresari
di pompe funebri.
“Si tratta di Merlin Vandoor” dice Padre Gabriel, ad
Abel che gli chiede il motivo della convocazione. “Il solo
che può scoprire se e come è morto, sei tu.”
Abel non ricorda di aver mai assistito a un concerto di
Merlin Vandoor, il poeta e musicista vampiro; come tutti,
naturalmente, ha ascoltato i suoi dischi. Aveva dodici o
tredici anni quando Merlin è scomparso, in circostanze
misteriose.
“Vuoi che indaghi sulla sua morte dopo tutto questo
tempo? Perché?”
“Perché sei Abel Sparrow, nome in codice Alive, e
difendi noi mostri dalla crudeltà del mondo umano.”
“Non crederai anche tu che lo abbiano assassinato?”
“Non credo niente, voglio la verità. E non solo perché
Merlin è la nostra icona. Ho anche un motivo più
personale… è stato lui a farmi.”
Bene, questa è una rivelazione. Abel si è sempre chiesto
se Padre Gabriel ha cominciato la sua carriera essendo
vampiro e poi santo, o il contrario.
“Ero andato a uno dei suoi concerti” ricorda Padre Gabriel,
nostalgico. “Allora ero un ragazzino… Tutti quelli della
mia età sbavavano per diventare vampiri, io no. Pensa
che, quando guardavo i vecchi film, mi immedesimavo
NECROCINEMA
In Sala
SPIDER-MAN 3
In Arrivo
GRINDHOUSE
THE RETURN
28 SETTIMANE DOPO
LE COLLINE HANNO GLI OCCHI 2
NECRO 19
NECROMOVIE
Spider-Man 3
Per la terza volta nella tela di Sam Raimi e Peter Parker
“Questa storia è iniziata da tempo e
continuerà così. Alcune cose, in questo
terzo episodio, raggiungeranno una
conclusione, ma non finiranno; la storia di
Peter Parker, quindi, andrà avanti, perché
è ancora giovane. La love story sarà la
cosa principale della sua vita, il cardine
centrale della sua storia è la ragazza”.
Con queste parole, Avi Arad, storico
produttore delle versioni su celluloide dei
fumetti Marvel, a partire da Blade (1998),
anticipa le tematiche che si troveranno
alla base dell’attesissimo Spider-Man
3, annunciato come il lungometraggio
più costoso della storia del cinema (con
300 milioni di dollari di budget), ancora
una volta diretto, come i primi due
splendidi episodi, da quel geniaccio della
cinematografia a stelle e strisce che porta
il nome di Sam Raimi, progressivamente
evolutosi da maestro del terrore (la trilogia
Evil dead/La casa) a raffinato autore
(Soldi sporchi), toccando un po’ tutti i
generi, dalla commedia (I 2 criminali più
pazzi del mondo) al western (Pronti a
morire), senza dimenticare il racconto
sentimentale (Gioco d’amore), il thriller
soprannaturale (The gift) e lo pseudofumetto (Darkman).
Peter Parker vs Sandman vs Venom
vs Goblin Vs Spider-Man
Trattandosi della nuova avventura
dell’arrampicamuri più famoso della carta
disegnata, è ovvio che lo script, a opera
dello stesso Raimi, suo fratello Ivan e
Alvin Sargent (già tra gli sceneggiatori di
Spider-Man 2), sia costituito da una fitta
ragnatela di segreti, vendette, amore e
perdono.
Tobey Maguire torna infatti a vestire
i panni del fotoreporter Peter Parker,
vera identità del supereroe mascherato
protagonista, diviso tra la preoccupazione
per la salute della debole zia May, la sua
storia d’amore con l’amata Mary Jane
Watson, cui concede nuovamente il volto
22 NECRO
Kirsten Dunst, e l’arrivo di due nuovi,
temibili nemici: Sandman, evoluzione
di Flint Marko, interpretato dal Thomas
Haden Church di Sideways - In viaggio
con Jack (2004), entrato a contatto
con una sostanza chimica, e Venom,
generato dall’ involontario incontro di
Eddie Brock, novellino freelance al Daily
Bugle con le fattezze del Topher Grace di
In good company (2004), e un simbionte
extraterrestre.
Ma, mentre si prevede pure la presenza
di Goblin, alter ego dell’ex amico del
cuore Harry Osborn/James Franco,
anche per lo stesso Spidey, come si
può tranquillamente apprendere dalle
foto di scena e dai trailer spoileranti
che circolano, è arrivato il momento di
trasformarsi: improvvisamente, infatti, il
suo costume comincia a colorarsi di nero,
parallelamente al notevole aumento dei
suoi poteri, i quali finiscono per lasciare
emergere il lato più oscuro e vendicativo
della personalità di Peter che, sotto questo
effetto, inizia a trascurare coloro che gli
sono vicino.
Piccoli ragni crescono
È quindi evidente che, se nel primo
Spider-Man abbiamo avuto modo di fare
conoscenza con l’ingenua personalità
del liceale Parker, alle prese con le
difficoltà dell’adolescenza e gli imprevisti
dell’amicizia, e nel secondo, eccezionale
episodio, vero e proprio film d’autore, la
figura del super-eroe veniva attualizzata
rendendola capace, come ogni comune
mortale, di essere indebolita dall’effetto
distruttivo dell’amore rifiutato, è arrivato
ora il momento di fare i conti con il cinico
universo degli adulti.
D’altra parte, come la serie ci ha
insegnato, da un grande potere derivano
grandi responsabilità, Peter, quindi, se da
un lato si trova costretto a scegliere tra
il fascino seduttivo del nuovo costume e
l’eroe buono che era un tempo, dall’altro
di Francesco Lomuscio
porta avanti un vero e proprio rapporto di
competizione professionale con il nuovo
arrivato Eddie, mentre provvede anche
a mantenere l’equilibrio tra i suoi doveri
di paladino della giustizia e la dedizione
all’amata M.J.
Equilibrio, tra l’altro, che viene seriamente
messo in pericolo dall’entrata in scena di
Gwen Stacy, personaggio assai noto ai
seguaci della serie a fumetti, incarnata
dalla Bryce Dallas Howard di The
village (2004) e Lady in the water (2006).
La figlia del colonnello Stacey, infatti,
che a quanto pare farà conoscenza con
Spider-man nel corso della festa cittadina
a lui dedicata (e si vocifera anche di un
bacio a testa in giù, come quello presente
nel capostipite), provvederà non poco a
rendere complicata la vita sentimentale
del povero Parker, ormai convinto di voler
sposare Mary Jane, tanto che si è parlato
perfino di un triangolo amoroso.
NECROMOVIE
Come l’esistenza di quasi tutti i comuni
mortali che si rispettino, quindi, anche
quella dell’Uomo Ragno si troverà
contesa tra due figure femminili, fino
all’attesissimo, culminante scontro finale,
che le vedrà nelle mani dei due supercattivi, in quella che si prospetta essere
una emozionante sequenza traboccante
innovativi effetti speciali visivi.
Dopo Spider-Man 3…
Considerando il successo della saga
cinematografica in questione e il fatto che
al suo centro si trovi una vera e propria
icona immortale ormai entrata a far parte
dell’immaginario collettivo, è ovvio che,
con ogni probabilità, Spider-Man 3 non
rappresenterà l’epilogo definitivo al tutto,
anche perché la Sony non ha mai tenuto
nascosto il fatto di essere intenzionata
realizzare ben sette film, e lo stesso Raimi
non ha mai negato di voler rilegare la serie
a pochi capitoli
Nonostante le dichiarazioni da parte di
Tobey Maguire, il quale aveva annunciato
tempo fa che avrebbe abbandonato i
panni ormai stretti di Peter Parker dopo
questa terza avventura, Avi Arad ha già
provveduto a rassicurare i fan: “Se Tobey
Maguire o qualche altro attore se ne
andrà, la saga continuerà senza di loro;
probabilmente Tobey sta facendo queste
dichiarazioni per mettere sull’attenti la
Sony, in quanto aveva firmato per tre film
e, dovendo ridiscutere il contratto, farà il
prezioso”.
Ma, ancora più rassicurante, è una
recente dichiarazione rilasciata dallo
stesso Maguire a SciFi Wire: “Mi sento
molto orgoglioso dei tre lungometraggi
che abbiamo realizzato, perché le storie
meritavano di essere raccontate e, se mi
proporranno un bel film e il team vorrà
tornare al lavoro pensando di ottenere un
buon risultato, ovviamente non potrò dire
di no.”
Come c’era da aspettarsi, se si dovesse
fare uno Spider-Man 4, non mancherà
neppure Kirsten Dunst, la quale, nel
momento in cui si è sentita chiedere se
la Sony farà o meno un altro capitolo
anche senza Raimi alla regia, ha risposto:
“Sarebbe una crudeltà, non credo proprio
che accadrà: io, Sam e Tobey siamo
ormai un team e non c’è modo che
succeda una cosa simile. Credo che il
quarto capitolo arriverà più avanti, in
modo che Sam, per ora, possa riposare,
anche perché non abbiamo ancora una
storia da raccontare”.
E, per quanto riguarda il cattivo di turno,
si vocifera che potrebbe essere la volta
del viscido Lizard…
NECRO 23
NECROSOUNDS
viene inevitabilmente alla mente:
grande presenza scenica, ma
ultime produzioni in studio che
ristagnano nella ripetitività. Ma,
almeno a giudicare dalle vendite
e dal gradimento, al popolo cyber
sembra andare bene così.
(Ian Delacroix)
Dying Fetus
War on Attrition
Cruxshadows
Relapse
2007
Quattro anni di attesa tra un disco
e l’altro possono far crescere
Dancing Ferret
le aspettative dei fan a livelli
2007
pericolosamente elevati, continui
cambi in line up possono influenzare
Con i primi due album, usciti alla assai negativamente la compattezza
fine degli anni novanta, non era dif- di un suono riconoscibilissimo
ficile presagire per gli statunitensi da tutti i grind freak del mondo e
Cruxshadows un futuro di sicuro minare una concezione di musica
successo. Avvenire che, per quan- maturata sputando sangue sugli
to riguarda la popolarità e le ven- assi dei palchi di mezzo mondo
dite è stato sicuramente all’altezza, per anni. Per di più aver fissato
anche se lo stesso non si può dire più volte gli standard del proprio
per la qualità dei dischi. Le opere genere non aiuta certo a farsi
successive non hanno fatto altro venire in contro, soprattutto quando
che ripetere una formula – elettro- ci si presenta con un lavoro come
nica, voce maschile, piano, violino War On Attrition. Che, detto per
– che, se all’inizio poteva presenta- inciso, suona come uno dei migliori
re caratteristiche peculiari, presto è dischi death dell’anno, soprattutto
risultata eccessivamente ripetitiva se confrontato con il mare di
e stagnante.
banalità in cui spesso questo
Questo Dreamcypher (ultimo genere si bagna oziosamente,
album con Rachel McDonnell lasciandosi cullare dalla sicurezza
al
violino,
secondo
quanto data dagli introiti certi che si hanno
affermato dalla stessa band), proponendo musica indirizzata ad
uscito quattro anni dopo Ethernaut, una nicchia considerata “sicura”.
segue le coordinate tracciate dai Ma dopo l’assalto sensoriale di
precedenti lavori, e sono sicuro
che l’orecchiabile suo primo
singolo, Sophia, verrà riproposto
nei dancefloor dai dark club di tutto
il mondo, e il popolo cyber gioirà.
L’album è sicuramente un passo
avanti rispetto a Ethernaut, ma la
sostanza non cambia: le canzoni
finiscono per assomigliarsi un po’
tutte, la creatività delle prime due
opere sembra essere lontana,
abbandonata per la semplicità di
soluzioni-fotocopia. La dimensione
live, nonostante l’uso massiccio di
campionamenti e sintetizzatori, è
ancora quella in cui i Cruxshadows
possono
dare
le
maggiori un disco velenoso come Stop At
soddisfazioni al loro pubblico, con Nothing anche un ritorno alle luci
Rogue, nella sua veste di animale della ribalta di questa caratura può
da palco, che recita alla perfezione perdere significato, ritrovandosi
il ruolo. Il paragone con un’altra investiti da tracce violentissime ma
dark-band statunitense che fa uso canoniche, a tratti clamorosamente
di elettronica, i The Last Dance, telefonate. Il letale groviglio
ritmico di brutal, grind,
hard core che
caratterizzava
il
precedente
capolavoro
del
combo
è
un
ricordo lontano, le
chitarre non sono
che un riflesso
sbiadito del muro
di rumore sollevato
precedentemente
dai
deathsters
del
Maryland,
all’epoca del disco
citato additati dal
solito zoccolo duro
Dreamcypher
di essersi svenduti ai nuovi trend (un
po’ la stessa cosa che successe ai
dispersi Cryptopsy). Un ritorno che
lascia l’amaro in bocca a chiunque
cerchi sempre nuove evoluzioni del
suono estremo, un ottimo disco per
chi si accontenta dell’impatto come
massima espressione di violenza.
(Marco Andreoletti)
I fans dei Moonsorrow possono
stare tranquilli: la leggenda è viva e
vegeta. (Smaniotto Maxence)
Moonsorrow
Se vi è stato un prepotente ritorno
ad una dimensione occulta, ad
un’ortodossia del male religioso,
parte del merito va tributato alla
Norma Evangelium Diaboli, label
capace di darsi un deciso percorso
contenutistico prima che musicale,
raccogliendo sotto le proprie
ali i principali artefici di questa
restituzione tematica: gruppi come
i Deathspell Omega o i Watain
hanno allontanato l’attenzione dal
nichilismo depressivo e dal culto
pagano/naturalista che sembrava
dominare la scena black metal,
dando nuova vita a quella poetica
che si era imposta nel genere con
De Mysteriis Dom Sathanas dei
(defunti ?) MayheM.
Visto da molti come un tradimento,
il passaggio alla Season of Mist
(a dispetto della versione vinile
che rimarrà sotto la NoEvDia)
preannunciava, al di là dei
prevenuti proclami per l’approdo
ad una realtà meno underground,
una volontà da parte degli svedesi
Watain (trio formato da C., P. e
H.) tanto la volontà di innalzare
qualitativamente
(in
fase
di
produzione) e quantitativamente
(leggasi, allargare la propria
Viides luku: Hävitetty
Spikefarm Records
2007
Avendo ancora come punto di riferimento il fondamentale Kivenkantaja e nello stereo lo splendido
Verisäkeet, era lecito aspettarsi
qualcosa di fuori dall’ordinario,
qualcosa all’altezza dei poderosi
predecessori. Aspettative positivamente ripagate. Viides luku: Hävitetty è un altro centro, un album
epico come ne girano pochi, sicuramente una delle pietre miliari della
discografia dei Moonsorrow. Ci si
chiede veramente come possa una
band essere sempre così fresca e
innovativa pur tenendo fede al proprio stile.
L’album è formato da sole due
tracce, lunghissime, splendide.
Rumori di fondo e il sibilo del vento
introducono Jäästä Syntynyt /
Varjojen Virta, trenta minuti di riff
uno più azzeccato dell’altro che
viaggiano su un tappeto di tastiere
che creano le giuste atmosfere
senza risultare invasive. Un
crescendo continuo di emozioni.
La successiva Tuleen Ajettu Maa
non avrebbe nemmeno bisogno
di spiegazioni. Splendida, epica,
come sempre i Moonsorrow
riescono ad amalgamare assieme
tutti gli strumenti senza che l’uno
“rubi la scena” all’altro.
Disco epocale ma tratti piuttosto
difficile da digerire per chi non è
avvezzo a questi “colpi di testa”.
Il solo ostacolo di questo disco è
costituito dalla durata delle due
tracce che, comunque sia, non
possono annoiare l’ascoltatore, in
quanto sono talmente varie che
sembrerà di ascoltare almeno sei
canzoni anziché due. Questo vi
porterà probabilmente ad esclamare
“ma è già finita?” ogni volta che una
di esse finisce. Penso sia proprio
questa capacità nell’evitare che
l’ascoltatore s’annoi che ha portato
codesta perla vichinga ad arrivare
alla sedicesima posizione dei dischi
più venduti in Finlandia.
Watain
Sworn to the dark
Season of mist/NoEvDia
2007
schiera) la strada intrapresa.
Chiariamolo subito: “Sworn to
the Dark”, che sia anche per un
produzione relativamente limpida,
non raggiunge la polverosa oscurità
dell’esordio “Rabid Death’s Curse”,
ne tanto meno sia avvicina a quella
gemma sinistra di “Casus Luciferi”,
tuttavia questa terza opera non
tradisce quella buia cattiveria.
Quell’ossessivo
dispiegamento
malevolo di cui erano carichi i
precedenti lavori, viene in qualche
modo mitigato da una composizione
maggiormente varia, dove, accanto
alle sfuriate melodiche di stampo
svedese (di una melodia tutt’altro
che rassicurante sempre si parla) e
agli arpeggi disarmonici, i primi figli
di quella riconoscenza per gli storici
Dissection (l’opener è dedicata
a Jon Nödtveidt), i secondi delle
intuizioni dei Deathspell Omega,
parti dove la qualità è sempre
NECRO 35
NECROMINDS
When dreams come true...
Un breve viaggio nell’arte di Tim Lebbon
Tim Lebbon è nato nel 1969 a Londra,
ha poi vissuto gran parte della sua vita
adulta a Newport per decidere infine di
trasferirsi con moglie e prole in un piccolo
villaggio in campagna. Più ancora delle
sue opere, di cui comunque discuteremo
fra poco, è la sua stessa carriera a essere
insieme esempio e sprone per chiunque
intenda fare della scrittura il centro della
sua stessa esistenza senza per questo
mai abbandonare una ferma presa sulla
realtà che ci circonda.
La cosa migliore che possiate fare, se
conoscete l’inglese, è spulciare tutta la
lunga serie di news presenti nel suo sito,
www.timlebbon.net, risalendo fino al
2001.
Tim Lebbon comincia a scrivere
prestissimo e pubblica la sua prima
storia a venticinque anni su una rivista
indipendente inglese.
Quella è la scintilla d’avvio per una
brillante e continua ascesa che lo porta a
essere conosciuto nel campo degli scrittori
horror, partendo dai volumi iniziali per
alcuni editori inglesi fino a raggiungere il
grande mercato dei tascabili statunitensi.
In parallelo a questa progressione potete
notare la continua lotta di uno scrittore
forzato, per i 17 anni durante i quali ha
avuto un posto di lavoro “normale” presso
una ditta, a comprimere la scrittura
durante i week end, le ferie le pause
pranzo e intere notti in bianco.
Man mano che editori più importanti
cominciano a interessarsi ai suoi lavori
Tim Lebbon riesce a sganciarsi dal suo
“daily job” e passa prima a un part time
per poi, pochi mesi fa, tagliare l’agognato
traguardo del professionismo totale,
licenziarsi dalla dita e mettersi a scrivere
notte e giorno.
Diciassette anni.
Vuol dire avere una forza di volontà e una
tenacia non comuni. Il tutto condito dalla
necessaria (con le naturali eccezioni,
chiaro) iniezione di una normalità fatta di
moglie, figli, concerti rock, grandi sbronze,
lutti e gioie e tutto quel bagaglio di emozioni
e sensazioni che, filtrate attraverso le
capacità intellettuali e artistiche, vanno
poi a creare la giusta base per romanzi
e racconti.
La produzione di Lebbon è ormai vasta
e consistente, con una ventina circa di
volumi all’attivo, parecchie collaborazioni
e molte inclusioni in antologie di chiara
fama quali i Mammoth book of… e Year’s
Best Fantasy & Horror.
Innumerevoli anche i premi raccolti dallo
scrittore inglese che vanta ormai un
ottimo palmares fra Bram Stoker Awards,
British Fantasy Awards e altri ancora. È
stato anche vice presidente della Horror
Writers Association e ha tenuto lezioni di
scrittura creativa all’università di Cardiff.
Tim Lebbon nasce come scrittore horror e
continua a esserlo nonostante l’evidente
bisogno di diversificare la sua produzione
ora che è entrato nell’arena del
professionismo totale e ci sono esigenze
di mercato che sarebbe folle ignorare da
parte di chiunque intenda vivere della
propria scrittura.
Ecco quindi che accanto alla canonica
produzione del genere da noi preferito
ha recentemente sfornato alcuni titoli
apertamente fantasy (Dusk, l’imminente
Dawn) senza dimenticare l’affascinante
mix fra horror e western presente nella
sua serie Assassins.
Lebbon incarna la figura dello scrittore
professionista non solo per quanto
riguarda l’eterogeneità delle tematiche
e dei contenuti ma anche per quanto
concerne il tipo di stile usato che muta e si
adatta alle situazioni con estrema facilità.
La cifra media di Lebbon è comunque
identificabile in un prosare asciutto rispetto
a tanti altri colleghi amanti dell’iperaggettivazione; buona confidenza con
i dialoghi e un senso del ritmo e della
composizione in grado di fargli strutturare
le storie in un continuo crescendo, con un
forte aggancio iniziale e un controllo del
finale che gli evita cali o climax troppo
concitati.
Una delle situazioni che più ama
descrivere e presentare ai lettori è
quella dell’umanità (o anche solo di un
gruppo) in una situazione limite quale una
epidemia o un attacco da parte di agenti
soprannaturali o comunque un ambiente
di Elvezio Sciallis
naturale ostile e difficile da gestire.
Con la svolta verso il professionismo per
autori quali Lebbon e i tantissimi altri che
non riescono a raggiungere il numero
uno nelle classifiche di vendita, diventa
necessario diversificare e intensificare
sempre di più la produzione: pur avendo
un mercato assai più florido e sano del
nostro, in America uno scrittore di questo
livello è spesso tenuto a pubblicare fino
a 3 (Brian Keene parla addirittura di 4!)
romanzi all’anno per riuscire a guadagnare
il necessario per vivere ed è inevitabile
che non tutte le ciambelle riescano con
un buco artisticamente perfetto.
Ecco quindi le incursioni nel fantasy
di Dusk che brilla di luce propria solo
nelle parti ancora legate al terreno più
familiare all’autore, ovvero quelle più
spiccatamente horror ed ecco anche
gli scritti legati al noto personaggio dei
fumetti (e film) Hellboy, del quale Lebbon
ha scritto Unnatural Selection, sorta
di romanzo compendio che scaglia la
creatura di Mike Mignola e i suoi amici
del BPRD in una girandola vertiginosa
di situazioni-limite fra grifoni, licantropi,
fenici e draghi.
Con tutto il rispetto per questa serie di
prove necessarie a consolidare mestiere
e continuità, ci sembra però che Lebbon
brilli di luce più intensa in occasione di
altri titoli, dall’apocalisse improvvisa e
radicale di The Nature of Balance al dittico
zombesco Naming of Parts/Changing
of Faces fino all’anomalo Desolation
nel quale troviamo Cain, un ragazzo
tenuto isolato da un padre intenzionato a
sperimentare e indurre nel figlio i poteri
paranormali legati a una condizione
chiamata Pure Sight. Quando il padre di
Cain muore, il sedicenne si trova a dover
NECRO 39
NECROBOOKS
La ragazza dei miei
sogni
Francesco Dimitri
Gargoyle Books, 2007
Pagine 200, 10,5€
Codice ISBN: 8889541180
Cosa succede quanto incontri
la ragazza dei tuoi sogni? Cosa
succede se dopo un lungo periodo
di solitudine giunge la ragazza
perfetta, l’incarnazione di ogni tuo
desiderio d’amore, di sesso, di
amicizia? Potresti semplicemente
esserne felice. Ma potresti anche
incontrare un mago punk, svelare
l’Incanto che scorre tra le strade di
città, scoprire che la realtà nasconde
meraviglie ed orrori di cui non
sospettavi l’esistenza. Perché ogni
amore presenta un volto oscuro,
e dietro ogni sogno l’incubo è in
agguato. Non è possibile affrontarlo
senza sacrificare qualcosa…
parte, La ragazza dei miei sogni
nella seconda dà libertà assoluta
al fantastico e all’orrore, un mix
riuscito di magia, esoterismo, morte
e mitologia pagana. La scrittura
di Dimitri è fresca e pienamente
La Gargoyle Books, ormai leader attuale, solletica la curiosità e
in Italia per la pubblicazione di trascina nel vortice (nero) degli
horror, si è decisa al “grande eventi, il tutto in poco meno di
passo”: La ragazza dei miei sogni duecento pagine sostenute da
è infatti il primo romanzo di un un buon ritmo e senza perdersi
“giovane autore italiano dell’orrore” in sterili tentativi di “alta (noiosa e
pubblicato nel suo catalogo. E boriosa) letteratura”.
che romanzo! Del libro ha detto Consigliatissimo, soprattutto ai
Gianfranco Manfredi (maestro lettori under 35.
autore dell’unico altro titolo made in (Alessio Valsecchi)
Italy pubblicato dalla casa editrice
romana, l’ottimo Magia Rossa):
“finalmente un po’ d’aria fresca
nella palude del gotico italiano…
Un esordio convincente… Dimitri
sa cosa raccontare e come farlo...” Olivier Pauvert
e noi non possiamo che essere
d’accordo con lui.
Mondadori, 2006
Va detto che Francesco Dimitri, Pagine 238, 15€
per
quanto
anagraficamente Codice ISBN: 8804557885
giovane (solo 26 anni), tanto
“giovane” editorialmente parlando Una festa di nozze in un golf nella
non è. Ha pubblicato quattro zona di Nizza. Una ragazza viene
saggi, Comunismo magico (2004), assassinata. Uno degli invitati che
Guida alle case più stregate del era nelle vicinanze della scena
mondo (2004), Neopaganesimo del crimine senza sospettare
(2005) e Manuale del cattivo quello che stava accadendo viene
(2006), oltre ad essere co-autore arrestato dalla polizia. Mentre lo
di Dies Iraq (2003), tutti con portano via su un furgone accade
Castelvecchi. Sorretto da queste un terribile incidente, un’esplosione
esperienze editoriali (decisamente e l’uomo è il solo superstite. Dopo
inusuali per un “giovane”) Dimitri un bizzarro vagabondaggio in un
si è lanciato nella narrativa horror parco misterioso dove fa degli
con consapevolezza di mezzi incontri inverosimili, riesce a fare
e conoscenza della materia, ritorno a Parigi, da sua moglie. Ma
producendo un romanzo che non lei praticamente non lo riconosce:
ammicca a modelli esteri ma anzi sono passati 12 anni dalla festa
fa del “essere italiano” il suo punto di nozze. A rendere ancora
di forza. Opera “profumata” di peggiore la situazione c’è il fatto
narrativa mainstream nella prima che l’uomo scopre che gli specchi
Nero
non restituiscono la sua immagine
riflessa...
Nero, di Olivier Pauvert, è un
libro di difficile catalogazione,
poiché i generi che lo compongono,
fantascienza, horror e noir, sono
amalgamati perfettamente, fusi in
una storia cruda e allucinata.
Il protagonista, voce narrante delle
vicende, dopo aver scoperto un
orrendo omicidio, si ritrova a essere
principale indiziato. Catturato dalle
forze dell’ordine, nel tragitto fino
al commissariato è vittima di un
incidente stradale e, dopo una lieve
incoscienza, scoprirà di essere
l’unico superstite.
Da qui, inizia la sua indagine per
scoprire il reale assassino, ma
soprattutto i suoi tentativi di fare
luce sul proprio passato.
Perché, dopo l’incidente, il Tempo
sembra essere impazzito: in una
notte sono passati dodici anni, di
oblio e di cambiamenti epocali, in
una Francia attonita e anomala.
Dodici anni che per lui sembrano
non essere mai trascorsi.
Con uno stile fitto e tortuoso, dove
aggettivazioni coraggiose colorano
e scuriscono ogni paesaggio,
Pauvert ci racconta una storia
oscura, dove l’uomo è lentamente
scivolato verso un oblio intellettivo
e una radicale svolta verso una
destra estremista, a tratti nazista.
Il romanzo, e il futuro prossimo
dove è collocata la vicenda, sono
una chiara allegoria del nostro
tempo, del pericolo di una deriva
umana intollerante e razzista.
In questa Francia del futuro,
un oscuro partito, derivato dal
partito Nazionale, governa lo
stato, erigendo barriere razziali,
psicologiche e fisiche, verso la
popolazione di colore, e verso ogni
tipo di diversità; dettami allucinati
che però nessuno sembra poter, e
voler, contrastare.
In questo ambiente cupo e
reale, la vicenda tra brusche
sterzate e sorprendenti rivelazioni
accompagnerà il lettore fino a
un finale perverso e ineluttabile,
quasi un ultimo giudizio sul nostro
tempo.
I personaggi che accompagnano, e
spesso contrastano, il protagonista,
sono pochi ma ben caratterizzati,
ognuno calato in un ruolo perfetto
e sorprendente. Altre protagoniste
del romanzo sono le Motociclette,
ognuna particolareggiata e amata
fino all’eccesso, che aiuteranno
l’antieroe nella sua personale
ricerca della verità.
Le duecento pagine del romanzo
scorrono veloci, tranne forse
all’inizio, quando il buio, il Nero, è
ancora troppo accecante anche per
il protagonista.
Un libro che vale la pena esser
letto, per l’acume con cui l’autore
ci presenta un futuro che potrebbe
essere il nostro, fatto di indifferenza,
apatia e odio razziale, e per una
storia carica, a tratti blasfema, ben
orchestrata e oscura.
(Andrea Galla)
L’amore e altre forme
d’odio
Luca Ricci
Einaudi, 2006
Pagine 141, 11€
Codice ISBN: 8806182382
I mariti e le mogli che popolano
questi
racconti
vivono
una
tranquilla vita di coppia, che include
una casa, alle volte un figlio e
spesso un’amante. I loro gesti e
riti quotidiani sono fotografati con
sguardo distaccato, ma inquietudini
e presentimenti sono ben visibili
sotto la limpida lastra di ghiaccio
delle relazioni. A volte sono gli
oggetti a raccontare le ipocrisie, i
silenzi, i tragicomici inganni della
vita di tutti i giorni; altre volte
l’esistenza dei personaggi tende
a sdoppiarsi, riflettendo le trame
oscure dei loro desideri.
Già in passato mi sono ritrovato
a parlare di Luca Ricci come
di un “maestro”, il maestro del
NECRO 47
NECRO
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