maurice ravel: trois poemes de stephane mallarme

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maurice ravel: trois poemes de stephane mallarme
CONSERVATORIO DI MUSICA “Lorenzo Perosi” CAMPOBASSO
CORSO DI
“REPERTORI VOCALI DA CAMERA”
ANNO ACCADEMICO 2002-2003
MAURICE RAVEL
TROIS POÈMES DE S.
MALLARMÉ
TESINA DI
Maria Carmela Rossodivita
PROFESSORI RELATORI
Barbara Lazotti
Piero Niro
Luigi Pecchia
INDICE
1. Schizzo autobiografico di Maurice Ravel
2. Biografia di Stéphane Mallarmé
3. La poetica di Mallarmé
4. Genesi dei Trois Poémes
5. Testi poetici
6. Analisi del testo poetico
7. Analisi musicale
8. Il pensiero di Ravel sulla poesia e la prosa
9. Confronto con le altre mélodies di Ravel
10. Bibliografia
SCHIZZO AUTOBIOGRAFICO DI MAURICE RAVEL
Per raccontare la vita e le opere di Maurice Ravel riporto per
intero la sua intervista:
“Sono nato a Ciboure, un comune dei Bassi Pirenei vicino a
Saint-Jean-de-Luz, il 7 marzo 1875. Mio padre, originario
di Versoix, sul Lago Lemano, era ingegnere civile. Mia
madre apparteneva ad un’antica famiglia basca. A tre mesi
ho lasciato Ciboure per Parigi, dove ho sempre abitato
d’allora in poi. Fin da bambino ero sensibile alla musica –
ogni specie di musica. Mio padre, molto più istruito in
quest’arte di quanto sia la maggior parte dei dilettanti,
seppe sviluppare i miei gusti e stimolare presto il mio zelo.
Senza conoscere il solfeggio, la cui teoria non ho mai
imparato, cominciai a studiare il pianoforte all’età di sei
anni circa. Ebbi per maestri Henri Ghys, poi Charles René,
che mi diede le prime lezioni di armonia, contrappunto e
composizione. Nel 1889 fui ammesso al Conservatorio di
Parigi, nel corso preparatorio di pianoforte tenuto da
Anthiôme, poi, due anni dopo, in quello di Charles de
Bériot.
Le mie prime composizioni, rimaste inedite, risalgono più o
meno al 1893. All’epoca frequentavo il corso di armonia di
Pessard. L’influenza di Emmanuel Chabrier era visibile
nella Sérénade grotesque per pianoforte, quella di Satie
nella Ballade de la reine morte d’aimer.
Scrissi nel 1895 le mie prime opere pubblicate: il Menuet
antique e la Habanera per pianoforte. Ritengo che
quest’opera contenga in embrione diversi elementi che
sarebbero apparsi predominanti nelle mie composizioni
successive.
Nel 1897, ancora allievo di André Gédalge per il
contrappunto e la fuga, entrai nel corso di composizione di
Gabriel Fauré. Sono lieto di affermare che debbo gli
elementi più preziosi del mio mestiere ad André Gédalge.
Quanto
a
Fauré,
trassi
non
meno
profitto
dall’incoraggiamento dei suoi consigli d’artista. Risale a
quest’epoca
la
mia
opera
incompiuta
ed
inedita
Shéhérazade, soggetta piuttosto pesantemente all’influenza
della musica russa.
Partecipai al concorso per il Prix de Rome nel 1901
(ottenni un secondo premio assoluto), nel 1902 e 1903. Nel
1905 la giuria mi escluse dalle prove finali.
I Juex d’eau, editi nel 1901, sono all’origine di tutte le
novità pianistiche che si sono poi volute rilevare nella mia
opera. Questo brano, ispirato al fruscio dell’acqua e ai
suoni musicali echeggianti negli zampilli, nelle cascate e
nei ruscelli, si basa su due temi, in guisa di un primo
movimento di sonata, pur senza assoggettarsi alla dialettica
tonale classica.
Il mio Quatuor en fa (1902-1903) risponde ad una volontà
di
costruzione
musicale
senza
dubbio
realizzata
imperfettamente, ma che si delinea molto più nitidamente
rispetto alle mie composizioni precedenti. Shéhérazade, in
cui è ben visibile l’influenza, se non altro spirituale di
Debussy, risale nel 1903. In essa, ancora una volta, cedo al
profondo fascino che l’Oriente ha esercitato su di me fin
dall’infanzia.
I Miroirs (1905) costituiscono una raccolta di brani per
pianoforte che segna nella mia evoluzione armonica, un
punto di svolta tanto considerevole da sconcertare i
musicisti fino ad allora più assuefatti alla mia maniera. Il
brano composto per primo, e il più tipico di tutti, è secondo
me il secondo della raccolta: Oiseaux tristes. Vi evoco
uccelli perduti nel torpore di una oscura foresta nelle ore
più calde dell’estate.
Dopo la raccolta di Miroirs, composi una Sonatine per
pianoforte e le Histoires naturelles. Già da tempo il
linguaggio diretto e chiaro, la poesia intima e profonda di
Jules Renard, stimolavano la mia immaginazione. Il testo
stesso, poi, mi imponeva una declamazione legata in modo
particolarmente stretto alle inflessioni della parlata
francese. La prima esecuzione delle Histoires naturelles,
alla Societé Nationale de Musique di Parigi provocò un
autentico scandalo, seguito da vivaci polemiche nella
stampa musicale del tempo.
Le
Histoires
naturelles
mi
hanno
preparato
alla
composizione dell’Heure espagnole, una commedia lirica di
cui Franc-Nohain scrisse il libretto, anch’essa una sorta di
conversazione in musica. Vi si afferma l’intenzione di
ricollegarmi con la tradizione dell’opera buffa.
Ma mère l’oye, pezzi infantili per pianoforte a quattro mani,
risale al 1908. Seguendo il disegno di evocare in questi
brani la poesia dell’infanzia, sono stato naturalmente
condotto a semplificare la mia maniera e a scarnificare la
mia scrittura. Ho tratto da quest’opera un balletto che fu
messo in scena dal Théâtre des Arts: l’opera fu scritta a
Valvins per i mie giovani amici Mimie e Jean Godebski.
Gaspard de la nuit, brani per pianofarte tratti da Aloysius
Bertrand, sono tre poemi romantici di virtuosismo
trascendentale.
Il titolo Valses nobles et sentimentales esprime a sufficienza
la mia intensione di comporre una sequenza di valzer sul
modello di Franz Schubert. Al virtuosismo su cui si fondava
Gaspard de la nuit segue una scittura nettamente più
tratteggiata, che intuisce le armoinie e mette in luce i rilievi
della luce. Le Valses nobles et sentimentales furono eseguite
per la prima volta tra chiassose prateste. Gli ascoltatori
votavano per l’attribuzione di ogni pezzo. La paternità delle
Valses mi fu riconosciuta con una piccola maggioranza. Il
settimo brano mi pare il più caratteristico.
Daphnis et Chloé, sinfonia coreografica in tre parti, mi fu
commissionata dal direttore della compagnia dei Ballets
Russes: Sergej Diaghilev. Il soggetto è di Michel Fokine, a
quel tempo coreografo della celebre troupe. La mia
intenzione, scrivendolo, era quella di comporre un vasto
affresco
musicale,
segnato
non
tanto
da
scrupoli
d’arcaismo, quanto dalla fedeltà alla grecia dei mie sogni,
che si accostava volentieri a quella immaginata e descritta
dagli artisti francesi della fine del XVIII secolo. L’opera è
costuita sinfonicamente su di un piano tonale molto
rigoroso e utilizza un ristretto numero di temi il cui sviluppo
assicura l’omogeneità sinfonica dell’opera. Abbozzata nel
1907, Daphnis fu più volte rielaborata, segnatamente nel
finale. L’opera è stata rappresentata la prima volta ai
Ballets Russes. Oggi appartiene al repertorio dell’Opéra.
Trois Poèmes de Mallarmè: ho voluto trasporre in musica
la poesia di Mallarmè. E in particolare quella ricercatezza
ricca di profondità così tipica di questo poeta. Sourgi de la
croupe et du bond: il più strano se non il più ermetico dei
sonetti. Per strumentare quest’opera ho fatto uso di un
organico pressoché identico a quello del Pierrot lunaire di
Schoenberg.
Il Trio, il cui primo movimento ha un colore basco, fu
composto per intero nel 1914, a Saint-Jean-de-Luz.
All’inizio del 1915 mi arruolai nell’esercito; in conseguenza
di ciò la mia attività musicale si interruppe fino all’autunno
del 1917. Terminai allora Le tombeau de Couperin. A dire il
vero l’omaggio è rivolto non tanto al solo Couperin quanto
all’intera musica francese del XVIII secolo.
Dopo Le tombeau de Couperin, le mie condizioni di salute
m’impedirono per qualche tempo di scrivere. Mi rimisi a
comporre solo per scrivere la Valse, poema coreografico la
cui primitiva idea era antecedente alla Rhapsodie
espognole. Ho concepito quest’opera come una sorta di
apoteosi del valzer viennese a cui si mescola, nella mia
mente la sensazione di un turbinio fantasico e fatale. Vedo
questo valzer ambientato nella cornice di un palazzo
imperiale, intorno al 1855. quest’opera, che nella mia
intenzione è essenzialmente coreografica, finora è stata
messa in scena solo al teatro di Anversa, dalla compagnia
di ballo di Ida Rubinstein.
La Sonate pour violon et violoncelle risale al 1920, epoca in
cui presi dimora a Montfort-l’Amauri. Credo che questa
sonata segni un punto di svolta nell’evoluzione della mia
carriera. La scarnificazione è spinta qui all’estremo.
Rinuncia alla fascinazione armonica; reazione per contro
sempre più marcata nel segno della melodia.
A cure analoghe, pur su di un piano completamente diverso,
obbedisce L’enfant et les sortilèges, fantasia lirica in due
atti. L’attenzione qui predominamte per la melodia trova
riscontro in un soggetto che mi sono divertito a trattare
nello spitiro dell’operetta americana. Il libretto di Colette
nel suo incanto fiabesco autorizzava questa libertà. Qui a
imporsi è il canto, l’orchestra, pur senza disdegnare tratti
di virtuosismo strumentale, resta in secondo piano.
Tzigane, brano virtuosostico nel gusto di una rapsodia
ungherese.
Le Chansons madécasses mi paino apportare un elemento
nuovo, drammatico, erotico persino, introdottovi dallo
stesso soggetto delle canzoni di Parny. È una sorta di
quartetto in cui la voce riveste il ruolo di strumento
principale. Vi domina la semplicità. Vi si afferma una
indipendenza delle parti che sarà riscontrata in modo più
marcato nella Sonate per pianoforte e violino.
Mi sono imposto questa indipendenza scrivendo una Sonate
pour
piano
et
violon,
strumenti
essenzialmente
incompatibili, e che, lungi dall’equilibrare i loro contrasti,
mettono qui in evidenza proprio questa incompatibilità.
Nel 1928, su richiesta di Ida Rubistein, ho composto un
Boléro per orchestra. Si tratta di una danza condotta in
tempo assai moderato e costantemente uniforme, tanto
nell’armonia quanto nel ritmo, quest’ultimo sottolineato
senza sosta dal tamburo. L’unico elemento di diversità è
apportato da un crescendo orchestrale.
Tale è nei suoi tratti rincipali la mia opera attuale; in un
futuro che non mi è possibile prevedere, intendo far
ascoltare un Concerto per pianoforte e orchestra e una
grande opera tratta dalla Jeanne d’Arc di Joseph Delteil.”
E qui si ferma l’autobiografia raveliana.