Associazione in partecipazione
Transcript
Associazione in partecipazione
Supplemento al numero odierno di Guida al Lavoro - Poste Italiane S.p.A. - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1 - DCB Roma PUNTO Associazione in partecipazione l Disciplina civilistica ed evoluzione giurisprudenziale l Le modifiche introdotte dalla riforma del lavoro l Profili previdenziali, assicurativi e fiscali di Mario Pagano DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro I Associazione in partecipazione: la disciplina del contratto nel codice civile L’abrogato codice civile del 1865 contemplava al suo articolo 1697 la figura della società civile, un contrat to in forza del quale due o più persone convenivano di mettere qualcosa in comunione al fine di dividere il guadagno che ne sarebbe potuto derivare(1). La società civile era uno schema generalissimo che poteva assumere le più varie configurazioni a se conda dei mutevoli interessi delle parti. Poteva riguardare l’esercizio in comune di un’attività eco nomica o il godimento di determinati beni o an che dell’intero patrimonio. L’attività sociale poteva esercitarsi in nome comune o in nome di uno solo dei soci: costituiva società pure il contratto con cui si accordava una partecipazione agli utili ed alle perdite della propria industria. In tal senso l’art. 1725 considerava questa forma di contratto, defi nita per l’appunto associazione in partecipazione, come una tipologia particolare di società, una sub societas. Tale figura contrattuale era prevista an che dal successivo codice di commercio del 1882 il quale, accanto ad altre tipologie di società, con templava anche l’associazione in partecipazione. L’art. 233(2) la definiva come il contratto in forza del quale un commerciante o una società com merciale, dietro un compenso, accordava ad una o più persone una partecipazione agli utili. Con sif fatto accordo tuttavia non si originava un nuovo ente giuridico ma si costituiva unicamente un rap porto interno tra le parti, associante ed associato, del tutto irrilevante nei confronti dei terzi(3). L’abrogato codice di commercio richiedeva tutta via fondamentali elementi per la sussistenza del contratto di associazione in partecipazione. Innan zitutto l’affare doveva necessariamente rimanere di esclusiva pertinenza dell’associante senza dive nire per l’effetto comune all’associato. La gestione dell’affare spettava pertanto unicamente all’asso ciante senza la possibilità che l’associato potesse intromettersi. A quest’ultimo spettava il solo dirit to al conto dei profitti e delle perdite(4). L’associato inoltre, come corrispettivo della partecipazione, aveva il dovere di trasferire dei beni o una somma in proprietà esclusiva dell’associante. L’impianto normativo previsto dal codice di commercio del 1882 è stato in gran parte confermato dall’attuale cod. civ. del 1942 che disciplina la figura contrat tuale dell’associazione in partecipazione con gli artt. da 2549 a 2554, contenuti del titolo VII del libro V dedicato al lavoro. Caratteristiche del contratto In linea generale il contratto di associazione in par tecipazione può essere definito quale contratto tipi co(5), la cui struttura è delineata dall’art. 2549 c.c. Articolo 2549, comma 1 - Nozione Con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. Il contratto ha natura sinallagmatica a prestazioni corrispettive. Da una parte infatti è prevista un’ob bligazione a carico di un soggetto, definito asso ciato, tenuto a conferire un determinato apporto in favore di un altro soggetto, definito associante. Dall’altra parte, in stretta correlazione e in diretta Sul punto F. Ferrara F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, Giuffrè. Così l’art. 233 del codice di commercio del 1882: «L’associazione in partecipazione ha luogo quando un commerciante o una società commerciale dia ad una o più persone o società una partecipazione negli utili e nelle perdite di una o più operazioni o anche dell’intero suo commercio». Così l’art. 235 «L’associazione in partecipazione non costituisce rispetto ai terzi un ente collettivo distinto dalle persone degli interessati. I terzi non hanno diritti e non assumono obbligazioni che verso colui col quale hanno contratto». Così l’art. 236 «I partecipanti non hanno alcun diritto di proprietà sulle cose cadenti in associazione, ancorché da essi somministrate. Possono però stipulare che, nei rapporti tra associati, le cose da essi fornite siano restituite in natura; e in difetto hanno diritto al risarcimento del danno. Tranne questo caso il loro diritto è limitato ad avere il conto delle cose conferite nell’associazione e quello dei profitti e delle perdite». Sul punto si veda anche M. Levis C. Margini, Associazione in partecipazione: aspetti civilistici e fiscali in Focus Fiscali de Il Sole 24 Ore, luglio 2007, n. 7/8, pag. 44. (1) (2) (3) (4) (5) II Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 conseguenza, vi è la controprestazione dell’asso ciante, consistente nell’attribuire all’associato la partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari. Il contratto è altresì consensuale in quanto, per il perfezionamento dello stesso, non è necessario il conferimento dell’apporto da parte dell’associato ma il semplice consenso da parte dei contraenti. L’accordo tra le parti fa sorgere quindi le due obbligazioni sopra descritte, ovvero sia l’obbligo del conferimento dell’apporto e l’ob bligo di corresponsione degli utili. Peraltro il con ferimento da parte dell’associato non deve essere necessariamente immediato ben potendo non esi stere al momento della stipulazione del contratto ovvero consistere in una prestazione lavorativa da svolgersi nel tempo. Caratteristica fondamentale del contratto è l’aleatorietà che incombe sull’obbli gazione principale dell’associante. La stessa infatti è legata ad un elemento del tutto potenziale ed even tuale, soprattutto in un campo come quello dell’im prenditoria o del commercio, rappresentato dagli utili dell’impresa e di uno o più affari. Un contratto si definisce aleatorio quando la prestazione di uno dei contraenti è incerta. Nel caso di specie non è in discussione l’esistenza dell’obbligazione da parte dell’associato, la quale, come detto, sorge automati camente con il consenso dato dalle parti al contrat to. L’incertezza si concentra sull’oggetto dell’obbli gazione dell’associante, ovverosia gli utili dell’impre sa, che ben potrebbero avere saldo negativo e per tanto non esistere. Tale circostanza tuttavia non è causa di risoluzione del contratto per eccessiva one rosità sopravvenuta e neppure di rescissione, essen do tale eventualità di assenza di utili del tutto carat teristica e propria del contratto in questione. Pertan to nel sinallagma del negozio si rinvengono una prestazione certa (l’apporto) contro un risultato in certo (la partecipazione agli utili o alle perdite). Associazione in partecipazione e società Discussa è, poi, in dottrina la categoria generale di detto contratto. Alla tesi che lo cataloga tra i con tratti di scambio(6) si contrappone quella che lo definisce come rapporto associativo(7). L’associa (6) (7) (8) zione in partecipazione rientra infatti nel più vasto ambito della cooperazione economica di due o più soggetti nell’esercizio collettivo di un’impresa che si può ottenere anche con la costituzione di una società. In comune i due istituti hanno l’esi genza pratica di realizzare una collaborazione pa trimoniale finalizzata al conseguimento di un lu cro attraverso l’esercizio in comune di un’attività imprenditoriale o dell’esecuzione di un affare. Nel contratto di società alla comunanza di risultati corrisponde una comunanza di mezzi e di poteri. Inoltre nel contratto di società spesso (si pensi alle società di capitali) si crea un soggetto giuridico nuovo e distinto rispetto agli stessi soci, circostan za questa del tutto assente nel contratto di asso ciazione in partecipazione, ove l’associato si man tiene del tutto estraneo dalla gestione dell’impresa che resta esclusivamente in capo all’associante(8), il quale è l’unico ad acquisire diritti o ad assumere obbligazioni nei confronti dei terzi. Articolo 2551 Diritti ed obbligazioni dei terzi - Nozione I terzi acquistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso l’associante. Articolo 2552 Diritti dell’associante e dell’associato - Nozione La gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante. L’organizzazione dell’attività lavorativa sembra essere quindi il vero e proprio elemento di distinzione tra le due figure giuridiche; nella società compete ovvia mente ai partecipanti alla medesima, fatti salvi natu ralmente i patti interni previsti dallo statuto, mentre nell’associazione in partecipazione la cooperazione economica si attua unicamente con il trasferimento di determinate somme, di determinati beni ed infine di prestazioni lavorative da parte dell’associato. Ci si tro verebbe in presenza di una società allorché l’azione esterna, pur essendo condotta da una sola persona, è determinata in realtà dal contributo di tutti i parteci De Farra, Dell’associazione in partecipazione, nel Comm. del c.c. a cura di Scialoja e Branca, Libro V del lavoro (artt. 25492554 c.c.) Bologna Roma 1973 ove si sottolinea il carattere di corrispettività dell’apporto rispetto all’attribuzione di una partecipazione agli utili dell’impresa dell’associante o di uno o più affari, si veda anche Ghidini, L’associazione in partecipazione, 1958. G. Ferri, voce, «Associazione in partecipazione» nel Digesto Discipline privatistiche, IV edizione, Discipline privatistiche, sezione commerciale I, Torino 1987, pp., 505 e ss. «L’associazione in partecipazione … realizza la collaborazione di due o più persone in un dato settore per il conseguimento di un risultato comune: l’apporto costituisce l’apprestamento dei mezzi finanziari per lo svolgimento di quella attività da cui la realizzazione del risultato dipende, non il corrispettivo di un’attribuzione patrimoniale». F. Ferrara jr F. Corsi op. cit. pag. 232. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro III panti, come pure allorquando i beni, attraverso i qua li si realizza il processo produttivo aziendale, nono stante la loro intestazione, il loro possesso e l’appa renza esterna, sono considerati di proprietà comune. Contrariamente, l’associazione in partecipazione si realizzerebbe laddove l’apporto del conferente aves se come unica conseguenza la partecipazione agli utili senza il potere gestorio della società. Associante ed associato non perseguono uno scopo comune, al contrario dei soci delle varie società previste nel codi ce civile, ma scopi diversi e contrapposti(9). Caratteristiche dei soggetti e delle obbligazioni Attenta analisi meritano poi le caratteristiche dei soggetti coinvolti da detta tipologia contrattuale. In particolare la figura dell’associante sembra possa es sere rivestita unicamente dall’imprenditore commer ciale, ossia il soggetto che svolge una delle attività previste dall’art. 2195 c.c.(10). Circostanza quest’ulti ma del tutto inevitabile, considerando che il codice civile fa derivare gli utili non da qualsiasi tipologia di affare ma dalla gestione di un’impresa. Dall’altra par te non sembrano sussistere invece particolari requisi ti in capo all’associato, il quale può essere una persona fisica o giuridica, imprenditore o privato, non essendo in tal senso prevista alcuna limitazione dalla disciplina normativa. Decisamente più com plessa l’analisi degli obblighi nascenti dal contratto a carico delle parti. Particolare rilievo riveste l’apporto. Rappresentando obbligazione principale dell’asso ciato, lo stesso, a pena di nullità del contratto stesso, deve poter essere determinato o quantomeno deter minabile. Il codice civile non specifica le caratteristi che di tale elemento contrattuale, il quale pertanto può essere rappresentato da(11): denaro, che incrementa direttamente il patrimo nio dell’associante, che ne resta l’unico titolare, senza creare un fondo comune, né un patrimonio autonomo dell’associazione; beni di natura, mobili o immobili, anche solo in godimento, con l’obbligo di destinarli allo scopo convenuto per poi restituirli in natura al momento in cui si estingue il rapporto di associazione; crediti, compresi quelli nei confronti dell’asso ciante; liberazione dell’associante da un debito verso i terzi e qualsivoglia prestazione che consente co munque un vantaggio all’associante. (9) (10) (11) IV Infine può costituire validamente apporto ai sensi dell’art. 2549 c.c. anche una prestazione di attivi tà lavorativa, la quale, come meglio si vedrà nel prosieguo della presente trattazione, non potrà naturalmente rivestire i caratteri della subordina zione, ben potendo però essere tecnica o lavorati va, anche gestoria, soggetta alle direttive dell’asso ciante, nonché anche attività di intermediazione per la conclusione di determinati affari. Apporto dell’associato Tipi - Denaro - Beni - Crediti - Liberalità - Garanzie - Lavoro Caratteristiche - non si crea un patrimonio comune o autonomo - mobili o immobili, devono essere restituiti all’estinzione della cessazione - anche nei confronti dell’associante - liberazione di un debito dell’associante - reali o personali - non deve avere i caratteri della subordinazione In ogni caso l’articolo 2552 c.c. sembra escludere che l’apporto da parte dell’associato possa spingersi sino a permettergli la gestione dell’impresa dell’asso ciante il quale, come visto, resta l’unico titolare del l’impresa o dell’affare. Il comma 2 del medesimo articolo 2552 c.c. conferisce al massimo all’associato un potere di controllo sull’impresa o sullo svolgimen to dell’affare, potere che tuttavia non è automatico ma deve essere previsto dal contratto stesso. Articolo 2552 Diritti dell’associante e dell’associato - Nozione La gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante. Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione è stata contratta. In ogni caso l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto o a quello annuale della gestione, se questa si protrae per più di un anno. Peraltro tale impostazione, come già sopra traccia to, consente di distinguere il contratto di associa zione in partecipazione dal contratto di società, posto che la natura stessa dell’associazione deve escludere per l’associato ogni diritto proprio del socio in quanto l’impresa o l’affare, al quale egli partecipa, sono fatto proprio ed esclusivo dell’as sociante. Unica prerogativa dell’associato, di previ sione esclusivamente normativa, è data dal diritto C. Santoro, Associazione in partecipazione e subordinazione in Guida al Lavoro dell’8 giugno 2007, n. 24. Si veda tuttavia quanto ha stabilito sul punto la giurisprudenza nel capitolo dedicato, pag. VII. Sul punto di veda C. De Stefanis A. Quercia, Associazione in partecipazione e impresa familiare, Maggioli Editore, 2009. Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 Diritti e obblighi del contratto di associazione in partecipazione Diritti Obblighi Associante - gestione in via esclusiva dell’impresa - ricevere l’apporto dall’associato Associato - controllo sull’andamento dell’impresa e dell’affare - ricevere il rendiconto dall’associante - corrispondere gli utili all’associato - osservare la normale diligenza del mandatario nella gestione dell’impresa - richiedere il consenso all’associato per poter stipulare altri contratti di associazione in partecipazione - restituire l’apporto all’associato al momento della cessazione del contratto - prestare l’apporto all’impresa dell’associante - partecipare alle perdite ove previsto - divieto di concorrenza nei confronti dell’impresa o degli affari dell’associante(1) - restituire gli utili percepiti in eccesso(2) (1) Sempre Ghidini op. cit. (2) C. De Stefanis - A. Quercia op. cit. pag. 173. al rendiconto dell’affare compiuto o a quello an nuale della gestione se questa si protrae per più di un anno. In buona sostanza, salvo che il contratto non preveda una particolare forma di controllo da parte dell’associato sull’impresa esercitata dall’as sociante, questi avrà unicamente l’obbligo di cor rispondere al primo un rendiconto attraverso il quale rappresentare all’associato l’andamento ed i risultati della gestione dell’impresa. L’esercizio in comune dell’impresa è limitato per tanto ai soli risultati della gestione, che vanno a beneficio o a carico di entrambe le parti in causa. Del resto l’associato incorre nelle alee favorevoli non meno di quelle sfavorevoli le quali tuttavia, per espressa previsione dell’articolo 2553 c.c., so no limitate al solo valore dell’apporto. Articolo 2553 Divisione degli utili e delle perdite - Nozione Salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto. Questa limitazione sembrerebbe in piena coerenza con la logica estromissione dell’associato dalla par tecipazione alla gestione dell’impresa(12). Un’impo stazione più che condivisibile posto che solo a fron te di una completa gestione, un soggetto può essere pienamente chiamato a rispondere responsabil mente delle proprie scelte imprenditoriali, potendo in tal senso massimizzare i guadagni ma anche subire le perdite di scelte sbagliate andando ben oltre l’apporto fornito. Diversamente argomentando, in effetti, l’associato, se avesse effettivamente un pieno diritto alla parte cipazione nella gestione dell’impresa, sarebbe co munque in una posizione di vantaggio rispetto al l’associante in virtù proprio di quanto prevede l’art. DICEMBRE 2012 N. 1112 2553 il quale, limitando le perdite al valore dell’ap porto, fornirebbe allo stesso uno scudo da scelte imprenditoriali sbagliate. Peraltro non manca chi(14) sostenga come il comma 2 dell’art. 2552 c.c. lasci alla piena disponibilità delle parti la possibilità di pattuire forme anche molto intense di partecipazio ne dell’associato alla gestione dell’affare o dell’im presa, fino a considerare del tutto legittima la previ sione di un necessario consenso dell’associato per il compimento di determinati atti gestori. Si consideri poi che anche la partecipazione alle perdite, nel limite del valore dell’apporto, può essere del tutto eventuale, posto che tale circostanza può essere esclusa a livello pattizio. Di un tanto non si può invece dire rispetto agli utili, i quali, ove presenti e realizzati, devono necessaria mente essere corrisposti all’associato in quanto tale adempimento, come già più volte sottolineato, rap presenta l’obbligazione principale dell’associante se pur aleatoria nell’an e nel quantum. In tal senso parte della Dottrina ritiene che la man cata indicazione della quota comporta la nullità del contratto per mancanza di un requisito essenziale. In verità l’unica norma che sembra prevedere una qualche ingerenza diretta dell’associato nell’impre sa dell’associante è rinvenibile nell’articolo 2550 c.c. Tale disposizione prevede infatti l’obbligo da parte dell’associante di richiedere il consenso del l’associato per poter addivenire alla stipulazione di altri contratti di associazione in partecipazione per la medesima impresa o il medesimo affare. Il consenso può essere già previsto all’atto della stipula del contratto, sotto forma di clausola contrat tuale, oppure può essere richiesto di volta in volta al verificarsi del sorgere di un nuovo contratto di asso ciazione in partecipazione. La previsione normativa ha ovviamente una sua logica, posto che l’immissio ne di un nuovo associato potrebbe limitare ulterior mente i diritti del precedente associato nella parte Il Punto Guida al Lavoro V cipazione agli utili. Per tale ragione allora si ritiene non necessario il consenso laddove la pluralità di contratti di associazione in partecipazione non sia sopravvenuta ma semplicemente contestuale ovve ro quando il nuovo contratto di associazione in partecipazione non intacchi in nessun modo la quo ta di utili accordata al precedente associato. Sotto il profilo della durata, nel silenzio delle nor me, il contratto può essere tanto a tempo indeter minato quanto prevedere l’indicazione di un termi ne finale. Anche lo scioglimento del vincolo con trattuale non trova una specifica disciplina negli articoli del codice civile sopra indicati, pertanto di viene necessario fare riferimento alle norme che regolano in generale la materia dei contratti e i rapporti associativi. In tal senso allora il rapporto di associazione in partecipazione può sciogliersi con il compimento dell’affare o la realizzazione dell’oggetto dell’asso ciazione, l’impossibilità di compiere l’affare medesi (12) mo o di conseguire l’oggetto dell’associazione, la scadenza del termine, ove previsto contrattualmen te, il recesso, previo congruo preavviso, del contrat to a tempo indeterminato, il fallimento dell’asso ciante, il recesso per giusta causa. Tale ultima ipotesi ricorre, oltre che in caso di ri scontrato inadempimento di una delle parti contra enti(12), anche allorché l’esercizio dell’impresa si at tui con perdite tali da non consentirne la prosecu zione: ciò vale tuttavia solo sul versante dell’asso ciante, dal momento che non si può costringere questi a continuare l’impresa che produce risultati negativi. Allo stesso tempo, il verificarsi di perdite nell’eserci zio dell’impresa non può costituire una giusta causa di recesso per l’associato, la cui alea è limitata alla perdita dell’apporto. Naturalmente il contratto può sciogliersi per mutuo consenso delle parti, per an nullamento o nullità e per clausola risolutiva espressa ai sensi dell’articolo 1456 c.c. Si pensi anche all’inadempimento dell’associante che rimanga totalmente inerte o non persegua i fini relativi all’impresa o all’affare oltre ogni ragionevole limite di tolleranza, oppure all’associato che ostacoli il raggiungimento degli interessi comuni fino alla possibile estrema conseguenza di defraudare l’associante del suo diritto di proprietà. www.guidaallavoro.ilsole24ore.com www.facebook.com/GuidaalLavoro Direttore responsabile PAOLO POGGI Coordinamento editoriale Claudio Pagliara (02/3022.3686) Redazione Angela Grassi (02/3022.3315) Margherita Mangioni (02/3022.3695) Marzio Nava (02/3022.3097) Antonio Pesaresi (02/3022.4540) Proprietario ed Editore: Il Sole 24 ORE S.p.A. Presidente: GIANCARLO CERUTTI Amministratore delegato: DONATELLA TREU Registrazione Trib. di Milano n. 468 del 7.8.1997 Sede legale, amministrazione: Via Monte Rosa 91 - 20149 Milano. Direzione, redazione: Via Pisacane 1 - 20016 Pero Milano. Il Sole 24 ORE S.p.A. Tutti i diritti sono riservati. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, legge n. 633/1941. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, [email protected], www.aidro.org Servizio clienti periodici: Il Sole 24 ORE S.p.A. Via Tiburtina Valeria (S.S. n. 5) km 68,700 - 67061 Carsoli (AQ). Tel. 3022.5680 (prefisso 02 oppure 06); Fax 3022.5400 (prefisso 02 oppure 06); e-mail [email protected] Nuovi abbonati e rinnovo dell’abbonamento: Guida al Lavoro (carta + digitale): 339,00; Guida al Lavoro (carta + digitale) + Codice del lavoro: 345,00; Guida al Lavoro (carta + digitale) + Libri (Gpf Paghe e contributi; Gpf Rapporto di lavoro; Gpf Procedure e Check list del lavoro): 379,00; Guida al Lavoro (carta + digitale) + L@voro online: 399,00; Guida al Lavoro (carta + digitale) + Codice del lavoro + L@voro online: 409,00; Guida al Lavoro (carta + digitale) + Codice del lavoro + Formulario del lavoro + L@voro online: 429,00. Sono compresi nell’abbonamento: Il Punto di Guida al Lavoro (inserto mensile), Il Corriere delle Paghe (mensile), Contratti & Contrattazione Collettiva (mensile), I Colloqui Giuridici del Lavoro, Gli Indispensabili, I Supplementi, 2 raccoglitori. In ciascuna formula di abbonamento è compreso l’accesso alla versione digitale della rivista e dei suoi allegati. Per le opzioni di abbonamento che comprendono “L@voro online” l’abbonato avrà accesso a tutti i servizi del portale www.lavoro.ilsole24ore.com e alla raccolta annate di Guida al Lavoro. Arretrati e numeri singoli: € 11,00 comprensivi di spese di spedizione. Per le richieste di arretrati e numeri singoli inviare anticipatamente l’importo seguendo le stesse modalità di cui sopra. I numeri non pervenuti potranno essere richiesti via fax al n. 02-06/3022.5402-06 o via e-mail a [email protected] entro 2 mesi dall’uscita del numero stesso. Concessionaria esclusiva di pubblicità: Focus Media Advertising «FME Advertising Srl di Elena Anna Rossi & C.» Sede legale: P.zza A. de Gasperi n. 15 - Gerenzano (VA). Direzione e Uffici: Via Canova n. 19 - 20145 Milano. Tel. 02.3453.8183 - fax 02.3453.8184 - email [email protected]. Stampa: Il Sole 24 ORE S.p.A. - Via Tiburtina Valeria (S.S. n. 5) Km 68,700 - 67061 Carsoli (AQ). Questo fascicolo de Il Punto di Guida al Lavoro è stato chiuso in redazione il 15 novembre 2012 VI Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 Il contratto di associazione in partecipazione nell’evoluzione giurisprudenziale Il quadro normativo appena illustrato, seppur in ap parenza sostanzialmente chiaro e di agevole com prensione non è tuttavia per nulla sufficiente per comprendere a pieno il meccanismo di funzionamen to del contratto di associazione in partecipazione. Sul punto un ruolo importante è stato ed è tutt’ora ricoperto dalla giurisprudenza, che nel tempo è intervenuta ripetutamente sull’istituto con decisio ni non sempre di segno perfettamente univoco. Natura del contratto La Cassazione si è innanzitutto espressa più volte per chiarire la natura di tale contratto, inquadrabi le nella categoria dei contratti di partecipazione(1), realizzando la cooperazione tra due o più persone in un dato settore economico per il conseguimen to di un risultato comune. Peraltro la legge confi gura l’associazione in partecipazione non come un contratto di società di cui debbano essere prede terminate la natura e la durata, sibbene come un contratto a prestazioni corrispettive, oneroso e consensuale(2). Confermato quindi il carattere emi nentemente sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota degli utili derivante dalla gestione di una sua im presa o di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto, da quest’ultimo conferito(3). Netta poi la distinzione del contratto di associazione in partecipazione da quello di società, dal quale si differenzia non per il conferimento esclusivo di beni da una parte e di servizi (o attività) dall’altra, il quale può avere luogo anche con il contratto di società, ma per la mancanza di un autonomo patrimonio comu ne, risultante dal conferimento dei singoli soci, e per l’assenza di una gestione in comune dell’impresa, che è esercitata dal solo associante, con l’assunzione della responsabilità esclusiva verso i terzi, mentre l’associa to può esercitare unicamente un controllo su tale (1) (2) (3) (4) (5) (6) gestione(4). Nella stessa pronuncia la Suprema Corte specifica che deve configurarsi un vero e proprio rapporto societario e non di associazione in parteci pazione anche quando gli apporti di beni o di denaro siano stati eseguiti da uno solo dei soci mentre l’altro conferisca la propria attività, ove i soci abbiano ap punto stabilito di costituire, come detto, un patrimo nio comune e di suddividere gli utili in parti uguali. Sul ruolo del patrimonio comune si sofferma an che la sentenza n. 2774 del 28 luglio 1969 con la quale la Cassazione ha ribadito come il contratto di associazione in partecipazione si differenzi da quello di società per la mancanza di un fondo comune, aggiungendo però anche la titolarità del l’impresa nel solo associante, il quale svolge ogni attività sotto l’impulso della sua volontà e con responsabilità esclusiva verso i terzi(5), mentre l’as sociato partecipa soltanto agli utili ed eventual mente alle perdite della gestione. Non si esclude tuttavia, precisa la Suprema Corte, che le parti si accordino per conferire all’associato poteri di in gerenza nella gestione dell’impresa ma in tal caso l’associante rimane pur sempre il dominus di essa. Caratteristiche dei soggetti Importante invece è l’apertura della giurispruden za circa la qualifica che deve rivestire l’associante. Come sopra precisato il termine «impresa», utiliz zato dall’articolo 2549 c.c., sembrerebbe richie dere per l’associante la natura di imprenditore ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2082 e 2195 c.c. Tuttavia la Cassazione(6), ai fini dell’asso ciazione in partecipazione, ritiene non necessaria l’esistenza di un’impresa, atteso che l’articolo 2549 c.c. prevede che l’associazione stessa avven ga relativamente ad uno o più affari, dovendo tuttavia riscontrarsi il compimento di un’attività economica caratterizzata da scopo di lucro. Cass. n. 5136/1982. Cass. n. 2772/1967. Cass. n. 5353/1987. Cass. n. 5518/1981. Sul punto si vedano anche Cass. 12 ottobre 1970, n. 1946 e Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1976, n. 958. Cass. n. 4411/1982. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro VII Più discutibile invece l’impostazione giurispruden ziale che esclude la configurabilità di un contratto di associazione in partecipazione quando il prete so associato rivesta la qualità di imprenditore po sto che, in mancanza di una diversa pattuizione che deroghi alla regola originaria fissata dal primo comma dell’articolo 2552 c.c., la gestione dell’im presa spetta all’associante(7). L’apporto dell’associato Sempre sul versante dell’associato, la Suprema Cor te ne ha altresì chiarito i caratteri dell’apporto, qua le, come detto, elemento essenziale del contratto stesso. Tale obbligazione nascente dal negozio giuri dico, può essere della più vasta natura, patrimoniale o anche personale(8). Inoltre, nell’apparente silenzio delle norme, la giurisprudenza traccia in modo as solutamente logico e condivisibile lo stretto legame che deve sussistere tra l’apporto reso dall’associato e l’impresa o l’affare esercitato e gestito dall’associan te. La Cassazione precisa che l’apporto, elemento qualificante il contratto di associazione in partecipa zione, deve avere carattere strumentale all’esercizio dell’impresa o per lo svolgimento dell’affare(9). Peral tro, per una corretta valutazione dell’istituto, si riflet ta su come effettivamente possa conciliarsi la stru mentalità dell’apporto dell’associato con l’esclusività della gestione dell’impresa o dell’affare da parte dell’associante, quando l’apporto consista in una prestazione lavorativa, come pacificamente ammes so(10). Ove invece l’apporto non consista in un’attivi tà lavorativa ma nel conferimento di un bene non è necessario il trapasso della proprietà dello stesso in capo all’associante, in quanto le cose fornite dall’as sociato possono essere date all’associante solo in uso, restando devolute e vincolate al raggiungimen to dello scopo comune e debbono in tal caso essere poi restituite in natura(11). Naturalmente sotto tale ultimo profilo la giurisprudenza ha anche cercato di chiarire i contorni dell’obbligo di restituzione del l’apporto che sorge in capo all’associante al momen to dell’estinzione del contratto di associazione in partecipazione. Tale obbligo e conseguente diritto spettante all’associato, si riferisce ad apporti mate riali e non al caso in cui il conferimento sia consisti (7) (8) (9) (10) (11) (12) (13) (14) VIII to in un’obbligazione di facere o di non facere, ove invece la cessazione dell’associazione comporta la cessazione di tale obbligo(12). Gestione dell’impresa e potere di controllo Sul tema della gestione dell’impresa la giurispru denza si è soffermata più volte, soprattutto con lo specifico fine di delineare i contorni di una figura, quella dell’associazione in partecipazione che fati ca a trovare dei tratti propri peculiari, ponendosi troppo spesso a metà tra due figure decisamente più ampie quali la società, della quale già si è detto, ed il rapporto di lavoro subordinato, del quale appresso si dirà più diffusamente. Per la giurisprudenza appare sempre più chiaro come nell’associazione in partecipazione alla comunan za di interessi non corrisponda una comunanza di poteri, perché la gestione dell’impresa è di perti nenza esclusiva dell’associante(13). Tuttavia l’orien tamento non è poi così rigoroso. È infatti piena mente ammessa la possibilità che la gestione del l’impresa sia affidata all’associato, sempre che questi ripeta i propri poteri gestori dall’associante e svolga la propria attività, anche rappresentativa, nei limiti dei poteri ricevuti dall’associante(14). È in questo quadro che si ammette la configurabilità di un mandato conferito dall’associante all’associato per la gestione dell’impresa o dell’affare. Così fa cendo, l’associante fa valere il suo diritto di domi nus dell’affare o dell’impresa, che può esercitare nel modo da lui ritenuto più opportuno e conve niente, sia dirigendolo o gestendolo direttamente sia valendosi dell’opera altrui, senza che dalla scelta dell’associato come mandatario rifluisca una modificazione nella struttura giuridicoecono mica del rapporto associativo e una trasformazio ne dell’associazione in società, perché la titolarità dell’affare rimane all’associante e il conferimento del mandato esclude la veste di socio, laddove manchi l’ente sociale. Tali principi, sottolinea la Suprema Corte, elaborati sotto l’impero degli abrogati codici, conservano validità anche di fron te alla norma dell’articolo 2552 c.c., la quale non fa che codificare una regola inerente alla figura normale dell’istituto, pur senza escludere la legitti Cass. n. 6549/1983. La Cassazione n. 15175/2000 ammette come apporto in un contratto di associazione in partecipazione anche l’attività di intermediazione per la conclusione di determinati affari. Tra le tante Cassazione n. 5353/1987. Così la Cassazione n. 32/1984 secondo la quale nell’associazione in partecipazione il contributo patrimoniale dell’associa to può essere costituito da una prestazione di attività lavorativa. Cass. n. 2727/58. Tribunale di Milano 30.12.1982, F. pad. 83, I, 575. Cass. n. 1940/1070. Cass. n. 32/1984. Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 mità di una deroga pattizia a tale situazione nor male(15). Se la gestione dell’impresa o dell’affare, con i do vuti distinguo sopra evidenziati, spetta in via esclusiva all’associante, all’associato compete co munque il potere di controllo sulla gestione, che il più delle volte sembra concretizzarsi unicamente nel semplice diritto al rendiconto. Non può infatti contestarsi, precisa la Cassazione, il diritto dell’as sociato di essere informato dell’andamento del l’azienda e di esercitarvi controlli, la cui intensità e frequenza, se non può essere fissata in linea gene rale ed astratta, deve, tuttavia, adeguarsi all’im portanza della partecipazione ovvero, in ogni ca so, ai sistemi ed alle modalità volute dalle parti(16). Come a dire, più è alta la posta in palio, ossia più è cospicua la quota di utili potenzialmente spettanti all’associato, anche in funzione del valore stesso dell’impresa o dell’affare esercitato dall’associante, tanto maggiore sembra essere il diritto del primo ad ingerirsi ed a controllare l’attività del secondo, dalla quale dipende naturalmente il suo maggiore o minore guadagno. È comunque ammessa in giurisprudenza la possibilità di assenza di rendi conto, elemento peraltro, come visto, espressa mente previsto dal comma 2 dell’articolo 2552 c.c. come un autonomo diritto dell’associato. In tal senso un orientamento giurisprudenziale ritiene non decisiva la mancanza di rendiconto nei casi in cui comunque l’associato abbia potuto esercitare utilmente il potere di controllo(17), evidentemente attraverso forme differenti rispetto alla semplice presentazione del rendiconto. Allo stesso modo l’assenza di rendiconto risulterebbe del tutto irri levante qualora l’omessa presentazione di detto documento dipenda dall’inerzia dell’interessato. Conferimento degli utili Veniamo così a trattare il tema del conferimento degli utili all’associato, altro elemento essenziale del contratto di associazione in partecipazione. Sul punto si registrano numerose pronunce, non sempre in linea tra loro. Innanzitutto la Cassazione ha stabilito che se il contratto non determina la quota degli utili spet tanti all’associato, tale quota va determinata in (15) (16) (17) (18) (19) (20) (21) (22) proporzione al valore dell’impresa, ovvero dell’af fare o degli affari rispetto ai quali l’associazione è pattuita, tenendo conto, nella prima ipotesi che l’impresa deve essere valutata secondo i criteri che presiedono alla redazione dei bilanci, senza possibilità di computare un compenso all’impren ditore per la sua attività di gestione aziendale(18). Del tutto controversa è poi la questione se il con ferimento in favore dell’associato possa essere ri ferito esclusivamente agli utili, così come espressa mente previsto dall’articolo 2549 c.c. oppure pos sa essere collegato ai semplici ricavi dell’impresa. Secondo un primo orientamento sarebbe assoluta mente ammissibile ancorare il conferimento ai rica vi invece che agli utili, trattandosi di una pattuizio ne più favorevole, che comunque non elimina il connotato aleatorio del contratto poiché non si può escludere che in concreto i ricavi siano così esigui da annullare il compenso(19). In altra pronuncia(20), la Cassazione ha ritenuto che la pattuita partecipa zione dell’associato ai ricavi dell’impresa, ancorché non perfettamente assimilabile alla partecipazione agli utili prevista dall’articolo 2549 c.c., non altera il tipo contrattuale, sicché è ravvisabile pur sempre un’associazione in partecipazione, atteso che la va riabilità del fatturato comporta da una parte il dirit to dell’associato al rendiconto e dall’altra parte la presenza di un rischio patrimoniale incompatibile con la subordinazione. Più recentemente la stessa Suprema Corte(21) ha ancora una volta ribadito che poiché l’articolo 2553 c.c. consente alle parti di determinare la quantità di partecipazione dell’asso ciato agli utili, non contrasterebbe con lo schema contrattuale neanche una partecipazione rapporta ta non già agli utili netti, bensì al ricavo dell’impre sa; in tal modo si attribuirebbe all’associato una partecipazione maggiore di quella che gli spettereb be dalla mera partecipazione agli utili. La giurispru denza ha altresì cercato di valorizzare sul punto l’autonomia negoziale delle parti, ritenendo irrile vante ai fini qualificatori una previsione contrattua le che commisuri la partecipazione ai ricavi piutto sto che agli utili(22). Altro orientamento invece esclude categorica mente che in un contratto di associazione in par tecipazione il conferimento in favore dell’associa Cass. n. 2310/1955. Cass. n. 372/1060. Cass. 6 novembre 1998, n. 11222. Cass. 9 marzo 1982, n. 1476. Cass. 6 novembre 1998, n. 11222; Cass. 6 maggio 1997, n. 3936. Cass. 18 aprile 2007, n. 9264. Cass. 27 gennaio 2011, n. 1954 e Cass. 28 maggio 2007, n. 12357. Cass. n. 24871/2008. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro IX to possa essere riferito ai ricavi. In tal caso infatti emergerebbe in modo inequivocabile la volontà delle parti di regolare i propri interessi in modo diverso da quanto previsto dall’articolo 2549 c.c.(23). I ricavi, per tale diverso orientamento, fon dato su principi evidentemente del tutto opposti a quelli evidenziati in precedenza, non rappresenta no in se stessi un dato significativo circa il risultato economico dell’attività d’impresa(24). In effetti c’è chi ha considerato tale aspetto come fondamenta le nel corretto inquadramento giuridico del con tratto di associazione in partecipazione. L’aleato rietà di detto contratto, per le ipotesi di partecipa zione commisurata ai ricavi, si rivelerebbe, in ogni caso, quantitativamente differente rispetto all’ale atorietà tipica del contratto di associazione con partecipazione commisurata agli utili, in quanto, da un lato, le probabilità di un risultato positivo per l’associato sono sicuramente maggiori, tanto da assumere i connotati di una virtuale certezza nell’an, dall’altro l’alea riguarderà non tanto il conseguimento dell’obiettivo primario di ogni atti vità lucrativa, ovvero la produzione di utili, quan to il volume di affari ingenerato. Concetto che trova conferma anche in una decisione della Cas sazione, la n. 19475 del 19 dicembre 2003, se condo la quale per poter affermare la sussistenza di un reale vincolo negoziale di associazione in partecipazione è indispensabile che il corrispetti vo dell’associato sia computato sugli utili effettivi dell’impresa e non sui ricavi, che comprendono al proprio interno anche le perdite. La partecipazione alle perdite e il rischio d’impresa Se il dibattito giurisprudenziale tra utili e ricavi non è ancora pervenuto ad un punto definitivo, identica cosa può dirsi circa il ruolo della partecipazione alle perdite, che pur trova, come sopra descritto, una specifica disciplina nell’articolo 2553 c.c. Si discute, infatti, se nell’ambito di un contratto di associazione in partecipazione, il «patto contrario», previsto dalla norma in questione, possa portare ad escludere del tutto la partecipazione alle perdite da parte dell’associato. Tale profilo di analisi concer nente la partecipazione agli utili ed alle perdite, richiama l’attenzione su un concetto che, soprattut to nel rapporto tra associazione in partecipazione e (23) (24) (25) (26) X lavoro subordinato, rappresenta, come vedremo, un punto fondamentale, il rischio d’impresa. La Cassazione con sentenza n. 1954 del 27 gennaio 2011 aveva espressamente stabilito che l’articolo 2553 c.c. consente alle parti di convenire in misura diversa la partecipazione dell’associato agli utili dalla partecipazione alle perdite, senza peraltro affermare la necessità di una partecipazione alle perdite, la quale, dunque, non è elemento qualificante la causa del contratto in esame, che è ravvisabile in definitiva nello scambio tra un determinato apporto dell’asso ciato all’impresa dell’associante ed il vantaggio eco nomico che l’associante si impegna a corrispondere al primo. Peraltro tale orientamento era già stato più volte ribadito anche in passato. Secondo la giuri sprudenza l’articolo 2553 c.c. postula la piena liber tà delle parti di determinare la partecipazione alle perdite, che può essere commisurata alla partecipa zione agli utili, sia in misura diversa che esclusa totalmente(25). Tuttavia sul tema in questione appare di grande interesse una recentissima pronuncia(26) con la quale la Corte ribalta completamente i precedenti orientamenti, affermando l’inconfigurabilità di un contratto di associazione in partecipazione che preveda, a fronte dell’apporto lavorativo dell’asso ciato, la mera cointeressenza agli utili senza parte cipazione alle perdite. Più in particolare la Suprema Corte, analizzando un caso di riqualificazione di un contratto di asso ciazione in partecipazione con apporto di lavoro in un vero e proprio contratto di lavoro subordi nato, ha innanzitutto ricordato che l’associazione in partecipazione è un contratto a prestazioni cor rispettive, in cui il sinallagma è costituito dalla partecipazione al rischio d’impresa a fronte di un determinato apporto da parte dell’associato. Co me in tutti i contratti sinallagmatici, dunque, la causa, ossia la ragione giustificativa del contratto, consiste nello scambio tra prestazione e contro prestazione e più specificatamente nella parteci pazione dell’associato al rischio d’impresa. Su que sto ultimo punto si fonda il fulcro del ragionamen to della Corte, secondo la quale l’assunzione del rischio deve necessariamente comprendere la par tecipazione tanto agli utili quanto alle perdite, ciò in ragione del fatto che, diversamente, si realizze rebbe un contratto di mera cointeressenza agli Cass. 6 febbraio 2002, n. 1420; Cass. 23 gennaio 1999, n. 655. Cass. 28 maggio 2008, n. 14062. Cass. 18 aprile 2007, n. 9264; Cass. 23 gennaio 1996, n. 503. Cass., sez. lav., 21 febbraio 2012, n. 2496; sul punto si veda anche G. De Fazio, Associazione in partecipazione accollo delle perdite per l’associato in Guida al Lavoro n. 11 del 9 marzo 2012, pagg. 33 e ss. Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 utili di impresa, ex art. 2554 c.c., ritenuto inam missibile in presenza di un apporto lavorativo da parte dell’associato. Del tutto fermo invece appare l’orientamento in base al quale è convenzionalmente inderogabile il principio secondo cui le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore dell’ap porto. L’indeterminatezza del rischio che l’associa to si assumerebbe con la stipulazione di partecipa zione alle perdite in misura illimitata e comunque superiore all’apporto, è contraria ai presupposti ed alla struttura essenziale di tale contratto, nel quale l’associato è un creditore, normalmente fuori dalla gestione, cui viene attribuita dall’associante una partecipazione agli utili, comportante l’assunzione di rischio, commisurata (e comunque non oltre passante) al valore dell’apporto che la stessa legge definisce determinato(27). La forma del contratto La giurisprudenza fornisce poi un utile contributo per comprendere la forma necessaria per la stipula di un contratto di associazione in partecipazione. Gli articoli del codice civile sopra esaminati, infat ti, non fanno cenno circa la forma prescritta per la redazione di un contratto di associazione in parte cipazione, il quale ben potrebbe richiedere la for ma scritta a pena di nullità, ovverosia ad substan tiam, o quanto meno per la prova. In realtà, la norma contenuta nell’articolo 1350 n. 9 c.c., se condo la quale è richiesto l’atto scritto ad substan tiam per i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobi liari o di altri diritti reali immobiliari per un perio do superiore a nove anni, non è applicabile al contratto di associazione in partecipazione(28). Allo stesso modo la prova dell’associazione in par tecipazione, secondo la giurisprudenza, non esige l’atto scritto(29). Si potrebbe pertanto concludere per la libertà di forma del contratto di associazio ne in partecipazione, salvo considerare quanto si dirà in seguito circa la necessità di forma scritta del contratto in questione, richiesta a fini mera mente fiscali. (27) (28) (29) (30) (31) Associazione in partecipazione e subordinazione Il dibattito più acceso e controverso in giurispru denza concerne tuttavia il «disperato» tentativo, forse mai riuscito a pieno, di distinguere o quanto meno di fornire dei criteri più o meno sufficienti per determinare i confini tra contratto di associazio ne in partecipazione e lavoro subordinato quando l’apporto dell’associato consista in una prestazione lavorativa. A parere dello scrivente, come di seguito si potrà agevolmente constatare, la giurisprudenza, natural mente non certo per propria colpa, non è mai riusci ta a cogliere direttamente nel segno, fornendo più principi di carattere generale e teorico, del tutto condivisibili che tuttavia si scontrano con casi di specie che nel concreto prevedono elementi di tale incertezza e similitudine tra le due figure in discus sione tanto da non riuscire a distinguere con certez za l’una dall’altra, se non nelle ipotesi più evidenti. In tali ultime situazioni elemento risolutore è più che altro la presenza di chiari indici di subordina zione piuttosto che un netto confine tra contratto di associazione in partecipazione e lavoro subordina to. In linea generale la giurisprudenza(30) prende in considerazione, a titolo esemplificativo, il rigoroso rispetto da parte dell’associato di un orario fisso di lavoro, l’annotazione quotidiana sui libri contabili delle entrate, con relativo calcolo percentuale delle spettanze, il possesso delle chiavi dell’esercizio da parte dell’associante, con possibilità di entrarvi in ogni momento, anche per controllare l’attività lavo rativa dell’associato; ed ancora lo stabile inserimen to della prestazione lavorativa nell’organizzazione d’impresa, il contenuto professionale dell’opera pre stata, che quanto più modesto, tanto più avvicinerà l’associato ad un mero locatore di energie lavorati ve, e la previsione contrattuale di analitiche indica zioni e specifiche regolamentazioni dell’attività che deve essere svolta(31). Di tale difficoltà peraltro si è ampiamente resa conto la stessa giurisprudenza che fin dall’origine ha spie gato che in tema di distinzione tra contratto di asso ciazione in partecipazione con apporto di prestazio Così Cass. n. 2598/1964. Così Cass. 20 luglio 1962, n. 1977; si veda anche Cass. civ., sez. lav., 21 giugno 1988, n. 4235, secondo la quale il contratto di associazione in partecipazione non richiede la forma scritta né ai fini della validità né ai fini della prova. Cass. n. 4235/1988. Si veda Cass. 27 gennaio 2011, n. 1954. Sul punto interessante appare la recente pronuncia del Tribunale di Cassino, sez. lav., n. 25 del 16 gennaio 2012, che ha ricondotto a rapporti di lavoro subordinato 22 contratti di associazione in partecipazione valorizzando le seguenti circostanze: le lavoratrici in questione non avevano mai partecipato ad assemblee societarie, né agli utili e alle perdite, né avevano mai esercitato alcun tipo di controllo sull’andamento societario, attraverso la visione di bilanci; al contrario era rinvenibile il potere direttivo, gerarchico ed organizzativo del datore di lavoro poiché esse avevano svolto mansioni di addette alla stiratura con orario di lavoro fisso. Cass. 28 maggio 2007, n. 12357. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro XI Distinzione tra associazione in partecipazione e subordinazione Caratteristiche principali secondo la giurisprudenza Associazione in partecipazione Lavoro subordinato - Sussistenza in capo al prestatore di lavoro di un potere - Assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e didi controllo sulla gestione economica dell’impresa ed in sciplinare del datore di lavoro particolare del diritto al rendiconto periodico da parte del- - Limitazione di autonomia l’impresa - Inserimento nell’organizzazione aziendale - Carattere aleatorio del corrispettivo, cioè la sussistenza - Assenza di rischio d’impresa di un rischio d’impresa per il prestatore - Continuità della prestazione - Titolarità da parte dell’associante di un generico potere - Osservanza di un orario vincolante di impartire direttive per l’esecuzione del lavoro - Retribuzione periodica ed in misura fissa ne lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, la riconducibilità del rapporto al l’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagi ne del giudice del merito (il cui accertamento se adeguatamente e correttamente motivato non è cen surabile in sede di legittimità) volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratteriz zano i due contratti, tenendo conto in particolare che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante in relazione al potere del l’associato di controllo sulla gestione economica del l’impresa, e l’esistenza per quest’ultimo di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione, più ampio del generico potere dell’associante d’impartire direttive ed istruzioni al cointeressato(32), oltre alla salvezza del diritto alla retribuzione minima proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato(33). In tal senso allora appare interessante la pronun cia con la quale la Suprema Corte ha stabilito che si è in presenza di un contratto di associazione in partecipazione nel caso in cui l’associato si limiti all’apporto della sola attività lavorativa ed anche se, a seguito di specifica clausola, venga escluso dalla partecipazione ad eventuali perdite di gestio ne, bensì gli sia riconosciuta, in ogni caso, una partecipazione sui ricavi, sempre che, con riferi mento al concreto svolgimento del rapporto, non sia riscontrabile quello stabile inserimento nell’or (32) (33) (34) (35) (36) XII ganizzazione produttiva con il conseguente assog gettamento alla penetrante ingerenza dell’asso ciante, il quale impartisca continue disposizioni riguardanti l’esecuzione della prestazione, che comporta una sottostante effettiva natura subordi nata del rapporto di lavoro(34). Appare quindi importante, in chiave distintiva, con centrarsi sul ruolo dell’associante, il quale in concre to finisca per atteggiarsi nei confronti dell’associato a vero e proprio datore di lavoro, esercitandone i rela tivi poteri. Peraltro ci si deve ricordare che anche ai lavoratori autonomi, ai soci di fatto o agli associati in partecipa zione possono essere impartite direttive o indicazio ni in ordine allo svolgimento del lavoro (specie se sia necessario sopperire a una minore esperienza di costoro o comunque sia stato concordato, ovvero risulti opportuno e necessario un coordinamento delle attività), senza che, per ciò solo, possa ritenersi inequivocabilmente provata l’esistenza di un rappor to di lavoro subordinato, caratterizzato invece da un più pregnante vincolo di natura personale, che im pone al dipendente di assoggettarsi al potere orga nizzativo, gerarchico e disciplinare del datore di la voro, ponendo a disposizione di questi le proprie energie lavorative, adeguandosi ai suoi ordini e sot toponendosi al suo controllo nello svolgimento della prestazione(35). Potere direttivo, disciplinare e di controllo dello pseudo associante sarebbero(36) quindi elementi Così Cass. n. 9671 del 17 settembre 1991; conformemente Cass. n. 2693/2001. In Cass. n. 290/2000 una lavoratrice era addetta ad una elementare e ripetitiva operazione produttiva; il giudice di merito, con sentenza confermata dalla S.C., ha qualificato come lavoro subordinato il rapporto in questione, caratterizzato dai corrispondenti poteri organizzativi e gerarchici del datore di lavoro, dall’assenza di un suo obbligo di rendiconto, e da una determinazione della retribuzione collegata non già agli utili e neanche al fatturato dell’impresa ma semplicemente alla quantità di lavoro eseguito in relazione a determinate percentuali di pezzi. Cass. n. 5759/1984. Cass. n. 19352/2003, si veda anche Cass. n. 6750/1981. Si veda Cass. 9 marzo 2004, n. 4797 in base alla quale si è affermato che, ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, pur non potendosi prescindere dalla volontà dei contraenti, tenendo presente il nomen iuris dagli stessi adottato, elemento fondamentale è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare, estrinsecantesi in ordini specifici oltre che in una vigilanza ed un controllo assiduo delle prestazioni lavorative, da valutarsi con riferimento alla peculiarità dell’incarico conferito al lavoratore e alle modalità della sua attuazione. Si veda Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 fondamentali nella distinzione tra associazione in partecipazione e lavoro subordinato. Altri elementi, quali ad esempio il rispetto del l’orario di lavoro, lo svolgimento di mansioni as solte anche dai dipendenti, la variabilità della re tribuzione, non possono invece valere da soli a ricondurre il rapporto nello schema del lavoro subordinato poiché, sempre secondo la Cassazio ne, si tratta di elementi nessuno dei quali di per sé idoneo a costituire criterio discriminante fra l’uno e l’altro tipo di rapporto, essendo compatibili con entrambi, e non possono far desumere la sussi stenza della subordinazione(37). Sul ruolo dell’orario di lavoro si sofferma la Cassa zione civile con la sentenza n. 2016 del 19 feb braio 1993, ricordando come gli associati in par tecipazione non rispettano fasce orarie legate alle esigenze della ditta poiché ciò farebbe venire me no de facto la libertà di organizzazione del tempo e dei modi del lavoro. Altro orientamento ammetterebbe anche l’opera re dell’associato all’interno di fasce orarie concor date con l’associante, a condizione però che non venga in alcun caso assoggettato ad obblighi di presenza sul luogo di lavoro precostituiti dall’asso ciante ovvero ad obblighi di giustificazione di eventuali assenze(38). Peraltro a complicare ulteriormente il quadro si pongono una serie di pronunce con le quali viene ammessa la possibilità di accordare all’associato un guadagno fisso o minimo, magari con conferi mento periodico e mensile, che spesso finisce per assomigliare molto, fino a confondersi, con la retribuzione spettante al lavoratore subordinato. Nell’associazione in partecipazione, spiega la Cassazione, laddove l’apporto dell’associato con sista nella prestazione di attività lavorativa, la garanzia di un guadagno minimo deve ritenersi compatibile con la sussistenza di tale contratto, posto che detta garanzia è correlata al divieto, sancito dall’articolo 2553 del codice civile che le perdite che colpiscono l’associato possano supe (37) (38) (39) (40) (41) (42) (43) rare il valore del suo apporto(39). Tuttavia la giuri sprudenza ha nel contempo precisato che nel caso di associazione in partecipazione con appor to della sola attività lavorativa, non trova applica zione il principio della retribuzione sufficiente sancito dall’articolo 36 della Costituzione con esclusivo riguardo al lavoro subordinato(40). Del resto, sottolinea la stessa Cassazione(41), i compen si riconosciuti all’associato devono essere al con trario considerati una vera e propria componente dei costi di produzione imputati dall’associante all’attività di impresa. Assai rilevante nel dibattito in discussione è la deci sione della Corte costituzionale del 12 febbraio 1996, n. 30(42) in cui la Corte a proposito del lavoro in cooperativa precisa che per l’applicazione di tutti gli aspetti della tutela del lavoro … e in particolare di quelli concernenti la retribuzione, assume rilievo non tanto lo svolgimento di fatto di un’attività di lavoro connotata da elementi di subordinazione, quanto il tipo di interessi cui l’attività è funzionalizza ta e il corrispondente assetto di situazioni giuridiche in cui è inserita. Devono cioè concorrere tutte le condizioni che defi niscono la subordinazione in senso stretto, peculiare del rapporto di lavoro, la quale è un concetto più pregnante e insieme qualitativamente diverso dalla subordinazione riscontrabile in altri contratti coinvol genti la capacità di lavoro di una delle parti (come può essere il contratto di associazione in partecipa zione n.d.r.). La differenza, prosegue la Corte di Cassazione, è determinata dal concorso di due condizioni che negli altri casi non si trovano mai congiunte: l’alienità (nel senso di destinazione esclusiva ad altri) del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata e l’alienità del l’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce. In linea con siffatta impostazione si può inquadra re l’orientamento giurisprudenziale(43) che ritiene assolutamente decisivo ed essenziale nel contratto però quanto ha stabilito la Cassazione civile, sez. lavoro con sentenza n. 7586 del 30 marzo 2009, la quale ha riconosciuto la possibilità dell’assoggettamento dell’associato al potere direttivo dell’associante. Cass. 6 novembre 1998, n. 11222; si veda anche Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500. Pretura Ascoli Piceno 18 aprile 1990. Cass. n. 4235/1988, si veda anche Cass. n. 197/1982 secondo cui l’associazione in partecipazione, nella quale l’associato abbia conferito la propria prestazione lavorativa, è perfettamente compatibile con la garanzia di un guadagno minimo a favore dell’associato, avendo essa l’effetto di escludere, totalmente o parzialmente, la perdita del suddetto conferimento. Anche la sentenza n. 15175 del 24 novembre 2000 ammette in favore dell’associato la corresponsione di una somma fissa priva di ogni riscontro con gli utili. Cass. n. 3936/1997. Cass. civ., sez. lav., 10 giugno 2005, n. 1261. Sul punto di veda L. Cacciapaglia P. Pizzuti E. De Fusco, L’Associazione in partecipazione dopo la riforma Biagi in Guida al Lavoro n. 11 dell’11 marzo 2005, pag 2. Cass. 8 ottobre 2008, n. 24871; Cass. 19 dicembre 2003, n. 19475; Cass. 6 maggio 1997, n. 3936. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro XIII di associazione in partecipazione il rischio econo mico che l’associato assume su di sé, l’alea riguar dante la non corrispondenza tra quanto percepibi le e il valore dell’apporto lavorativo. Si individua quindi un coinvolgimento diretto dell’associato alle sorti dell’impresa, che invece incide solo in maniera indiretta sul lavoratore subordinato. Il rischio d’impresa sarebbe così insussistente nel le ipotesi in cui, contrariamente a quanto sostenu to dai precedenti orientamenti sopra esposti, l’as sociato percepisca una sorta di retribuzione sem pre in misura fissa, in quanto siffatta corresponsio ne evidenzia il carattere fittizio del rapporto asso ciativo, intercorso volutamente tra le parti, e depo ne, viceversa, per la ricorrenza di un rapporto di lavoro subordinato(44). Sul rischio d’impresa e sul rendiconto, quale prova del controllo dell’associato sull’attività dell’asso ciante, si sofferma la Cassazione con la pronuncia n. 3894 del 18 febbraio 2009. Secondo la Suprema Corte, una volta verificato che all’assetto contrattuale voluto dalle parti corrisponde la concreta attuazione di un rap porto di associazione in partecipazione in quanto dimostrate la prestazione di un regolare rendiconto in relazione al fatturato del negozio e la mancanza di direttive riguardanti l’orario di lavoro e l’organizzazione dell’attività, la par tecipazione ai ricavi e non alle perdite, il rispet to di un orario di lavoro in assenza però di direttive e la garanzia di un guadagno minimo non valgono ad escludere un rapporto di tipo associativo. Sul concetto della cosiddetta «doppia alienità» si sofferma anche un’interessante sentenza della Corte d’appello di Venezia, sez. lavoro del 15 ottobre 2011, n. 575 la quale, dopo aver passato in rassegna numerosi dei principi giurispruden ziali sopra richiamati, si riporta all’orientamento della Suprema Corte, secondo il quale la presta zione lavorativa onerosa resa all’interno dei locali aziendali, con materiali e attrezzature apparte nenti alla stessa, con modalità tipologiche proprie del lavoro subordinato, di cui il lavoro in fabbrica è il prototipo, comporta una presunzione di su bordinazione che è onere del datore di lavoro vincere. Ciò che conta sono le modalità con cui la presta (44) (45) (46) XIV zione è resa, secondo gli standard propri del lavo ro tipologicamente subordinato, e l’alienità del la voratore rispetto all’organizzazione aziendale e ai risultati della sua prestazione. Un’altra disputa giurisprudenziale, non meno im portante, nell’annosa dicotomia tra lavoro subor dinato e associazione in partecipazione è sorta sul valore da attribuire agli indici sintomatici di tale ultimo contratto e più in particolare sulle conse guenze derivanti dalla loro assenza. Due recenti sentenze(45) sembrano aver confer mato nel nostro ordinamento una sorta di pre sunzione di subordinazione, in base alla quale, ogni qualvolta non si riscontrino nelle modalità di esecuzione del rapporto i tratti tipici dell’as sociazione in partecipazione, il rapporto deve essere necessariamente ricondotto al lavoro su bordinato. La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 24781/2006 aveva sottolineato che la possi bilità che l’apporto della prestazione lavorativa dell’associato abbia connotazioni in tutto analo ghe a quelle dell’espletamento di una prestazio ne lavorativa in regime di lavoro subordinato comporta che il fulcro dell’indagine si sposti sulla verifica dell’autenticità del rapporto di as sociazione; ove la prestazione lavorativa sia in serita stabilmente nel contesto dell’organizza zione aziendale, senza partecipazione al rischio d’impresa e senza l’ingerenza nella gestione del l’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale favore accordato dall’articolo 35 della nostra Costitu zione che tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Altro orientamento tuttavia(46) è di segno diame tralmente opposto, ritenendo che non possa esser ci un automatismo legato all’assenza degli indici tipici del rapporto di associazione in partecipazio ne e sussistenza di un rapporto di lavoro subordi nato poiché per dimostrare l’esistenza di tale ulti ma tipologia lavorativa è assolutamente necessa rio riscontrarne in concreto gli elementi che la caratterizzano. In tal senso allora ove il confine tra le due figure fosse decisamente labile, troverebbe uno spazio decisivo la volontà delle parti nella determinazio ne della tipologia contrattuale con cui regolare i propri rapporti. Tribunale di Sondrio 29 ottobre 1996. Cass. 22 novembre 2011, n. 24619 e Cass., sez. lav., 21 febbraio 2012, n. 2496 ma anche Cass. civ., sez. lav., 26 gennaio 2010, n. 1584. Sul punto si veda G. De Fazio in op. cit. Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 Norme antielusive e riforma del mercato del lavoro Alla luce di quanto sinora evidenziato, in partico lare dall’esame della giurisprudenza, emerge chia ramente come in tema di contratto di associazione in partecipazione, tracciare dei confini concreti del l’istituto non sembra essere cosa facile. Sulla distin zione tra lavoro subordinato e associazione in par tecipazione esistono ancora oggi ampi margini di incertezza che certo rendono sempre più rischioso l’utilizzo di tale istituto o al contrario consentono che tale tipologia possa essere ad arte utilizzata per celare veri e propri contratti subordinati. Gli interventi della legge Biagi È con questa consapevolezza che già nel 2003 il legislatore della riforma Biagi aveva cercato di intro durre un correttivo all’istituto dell’associazione in partecipazione, focalizzando la propria attenzione sulle ipotesi in cui l’apporto dell’associato si fosse concretizzato in una prestazione lavorativa. In tal senso l’art. 86 Dlgs n. 276/2003 al comma 2 stabi liva testualmente che «al fine di evitare fenomeni elusivi della disciplina di legge e contratto collettivo, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi sta biliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività, o in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo, a meno che il datore di lavoro, o committente, o altrimenti utiliz zatore non comprovi, con idonee attestazioni o do cumentazioni, che la prestazione rientra in una delle tipologie di lavoro disciplinate nel presente decreto ovvero in un contratto di lavoro subordinato specia le o con particolare disciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo, o in altro contratto espressamente previsto nell’ordinamento». Fin da subito furono evidenti le difficoltà nel comprendere appieno una norma che poneva non pochi problemi dal punto di vista interpretativo. In linea generale il (1) legislatore della riforma Biagi si concentrava su due elementi del rapporto di associazione in partecipa zione, l’effettiva partecipazione e le adeguate eroga zioni a chi lavora, intendendo in tal senso indiretta mente rivolgersi, come detto, ai contratti di associa zione in partecipazione con apporto di lavoro. Il meccanismo proposto era in realtà abbastanza simi le a quello introdotto, come vedremo, con l’attuale riforma del mercato del lavoro. In estrema sintesi si introduceva un sistema di presunzione relativa di subordinazione che scattava nel momento in cui dall’analisi del contratto di associazione in partecipa zione fossero emerse l’assenza di un’effettiva parte cipazione all’impresa e l’inadeguatezza delle eroga zioni all’associato. La presunzione comunque lascia va la possibilità all’associante di dimostrare attraver so idonee documentazioni o attestazioni che la pre stazione di lavoro era in realtà riferibile ad altra tipologia contrattuale, anche di lavoro autonomo. Senza entrare eccessivamente nel merito di una nor mativa che è stata oggi abrogata proprio dalla recen te riforma del mercato del lavoro (art. 1, comma 31, legge n. 92/2012), si può semplicemente sottolinea re che i reali problemi interpretativi nascevano pro prio dall’individuazione di quegli elementi, l’effettiva partecipazione e le adeguate erogazioni, la cui as senza faceva scattare la presunzione. Le linee guida per la certificazione dei contratti del 29.5.2006, proposte dalla Commissione dei principi interpreta tivi delle leggi in materia di lavoro, definivano l’effet tiva partecipazione come un rafforzativo delle nor me del codice civile, sottolineando la necessità che il concreto assetto dei rapporti contrattuali tra le parti consentisse realmente l’esercizio del potere di con trollo da parte dell’associato mediante la partecipa zione alla gestione dell’impresa. Decisamente più problematico il requisito dell’adeguata erogazione da corrispondere all’associato lavoratore. C’è chi(1) ha evidenziato come tale elemento, visto come ne cessaria presenza di un trattamento economico ade guato alle prestazioni lavorative, potesse comportare un venir meno del rischio d’impresa dell’associato, Si veda C. Santoro in op. cit. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro XV tanto da accostarlo sempre di più al lavoratore su bordinato. Autorevole dottrina(2) ha evidenziato an cora l’incompatibilità del termine «adeguate» con la natura aleatoria del contratto di associazione in par tecipazione che strutturalmente non può prevedere una garanzia di adeguatezza postulando al contrario che l’associato non ottenga alcuna remunerazione per l’attività lavorativa svolta, ove l’impresa non ab bia generato gli utili sperati. Più coerente appare invece l’interpretazione fornita ancora una volta dal le linee guida per la certificazione dei contratti. Si precisa infatti che il carattere dell’adeguatezza della partecipazione non significa garanzia di un determi nato compenso a prescindere dalla produzione di utili da parte dell’impresa, facendo così venire meno la natura aleatoria del contratto di associazione in partecipazione. Il contratto deve invece prevedere ex ante adeguate erogazioni a favore del lavoratore, ma sempre a condizione che l’impresa associante conse gua effettivamente degli utili. Se quest’ultima quindi non dovesse produrre gli utili, l’associato non avreb be diritto comunque ad alcun compenso. Adegua tezza quindi intesa non come proporzionalità ma come correlazione, in positivo o in negativo, con il risultato dell’impresa o dell’affare(3). La riforma del mercato del lavoro 2012 A distanza di quasi 10 anni da questo primo tenta tivo di introdurre in chiave normativa un meccani smo antielusivo, che regoli l’utilizzo del contratto di associazione in partecipazione favorendone così, almeno nelle intenzioni, un uso solo virtuoso, il legislatore è ritornato nuovamente ad occuparsi di tale contratto. Anche in questo caso il fine è sempre lo stesso, quello di limitare al minimo l’uso assolu tamente distorto di tale tipologia di lavoro. Proba bilmente però il legislatore del 2012, a parere di chi scrive, è stato guidato da due ulteriori conside razioni. La prima è data sicuramente dal fallimento della normativa antielusiva, introdotta con la legge Biagi, la quale, come visto, troppo oscura nella sua interpretazione ha reso ostica la sua stessa applica zione, mancando pertanto l’obiettivo che si era pre fissa. Ancor più di questo può aver condizionato le scelte del legislatore la consapevolezza che neppu re la giurisprudenza in 70 anni di pronunce è riuscita, come abbiamo evidenziato, a tracciare dei (2) (3) (4) (5) XVI confini netti tra il contratto di associazione in parte cipazione e il lavoro subordinato. È probabilmente con questi presupposti di partenza che è stato intro dotto dalla legge n. 92/2012 un nuovo comma all’art. 2549 c.c. Articolo 2549, comma 2 - Nozione Qualora l’apporto dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l’unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del divieto, di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Limite numerico e presunzione assoluta di subordinazione In tal senso quindi, considerando l’alto fattore di rischio che contraddistingue un contratto di associa zione in partecipazione con apporto lavorativo (stru mento economicamente più conveniente ed alterna tivo al lavoro subordinato) il numero degli associati in partecipazione non può essere superiore a tre. Evidentemente non ci sono ragioni particolari nella scelta del numero di soli 3 associati, se non la volon tà, a parere di chi scrive, di calmierare il più possibile l’istituto. Ciò ancor più se si considera che il numero di 3 associati deve essere valutato considerando l’im presa nel suo complesso, anche laddove la stessa si sviluppi in più unità locali. Questa, in attesa di chiari menti ministeriali, appare essere l’interpretazione più coerente dell’inciso «associati impegnati in una me desima attività» (4) , anche e soprattutto alla luce di quanto affermato dallo stesso Governo nei docu menti illustrativi che hanno accompagnato il Ddl. Già con la prima bozza di riforma delle tipologie contrattuali (5) , al punto 8 veniva sottolineata la vo lontà di lasciare operante l’istituto soltanto nelle pic cole attività. Nella relazione di presentazione alle Camere del Ddl approvato nella seduta del 23.3.2012 si diceva chiaramente al punto 2.8 che la figura dell’associazione in partecipazione sarebbe stata mantenuta unicamente per rapporti di coniugio o di parentela entro il 1° grado, quindi rispetto ad ambiti decisamente ristretti, che mal si sarebbero Vallebona, La riforma dei lavori, 2004, pag. 29. Ruggiero, Il lavoro nella associazione in partecipazione e l’effettiva partecipazione agli utili in Enrico Tiraboschi Compendio critico per la certificazione dei contratti di lavoro, 2005. Conformemente A. Rota Porta, Associati, dribbling sulla conversione in Norme e Tributi de Il Sole 24 Ore, edizione del 17 settembre 2012, pag. 23; E. De Fusco, Associazioni limitate a tre partecipanti in La Riforma del Lavoro Instant Book de Il Sole 24 Ore. Linee di intervento sulla disciplina delle tipologie contrattuali del 13 marzo 2012. Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 conciliati con realtà imprenditoriale articolate su più unità locali. Se è pur vero che il concetto di attività non è perfettamente sovrapponibile a quello d’im presa, di certo l’interpretazione sarebbe ancor più forzata se fosse riferita al concetto di unità locale, un termine che il legislatore se avesse voluto utilizzare ben avrebbe potuto. In un’ottica di estrema limitazio ne dell’istituto dell’associazione in partecipazione nella modalità prevista con apporto dell’associato costituito da attività lavorativa, è opinione dello scri vente che il concetto di medesima attività debba necessariamente essere ricondotto all’impresa nel suo complesso, a condizione, tutt’al più, che nell’am bito delle plurime unità locali venga esercitata la medesima attività. In buona sostanza il vincolo più che legato all’impresa potrebbe essere effettivamen te relazionato all’attività che viene svolta ed even tualmente classificata ai fini assicurativi (6) . Più com plessa è invece l’individuazione del campo soggetti vo al quale si riferisce il limite numerico. Il nuovo comma 2 dell’art. 2549 c.c. specifica che il limite numerico opera qualora l’apporto dell’associato con sista «anche in una prestazione lavorativa». La pre senza dell’avverbio «anche» farebbe pensare che sia no sottoposti a contingentamento solo quei rapporti di associazione in partecipazione che, oltre a preve dere un apporto consistente in una prestazione lavo rativa, prevedano evidentemente altro da parte del l’associato (7) . Più coerente invece ritenere che il ter mine «anche» comporti l’applicazione del limite nu merico non solo ai rapporti di associazione in parte cipazione con apporto di solo lavoro ma «anche» a quelli nei quali oltre al lavoro vi sia apporto ad esempio di capitale . A parere di chi scrive il limite numerico ha senso in quanto intervenga nelle ipotesi di effettiva criticità dell’istituto, rinvenibili non certo ove l’associato si limiti ad un apporto di capitale ma ogni qualvolta vi sia in gioco una prestazione lavora tiva, che sposti il piano sulla contrastata convivenza con il rapporto subordinato. Ad ulteriore riprova di quanto sostenuto interviene proprio il successivo pe riodo del nuovo comma 2 dell’art. 2549 c.c., il quale esclude l’operatività dei limiti numerici nelle ipotesi in cui tra associato ed associante vi siano qualificati legami quali il coniugio o la parentela entro il terzo grado o l’affinità entro il secondo. Anche in questo caso l’inciso ha una logica ben precisa. Appare, infat (6) (7) ti, del tutto ingiustificato far operare un limite nume rico volto ad impedire l’uso distorto dell’associazione in luogo della subordinazione ove tra i due soggetti interessati dal rapporto contrattuale appaia ex ante improbabile la sussistenza proprio di un rapporto subordinato. È noto come tra coniugi o parenti sia assai difficile riscontrare gli indici tipici della subordi nazione, ragion per cui in tali ipotesi si potrebbero ritenere insussistenti i rischi di un abuso dell’istituto. Dirompenti appaiono le conseguenze legate al supe ramento del limite numerico in questione. L’ultimo periodo del comma 2 individua una previsione che ha sia un carattere sostanziale che, a ben vedere, spiccatamente sanzionatorio. La componente sostan ziale è legata alla previsione di una trasformazio ne ope legis del rapporto con l’associato in lavoro subordinato a tempo indeterminato. Di non minor importanza è poi la componente sanzionatoria deri vante dal superamento dei limiti numerici. Il legisla tore infatti ha previsto che la trasformazione in con tratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato non riguardi unicamente il contratto di associazione in sovrannumero rispetto ai tre consentiti ma coin volga espressamente «tutti gli associati». In altre pa role un associante che abbia in forza tre associati in partecipazione, nel momento in cui decida di instau rare uno o più ulteriori contratti di associazione in partecipazione si vedrà trasformati in lavoro subordi nato a tempo indeterminato oltre ai nuovi anche gli altri tre rapporti di associazione in partecipazione, che ben avrebbero potuto proseguire. Si ritiene che a simili conseguenze si possa evidentemente giunge re anche laddove lo sforamento avvenga in modo simultaneo, come nelle ipotesi in cui un associante instauri contemporaneamente 4 o più rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro i quali, in forza del comma 2 del novellato art. 2549 c.c. dovranno considerarsi tutti rapporti a tempo in determinato. Del resto la componente sanzionatoria è ancora più evidenziata dal termine «violazione», utilizzato dal legislatore, che non si limita a parlare di semplice superamento dei limiti numerici ma deli nea proprio una violazione, correlata al divieto, pre visto dal comma in questione, di intrattenere più di 3 rapporti di associazione in partecipazione. Appare quindi logico che alla violazione di un divieto segua una sanzione. C’è a questo punto da chiedersi se Sul punto si consideri M. Brisciani, Associazione in partecipazione: le novità per le aziende in Guida al Lavoro n. 39/2012, pag. 14, secondo il quale riferire il concetto di attività al singolo punto vendita consentirebbe la sopravvivenza dell’istituto dell’associazione in partecipazione anche nelle grandi reti commerciali che utilizzano massicciamente tale tipologia contrattuale ormai divenuta un modello di business. Secondo l’autore sul piano prettamente giuridico l’interpretazione restrittiva, riferita all’impresa nel suo complesso, non convincerebbe posto che i termini attività e azienda non sono sinonimi, dal momento che un’azienda può ben svolgere più attività. Sul punto si veda E. De Fusco in op. cit. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro XVII l’effetto novativo sul rapporto tra le parti operi ex tunc ovvero unicamente a partire dal giorno in cui si è verificato il superamento del limite numerico. Nel silenzio della legge sembra più logico prevedere un’operatività ex nunc di tale disposizione e questo perché ove il legislatore della riforma, intervenendo sulle altre tipologie contrattuali, ha voluto che la trasformazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato operasse fin dalla costituzione del rapporto di lavoro, lo ha detto espressamente. È questo il caso tanto dei contratti di apprendistato quanto delle collaborazioni a progetto. Il comma 16 della legge 92, aggiungendo un nuovo comma 3bis all’art. 2 del Tu dell’apprendistato, Dlgs n. 167/ 2011, prevede nell’ultimo periodo che gli apprendi sti assunti in violazione dei limiti numerici siano considerati lavoratori subordinati a tempo indeter minato sin dalla data di costituzione del rapporto. Allo stesso modo il comma 23 sempre della legge n. 92/2012, modificando l’art. 69, Dlgs n. 276/2003, in tema di contratto a progetto, ha stabilito che, salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti subordi nati sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori del l’impresa committente. Naturalmente la trasforma zione potrebbe essere fin dal sorgere del contratto in quelle ipotesi in cui è proprio l’instaurazione del rapporto in questione che determina lo sforamento dei limiti numerici, verificandosi pertanto una per fetta coincidenza temporale tra violazione di detti limiti e costituzione del rapporto di associazione in partecipazione. Giova sottolineare che il meccani smo di trasformazione del contratto di associazione in partecipazione in lavoro subordinato a tempo indeterminato non sembra assolutamente ammette re prova contraria da parte dell’associante il quale, proprio come di fronte ad un trattamento sanziona torio non potrà fare altro che subire gli effetti che derivano direttamente dal dettato normativo, natu ralmente una volta che si siano verificate le condi zioni previste dalla legge (8) . (8) XVIII Presunzione relativa di subordinazione Accanto a tale prima misura per così dire antielusiva, la riforma del mercato del lavoro ne introduce un’al tra del tutto simile, almeno sotto il profilo strutturale, a quella abrogata e prevista dalla legge Biagi. Il com ma 30 dell’art. 1, legge n. 92/2012 prevede infatti che «i rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro instaurati o attuati senza che vi sia stata un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, ovvero senza consegna del rendiconto previsto dall’art. 2552 c.c., si presu mono, salva prova contraria, rapporti di lavoro su bordinato a tempo indeterminato». Anche in questo caso il legislatore prevede un sistema di conversione del rapporto di associazione in partecipazione in un contratto di lavoro subordinato a tempo indetermi nato. Tuttavia a tale risultato si giunge attraverso una presunzione che, come nell’abrogato art. 86, comma 2 Dlgs n. 276/2003, è di natura relativa, conceden do all’associante, pseudo datore, la prova contraria. A differenza però della precedente normativa cam biano, almeno in parte, i requisiti in presenza dei quali scatterebbe la presunzione legale. La prima condizione è data dall’assenza di un’effettiva parteci pazione dell’associato, requisito già presente nel testo della riforma Biagi. Tuttavia se l’abrogato comma 2 dell’art. 86 Dlgs n. 276/2003 non forniva specifi che circa i contenuti della partecipazione, la nuova normativa sembra essere più puntuale, ricollegando la partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare. Da un’analisi del testo di legge è facile comprendere come la partecipazione non debba semplicemente essere teorica o meramente contrat tuale, ossia sulla carta, ma essere connotata da un carattere di concreta effettività. Da un punto di vista ispettivo o di contenzioso, sarà pertanto indispensa bile verificare che l’associato abbia ricevuto un corri spettivo da parte dell’associante, ma non solo. A parere dello scrivente tale emolumento deve neces sariamente essere collegato agli utili dell’impresa e dell’affare. Pertanto, a titolo esemplificativo, in pri mis si dovrà verificare che l’impresa e l’affare abbia no o meno prodotto utili. In caso positivo il corrispet tivo elargito all’associato dovrebbe trovare un colle gamento conseguenziale con gli utili generati ed un Si consideri tuttavia anche il rilievo di costituzionalità mosso alla presente previsione che comporta a titolo sanzionatorio la trasformazione di tutti gli associati in partecipazione. P. Tosi, Associazione in partecipazione in Commentario alla Riforma Fornero; secondo l’autore, rifacendosi alle sentenze della Corte cost. 29.3.93, n. 121 e 31.3.94, n. 115 la qualificazione ope legis integra la cd. disposizione del «tipo» preclusa, nel nostro ordinamento costituzionale, al legislatore, il quale può solo indicare gli elementi della fattispecie astratta «lavoro straordinario» ma non può imporre al giudice di ricondurre una fattispecie concreta prescindendo dalla sussistenza in essa di tali elementi; non può cioè sottrarre al giudice il potere, che funzionalmente gli compete, di operare la qualificazione in relazione alla specificità di ogni concreto rapporto, sia pure con riferimento alle fattispecie legislativamente individuate. Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 tanto in base ai parametri predeterminati contrat tualmente. Si pensi ad esempio, nel più semplice dei casi, ad un calcolo percentuale. In tal senso potreb bero così destare perplessità pattuizioni in base alle quali vengano corrisposti compensi all’associato in misura fissa che non risentano pertanto dell’anda mento effettivo dell’impresa o dell’affare. In altre pa role il vantaggio economico per l’associato dovrebbe necessariamente essere direttamente proporzionale con l’andamento generale dell’impresa o dell’affare, senza la possibilità che vi siano a priori dei limiti di guadagno. Argomentando diversamente non si po trebbe dare un preciso contenuto al requisito dell’ef fettività della partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare. Altro particolare da sottoli neare è il riferimento del legislatore agli utili dell’im presa o dell’affare e non quindi ai ricavi. Una scelta che richiama e conferma in modo del tutto logico il dettato normativo codicistico ma che, nello stesso tempo, potrebbe sconfessare quella parte di giuri sprudenza che, come visto, riterrebbe valida una commisurazione del corrispettivo all’associato fonda ta sui ricavi anziché sugli utili. Altra condizione stabi lita dal comma 30 in esame è data dalla consegna del rendiconto previsto dall’art. 2552 c.c. La norma in questione può sembrare ripetitiva o un mero raf forzativo di quanto già indicato dall’art. 2552 c.c. Tuttavia, ad un attento esame, si deve notare che l’art. 2552 c.c. contempla il rendiconto come ele mento di concretizzazione del controllo che l’associa to può esercitare sull’impresa dell’associante ma non prevede alcun effetto giuridico dalla sua mancanza. Ecco dunque che considerati nel loro insieme effetti va partecipazione agli utili dell’impresa e consegna del rendiconto altro non sono che i due principali elementi che la giurisprudenza, in modo del tutto pacifico, ha definito essenziali e caratteristici del con tratto di associazione in partecipazione, riconducen do naturalmente l’effettiva partecipazione agli utili al rischio d’impresa che deve necessariamente fare ca po sull’associato. Tuttavia, come già evidenziato in precedenza, non è univoco invece l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’assenza di tali elementi porti a ricondurre il rapporto nell’alveo del la subordinazione, richiedendo parte della giurispru denza anche un effettivo riscontro degli indici tipici. La presunzione introdotta dalla riforma bypassa completamente tale impasse giurisprudenziale. Infat (9) (10) (11) ti non sarà a priori necessario dimostrare anche la presenza di chiari indici di subordinazione per riqua lificare un rapporto di associazione in partecipazio ne, essendo sufficiente l’assenza del rischio d’impresa (effettiva partecipazione agli utili dell’impresa o del l’affare) o la mancata consegna del rendiconto (9) . Peraltro, si può notare che, a differenza dell’abrogato comma 2 dell’art. 86 Dlgs n. 276/2003, per far scattare la presunzione non sembra allo stato neces saria l’assenza di entrambi gli elementi richiesti, po sto che gli stessi vengono considerati alternativi, es sendo normativamente divisi dalla congiunzione di sgiuntiva «ovvero» (10) . Ma vi è di più. L’assenza del l’effettiva partecipazione ovvero della consegna del rendiconto può condurre alla trasformazione del rapporto in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sia quando venga riscontrata ex ante quanto ex post. Il comma 30 specifica infatti che l’assenza degli elementi in questione riguarda innan zitutto i rapporti che già presentano tale carenza in fase di instaurazione, quindi nel loro momento gene tico. Un tanto, a parere di chi scrive, non può che essere evincibile da una semplice lettura del contrat to sottoscritto tra le parti, che lasci trasparire dagli obblighi contrattuali un’assenza di effettiva parteci pazione agli utili. Si pensi ad un corrispettivo per l’associato pattuito in misura fissa, senza la previsio ne di un conguaglio finale. Allo stesso modo tuttavia tale mancanza può emergere in fase di esecuzione del rapporto di lavoro, quindi, richiamando il termi ne utilizzato dalla legge, nella sua «attuazione». In questo caso, evidentemente, il legislatore si preoccu pa che quanto previsto sulla carta trovi poi una con creta esecuzione, attraverso una verifica che non può che essere ex post, tanto per l’effettiva partecipa zione agli utili dell’impresa o dell’affare, quanto per la materiale consegna del rendiconto previsto dal l’art. 2552 c.c. Conformemente a quanto già previ sto in precedenza dal Dlgs n. 276/2003 quest’ulti ma presunzione introdotta dalla legge n. 92/2012 è relativa, concedendo così la piena possibilità all’asso ciante di fornire una prova contraria. Questa volta però non vengono specificati i mezzi attraverso i quali fornire la prova (11) . La presunzione inoltre, co me da ultimo periodo del comma 30 della legge n. 92/2012, si applica anche quando l’apporto di lavo ro non presenti i requisiti del nuovo art. 69bis, comma 2, lett. a), ossia non sia connotato da compe tenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso Sul punto si veda anche G. Rossini, Associazione in partecipazione e lavoro subordinato: la Suprema Corte interviene nuovamente sugli elementi distintivi in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro n. 10, ottobre 2012, pag. 804. L’abrogato comma 2 dell’articolo 86 del Dlgs n. 276/2003 richiedeva, a parere di chi scrive, la concomitante assenza di effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a chi lavora, essendo i due elementi separati dalla congiunzione «e». Il comma 2 dell’articolo 86 del Dlgs n. 276/2003 sembrava essere più limitativo, contemplando unicamente quali mezzi per fornire una prova contraria idonee attestazioni o documentazioni. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro XIX significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnicopratiche acquisite attraverso rilevanti espe rienze maturate nell’esercizio concreto di attività. Ta le ultimo inciso appare in realtà assai problematico in chiave interpretativa. Innanzitutto sembra che tale requisito richiesto all’apporto dell’associato operi a sé stante, slegato pertanto dall’effettiva partecipazione agli utili dell’impresa ovvero alla consegna del rendi conto. L’ultimo periodo del comma 30 in questione non fa riferimento a detti elementi ma richiama uni camente il meccanismo della presunzione, con prova contraria, che opererebbe pertanto in presenza di una prestazione di lavoro priva delle caratteristiche sopra indicate, esattamente come avviene ove man chi l’effettiva partecipazione agli utili dell’impresa o dell’affare ovvero sia riscontrata la mancata conse gna del rendiconto. Inoltre a complicare ulterior mente la corretta intellegibilità di tale inciso normati vo contribuisce la circostanza che «le competenze teoriche» ovvero «le capacità tecnicopratiche», che devono contraddistinguere l’apporto lavorativo del l’associato, devono avere una precisa origine, rispetti vamente in significativi percorsi formativi e in rile vanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività. Come appare agevole notare sono tutti con cetti eccessivamente generici di non facile inquadra mento, che non possono che introdurre eccessiva incertezza, circostanza questa di non poco conto se si considerano le conseguenze alle quali si giunge, os sia la trasformazione dell’intero rapporto di associa zione in lavoro subordinato a tempo indeterminato. Peraltro se un siffatto risultato, salva la prova contra ria, poteva essere assolutamente condivisibile, nella riscontrata assenza di rischio d’impresa o di controllo sull’impresa stessa da parte dell’associato, essendo tali elementi tipici del contratto di associazione in partecipazione, non solo normativamente ma anche per consolidati orientamenti giurisprudenziali, assai più opinabile è associare il medesimo effetto alle caratteristiche dell’apporto dell’associato. Non si comprende infatti il perché l’apporto debba necessa riamente avere le caratteristiche sopra indicate, ben potendo avere connotazioni più semplici senza impli care una ricaduta in termini di subordinazione. Salvo eventualmente considerare che il legislatore della riforma ritenga a priori che mansioni più elementari siano tipiche di un rapporto di lavoro subordinato anziché di un’associazione in partecipazione. Le presunzioni di subordinazione nel contratto di associazione in partecipazione Natura della Ipotesi che fanno scattare presunzione la presunzione Assoluta - Più di 3 associati in partecipazionon è ammessa ne anche con apporto di lavoro imla prova contraria pegnati in una medesima attività XX Natura della Ipotesi che fanno scattare presunzione la presunzione Relativa - No effettiva partecipazione delè ammessa la l’associato agli utili dell’impresa prova contraria - No consegna del rendiconto previsto dall’articolo 2552 c.c. - Apporto dell’associato non connotato da competenze teoriche di grado elevato o da capacità tecnico-pratiche Regime transitorio Ultimo spunto che merita attenta riflessione ri guarda il regime transitorio. Il comma 29 legge n. 92/2012 fa salvi, fino alla loro cessazione, i con tratti in essere che, alla data di entrata in vigore della legge, siano stati certificati ai sensi degli articoli 75 e seguenti del Dlgs 10.9.2003, n. 276. La questione più rilevante, a parere di chi scrive, riguarda la sorte dei contratti di associazione in partecipazione che, alla data del 18.7.2012 non risultino essere stati certificati. L’interpretazione più coerente a contrario che può essere data a tale inciso è che non possono essere mantenuti (e quindi fatti salvi) quei contratti che alla data di entrata in vigore della riforma non siano stati certificati. Ma v’è di più. La sola mancanza di certificazione non può essere motivo di illiceità del contratto, pertanto la sua salvezza dipenderà necessariamente dalla compatibilità o meno ai nuovi requisiti richiesti dai commi 28 e 30 della legge n. 92/12. In altre parole un associante che avesse instaurato prima della riforma 3 rapporti di associazione in partecipazione potrebbe natu ralmente proseguire detti rapporti anche dopo il 18.7.2012. Allo stesso modo un rapporto di asso ciazione in partecipazione rispetto al quale siano riscontrabili effettiva partecipazione agli utili del l’impresa o dell’affare, ovvero consegna all’asso ciato del rendiconto previsto dall’art. 2552 c.c. ovvero ancora un apporto dell’associato caratte rizzato da competenze teoriche di grado elevato o capacità tecnicopratiche potrebbe tranquillamen te proseguire anche se non certificato, non essen doci alcuna ragione di incompatibilità con la nuo va normativa. Resta allora da capire la sorte di quei rapporti che, al contrario siano in violazione dei limiti numerici previsti dal comma 28 ovvero carenti degli elementi richiesti dal comma 30 e nel contempo non siano stati sottoposti alla proce dura di certificazione entro la data del 18.7.2012. In effetti la risposta a tale questione non è poi così semplice. Con riguardo ad altri contratti novellati dalla riforma il legislatore si è infatti espressamen te occupato di chiarire la sorte dei contratti in Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 Contratti di associazione in partecipazione incompatibili con le nuove norme Certificati alla data del 18 luglio 2012 Non certificati alla data del 18 luglio 2012 Sono fatti salvi Sono soggetti alle presunzioni di subordinazione essere alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012. Con riferimento ai contratti di appren distato la nuova disciplina relativa ai limiti nume rici si applica unicamente con riferimento alle assunzioni effettuate con decorrenza dal l’1.1.2013, mantenendo espressamente in vigore la previgente disciplina del Dlgs n. 167/2011 per i rapporti di apprendistato instaurati prima di tale data e quindi anche rispetto a quelli in essere alla data del 18.7.2012. Nel caso dei contratti di colla borazione coordinata e continuativa nella modali tà a progetto, le nuove norme si applicheranno unicamente ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 92/ 2012, lasciando per l’effetto inalterati i contratti già in essere. Ancora più esplicito il regime transi torio per i contratti di lavoro a chiamata, rispetto ai quali il comma 22 della legge n. 92/2012 prevede, per quelli che non siano compatibili con il nuovo assetto normativo, una cessazione degli effetti decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della riforma. Il rigido regime di presunzio ni previsto nei confronti delle prestazioni d’opera, in essere, rese in regime di partita Iva si appliche rà solo decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della riforma. Infine anche con riguardo al lavoro occasionale accessorio il legislatore al com ma 33 mantiene fermo l’utilizzo, secondo la previ gente disciplina, dei buoni per prestazioni di lavo ro accessorio, già richiesti alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 e comunque non oltre il 31.5.2013. Nulla invece viene espressa mente detto circa la sorte dei contratti di associa zione in partecipazione in essere alla data di en (12) trata in vigore della legge n. 92/2012 se non la possibilità di essere fatti salvi, fino alla loro cessa zione, se certificati. Pertanto, in assenza di una specifica normativa e di un diverso orientamento ministeriale, è opinione dello scrivente che ai rap porti di associazione in partecipazione in essere alla data di entrata in vigore della riforma, i quali non siano certificati entro tale termine, si applichi interamente la nuova disciplina di cui ai commi 28 e 30 della legge n. 92/2012 (12) . Laddove, pertanto, alla data del 18.7.2012 un’impresa asso ciante abbia intrattenuto rapporti di associazione in partecipazione anche con apporto di lavoro in numero superiore a 3, senza che sussista tra asso ciati ed associante un vincolo di coniugio ovvero di parentela entro il terzo grado e affinità entro il secondo, tutti gli associati saranno da considerarsi ope legis lavoratori subordinati a tempo indeter minato con efficacia ex tunc, quindi con decorren za dal 18.7.2012. Decisamente meno problemati co l’impatto con la disciplina del comma 30, posto che in effetti anche prima dell’entrata in vigore della riforma un rapporto di associazione in parte cipazione, rispetto al quale non fosse stata riscon trata un’effettiva partecipazione agli utili dell’im presa o dell’affare ed ove fosse mancata la conse gna del rendiconto all’associato, ben poteva essere ricondotto a rapporto subordinato a tempo inde terminato, tuttavia non in forza della nuova pre sunzione di legge ma dei canoni interpretativi e soprattutto giurisprudenziali sopra esaminati ed un tanto sia in sede di contenzioso con lo stesso lavoratore che a seguito di controllo da parte di organi ispettivi. Si consideri anche G. Bonati, Associati in partecipazione: la riforma detta nuove condizioni in Guida al Lavoro n. 39 del 5 ottobre 2012, pag. 16, secondo il quale per i contratti non certificati, il legislatore non ha introdotto un periodo transitorio di adeguamento alle nuove regole ma tuttavia la gradualità dell’adeguamento potrebbe essere concordata con il sindacato in azienda (o nel territorio) attraverso l’utilizzo del contratto di prossimità regolamentato dall’articolo 8 del Dl n. 138/2011. Proprio su tale ultimo punto si veda anche E. De Fusco, Associazione in partecipazione: letture superficiali e capziose rischiano di disorientare gli operatori in www.dplmodena.it sezione approfondimenti del 19/10/2012. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro XXI Profili previdenziali, assicurativi e fiscali L’associazione in partecipazione dal punto di vista previdenziale Dal punto di vista previdenziale, la norma di rife rimento per i contratti di associazione in parteci pazione è il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326. L’articolo 43 della normativa in questione aveva inizialmente istituito una gestione ad hoc riservata esclusivamente ai contratti di associazio ne in partecipazione ove l’apporto dell’associato fosse consistito in attività lavorativa. Con la circolare n. 57 del 29 marzo 2004 l’Inps, rifacendosi al dettato normativo, disciplinava e forni va precise istruzioni circa l’assolvimento dell’obbligo contributivo riferito agli associati in partecipazione. In particolare l’iscrizione dell’associato doveva avve nire entro 30 giorni dall’inizio dell’attività lavorativa, sebbene il comma 8 dell’articolo 43 prevedeva e preveda attualmente che l’iscrizione debba avvenire dalla data di inizio dell’attività lavorativa. Dal punto di vista operativo tuttavia era netto fin da subito l’accostamento della posizione previdenziale degli associati a quella dei collaboratori coordinati e continuativi, iscritti alla Gestione separata, di cui alla legge n. 335/1995. Il contributo dovuto in favore degli associati in partecipazione era, infatti, pari al contributo pensionistico corrisposto per la Gestione separata. Elemento distintivo la ripartizione dell’ob bligo contributivo a carico dell’associante per il 55% e dell’associato per il restante 45%, così come espressamente stabilito dal comma 2 dell’articolo 43. Successivamente la legge finanziaria per il 2005, legge 30 dicembre 2004, n. 311 ha modificato l’articolo 43 citato, prevedendo così per gli asso ciati in partecipazione che apportano esclusiva mente prestazioni di lavoro l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata Inps, mantenendo però la ripartizione tra le parti del 55 e 45%. Come detto, attualmente l’obbligo di iscrizione è previsto esclusivamente per gli associati con ap porto di lavoro e non anche per gli apporti di tipo misto o di solo capitale. (1) XXII La riforma del mercato del lavoro introduce impor tanti modifiche anche sotto il profilo delle aliquote contributive, che verosimilmente contribuiranno a disincentivare l’utilizzo fraudolento dell’istituto. L’articolo 2, comma 57 della legge n. 92/2012 ha modificato radicalmente l’articolo 1, comma 79 della legge n. 247/2007 la quale inizialmente prevedeva per gli iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335, che non fossero risultati assicurati presso altre forme obbligatorie, un’aliquota contri butiva pensionistica e la relativa aliquota contri butiva per il computo delle prestazioni pensionisti che in misura pari al 24% per l’anno 2008, in misura pari al 25% per l’anno 2009 e in misura pari al 26% a decorrere dall’anno 2010. Con effetto dal 1º gennaio 2008 per i rimanenti iscritti alla predetta Gestione l’aliquota contributiva pen sionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche erano stabilite in misura pari al 17%. A sua volta tutte le aliquote erano state innalzate di un punto percen tuale a decorrere dal 1° gennaio 2012. Prima della legge 92/2012 le aliquote erano per tanto le seguenti: a) 27,72% (27,00 aliquota Ivs più 0,72 di aliquo ta aggiuntiva), per tutti i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie; b) 18,00%, per i soggetti titolari di pensione o provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria. Deve peraltro considerarsi che per gli iscritti che non risultino già assicurati ad altra forma previ denziale è dovuta l’ulteriore aliquota contributiva pari allo 0,72%, istituita dall’articolo 59, comma 16 della legge n. 449/1997, per il finanziamento dell’onere derivante dall’estensione agli stessi del la tutela relativa alla maternità, agli assegni per il nucleo familiare, alla degenza ospedaliera e, per determinate categorie, alla malattia. Con l’entrata in vigore della riforma il sistema cam bia in modo progressivo, prevedendo un aumento di un punto percentuale annuo per il prossimo quin quennio(1). Su tale impianto è immediatamente in Questo il testo del comma 57 dell’articolo 2 della legge n. 92/2012 prima della modifica introdotta dal comma 1, lettera Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 tervenuto il successivo decreto sviluppo, Dl n. 83/ 2012 convertito con legge n. 134/2012, che ha modificato parzialmente gli scaglioni contributivi con l’articolo 46bis, comma 1, lettera g). Le attuali aliquote saranno pertanto quelle rap presentate nello schema: letterale della disposizione, integralmente mutua ta dall’articolo 2, comma 29 della legge n. 335/ 1995, non sussiste alcuna necessità, per l’asso ciante, di acquisire dati reddituali dell’associato, essendo quest’ultimo tenuto a riportare nella di chiarazione dei redditi in questione esattamente gli emolumenti corrisposti dall’associante. Aliquote contributive in vigore 2012 Iscritti Gestione separata 27% + 0,72 2013 2014 27% + 0,72 28% + 0,72 20% 21% 2015 2016 30% + 0,72 31% + 0,72 22% 24% 2017 2018 32% + 0,72 33% + 0,72 24% 24% Anno Iscritti altra gestione 18% Sotto il profilo della base imponibile, conforme mente ai principi cui è ispirata la Gestione separa ta, anche per gli associati in partecipazione la base imponibile previdenziale si identifica con quella definita dal Fisco ai fini Irpef, così come risulta dalla dichiarazione dei redditi e dagli accertamen ti definitivi(2). L’Inps con la circolare n. 90 del 13 luglio 2005 ha a sua volta chiarito che non essendo intervenute modifiche specifiche all’articolo 43 del Dl n. 269/ 2003 da parte dell’art. 1, comma 157 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ai sensi dell’articolo 54, comma 8 del Tuir, le partecipazioni agli utili degli associati in questione costituiscono reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta. I contributi previdenziali sono dovuti, conseguen temente, sugli emolumenti lordi erogati a titolo di anticipazione, salvo eventuale conguaglio sulla ba se degli utili definitivamente risultanti dal rendi conto. Per quanto precede, malgrado la formulazione (2) (3) (4) (5) (6) Adempimenti di instaurazione del rapporto di associazione e profili assicurativi Dal punto di vista procedurale a decorrere dal 1° gennaio 2007, i commi 1180 e 1185 dell’articolo 1 della legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) hanno previsto l’obbligo di effettuare la comunica zione telematica di instaurazione anche per i rap porti di associazione in partecipazione con appor to di lavoro, modificando in tal senso l’articolo 9bis, comma 2 del Dl n. 510/1996 convertito dalla legge n. 608/1996. Oltre all’instaurazione del rapporto, la medesima legge finanziaria 2007 ha determinato anche un obbligo di comunicare i principali eventi modificati vi, tra i quali ad esempio la proroga del contratto(3). Sempre sotto il profilo documentale l’articolo 39 del Dl n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008 contempla anche i rapporti di associa zione in partecipazione con apporto lavorativo o misto (capitale e lavoro) tra quelli soggetti ad esse re riportati sul Libro unico del lavoro(4). Tuttavia il Ministero, con la circolare n. 20/2008, ha precisato che gli associati in partecipazione van no esclusi dalle registrazioni nel Libro unico quando svolgano l’attività in forma professionale o impren ditoriale autonoma(5). Inoltre non risulta necessaria neppure la registrazione delle singole presenze, fatta eccezione delle ipotesi in cui l’assenza incida diretta mente sull’obbligo di astensione al lavoro, come nei casi di infortunio o maternità(6). Per quanto concerne il profilo assicurativo fonda mentale sul tema appare la sentenza n. 332 del 15 luglio 1992, con la quale la Corte costituziona g) del Dl n. 83/2012: all’articolo 1, comma 79 della legge 24 dicembre 2007, n. 247, al primo periodo, le parole: «e in misura pari al 26% a decorrere dall’anno 2010» sono sostituite dalle seguenti: «, in misura pari al 26% per gli anni 2010 e 2011, in misura pari al 27% per l’anno 2012, al 28% per l’anno 2013, al 29% per l’anno 2014, al 30% per l’anno 2015, al 31% per l’anno 2016, al 32% per l’anno 2017 e al 33% a decorrere dall’anno 2018» e, al secondo periodo, sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «per gli anni 20082011, al 18% per l’anno 2012, al 19% per l’anno 2014, al 21% per l’anno 2015, al 22% per l’anno 2016, al 23% per l’anno 2017 e al 24% a decorrere dall’anno 2018». Così il comma 2 dell’articolo 43 del Dl n. 269/2003. Si veda anche la risposta ad interpello n. 67 del 31 luglio 2009 del Ministero del lavoro. Sul punto si veda anche il Dm 9 luglio 2008, attuativo dello stesso articolo 39, Dl n. 112/2008. La circolare, a titolo esemplificativo, indicava: agenti e rappresentanti individuali che svolgono l’attività in forma di impresa, amministratori, sindaci e componenti di collegi e commissioni, i cui compensi sono attratti nei redditi di natura professionale, associati in partecipazione, che svolgano tale attività in forma imprenditoriale o quale parte della propria attività di impresa o lavoro autonomo. In tal senso la circolare n. 20/2008 del Ministero del lavoro ed il Vademecum sul Libro unico del lavoro. DICEMBRE 2012 N. 1112 Il Punto Guida al Lavoro XXIII le ha stabilito la parziale illegittimità dell’articolo 4 del Tu infortuni e malattie professionali (Dpr 30 giugno 1965, n. 1124) nella parte in cui non prevede, fra le persone assicurate, gli associati in partecipazione che prestino opera manuale ovve ro non manuale alle condizioni di cui al n. 2 dello stesso articolo 4, ovvero coloro che sovraintenda no al lavoro di altri. Preso atto di tale pronuncia l’Inail si è espressa con la circolare n. 28 del 7 maggio 1993, confer mando ovviamente l’obbligo assicurativo per i rapporti di associazione in partecipazione allorché l’apporto consista in una prestazione di lavoro. Secondo quanto espressamente previsto dall’Isti tuto assicuratore, il soggetto tenuto alla contribu zione assicurativa è l’associante. L’individuazione in tale figura di colui che è obbli gato agli adempimenti tipici dell’assicurante di scende dalle considerazioni svolte dalla stessa Corte costituzionale che ha assimilato la posizione dell’associatolavoratore a quella del socio d’opera di cui all’articolo 4, n. 7 del citato Testo unico e dal fatto che la titolarità dell’impresa, pur in pre senza dello specifico contratto in esame, rimane dell’associante sul quale deve, quindi, gravare l’onere dell’assicurazione contro il rischio derivan te dall’attività svolta. Con successiva circolare n. 65 del 20 settembre 2005 l’Inail ha precisato che la base imponibile del premio assicurativo è costituita dalla retribu zione convenzionale stabilita con decreto a livello nazionale o provinciale. Con riferimento invece agli associati in partecipa zione che prestino la loro opera in favore di im presa artigiana, il premio dovuto è equiparato al titolare o socio dell’azienda, ossia determinato in base al meccanismo del premio speciale unitario annuo. Profili fiscali Concludiamo la panoramica sul contratto di asso ciazione in partecipazione analizzando sintetica mente i profili fiscali. Rispetto a tale tipologia contrattuale trova applica zione l’articolo 53, comma 2, lettera c) del decreto del presidente della Repubblica n. 917/1986. Tale norma riconduce i compensi erogati in favo re dell’associato in partecipazione persona fisica, il quale abbia apportato esclusivamente una pre stazione di lavoro, ai redditi da lavoro autonomo di cui all’articolo 54, applicando il criterio di cassa. In tale ipotesi gli importi riconosciuti all’associato sono deducibili da parte dell’associante(7). Tuttavia in questo caso il contratto di associazione in parte cipazione deve necessariamente essere redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura pri vata registrata. Laddove invece l’apporto dell’associato sia di na tura mista o anche di solo capitale, coerentemente i redditi percepiti dall’associato sono da qualifica re come redditi da capitale, disciplinati dall’artico lo 44 del Tuir, con indeducibilità da parte dell’as sociante ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 109, comma 9, lett. B) dello stesso Tuir. PAGIN@24 è l’innovativa libreria digitale dove puoi scegliere e acquistare in formato PDF le pubblicazioni del Gruppo 24 Ore. La soluzione più semplice e veloce per il tuo aggiornamento. LIBRERIA DIGITALE, AGGIORNAMENTO IN UN CLICK. SCEGLI il tuo ebook. È FACILE! ACQUISTA Risparmi fino al 50% SCARICA LEGGI la pubblicazione in PDF e stampa, è COMODO e VELOCE! www.pagina24.ilsole24ore.com XXIV Il Punto Guida al Lavoro DICEMBRE 2012 N. 1112 a&b - actionandbranding.com L’articolo 95, comma 6 del Tuir prevede che la partecipazione agli utili spettanti agli associati in partecipazione con apporto di solo lavoro sia computata in diminuzione del reddito dell’esercizio di competenza, indipendentemente dall’imputazione al conto economico. (7)