PDF (Italiano) - Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio

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PDF (Italiano) - Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio
RIFL (2011) 4: 4-20 (Acquisizione del linguaggio)
DOI 10.4396/20111202
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Acquisizione del linguaggio e complessità sintattica. Il caso delle
frasi relative nei bambini
Dominique Brunato
Università degli Studi di Siena
[email protected]
Abstract This paper focuses on the comprehension of relative clauses by typicallydeveloping children, and more specifically, reviews the well-known asymmetry between
subject relative clauses (SRc) and object relative clauses (ORc). This asymmetry, which
consists in a greater difficulty that children display with ORc, has shaped different models of
relative clauses acquisition, some of which will be examined here and broadly divided into
two major categories, according to their preference for underdeveloped syntactic abilities in
children or to the emphasis on processing factors. Moving from the observation that not all
ORc are difficult in the same way, I will also consider the role of linguistic features in
children comprehension and present some experiments that have investigated how the
manipulation of the type of ORc influences children’s performance. In Italian, e.g., a finer
difference in the time of acquisition of ORc has emerged between ORc with preverbal
subject and ORc with postverbal subject. Moreover, some recent findings in Hebrew have
shown a gradient of difficulty also in ORc with preverbal subject, which is higher when both
the head of the relative and the embedded subject share the lexical restriction feature. These
experiments have motivated an approach which adopts the syntactic principle of locality,
known as Relativized Minimality (RIZZI 1990), as a metric of syntactic complexity to
explain the acquisitional data.
Keywords: Relative clauses acquisition, Conjunction Analysis, Minimal Chain Principle,
Relativized Minimality, Parsing strategies
1. Introduzione
L’acquisizione del linguaggio rappresenta una fonte di informazioni privilegiata non
solo per lo psicologo evolutivo, ma anche per chi affronta lo studio delle lingue
naturali dal punto di vista della linguistica cognitiva.
Interesse primario di tale disciplina – che, insieme alle neuroscienze, alla filosofia,
all’antropologia, alla psicologia e all’intelligenze artificiale, concorre a definire il
complesso quadro interdisciplinare delle scienze cognitive – è proprio il tentativo di
indagare la facoltà del linguaggio definendone le proprietà esclusive1, attraverso
modelli formali che siano quanto più “reali” possibili, ovvero dotati di plausibilità
psicologica; in questo senso, fondamentale è il confronto con le acquisizioni sempre
più aggiornate sull’architettura morfo-funzionale delle strutture neurali, in particolare
1
Si fa riferimento in particolare alla natura del componente sintattico, identificato come elemento
definitorio della “narrow-syntax” o facoltà del linguaggio “in senso stretto” (HAUSER, CHOMSKY
E FITCH 2002).
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di quelle soggiacenti al linguaggio, e sull’impatto dei fattori di processing
nell’elaborazione online degli stimoli verbali.
Tuttavia, se nell’adulto i processi linguistici sono così automatizzati da rendere quasi
impossibile discriminare il ruolo di ciascun componente, se non appunto attraverso
sofisticate tecniche di neuroimmagine, ben diverso è il caso del bambino. Proprio
perché dipendente da un sistema cognitivo non ancora maturo, il linguaggio infantile,
soprattutto nelle forme in cui si discosta maggiormente da quello adulto, offre
l’opportunità di rispondere ad alcuni interrogativi cruciali nello studio della facoltà
linguistica. Gli errori e le incomprensioni che i bambini manifestano nelle prime fasi
dell’acquisizione, e di cui certamente ha esperienza chiunque interagisca
verbalmente con un bambino in età prescolare, possono infatti accreditare tanto le
teorie che sostengono una sostanziale differenza tra la grammatica infantile e quella
adulta, quanto quelle che spiegano tali divergenze in termini di processing. Nel
primo caso, si ipotizza che il progressivo fine tuning del bambino alla L1 di
riferimento proceda per discontinuità; pertanto, il processo di acquisizione
comporterebbe l’evoluzione qualitativa della grammatica, a partire da uno stato
iniziale parzialmente deficitario dei dispositivi sintattici necessari alla corretta
padronanza del linguaggio; nella seconda ipotesi, le forme di devianza e
agrammaticalità infantili sarebbero al contrario assunte come prova della dipendenza
dei meccanismi ricorsivi innati, già pienamente accessibili allo stato iniziale,
dall’integrità e dalla piena disponibilità dei sistemi accessori (es. working memory,
attenzione, risorse cognitive dominio-generali).
Uno stimolo al dibattito sulla dicotomia “continuità vs discontinuità” del processo di
acquisizione del linguaggio (MACKEN 1995; PINKER 1984 tra gli altri) viene
proprio dal fenomeno che costituisce l’oggetto di questo paper: la comprensione
delle frasi relative da parte dei bambini che acquisiscono la L1. Più precisamente, si
discuterà la ben nota “asimmetria” tra l’acquisizione delle frasi relative soggetto (RS,
es.1) e quella delle frasi relative oggetto (RO, es.2).
(1) Il bambinoi che <ti> saluta la maestra
(2) Il bambinoi che la maestra saluta <ti>
1. L’asimmetria evolutiva tra le RS e le RO: spiegazioni tra rappresentazione e
processing
Il tema dell’acquisizione delle frasi relative ha suscitato notevole interesse tanto in
linguistica generativa quanto nella letteratura psicolinguistica, dal momento che offre
l’opportunità di testare la compatibilità tra gli assunti teorici sulla configurazione
soggiacente a queste proposizioni e i meccanismi di elaborazione del linguaggio.
Come accennato nell’introduzione, l’osservazione emersa fin dai primi lavori
empirici e confermata cross-linguisticamente negli anni2, è l’asimmetria tra le frasi
relative sul soggetto e quelle sull’oggetto. Tale asimmetria si configura nei termini di
un ritardo e di una notevole difficoltà che i bambini sperimentano nell’acquisizione
2
Si vedano: GUASTI, 2002 per una rassegna completa dei lavori più datati e, tra gli altri;
TAVAKOLIAN,1978,1981; FELSER, C., MARINIS, T., & CLAHSEN, H. 2003; CORRÊA, 1995,
per l’inglese; ARNON, 2005, FRIEDMANN 2004, 2008 per l’ebraico; AROSIO et all., 2005;
GUASTI et al., 2007, 2008; BELLETTI E CONTEMORI, 2010; ADANI, 2010 per l’italiano;
STAVRAKAKI, 2001, 2008 per il greco.
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delle RO, la cui corretta interpretazione non viene in genere raggiunta prima dei sei
anni.
E’ importante chiarire, innanzitutto, che le principali analisi avanzate per spiegare il
differente trend evolutivo si muovono nella cornice teorica della grammatica
generativa, assumendo che le frasi relative restrittive siano il risultato di una
operazione di movimento. In particolare si tratta di un tipo di movimento A barra,
che collega due posizioni: quella in cui il costituente relativizzato è pronunciato e il
sito di partenza, dove riceve ruolo tematico all’interno della frase relativa. La
notazione grafica negli esempi (1) e (2) sottolinea proprio questa lettura, indicando,
con la presenza della copia3, la posizione da cui ha avuto origine il movimento: il
soggetto (lo specificatore della frase incassata) nel caso delle RS e l’oggetto (il
complemento del verbo) nel caso delle RO.
Dal punto di vista interpretativo, le configurazioni che mettono in gioco una
dipendenza A barra richiedono che il parser sia in grado di riconoscere la funzione
dell’operatore [+wh] (in questo caso dotato del tratto relativo [+R]), in modo da
postulare l’esistenza di una sua copia nella struttura in via di elaborazione, e di
mantenere in memoria la rappresentazione dell’elemento mosso (il costituente
relativo) fino all’identificazione della sua posizione argomentale. Dunque, tanto
l’elemento rappresentazionale quanto quello legato al processing sono fattori chiave
nella derivazione di queste strutture. Ne deriva che le difficoltà infantili potrebbero
originare dal mancato (o incompleto) possesso, di uno (o entrambi) questi requisiti.
Se le prime analisi sul fenomeno, alcune delle quali saranno presentate nel paragrafo
successivo, sostenevano una derivazione diversa delle RO nella grammatica infantile
(TAVAKOLIAN 1981; LEBEAUX 1990), il confronto con i dati di comprensione
online nell’adulto ha contribuito a rafforzare gli assunti che enfatizzano il ruolo dei
fattori di processing, imputando le prestazioni deficitarie dei bambini sulle RO
all’accentuazione di un principio di economia computazionale di portata universale
(cfr. paragrafo 1.2). Proseguendo nella discussione, vedremo tuttavia che non tutte le
RO pongono gli stessi “ostacoli” interpretativi al bambino: interessante, a tal
proposito, è la comparazione tra le RO con soggetto preverbale e postverbale in
italiano, trattata nel paragrafo
2.1. Tale osservazione ha indotto a raffinare la nozione di complessità sintattica,
concentrando l’attenzione sul ruolo dei tratti e sulla loro portata informativa in fase
di parsing. Infine, nel paragrafo 2.2 si vedrà come la questione dei tratti sia cruciale
all’interno di una recente proposta teorica di ispirazione minimalista, che,
riprendendo quanto accennato nell’introduzione, ritengo possa ben rappresentare un
esempio di modello linguistico cognitivamente fondato; in essa, l’asimmetria
considerata viene spiegata sulla base del principio sintattico di località noto come
Minimalità Relativizzata (RIZZI 1990).
1.1 Le ipotesi di discontinuità della grammatica infantile
I primi studi sull’acquisizione delle proposizioni relative, muovendo proprio
dall’osservazione dell’asimmetria RS/RO, sostenevano una sostanziale divergenza
della grammatica infantile da quella adulta: la difficoltà a interpretare le RO era
3
L’adozione di questo termine fa riferimento alla più recente revisione chomskiana del concetto di
traccia, espressa nella teoria delle “tracce come copie”, (CHOMSKY 1995, 2000). Secondo questo
approccio, la posizione da cui ha avuto origine il movimento, è occupata da una traccia che va intesa
come copia completa non pronunciata del costituente mosso.
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concepita come una “prova” in favore degli approcci di tipo maturazionale, secondo
cui alcuni costrutti grammaticali diventerebbero disponibili solo raggiunta una
particolare fase dello sviluppo. Tra questi il meccanismo A barra, che come si è
visto, è necessario per interpretare correttamente le frasi relative.
In particolare, in uno dei primi esperimenti, condotto con bambini inglesi di età
compresa tra i 3 e i 5 anni tramite il paradigma dell’act out task4, Tavakolian (1981)
aveva osservato una consistente differenza nella performance infantile in risposta a
RS e RO. Le costruzioni testate erano le seguenti:
(3) The sheepi that <ti> tickled the rabbit kissed the monkey
(la pecora che ha pizzicato il coniglio ha baciato la scimmia)
(4) The sheep tickled the monkeyi that the rabbit kissed <ti>
(la pecora ha pizzicato la scimmia che il coniglio ha baciato)
I risultati provavano che mentre la frase contenente una RS incassata era
correttamente interpretata dai bambini (78% di accuratezza), la RO in (4) destava
particolari problemi almeno fino ai 5 anni, con una comprensione ridotta al 37,5%.
Questi dati avevano motivato l’elaborazione della cosiddetta Conjunction Analysis
(TAVAKOLIAN 1978, 1981), secondo la quale i bambini in una prima fase
dell’acquisizione processano la frase relativa come una frase coordinata, dal
momento che la loro grammatica non dispone ancora del meccanismo ricorsivo.
Secondo l’autrice, la strategia della coordinazione è una “proprietà universale
dell’acquisizione del linguaggio per cui tutti i bambini iniziano ad analizzare
strutture frasali multiple come frasi congiunte” (TAVAKOLIAN 1981).
È interessante notare che questa analisi, benché diversa dalla grammatica adulta,
porti a interpretare correttamente la RS ma fallisca sulla RO. Vediamo perché.
Quando il bambino incontra nell’input la prima sequenza NP-V-NP (“the sheep that
tickled the rabbit”) è indotto ad assumere che si tratti di una frase semplice,
trascurando la presenza del complementatore. La seconda sequenza V-NP (“kissed
the monkey”) è analizzata a sua volta come un’altra istanza di frase semplice (questa
volta con un soggetto nullo) e viene unita alla prima per coordinazione, ignorando
l’assenza di un marcatore di congiunzione esplicito.
Come avviene tipicamente in casi di coordinazione del VP, il soggetto nullo della
seconda frase è interpretato come coreferenziale al primo, pertanto nella derivazione
infantile, la frase relativa avrebbe questa struttura:
[ [ NPi V NP] [ ei V NP] ]
Come si noterà, questa analisi permette di assegnare correttamente i ruoli tematici
alla frase in (3), compresa dal bambino come:
“The sheep tickled the rabbit and kissed the monkey”
ma non ha lo stesso effetto produttivo nel caso della RO (la cui derivazione sarebbe:
“The sheep tickled the monkey and the rabbit kissed”), da cui le difficoltà dei
bambini a simulare l’azione corrispondente.
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L’act out task è una procedura sperimentale utilizzata spesso con i bambini che si propone di inferire
la comprensione di una frase chiedendo ai soggetti di mettere in atto l’azione corrispondente.
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In altre parole, l’accuratezza delle RS è solo apparente e ottenuta tramite una
strategia grammaticale “deviante”, che tuttavia un compito come l’act out task non
permette di evidenziare.
Un’ipotesi simile, che concepisce l’acquisizione come processo di progressiva
maturazione qualitativa della grammatica, è avanzata da Lebeaux (1988, 1990). Va
sottolineato che la cornice teorica in cui si inquadra la proposta di Lebeaux è la
Teoria della Reggenza e del Legamento (CHOMSKY 1981), che presuppone due
livelli distinti di rappresentazione: la struttura profonda (D-Structure) e quella
superficiale (S-Structure). I due livelli sono messi in relazione da un meccanismo
generale definito “move-α”. Lebeaux propone una ulteriore distinzione di questo
meccanismo in due operazioni derivazionali indipendenti: “adjon- α” e “conjoin- α”.
Mentre nella grammatica adulta la derivazione delle frasi relative è ottenuta tramite
l’operazione di aggiunzione, che permette la ricorsione di un XP sopra un altro XP,
la grammatica infantile è meno ricca strutturalmente e dispone del solo dispositivo
“conjoin-α”, un’operazione di default che risulta in una semplice linearizzazione.
Nonostante altre analisi abbiamo insistito sulla differenza qualitativa tra la
derivazione infantile e quella adulta (es. LABELLE 1990), alcune osservazioni
sperimentali successive al lavoro di Tavakolian (CORRÊA 1995, HAMBURGER E
CRAIN 1982) hanno indebolito ipotesi come quella della Conjunction Analysis. In
particolare, riducendo il numero degli argomenti nelle proposizioni somministrate, i
bambini mostravano di comprendere bene frasi come:
(5) Il leonei bacia l’anitra che <ti> dorme
che invece, nell’ipotesi della coordinazione, avrebbero dovuto elicitare risposte in cui
il DP1 (Il leone), è anche il soggetto della frase incassata.
Inoltre, cosa ancora più interessante, la prestazione dei bambini era fortemente
modulata dal tipo di struttura somministrata, soprattutto in relazione al punto di
attaccamento delle relative, con una maggior facilità delle relative ramificanti a
destra su quelle incassate. È da sottolineare che tale facilitazione si riscontrava non
solo per le RS ma anche per le RO per cui una frase come (6) risultava più
comprensibile di quella in (7):
(6) Il cavallo rincorre il leonei che l’anitra bacia <ti>
(7) Il cavalloi che l’anitra baciai <ti> rincorre il leone
Spiegare tali differenze assumendo una derivazione diversa delle RO nei primi stadi
dell’acquisizione risulta concettualmente meno economico perchè, se il sistema
grammaticale iniziale non dispone del requisito di movimento (necessario tanto nel
caso delle relative right-branching (6) quanto in quelle centre-embedded (7) ),
dovremmo attenderci la stessa difficoltà a ricostruire la posizione di gap
indipendentemente dal punto in cui essa viene processata.
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1.2 Evidenze psicolinguistiche: l’universalità delle strategie di parsing e il
principio di Minimal Chain
L’acquisizione di nuovi dati sull’influenza della struttura in cui è inserita la relativa e
il raffinamento delle procedure metodologiche5 hanno portato a rafforzare gli
approcci che sostengono la continuità della grammatica infantile rispetto a quella
adulta, imputando le prestazioni sperimentali dei bambini all’effetto della
complessità sintattica sui meccanismi di processamento. A questo proposito, il
confronto con la psicolinguistica si è rivelato estremamente proficuo. La
comprensione delle frasi relative, e più in generale delle strutture sintatticamente
complesse, è infatti un tema che ha rivestito grande interesse anche nell’ambito del
sentence processing, ovvero di quella disciplina che si propone di inferire la natura e
il funzionamento dei meccanismi di elaborazione del linguaggio in tempo reale.
Tramite metodologie sperimentali on line6 si è potuta osservare l’esistenza negli
adulti di una asimmetria analoga a quella dei bambini, con una maggior accuratezza
e velocità nei tempi di lettura delle RS rispetto alle RO7.
Le ipotesi avanzate per spiegare i dati empirici sono diverse ma sostanzialmente
accomunate dall’idea che il parser sia guidato da principi di economia, in virtù dei
quali è portato a strutturare l’input in maniera incrementale adottando delle strategie
che limitano la memoria e le risorse computazionali richieste.
Le frasi relative, in questo senso, offrono l’opportunità di testare la validità di questi
principi.
Come si è detto in precedenza, per interpretare correttamente una frase relativa è
necessario costruire una catena tra l’elemento relativizzato (il target) e la sua traccia
in posizione argomentale (il gap).
In termini di processing, questo significa mantenere in memoria il primo elemento,
fino al punto in cui si incontra il gap, che suggerisce come esso vada interpretato.
L’asimmetria RS/RO nei tempi di lettura e nell’accuratezza della comprensione è
assunta come prova della tendenza del parser a costruire dipendenze più brevi
possibili, “scaricando” dalla memoria temporanea la rappresentazione del target, non
appena viene processata una possibile posizione di gap.
Questa strategia è stata riscontrata originariamente per l’inglese su frasi contenenti
tracce [+wh] e ha motivato la formulazione dell’Active Filler Hypothesis (FRAZIER
E CLIFTON 1989), secondo la quale quando il parser identifica un elemento mosso,
denominato “filler”, cerca di postulare un sintagma vuoto della stessa categoria non
appena la grammatica delle lingua lo consente. L’applicazione di questa strategia,
nelle ambiguità temporanee soggetto-oggetto (frasi relative, wh-questions), è stata
5
HAMBURGER e CRAIN (1982) dimostrarono la necessità di costruire paradigmi sperimentali
conformi alle assunzioni pragmatiche delle frasi somministrate. Nel caso delle relative, la cui funzione
è di restringere il contenuto della testa, è necessario presentare un contesto in cui sono presenti almeno
due possibili referenti, a differenza di quanto avveniva nei primi esperimenti di act out. Nei setting
sperimentali pragmaticamenti appropriati, gli autori ottennero prestazioni above-chance sulle RO già a
partire dai 4 anni di età.
6
Le tecniche on line, a differenza di quelle off line (es. giudizi di accettabilità), registrano le
variazioni che si verificano a carico del processo di comprensione momento per momento e
permettono di isolare fasi specifiche del processo. Tra queste ricordiamo il self-paced reading, in cui
il soggetto decide autonomamente i tempi di lettura o ascolto di una frase, premendo un tasto per far
comparire le parti nuove dell’input. L’assunto che sta dietro a questa metodologia è che i tempi di
lettura sono superiori nei punti di maggior complessità computazionale.
7
Tra i lavori più importanti: CARAMAZZA e ZURIF, 1976; KING e JUST, 1981; MACWHINNEY,
1982, JUST & CARPENTER, 1992; TRAXLER et al., 2002.
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confermata anche su altre lingue8; in italiano, i lavori più consistenti sono stati
condotti da Marica De Vincenzi (DE VINCENZI 1991,1996,1999) che, sulla base di
quanto osservato, ha formulato un principio universale di funzionamento del parser,
noto come Minimal Chain Principle (MCP).
(MCP): “Evita di ipotizzare membri di una catena non necessari, ma se questi sono
necessari, ipotizzali non appena possibile”
Entrambe le analisi presuppongono che il parsing (e più nel dettaglio il “first-pass
parsing”) di una frase relativa sia il risultato di una strategia che richiede minor
risorse computazionali: in base ad essa, quando viene processato il complementatore,
o meglio l’operatore che introduce la frase relativa, si costruisce la struttura che
minimizza i costi di memoria, ipotizzando un gap nella prima posizione disponibile,
quella di soggetto (lo specificatore di IP).
Questa analisi è compatibile con le RS ma fallisce nel caso delle RO, dal momento
che la posizione “prevista” come luogo di rappresentazione della traccia è occupata
dal DP soggetto. In tale situazione il parser incorre momentaneamente nell’effetto
“garden path”, ravvisabile nel rallentamento dei tempi di lettura e nella maggior
percentuale di errori sulle RO, che, per essere comprese correttamente, richiedono
infatti di riattivare la posizione di “filler”, e di mantenerla in memoria fino al
processamento della nuova posizione di gap, quella di oggetto.
Una osservazione importante è che la preferenza per la lettura RS sembra emergere
al di là della plausibilità contestuale o pragmatica, o più precisamente questo tipo di
informazione viene presa in considerazione solo in una fase successiva a quella di
elaborazione strutturale.
Tornando ai dati dell’acquisizione, è ragionevole pensare che la derivazione delle
frasi relative sia la stessa tanto negli adulti quanto nei bambini e che lo sviluppo
grammaticale proceda in un’ottica di continuità9. L’asimmetria RS/RO che si
osserva in età infantile non è altro che una applicazione accentuata di un principio di
economia, dunque un sintomo che la capacità di processare dipendenze più lunghe è
strettamente vincolata alle risorse computazionali (in termini di memoria di lavoro,
attenzione e mantenimento di rappresentazioni temporanee).
2. Il ruolo dei tratti grammaticali nella comprensione infantile delle frasi
relative
Un secondo filone di ricerca sull’acquisizione delle proposizioni relative va ad
analizzare l’impatto dei fattori grammaticali nella modulazione del grado di difficoltà
con le RO.
Ancora una volta fondamentale è stato il confronto con i dati sperimentali sugli
adulti, che hanno evidenziato come variazioni nella tipologia dei tratti associati alle
8
FRAUENDFELDER, SEGUI, MEHLER, 1980 per il francese; KING, JUST, 1991, per l’inglese;
SCHRIFERS, FRIEDERICI, 1985, per l’olandese e il tedesco.
9
Cfr De Vincenzi: “The way in which the MCP is stated leads us to the hypothesis that the MCP is a
strategy used by the child acquiring language. The MCP is a preferred parsing strategy because it
reduces the computation and memory load of the parser. It is pretty clear that if the computation and
memory considerations are a valid concern for adult processing mechanism, they should even more be
a concern for the child processing mechanism, given the fact that the memory capacity and
“chunking” ability are subject to development”, in “Syntactic Parsing strategies in Italian”, (DE
VINCENZI 1991, pag.156).
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entrate lessicali (e nello specifico ai DP soggetto e oggetto) possano ridurre, se non
annullare, lo scarto nei tempi di reazione e accuratezza delle RO10.
Lo studio comparativo, in questo senso, si rivela uno strumento di indagine prezioso,
dal momento che le lingue differiscono non solo rispetto alla presenza/assenza di
specifiche features, ma anche in base alla loro realizzazione morfosintattica e al
luogo di codifica del tratto stesso. Tali variazioni parametriche influiscono sulla
“qualità” informativa dei tratti, che dunque possono configurarsi come “indizi” più o
meno efficaci nella scelta della strategia preferenziale di parsing.
Nei paragrafi che seguono discuteremo alcuni studi che hanno indagato quanto sia
precoce la sensibilità dei bambini alla portata informativa dei tratti caratteristici della
propria L1.
2.1 RO con soggetto preverbale e postverbale in italiano
L’italiano è una lingua che, a differenza di altre (es. inglese, francese), consente
l’omissione del soggetto. La proprietà del “soggetto nullo” correla con la possibilità
che esso sia presente in posizione postverbale. In entrambe le posizioni il soggetto fa
scattare l’accordo in numero e persona con il verbo. Il fatto che il soggetto in italiano
possa trovarsi in due posizioni sintattiche diverse, prima o dopo il verbo, ha un
effetto interessante rispetto alle tematiche che stiamo affrontando.
Per capire in che modo si inserisca nella discussione sul processamento infantile
delle relative, riflettiamo sulla seguente coppia di frasi:
(8) Il cane che rincorre il cavallo
(9) Il cane che il cavallo rincorre
Mentre in (9) il DP testa è inequivocabilmente l’oggetto della relativa, la frase in (8)
risulta ambigua tra la lettura RS/RO.
Riprendendo quanto sopra, l’ambiguità scaturisce dal fatto che entrambi i DP sono
potenziali soggetti che accordano con il verbo, rispettivamente “il cane” in posizione
preverbale e “il cavallo” in posizione postverbale. Questa ambiguità viene meno
modificando uno dei due DP rispetto al tratto di numero:
(10) Il cane che rincorre i cavalli RS
(11) Il cane che rincorrono i cavalli RO
Partendo da questa premessa, Guasti, Arosio e Adani (2006, 2007) hanno testato un
campione di bambini italiani in età prescolare sulla comprensione di RS (es.10) e
RO, disambiguate rispettivamente dalla posizione preverbale del soggetto incassato
(9) o dall’accordo morfologico del verbo con il DP postverbale (11)11: lo scopo è
10
Si considerino, ad esempio, i lavori di TRAXLER et al., (2002) per l’inglese e MAK, (2001) per il
tedesco e l’olandese, che hanno indagato gli effetti del tratto di animatezza nelle RO, evidenziando
tempi di risposta minori e maggiore accuratezza nel caso del mismatch di questo tratto sui due
sintagmi nominali critici; ancora, GORDON (2001, 2004) per l’inglese, ha mostrato una facilitazione
delle RO indotta dalla dissimilarità tra la tipologia del costituente nominale testa quella DP
interveniente, in particolare quando quest’ultimo si presentava come nome proprio, pronome o
quantificatore.
11
La metodologia utilizzata è il picture-sentence matching task. Questa procedura consiste nella
presentazione di un set di immagini (due o più) e nell’ascolto (o presentazione visiva) di una frase, il
cui significato è compatibile solo con una delle immagini presentate. Compito del soggetto è indicare
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verificare se e in che modo, questo doppio “dispositivo” grammaticale (posizione vs
numero) incida diversamente sulle performances del campione.
La ricerca rientra chiaramente nel più generale dibattito sul ruolo dei tratti nella
comprensione infantile e ha una rilevanza tanto per le teorie sul processing, quanto
per quelle sulla rappresentazione strutturale dei processi morfo-sintattici.
I risultati più significativi (Cfr. Tab.1), accanto alla conferma dell’asimmetria
RS/RO, rivelano una modulazione del grado di difficoltà delle RO connessa al tipo di
struttura somministrata.
In particolare, le RO disambiguate dalla posizione (9) sono comprese meglio già a 5
anni, con una progressiva evoluzione nel corso dell’acquisizione. Le RO
disambiguate dalla morfologia verbale, al contrario, mostrano una crescita piuttosto
lenta, con percentuali di comprensione che si attestano su quelle adulte solo intorno
agli 11 anni.
Tab.1
Secondo gli autori, questi dati consentono di trarre alcune importanti inferenze sul
funzionamento del parser, di seguito sintetizzate:
- la preferenza (da intendersi come migliore e più precoce comprensione) delle RS
sulle RO convalida una teoria di processamento dell’input linguistico quale Minimal
Chain (v.§1.2), per cui nello stadio iniziale, l’elaboratore sintattico costruisce la
struttura che minimizza i costi computazionali, postulando la traccia nella prima
posizione utile, quella di soggetto.
- la variazione delle prestazioni sulle RO, in base al tipo di struttura somministrata,
conferma che anche la grammatica infantile manifesta non solo una precoce
sensibilità ai tratti della L1, ma anche una capacità di “utilizzarli” diversamente
quando incorre nell’effetto garden path;
- restringendo l’analisi alle RO, l’asimmetria RO posizione/numero può essere
spiegata adottando la prospettiva del Diagnosis Model di Fodor e Inoue (2000):
secondo questo modello l’efficacia della rianalisi, necessaria quando la prima
costruzione (first-pass parsing) si è rivelata sbagliata, è connessa alla qualità
informativa degli indizi disambiguanti.
la figura abbinata alla frase. Data le sue potenzialità di inferire un giudizio di grammaticalità in
maniera indiretta, il Picture selection task costituisce uno dei metodi più comunemente usati per
misurare la comprensione di un’ampia varietà di strutture linguistiche sia in acquisizione che
all’interno di popolazioni cliniche e viene impiegato soprattutto laddove i soggetti mostrano difficoltà
a produrre una particolare forma linguistica.
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Un tratto è considerato “sintomo positivo” quando non solo identifica un errore di
costruzione sintattica, ma guida il parser verso la rianalisi corretta. Un tratto che
agisce da “sintomo negativo”, al contrario, segnala l’effetto garden-path ma non
indica immediatamente come la struttura vada riaggiustata. E’importante sottolineare
questa distinzione “qualitativa” dal momento che, tanto nelle RO con soggetto
preverbale, quanto in quelle con soggetto postverbale, l’indizio che contraddice la
lettura preferenziale RS, viene processato nello stesso punto, ossia subito dopo il
complementatore; la modulazione che si osserva nella comprensione infantile,
dunque, è una riprova del fatto che alcuni tratti entrano precocemente nella
computazione sintattica, mentre altri, quali l’accordo morfologico del verbo con il
soggetto postverbale, sono verificati in una fase successiva a quella dell’elaborazione
strutturale e potrebbero richiedere, pertanto, maggiori risorse computazionali.
In questo senso, la posizione del soggetto preverbale non solo avvisa
tempestivamente che la prima analisi (RS) è scorretta ma permette una rapida
riassegnazione dei ruoli tematici.
Quando infatti il parser processa il DP incassato, la cui posizione è strutturalmente
associata alla funzione grammaticale di soggetto, dovrà postulare una nuova traccia
per la testa della relativa: l’unica posizione disponibile, a questo punto, è il
complemento del verbo, pertanto al costituente relativizzato verrà attribuito,
correttamente, il ruolo tematico di paziente.
Nel caso della RO con soggetto postverbale (11), la preferenza iniziale come RS
viene contraddetta dal tratto di numero sul verbo, che non accorda con quello del DP
testa: questo indizio agisce però da “sintomo negativo” rispetto all’indicazione su
come vadano riattribuiti i ruolo tematici agli argomenti, lasciando aperte più
possibilità.
Il mismatch di numero, infatti, induce il parser a decoindicizzare la testa della
relativa con la traccia, originariamente assunta nello specificatore dell’IP ((v.(a)) e,
in linea con quanto predetto da Minimal Chain, a cercare di chiudere la dipendenza
ancora aperta, postulando il gap nell’unica posizione disponibile, quella di oggetto
(b).
a)
Il canei che <ti> rincorrono
b)
Il canei [CP che rincorrono <ti>
Poiché l’italiano è una lingua a soggetto nullo, il ruolo tematico di agente,
compatibilmente alla struttura elaborata, può essere assegnato ad un pro referenziale,
licenziato dalla morfologia verbale:
(c)
Il canei [ CP che [IP pro rincorrono <ti>
Tuttavia, anche questa analisi si dimostra scorretta e dev’essere rivista quando viene
processato il DP soggetto in posizione postverbale:
(d)
Il canei [ CP che [IP pro rincorrono <ti> i cavalli
13
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A questo punto il parser deve sostituire il pro referenziale con un pro espletivo e
coindicizzarlo con il DP soggetto in posizione postverbale:
e)
Il canei [ CP che [IP pro expj rincorrono i cavallij <ti>
E’ plausibile che il tentativo di “riparare” nuovamente la struttura, elaborando
contemporaneamente due dipendenze distinte (quella tra la testa della relativa e il
gap in posizione oggetto e la catena pro espletivo-DP postverbale) ecceda le risorse
computazionali disponibili ai bambini, da cui il ritardo nell’acquisizione di queste
strutture.
2.2 Il tratto [+restrizione lessicale] in ebraico
Nel paragrafo precedente abbiamo considerato il ritardo nell’acquisizione delle RO
con soggetto postverbale in italiano, rispetto a quelle con soggetto preverbale.
Restringendo ora l’indagine all’acquisizione delle RO con soggetto preverbale,
nonostante queste strutture siano acquisite prima di quelle con soggetto postverbale,
per le ragioni discusse poco sopra, resta da risolvere l’asimmetria rispetto alle RS,
che si protrae almeno fino ai 5 anni.
La spiegazione di natura processuale, esemplificata dal principio Minimal Chain,
prevede la maggior facilità delle RS, che, come si è visto, richiedono la costruzione
di una dipendenza più breve (cfr. 12 vs 13)
(12)
Il canei [CP OP.rel che [IP <ti>rincorrono i cavalli
(13)
Il canei [CP OP.rel che [IP i cavalli rincorrono <ti>
Al tempo stesso, alcune osservazioni sperimentali sugli adulti hanno mostrato che le
difficoltà nelle RO con soggetto preverbale possono essere modulate, se non
annullate, modificando la natura dei tratti associati alla testa e al DP soggetto
incassato (cfr. nota 10).
Una conclusione legittima che si può trarre da questi dati è che la maggior lunghezza
della catena, che collega il target e il gap, non può essere l’unico fattore che causa
l’asimmetria RS/RO.
Sembra invece che il problema sia dato dalla presenza dell’interveniente nella catena
e che una dissimilarità in alcuni tratti tra il costituente relativo e il DP incassato (es.
animatezza, tipologia di costituente nominale) faciliti il processamento di quelle frasi
che richiedono la costruzione di una dipendenza più complessa.
Se la presenza dell’interveniente, e la sua costituzione strutturale interna, incide sul
processamento online degli adulti, è plausibile pensare che anche nei bambini (la cui
grammatica, come abbiamo visto, si dimostra sensibile all’effetto indotto da specifici
tratti) il grado di difficoltà nelle RO con soggetto preverbale sia diversamente
modulabile.
Questa previsione è stata confermata da un recente lavoro sull’ebraico di Friedmann,
Belletti e Rizzi (2009), poi replicato anche sull’italiano con analoghi risultati
(ADANI 2010), che, sempre attraverso la metodologia del picture-sentence matching
task, ha indagato la comprensione di dipendenze A barra sul soggetto o sull’oggetto
14
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(frasi relative e wh-questions), in un gruppo di bambini di età compresa tra i 3;7 e i 5
anni: da questo studio è emerso che la difficoltà esperita nel caso delle dipendenze
sull’oggetto è molto selettiva e risulta particolarmente accentuata quando sia il
costituente relativizzato che il soggetto incassato sono entrambi sintagmi nominali
dotati del tratto [+restrizione lessicale], come in (14):
(14) Tare li et ha-pil she-ha-arie martiv.
Mostra a-me ACC l’-elefante che il-leone-bagna
“Mostrami l’elefante che il leone bagna”
Al contrario, la differenziazione dei due costituenti rispetto alla presenza di questo
tratto, come accade nel caso delle cosiddette free-relatives (relative libere, es. (15)) e
delle relative con soggetto nullo arbitrario (16) si traduce in un miglioramento
considerevole della loro comprensione (con percentuali superiori al 75%).
(15) Tare li et mi she-ha-yeled menadned.
Mostra a-me ACC quello-che-il-bambino-lava
“Mostrami quello che il bambino lava”
(16) Tare li et ha-sus she-mesarkim oto.
Mostra a-me ACC il cavallo che-spazzola-pl lui
“Mostrami il cavallo che qualcuno spazzola”
Questi dati hanno motivato una spiegazione che si propone di caratterizzare
l’asimmetria RS/RO all’interno di una cornice teorica che contempla tanto gli assunti
più orientati al processing, quanto quelli che chiamano in causa i fattori strutturali; in
questo caso, tuttavia, a differenza delle ipotesi tradizionali sulla discontinuità della
grammatica infantile, non viene postulata una distinzione a livello di “impalcatura”
frasale (intesa come disponibilità di posizioni lessicali e funzionali), quanto una
divergenza nella capacità di processare il repertorio di tratti associati alle diverse
posizioni sintattiche.
Tornando all’esperimento, si è osservato che la maggior difficoltà dei bambini
emerge quando sia la testa che il DP incassato presentano il tratto di restrizione
lessicale [+NP], ovvero nella configurazione:
X [+NP,+R]…..Z[+NP]….<Y [+NP, +R]>
dove X e Y rappresentano le posizioni messe in relazione dalla catena A barra
(rispettivamente il target il gap) e Z l’elemento interveniente (in questo caso il DP
soggetto).
Secondo gli autori la difficoltà posta da questa struttura deriva dalla sua similarità
con quelle impedite dal principio sintattico di località noto come Minimalità
Relativizzata (RIZZI 1990, 2004), che spiega l’impossibilità di realizzare una
relazione strutturale locale tra due costituenti, X e Y, quando un terzo costituente Z è
un possibile referente di tale relazione e interviene tra X e Y.
(18)
X….Z….Y
15
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Pur non addentrandoci in questa sede nella spiegazione dettagliata del principio di
MR, che richiederebbe una disamina molto più approfondita, ci basti assumere che, a
rendere l’elemento Z un possibile referente della relazione sintattica tra X e Y, è il
fatto di essere uno “specificatore licenziato da tratti della stessa classe” (RIZZI
2004). I tratti, a loro volta, sono distinti in quattro categorie12:
-
Argomentali: persona, genere, numero, caso
Quantificazionali: Wh, Neg, measure, focus
Modificatori: valutativi, epistemici, Neg, measure, manner
Topic
Pertanto, si può predire che l’insorgenza di un effetto di MR scaturirà quando sia il
target che l’interveniente appartengono allo stesso tipo strutturale, ovvero
condividono la medesima classe di tratti.
A questo punto, dobbiamo chiederci in che modo il concetto di MR, e il suo ruolo
nelle configurazioni locali, si inserisca nella discussione sulle difficoltà infantili con
le RO.
Come detto più volte, queste strutture mettono in gioco una dipendenza A barra più
complessa, a causa della presenza dell’interveniente tra il DP testa e il gap. I risultati
citati, tuttavia, hanno evidenziato che il grado di difficoltà è selettivo e risulta
massimo quando sia il target che l’interveniente sono accomunati dal tratto
[+restrizione lessicale], ovvero nella configurazione:
(20)
D NP1 [+R, +NP]……D NP2 [+NP]…… <D NP1>[+R,+NP]
Chiaramente il target (D NP1) e l’interveniente (D NP2), pur condividendo il tratto
[+NP], sono diversi rispetto al tratto relativo [+R], presente infatti solo sul primo; ciò
giustifica che le RO, anche quando la testa e l’interveniente sono entrambi sintagmi
nominali dotati di restrizione lessicale, siano strutture perfettamente grammaticali,
che non incorrono nella MR.
Tuttavia, nella proposta degli autori, la grammatica infantile è vincolata ad una
versione più severa di questo principio, il cui effetto nelle dipendenze A barra si
origina non solo in presenza di una completa identità strutturale target-interveniente,
come negli adulti, ma anche nel caso dell’inclusione, ossia quando il repertorio di
tratti associato alla posizione dell’interveniente è incluso in quello del target.
Comparazione condizioni di MR nella grammatica adulta e infantile:
Adulti
Bambini
1. (identità)
+A………+A….<+A>
*
*
2. (inclusione) +A,+B…..+A….<+A,+B>
ok
*
3. (disgiunzione) +A………+B…..<+A>
ok
ok
Le RO in cui entrambi i DP presentano il tratto [+NP] sono proprio un esempio di
inclusione, dunque non processabili correttamente dal bambino; al contrario, quelle
dove il target o l’interveniente mancano della restrizione lessicale (RO libere e RO
12
Questa analisi fa riferimento alle strutture sintattiche di ispirazione cartografica (v. bibliografia per
maggiori approfondimenti sul Progetto Cartografico).
16
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con soggetto nullo arbitrario) sono meglio comprese perché target e interveniente
non hanno tratti in comune (disgiunzione).
3. Alcune riflessioni conclusive
La proposta di concepire la difficoltà con le RO come un caso particolare di
intervenienza cui va soggetta la grammatica infantile, solleva interessanti
interrogativi, non solo sul piano linguistico, bensì anche in relazione ai vincoli
funzionali che guidano lo sviluppo cognitivo. Innanzitutto, cosa sfavorisce la
condizione di inclusione rispetto alla disgiunzione? Nell’analisi che avanzano gli
autori, la disgiunzione appare come la condizione sintattica più semplice,
probabilmente perché più immediata da determinare, in quanto può essere calcolata
tratto per tratto; l’inclusione, al contrario, comporta una relazione del tipo supersetsubset, certamente più costosa in termini computazionali: le relazioni sintattiche che
mettono in gioco questa condizione, richiedono, infatti, di mantenere operativo
l’intero repertorio dei tratti associato alle posizioni strutturali “critiche”, e
compararlo, fino a quanto non si riscontra la proprietà distintiva; tale operazione,
possibile nell’adulto, ma comunque costosa in termini di processing, potrebbe
eccedere le risorse processuali nei sistemi grammaticali non ancora maturi.
Se dunque i tratti, qui intesi come unità minime degli elementi lessicali, vincolano il
funzionamento del parser, dando luogo a configurazioni strutturali che possono
rallentare o impedire il processamento linguistico, sarebbe interessante indagare se
qualcosa di simile avviene anche in altri domini della cognizione.
Penso, ad esempio, ad un possibile parallelismo con i meccanismi che presiedono ai
compiti di visual search, ovvero di quella abilità di riconoscere uno stimolo target
all’interno di un insieme di distrattori. Esiste una vasta letteratura sperimentale
sull’argomento (TREISMAN, 1980,1988; WOLF 1998, 2001 tra gli altri), che ha
monitorato i processi sottostanti a questo compito , osservando che la rapidità nei
compiti di ricerca visiva è fortemente vincolata alla struttura interna dello stimolo e
alla similarità tra lo stimolo e i distrattori.
In particolare, sono state individuate due “modalità” che i soggetti sperimentali
adottano nei compiti di riconoscimento visivo. La prima si presenta quando lo
stimolo è costituito da un unico tratto di base, (es. il colore), e differisce dai
distrattori in virtù di quest’unico tratto. E’ il caso, ad esempio, di un quadrato blu
inserito in un campo di quadrati bianchi. Questa condizione dà luogo al cosiddetto
effetto “pop-out” (TREISMAN 1988), ovvero ad un meccanismo di riconoscimento
che agisce in parallelo e considerato pre-attentivo, con tempi di reazione molto rapidi
e non influenzati dal numero dei distrattori. Un altro tipo di riconoscimento si
determina invece in presenza di uno stimolo, che pur essendo diverso dai distrattori,
ne condivide almeno un tratto. Pensiamo sempre ad un quadrato blu, da riconoscere
questa volta tra quadrati bianchi e cerchi di colore blu. Questo tipo di compito è
definito ricerca congiunta e produce tempi di reazione più lenti perché agisce in
maniera seriale e richiede di comparare la configurazione del target e quella di ogni
singolo distrattore. Proprio per questo, la ricerca congiunta è negativamente correlata
all’aumento dei distrattori.
E’ interessante che tali effetti, ampiamente documentati negli adulti, sono stati
indagati anche nei bambini, con risultati molto significativi. In particolare, se la
presenza dell’effetto “pop-out” – che come si è detto è sintomo di una capacità di
riconoscimento preattentiva – è stata riscontrata già nei neonati di pochi mesi,
(BHATT, ROVEE-COLLIER E WEINER 1994; GERHARSDTEIN E ROVEE17
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COLLIER 2002), l’abilità di eseguire compiti di ricerca congiunta non solo non è
presente alla nascita, ma richiede diversi anni prima di poter essere eseguita con gli
stessi tempi impiegati dall’adulto (GERARSDTHEIN ET AL. 2002).
Pur richiedendo certamente maggior approfondimento, queste osservazioni sembrano
suggerire che quando il riconoscimento chiama in causa un tipo di ricerca tratto per
tratto, lo sforzo richiesto dal processamento è maggiore, anche in termini di risorse
attentive, ed è probabile che non sia disponibile fino a quando tutti i sistemi che vi
collaborano non hanno raggiunto il pieno sviluppo.
Con le dovute differenze, anche questo meccanismo richiama una condizione di
inclusione, le cui proprietà sono simili a quelle proposte per spiegare le difficoltà
nell’acquisizione delle frasi relative. Tanto in una dipendenza sintattica che mette in
gioco più potenziali candidati, quanto in un compito di ricerca visiva, la capacità di
isolare il target corretto è modulata dalla configurazione interna degli elementi
critici, ovvero dalle loro proprietà di base, e da come si distribuiscono negli elementi
presenti. Una dissimilarità strutturale indotta da un unico tratto è identificabile più
facilmente, soprattutto quando il tratto critico è altamente saliente; naturalmente, la
salienza di un tratto è una qualità che ha delle manifestazioni diverse ed è “misurata”
su una scala di valori che sono del tutto dominio-specifici. E’ intuitivo che la
condivisione di alcuni tratti, quindi l’inclusione, rende più simili i possibili elementi
che entrano in gioco in una relazione: il riconoscimento dell’elemento corretto, in
questo caso, richiede un processamento più lungo e complesso, perché la diversità
con i distrattori emerge solo “esplorando” in profondità la struttura del target, e degli
elementi simili, in modo da individuare a quale livello si situa la differenza rilevante.
Concludendo, il fatto che una stessa dinamica evolutiva caratterizzi l’acquisizione di
abilità diverse potrebbe suggerire l’esistenza di meccanismi di funzionamento
generali, che assumono una forma specifica dettata dalle peculiarità di ciascun
modulo cognitivo.
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