TENDE E TESSUTI FOTOVOLTAICI: ALCUNI CASI STUDIO

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TENDE E TESSUTI FOTOVOLTAICI: ALCUNI CASI STUDIO
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SPECIALE TESSILI PER LA PROTEZIONE SOLARE
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Alessandro Premier, Veronica Brustolon
Alessandro Premier è docente a contratto di Tecnologia dell’Architettura presso
l’Università Iuav di Venezia. Veronica Brustolon è assegnista di ricerca presso
l’Università Iuav di Venezia.
Tende e tessuti fotovoltaici:
alcuni casi studio
Schermature e fotovoltaico
“Finché le leggi della matematica si riferiscono alla realtà, non
sono certe, e finché sono certe, non si riferiscono alla realtà”
(Albert Einstein, Sidelights on Relativity, Dover, 1922, p. 12)
L’integrazione architettonica delle tecnologie fotovoltaiche è una
delle problematiche più interessanti fra quelle che coinvolgono oggi le discipline dell’architectural design e della tecnologia
dell’architettura. Esiste oggi una notevole quantità di tecnologie
in grado di sfruttare l’effetto fotovoltaico: silicio mono o policristallino, silicio amorfo, tecnologie a film sottile, fotovoltaico organico, inchiostri fotovoltaici ecc., ognuna di queste contraddistinta da proprie caratteristiche morfologiche, cromatiche e di
superficie. L’impatto delle caratteristiche di aspetto dei prodotti
derivanti da queste tecnologie sulla configurazione dei manufatti
architettonici può essere più o meno importante. Interessante è
osservare come le tecnologie fotovoltaiche, nella loro storia evolutiva, siano entrate in contatto con l’architettura ed in particolare con le schermature solari.
I primi moduli fotovoltaici commerciali vennero introdotti sul
mercato dalla giapponese Sharp nel 1963 quando i satelliti artificiali americani e sovietici in orbita attorno alla Terra erano già alimentati con tale tecnologia. L’effetto fotovoltaico venne osservato
per la prima volta nel 1839 dal fisico francese Alexandre Edmond
Bécquerel. Egli si accorse che durante alcune reazioni chimiche
indotte dalla luce si generava della corrente elettrica. Nel 1873
Willoughby Smith evidenziò la fotoconducibiltà del selenio. Queste scoperte furono fondamentali alcuni anni dopo per dimostrare la natura corpuscolare delle onde elettromagnetiche (la teoria
corpuscolare della luce era stata proposta da Isaac Newton nel
1704 in contrapposizione alla teoria ondulatoria sviluppata da
Christiaan Huygens venticinque anni prima). La natura sia corpuscolare che ondulatoria della luce venne scoperta da Albert
Einstein nel 1905 con la teoria dell’effetto fotoelettrico, scoperta
che gli valse il premio Nobel nel 1921, secondo la quale una superficie colpita da una radiazione elettromagnetica (fotoni) emette elettroni. La prima applicazione pratica dell’effetto fotovoltaico
risale però al 1883 quando l’inventore statunitense Charles Fritts
realizzò una cella fotovoltaica di 30 centimetri quadrati a base di
selenio con un rendimento dell’1%. Lo sviluppo delle tecnologie
fotovoltaiche avvenne a partire dal secondo dopoguerra. A metà
degli anni ’50 l’azienda statunitense Bell realizzò i primi moduli
a base di silicio, nel 1967 venne realizzata la prima cella a base
Frangisole mobile in vetro con integrazione fotovoltaica (foto dell’autore)
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di solfuro di cadmio depositato su plastica e negli anni ’70 vi
furono le prime applicazioni aerospaziali a base di arseniuro di
Gallio. Dalla metà degli anni ’70 in poi furono sviluppate molte
altre tecnologie: tellururo di cadmio, CIS, ecc.
Sin dagli anni ’70 il fotovoltaico si dimostrò una tecnologia valida per alimentare dispositivi di vario genere in zone dove non
erano disponibili delle normali linee elettriche. Oggi, laddove
la realizzazione di linee di trasmissione elettrica non è ancora possibile (si pensi ad esempio a molte zone del continente
Africano), migliaia di persone alimentano lampadine, televisori e radio con l’elettricità solare. Fino alla metà degli anni
’80 si parlò anche di realizzare delle centrali elettriche fotovoltaiche, tema che venne messo in secondo piano a partire dal
1986 quando l’ingegnere svizzero Markus Real, con il progetto
“Megawatt”, volle dimostrare la maggior economicità della generazione distribuita installando moduli solari da tre kilowatt
su 333 tetti di Zurigo. Da allora vari governi nazionali stanno
sviluppando piani di incentivazione finanziaria per incoraggiare
i cittadini a rivestire i tetti delle proprie abitazioni con pannelli
fotovoltaici.
Oggi siamo ormai avvezzi ad osservare le falde di molti tetti
ricoprirsi di questi pannelli, generalmente di colore blu. L’incentivo alla diffusione di queste soluzioni tecnologiche, grazie
anche alla spinta di alcuni settori ideologizzati della ricerca
scientifica, sta progressivamente mutando l’aspetto dei nostri
centri urbani e anche alcuni tratti di paesaggio naturale. D’altro canto l’adozione massiva di alcune tecnologie a livello globale (gas naturale) ha favorito l’abbattimento del prezzo di altri
combustibili, come ad esempio il carbone al quale oggi molti
paesi europei, stretti dalla morsa recessiva, stanno tornando
(Cfr. “Coal in the Rich World. The Mixed Fortunes of a Fuel”,
The Economist, 05/01/2013). Per quanto riguarda gli edifici è
ormai da qualche anno che la ricerca sta tentando di dare risposte al problema dell’integrazione architettonica del fotovoltaico. Il settore delle schermature solari è stato fra i primi a
proporre delle soluzioni credibili.
I dispositivi mobili per la schermatura solare come i brise-soleil orientabili si adattano perfettamente all’integrazione con
le tecnologie fotovoltaiche. Le lamelle infatti, inclinandosi per
respingere i raggi solari, diventano ottimi dispositivi per captarne l’energia (Fig. 1). Tra i primi ad integrare le tecnologie
fotovoltaiche nelle facciate degli edifici e nei sistemi di schermatura solare è stato certamente Thomas Herzog. L’occasione
gli è stata fornita dall’adesione ad una filosofia di design che ha
avuto molto successo a partire dalla fine degli anni ’70: lo stile
high-tech. Negli edifici high-tech, come è noto agli addetti ai
lavori, i dispositivi tecnologici e gli impianti vengono esposti in
facciata trasformandosi in elementi architettonici. Era naturale quindi dotare questi edifici di tecnologie di superficie come
quelle fotovoltaiche. Uno dei progetti più significativi di Herzog
fu l’Housing a Monaco di Baviera (1979-82) dove gli edifici erano dotati di una grande copertura inclinata in acciaio e vetro
che si trasformava in facciata, schermata all’interno con un si-
Soft House, Amburgo, Marzo 2013: interno. © KVA Matx Team
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stema di tende mobili e dotata all’esterno di moduli fotovoltaici
integrati negli infissi. Negli anni ’90 si estese l’impiego delle
tecnologie fotovoltaiche integrate agli edifici. Si vedano a questo proposito molte realizzazioni di quel periodo: la Mont-Cenis
Academy a (D) di Kourda & Perraudin (1991-99), la biblioteca
Pompeau Fabra a Barcellona di Miquel Brullet (1996), il castello Groenhof a Flunders (B) di Samyn & Partners (1996-99), le
abitazioni ad Amersfoort (NL) di Atelier Z (1997), la Solar Fabrik
a Friburgo (D) di Rolf & Hotz (1999), ecc.
Nel frattempo il principio originario dell’impiego del fotovoltaico, quello di disporre di energia elettrica per alimentare singoli
device scollegati dalla rete di alimentazione, è stato applicato
trasversalmente in altri settori della produzione. Fra questi il
settore della moda ha guardato con attenzione alle possibilità
offerte dalle tecnologie emergenti. Con lo sviluppo delle tecnologie fotovoltaiche a film sottile infatti è stato possibile integrare degli abiti (ad esempio delle giacche) con moduli fotovoltaici in grado di ricaricare le batterie di dispositivi portatili come
riproduttori musicali, telefoni cellulari e altro (si vedano ad
esempio i modelli commercializzati da Zegna). Negli anni 2000
l’azienda tedesca Interactive Wear, leader nell’integrazione
fra abbigliamento e tecnologie elettroniche, in collaborazione
con AB Ludvig Svensson, produttore di tessuti, G24 Innovations
produttore di tecnologie fotovoltaiche e l’architetto americano
Sheila Kennedy ha unito questi know-how nella produzione di
un tessuto fotovoltaico utilizzabile all’esterno degli edifici. Il
tessuto di base proviene dai sistemi di schermatura utilizzati
per le serre, mentre la tecnologia fotovoltaica è di tipo organico a film sottile. L’idea progettuale trae probabilmente ispirazione dalla Curtain Wall House di Shigeru Ban a Tokyo (1995):
un’abitazione completamente avvolta da un tessuto che diventa
anche parete.
Negli ultimi anni anche alcune aziende locali si sono cimentate
nella produzione di tende da sole con integrazione fotovoltaica,
con risultati apparentemente poco convincenti. Soluzione tecnologica che potrebbe diventare interessante se pensata per
l’alimentazione di singoli apparecchi ma che crea non pochi
dubbi nel momento in cui l’energia prodotta deve essere messa
in rete. In ogni caso, a parte qualche raro caso di architectural
design di alto livello, resta aperto l’ampio problema dell’integrazione architettonica e soprattutto paesaggistica di queste
tecnologie smart, problema che andrà affrontato con sempre
maggior impegno visto il crescente interesse verso la creazione delle smart cities. Di seguito riportiamo la descrizione di alcuni casi studio che si ritengono di particolare interesse.
Casi studio
Soft House
Lo studio di Boston Kennedy & Violich Architecture, interessati principalmente al modo in cui le nanotecnologie possono
essere integrate in architettura con lo scopo di favorire l’interazione tra persone, attività e spazi, ha sperimentato un nuovo
Soft House, Amburgo, Marzo 2013: esterno © KVA Matx Team
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modo per integrare il sistema fotovoltaico alla pelle esterna degli
edifici. Ciò si è materializzato nella realizzazione di una casa-prototipo denominata Soft House (Figg. 3-4). Situata in prossimità del
sito che ospita l’International Building Exhibition (IBA) di Amburgo, adiacente ad un sistema di canali e parchi, la Soft House, che
consta di quattro case a schiera di tre piani ciascuna, è costituita
da una struttura in legno leggero e componenti lignei mobili, una
terrazza panoramica e un grande giardino. La particolarità dell’edificio risiede nell’utilizzo di determinati tessuti sintetici che al loro
interno ospitano celle fotovoltaiche. I tessuti sono stati posizionati
sia all’interno che all’esterno delle abitazioni.
La facciata dinamica a sud è costituita da fasce in tessuto semi-trasparente altamente riflettente in PTFE (politetrafluoroetilene) e strisce di film fotovoltaico applicati ad un sistema ad assi
orizzontali ad inseguimento solare. In questo modo gli elementi
fotovoltaici sono sempre orientati verso il sole, captando il massimo quantitativo di energia per alimentare l’abitazione. Il tessuto solare si trasforma anche in brise-soleil in grado di protegge i
locali interni dal calore durante i mesi estivi, lasciando penetrare
la luce in profondità nel periodo invernale (assumendo una posizione perpendicolare rispetto alla direzione del sole). Inoltre, ogni
striscia di tessuto si comporta come una superficie morbida a se
stante azionata da un sistema BMS (Building Management System), che ne consente la rotazione su se stessa, garantendo così
la massima resa per la produzione di energia. Gli utenti possono
comunque controllare manualmente il sistema schermante. Vi è
anche una parte installata in copertura progettata per potersi piegare in condizioni di forte pioggia così da evitare danni al tessuto.
Anche al loro interno le abitazioni risultano essere molto flessibili
grazie ad un sistema di tende mobili, traslucide e regolabili, che corrono lungo binari a soffitto e che hanno un sistema di illuminazione
LED integrata. L’energia generata da sistema (circa 16.000W/h) viene accumulata in una batteria e usata per azionare le tende stesse,
per alimentare gli elettrodomestici e le apparecchiature portatili,
per le pompe ad acqua che alimentano i pannelli radianti a pavimento e per l’illuminazione a LED. L’intero apparato è controllato
da un sistema a corrente continua wireless a bassa tensione. La
Soft House risulta essere completamente smontabile e riciclabile.
SunHopes
Joseph Cory, designer dello studio Geotectura, ha recentemente
ideato, grazie alla collaborazione dell’ingegnere aerospaziale Pini
Gurfil, dei palloncini solari galleggianti, in grado di captare l’energia proveniente dal sole anche in quelle zone urbanizzate in cui
l’alta densità abitativa renderebbe il posizionamento dei pannelli solari tradizionali praticamente impossibile. Questa tecnologia
può essere collocata anche in zone desertiche, nelle isole oppure
nelle foreste (Figg. 4-5). Inoltre, il veloce e facile montaggio del
dispositivo, lo rende adatto per eventuali situazioni d’emergenza.
SunHopes è una struttura che si sviluppa in altezza. È composta da
un pannello di controllo, un cavo di approvvigionamento per l’elio,
un cavo di alimentazione e un pallone riempito con l’elio. Quest’ultimo è inoltre rivestito da un nuovo tessuto spalmato di celle solari
fotovoltaiche a film sottile, impermeabile, elastico e resistente ai
Progetto SunHopes © Joseph Cory – Geotectura Studio
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raggi UV. Tale vernice è stata realizzata tramite un particolare
materiale formato da nanoparticelle metalliche semiconduttrici
di diossido di titanio rivestite o con del solfuro di cadmio o con
seleniuro di cadmio. Essa può essere applicata su qualsiasi superficie a costi alquanto modesti. Queste piattaforme modulari
sono, infine, agganciate al suolo con un sistema di cavi che permettono di rifornire di gas i palloni e nello stesso tempo portare
a terra l’energia raccolta.
SMIT’s Tensile Solar panels
Lo studio newyorkese di design SMIT (Sustainably Minded Interactive Technology) con cui collaborano Samuel Cochran e Teresita Cochran assieme all’architetto Benjamin Howes, ha ideato
una serie di strutture flessibili, leggere e personalizzabili altamente innovative nell’ambito dello sfruttamento delle energie
rinnovabili, in particolare per quanto riguarda il fotovoltaico. La
più recente di tali invenzioni è stata denominata “Tensile Solar”,
ovvero una tenda utilizzata come schermatura solare, che al
contempo ha l’opportunità di produrre energia elettrica. Questa
peculiarità è resa possibile dalle caratteristiche del materiale
impiegato per realizzare la tenda: un tessuto ultraleggero all’interno del quale è stato inserito un film di materiale fotovoltaico,
sorretto da una struttura tubolare in acciaio e da tiranti posti alle
estremità. La tenda, essendo modulare, può essere realizzata in
diverse forme e dimensioni ed è facilmente sostituibile in caso
di rottura. Utilizzando un semiconduttore in CIGS (composto
da Rame, Indio, Gallio e Selenio) produce più elettricità con la
stessa quantità di luce rispetto agli altri film sottili e perciò possiede un’alta efficienza di conversione. “Tensile Solar” è inoltre
strutturalmente resistente alle intemperie ed è riciclabile.
Un altro progetto di SMIT, risalente a qualche anno fa, è caratterizzato invece da moduli fotovoltaici di dimensioni più ridotte
che traggono ispirazione da una pianta rampicante. La prima
versione del progetto (Grow) è rappresentata da un modulo di
cinque foglie, ciascuna costituita da una base in polietilene di
colore verde, sulla quale sono incollate celle solari a film sottile,
incapsulate a loro volta da un polimero protettivo, così da simulare, per l’appunto, una pianta d’edera. A seconda delle esigenze
architettoniche o della visibilità, la densità delle foglie agganciate alla maglia in acciaio inossidabile, a sua volta ancorata alla
struttura dell’edificio, risulta essere estremamente variabile.
Oltre a sfruttare l’irraggiamento solare, questa prima versione
prevede l’integrazione di un dispositivo piezoelettrico in modo
da generare energia anche dal vento. Infatti, durante le giornate
ventose, le foglie hanno la possibilità di oscillare assorbendo così
l’energia eolica. Tuttavia, la commercializzazione di tale progetto
non ha avuto molto successo a causa dei costi piuttosto elevati
dovuti alla generazione eolica. Pertanto la seconda versione del
progetto (costituita da 500 foglie), chiamata “Solar Ivy”, sfrutta
unicamente la tecnologia fotovoltaica, producendo 250 watt per
abitazione. I vantaggi di questo tipo di tecnologia sono rappresentati, come già accennato, dai costi più bassi rispetto a quelli
di un comune pannello fotovoltaico e dalla possibilità di adattare
l’intera struttura alla facciata su cui viene installata. Va ricordato
inoltre che questi moduli risultano essere totalmente riciclabili.
Progetto SunHopes © Joseph Cory – Geotectura Studio