Storie del numero 7
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Storie del numero 7
Autore: Sergio Maxia Titolo : Storie del numero 7 L’ho preso tutte le mattine per andare a scuola, dal 1967 al 1972. Adesso non ha più le aste, ed e' diventato autobus. Ma quel numero -7- io non lo dimentico, insieme a pochi altri numeri e date della mia vita. Lo vedo spesso ancora oggi, mentre avanza con i soliti problemi di traffico e di curve strette. A volte, le aste perdevano il contatto con i cavi dell'alta tensione, e allora bigliettaio e autista, uscivano allo scoperto, incuranti dei clacson e con qualunque tempo, per rimettere tutto a posto. Una cosa da specialisti: guanti grossi per manovrare i cavi d’acciaio sporchissimi. Normalmente tutto andava bene. Sfuriate reciproche, braccia aperte verso gli automobilisti, in caso di ripetuti insuccessi. Da un po' di tempo -da molto tempo- mi è venuta voglia di riprenderlo, e tornare su quelle stesse strade e fermate. Devo trovare qualche spunto interessante per l'ultimo film, che ho quasi finito di scrivere. Ieri mattina decido finalmente di fare l'operazione. "Scusi, dove prendo il biglietto? " Una signora sugli anta, dall’aspetto curato. Giacca, maglietta e jeans. "In edicola, a destra. Passa fra 4 minuti". Sarò sembrato un esperto, ma cinque minuti prima avevo anch’io chiesto informazioni, e poi acquistato il biglietto. Erano anni che non prendevo un bus. Dovrebbe farcela. Ma non faccio caso, e non l'aspetto. Dopo quattro minuti esatti - il display avverte- eccolo che arriva. Ha appena svoltato l'angolo. Ha un piglio allegro e deciso. Ci sono poche persone in attesa. Faccio passare. Entro, oblitero, e mi siedo in coda. Zona strategica per osservare la situazione senza dare troppo nell'occhio. Nessuno conosciuto. Bene. Posso godermi il viaggio in totale libertà. In piedi, pronta per scendere c’è una signora che somiglia proprio a Maria, la mia compagna di scuola. Mi guarda un attimo, e scende. Non era lei. Chissà dove va adesso. Il capolinea è ancora lontano. C’è poca gente, e senza particolari caratteristiche. Piuttosto rilassata devo dire. Sono le 11 di mattina, illuminata da un sole di aprile. All'epoca la scena era tutt’altra. C’era il bigliettaio in divisa blu-avio, cinturone nero e tracolla in pelle. C'erano sempre molti studenti. C'erano odori e profumi veraci. Sonno e fretta insieme. Spintoni. Erano le fatidiche 7,40 d'autunno. Fredde, tese, tristi senza speranza. Di quando si andava a scuola. A Milano e Parigi l’intellighenzia era in agitazione. In America Joan Baez cantava il Vietnam. A New York c'era Andy Warhol e la sua Pop Art. Di là gli animi erano in fiamme. Di qua, davanti a me, c’era un bigliettaio grasso in divisa, che contava gli spiccioli e sparava massime locali di pessimo gusto. Il bus era vecchio, sgangherato e sporco, quasi da terzo mondo, e ai passeggeri quei fermenti intellettuali e giovanili non interessavano proprio. Adesso, dopo una generazione, molte cose sono cambiate, almeno nell'apparenza. La locandina con una hostess di volo sollecita l'iscrizione a un corso di lingue. You study with me. Sconti fino a maggio. Buona idea. Alla quarta fermata entra una ragazza sui 20 anni. Un tipo, non bella. Indossa una t-shirt nera con chiare allusioni sessuali, jeans chiari e logori. Guarda l’orizzonte spaesata. Una zingara incinta tutta ingioiellata, occhi grandi e scurissimi. Un signore con occhiali e capelli bianchi che sembra un professore. Una coppia di innamorati, probabili turisti francesi. Altra fermata, altra gente entra, altra gente scende. Al capolinea rimane solo una signora, in prima fila. Sta parlando col conducente, che poi saluta e scende. Il motore e' spento, il 7 aspetta paziente. Mi accorgo che era lei la signora che mi ha chiesto del biglietto, all'inizio della corsa. Sta smanettando su uno smartphone. Attendo che finisca, e mi avvicino incuriosito: "Sono una giornalista del quotidiano locale, ma ora voglio scrivere una storia importante e tutta mia”. Le faccio i migliori auguri e la saluto. Scendiamo e prendiamo strade opposte. Sale poi un altro conducente che rimette in moto. Mezzo minuto. Il bus gira intorno alla piazza, e riparte. Ogni tanto lo puliscono, e gli danno una controllata. La sceneggiatura della mia storia avrà un bus con: 1) zero fermate, che sono odiose, e destinazione Paradiso, dove pero' non si arriva mai. 2) musica soft, vetri molto fumé, e luci basse, calde. 3) sedili reclinabili in pelle, extra-large, con massaggio shiatzu incorporato. 4) lusso, eros e bella gente. Storie intriganti. 5) metterei anche un free bar di là, per sorseggiare tranquillamente un long drink alla frutta, e prendere un cappuccio la mattina. 6) legno, molto legno chiaro, e leggeri profumi orientali. 7) salviette ovunque, per gli usi più disparati. 8) un fumoir riservato per degustare sigari toscani e raffinati cognac francesi. 9) un bagno enorme in coda, dove si possa entrare, all'occorrenza, anche in due. Se me lo finanziano, conto di presentare il film alla prossima Biennale, e quest'anno punto all’Oscar, lo sento.