Tre corse, la quarta è ancora da fare!

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Tre corse, la quarta è ancora da fare!
…Tre corse, la quarta è ancora da fare!
<Prego signore, mi faccia vedere il suo biglietto>! E’ sempre così che inizia la cernita
per scoprire e multare, se c’è qualche “portoghese” sul bus. I controllori
generalmente siamo due e allora si va all’attacco entrando uno dalla porta anteriore e
l’altro da quella di coda e velocemente chiudiamo la manovra a mo’ di tenaglia e chi
è senza biglietto non ha scampo. Chi non è in regola deve pagare; pure il signor
“…voi non sapete chi sono io…”, a cui generosamente noi gli lasciamo prima dire
chi è, ma poi tocca pagare anche a lui, come agli altri.
Con il mio collega, dagli amici chiamato il “Lupo”, per via dei folti capelli che gli
coprono la fronte e le cespugliose sopracciglia che fanno appena intravedere gli
occhi, stavamo per dare l’assalto alla prima “vetrina mobile” . Il controllo scorreva
bene e quindi convergemmo verso il centro del bus senza intoppi. Arrivammo vicini a
un uomo anziano che assorto guardava dal finestrino con la curiosità di un bambino e
sembrava non avvedersi di nulla. Ripetemmo con il mio collega la solita frase di rito
anche per lui che finalmente si girò verso di noi e iniziò la ricerca del biglietto nelle
tasche, ma senza riuscire a trovarlo. Il “Lupo” già guardava ironico e feroce la sua
“preda”. Io pensavo, questa scena l’ho vista già troppe volte, ora comincerà a
farfugliare scuse inverosimili, come: “Sa, ho sbagliato autobus…; stavo per
scendere…”.
Invece no. Dietro gli spessi occhiali da miope di quell’uomo intravidi nei suoi occhi
prima perplessità e sconforto, poi una remissiva umiltà per l’umiliazione e il danno
economico che sicuramente avrebbe presto subito. E fu allora, guardandolo negli
occhi, che fui proiettato, in un momento, a circa venti anni prima.
Mi rividi, appena quindicenne che salivo con i miei compagni su un bus e mentre
loro si disponevano intorno io iniziavo la mia sconsiderata operazione di “borsalino”
su un signore, che girato di spalle mi stava davanti, leggendo il giornale. I miei amici
pregustavano già la pizza che avevo loro promesso, mentre io me la stavo facendo
sotto per la paura, maledicendo la mia spacconeria e la mia voglia di farmi bello e
spregiudicato davanti alla mia ragazza. Il residuo buon senso che mi restava mi
diceva di non farlo, ma la mia pazza incoscienza e la paura di perdere poi la faccia fu
più forte di me e allungai quindi la mano verso il portafoglio di quell’uomo e sudando
freddo cercai di sfilarglielo di tasca. Un momento dopo la mia mano fu stretta come
in una morsa dalla mano del mancato derubato e un tesserino di carabiniere messomi
da lui sotto il naso mi fece capire con chi avevo a che fare. Il carabiniere in borghese
non aveva ancora detto una parola e mi fece solo cenno di scendere con lui alla
fermata dopo, mentre i miei compagni, compresa la mia ragazza, si eclissavano
vergognosamente, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
Non mi portò in caserma, passeggiammo e mi disse semplicemente: <Voglio darti
una possibilità, così come un padre la concede sempre a un figliolo e guardandomi
negli occhi aggiunse, dammi la tua parola d’onore che ti manterrai sempre onesto>.
Io glielo promisi suggellando il mio impegno con una decisa stretta di mano. E da
allora ho sempre mantenuto fede alla mia promessa.
Ora quello stesso uomo mi stava davanti e io non potevo fare nulla per aiutarlo e per
la prima volta avrei voluto mancare a quella promessa fatta a lui e a me stesso. No,
non potevo fare nulla e lui con quella sua aria indifesa e mite mi faceva sentire ancora
di più un verme. Nel frattempo una signora che aveva osservato tutta la scena
esclamò: ma lui il biglietto lo aveva, perché l’ha timbrato prima di me, quindi deve
essergli caduto e non se n’è accorto! Poi, guardando per terra, un po’ più in la, vide
un biglietto, lo prese e lo consegnò al mio collega, mentre io come un ebete guardavo
senza intervenire. Il “Lupo” con un eccesso di prudenza gli chiese: con questo
biglietto quante corse sono state effettuate? E quell’uomo rispose: tre corse, la
quarta è ancora da fare. Era vero! Riebbe così il suo biglietto e le nostre scuse e
quando io gli strinsi la mano, come tanto tempo fa, mi guardò negli occhi e io
compresi che mi aveva riconosciuto perché nel suo sguardo c’era un felice orgoglio
“paterno” e la gioia per una fiducia in me, ben riposta. Lui, invece, nel mio sguardo,
lesse tanta riconoscenza.
Dopo che fummo scesi dal bus, il mio collega mi disse: Ma che hai? Sembra che tu
abbia visto un fantasma! Io risposi: no, ho rivisto un “angelo”. Lui fece eco… un
angelo? Ripresi io, come se parlassi a me stesso: sì, proprio un angelo del passato…
Il “Lupo” è un mio buon amico e quando non capisce qualcosa, o un mio discorso
sfugge alla sua comprensione, per non dispiacermi glissa e se ne esce con la sua solita
proposta: <Sai che ti dico? Io ho una fame assassina, perché non ci facciamo due
belle fette di pane toscano con il “lampredotto” e un buon “gotto” di vino che ci
rimette al mondo>?
Raffaele Addamo Giuseppe