Comparazione e metodo comparativo di Roberto Fideli (2016) I

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Comparazione e metodo comparativo di Roberto Fideli (2016) I
Comparazione e metodo comparativo
di Roberto Fideli (2016)
I. Scienza e humanities.
II. La comparazione come attività empirica.
III. Tecniche per la ricerca trans-culturale e trans-nazionale in biologia.
IV. Il metodo comparativo della biologia.
V. Distorsioni nella scienza: antropomorfismo e naturalizzazione del
culturale.
VI. La tassonomia delle lingue e il metodo comparativo della filologia.
I. Scienza e humanities.
“The humanities include the study of all languages and literatures, the arts,
history, and philosophy”.
“Science (is) any system of knowledge that is concerned with the physical
world and its phenomena and that entails unbiased observations and
systematic experimentation”.
(dall’Encyclopaedia Britannica del 2012)
“Humanities: the study of subjects such as literature, language, history and
philosophy”.
“Science is knowledge obtained from the systematic study of the structure
and behaviour of the physical world”.
(dal Cambridge dictionary in advanced English, seconda edizione, 2005).
Il dizionario avanzato dell’università di Oxford fornisce la stessa distinzione.
Vado oltre la semplice traduzione e propongo mie definizioni.
“Le humanities riguardano la condizione umana e si esprimono nell’arte,
nella giurisprudenza, nella letteratura”.
“La scienza è conoscenza ottenuta dallo studio accurato e sistematico del
mondo fisico, incluso l’uomo in quanto animale e i suoi prodotti in quanto
entità fisiche o biologiche”.
Ora chiedo al lettore di aprire un dizionario inglese-italiano. Non si può
tradurre humanities con una sola parola. La parola umanità al plurale
suonerebbe priva di senso ad un comune parlante. E parlare di humanitates
richiamerebbe un mondo latino da noi distante. Pertanto, non traduco in
italiano la parola ‘humanities’ poiché almeno due parole sono necessarie
(attività umanistiche, studi umanistici, etc.). Il termine ‘science’ non pone un
problema di traduzione. Scientia è un termine latino dal quale proviene
‘scienza’. Gli oggetti delle scienze (fisica, chimica, biologia) non reagiscono a
quanto è detto o scritto su di loro. Ciò vale anche per l’uomo in quanto
animale dotato di emozioni e istinti che hanno una base neuronale e
genetica.
Le humanities sono anche empiriche. Peraltro, l’umanista desidera una
reazione dei suoi soggetti di studio o, se è uno storico contemporaneo, ne
deve tenere conto. E lo storico dell’architettura e dell’arte, del diritto o della
letteratura che studia il passato non ha di fronte a sé un oggetto passivo, ma
una moltitudine di soggetti che erano mossi da intenzioni nelle loro azioni ed
erano essi stessi capaci di interpretare gli eventi1.
Seguendo l’etimologia, la filologia è una riflessione sulla lingua scritta e
parlata. In base all’analisi del DNA e alla conformazione cerebrale di un
neonato quale scienziato può dire quale lingua o quali lingue parlerà? Il
linguaggio è appreso tramite la cultura ed è un ambito nel quale anche gli
adulti esercitano la libera volontà, pur non potendo ignorare i vincoli posti
dalla fisiologia. In De vulgari eloquentia (1303-4) Dante Alighieri comprese
che il linguaggio non è un istinto, ma è appreso culturalmente dagli esseri
umani (vulgarem locutionem appellamus eam quam infantes assuefiunt ab
1
La storiografia richiede pratica scientifica o umanistica qualificata. Inoltre, la storiografia
generalista non è professionale e rischia di diventare pseudo-scientifica. assistentibus cum primitus distinguere voces incipient; I, I, 2). Così come ogni
altra pratica culturale, il linguaggio è trasmesso sistematicamente da una
generazione all’altra. Invece la comunicazione animale è in larga parte
innata. Alcuni animali sono in grado di trasmettere singole pratiche o suoni da
un esemplare all’altro: non ha senso parlare di culture animali. Alighieri
sostenne che gli altri animali non hanno ragione e linguaggio, ma solo istinti
(Inferioribus quoque animalibus, cum solo nature instinctu ducuntur, de
locutione non oportuit provideri; I, II; 5; homo non nature instinctu, sed ratione
moveatur; I, III, 1). Peraltro, oggi gli scienziati sanno che anche gli esseri
umani sono dotati di alcuni istinti naturali e che alcuni animali non umani a noi
cari sono dotati se non di ragione e intelligenza, almeno di emozioni e di
capacità cognitive, in particolare apprendimento e memoria, come intuì lo
zoologo Aristotele (Metafisica, I, 980a, 980b).
Per i greci il λóγoς era sia il linguaggio sia il calcolo, analogamente a
quanto avviene nel termine norreno tala. Il norreno è la lingua germanica più
affine al proto-germanico, visto che è la lingua scritta più antica della
Scandinavia e l’antenato di tutte le lingue germaniche settentrionali. Ancora
oggi gli olandesi chiamano taal il linguaggio; e la stessa radice compare nel
verbo inglese talk. L’analogia semantica tra greco e norreno è un indizio della
vicinanza tra il ragionamento linguistico e quello logico.
Vediamo ora brevemente quali sono le basi fisiologiche del ragionamento
linguistico e logico. Il ragionamento linguistico, il λóγoς, è localizzato
nell’emisfero sinistro, e precisamente nell’area di Broca del lobo frontale,
responsabile del nostro linguaggio parlato, e in quella di Wernicke del lobo
temporale, che decodifica la conversazione e i segni scritti. Queste aree sono
connesse al ragionamento logico, che in entrambi gli emisferi coinvolge
anche l’area parietale, che organizza le informazioni sensoriali, e la corteccia
pre-frontale, che è responsabile dei processi decisionali. L’intelligenza è una
dote genetica che l’evoluzione biologica ha consegnato solo agli esseri
umani.
La mano destra è governata dall’emisfero sinistro a causa di una
deviazione del nervo ottico. Anche nella gran parte dei mancini l’emisfero
sinistro è dominante. Il Wada test consente di anestetizzare uno dei due
emisferi mediante un’iniezione, evidenziando le capacità dell’altro. In genere
un paziente con l’emisfero sinistro anestetizzato è in grado di cantare, ma
non può scrivere; ed anche il ragionamento logico si affievolisce. Negli altri
animali dotati di un sistema nervoso centrale c’è specializzazione tra i due
emisferi; ma l’asimmetria è un tratto tipicamente umano. Tra gli scienziati,
qualcuno ha ipotizzato che l’asimmetria derivi dalla ritualizzazione dei duelli,
non prendendo in considerazione la debole virtù bellicosa delle donne del
passato, se escludiamo le amazzoni, che peraltro erano forse frutto di
fantasia. E ciascun bambino trae il proprio DNA da entrambi i genitori. Altri
ipotizzano che siano state le regole nella scrittura a dare alla mano destra, e
quindi all’emisfero sinistro, una superiorità. Ma l’evidenza scientifica non è
alla portata di chi avanza queste congetture che stabiliscono una relazione
tra cambiamento culturale ed evoluzione naturale. E’ invece plausibile che nel
corso dell’evoluzione naturale cause fisiologiche siano state decisive: la
posizione del cuore e il fatto che le cure parentali siano molto più lunghe nella
sotto-specie homo sapiens sapiens rispetto agli altri primati e coinvolgano sia
la madre sia il padre2. Anche i nostri antenati tendevano a tenere a lungo i
bambini sulla parte sinistra dove si rilassano facilmente, lasciando la mano
destra libera per la manipolazione e favorendo in tal modo lo sviluppo
dell’emisfero sinistro, che governa la mano destra. Quest’ipotesi potrebbe
essere posta al vaglio dai biologi3. I cervelli non fossilizzano; ma qualche
traccia rimane nel teschio. E nuove tecniche potrebbero essere sviluppate
per accertare quando l’asimmetria cominciò e in quali condizioni ambientali e
familiari. Comunque, i biologi concordano sul fatto che nel paleolitico la
manipolazione di pietre e stecchi, resa agevole dalla posizione eretta,
promosse lo sviluppo dell’intelligenza. In origine la posizione eretta si
sviluppò proprio per i vantaggi nella manipolazione e nella cura della prole.
2
L’altra sotto-specie dell’homo sapiens è il Neanderthal, col quale il sapiens sapiens si incrociò. Il
Neanderthal diede un piccolo contributo all’attuale genetica asiatica ed europea, come mostra la
recente ricerca (vedi Wikipedia Neanderthal genome project). 3
Vedi Cambridge encyclopedia of human evolution (1992), paragrafi 2.8, 3.2 e 9.3.
Il termine greco πáθος può essere tradotto come emozione. La
neurologia sperimentale mostra che le emozioni sono prodotte dal sistema
nervoso centrale, ed in particolare dall’amigdala nel lobo temporale. Ciò
accade anche negli animali filogeneticamente più vicini a noi, come i primati e
i carnivori, che peraltro tendono ad esprimere le emozioni con espressioni
facciali diverse. Ad esempio, l’espressione a bocca aperta dello scimpanzé è
omologa al nostro sorriso. Avvalendosi di tests visuali e questionari, la ricerca
biologica ha riscontrato che le emozioni di base (disgusto, gioia, paura,
rabbia, sorpresa, tristezza) sono espresse dal viso e riconosciute nelle stesso
modo da tutte le etnie umane (vedi cap. 3).
Invece,
gli
istinti,
localizzati
nell’area
pre-frontale,
producono
comportamenti motori nello spazio che ci rapportano ad altri esseri viventi o
al mondo naturale. Basta pensare alla vasta gamma di comportamenti
infantili, dalla curiosità al gioco, dalla territorialità all’aggressività.
In senso lato, il termine πáθος può essere tradotto come sentimento o
passione. Peraltro, il tentativo di localizzare nel cervello sentimenti e passioni
come l’ammirazione non ha finora fornito risultati degni di rilievo.
Quindi, alcuni segnali sensoriali sono riconosciuti in modo innato dal
cervello, che con un rilascio innato provoca le espressioni facciali o i
comportamenti motori.
Emozioni, istinti e cognizione, e quindi ragionamento, sono connessi. Il
dualismo religioso, che separa completamente il corpo dalla mente, supposta
sede dell’anima immortale e che celebra una presunta razionalità senza
alcun rapporto col mondo corporeo, è privo di evidenza empirica. Corpo e
mente sono entità distinte, ma unite in un solo Sé per chi rifiuta il dualismo
partendo dalla materialità del corpo e dalla continuità dell’identità personale:
“Sum, ergo cogito”4 Ogni informazione sensoriale è organizzata dal cervello,
particolarmente dall’area parietale, coinvolta nel ragionamento logico
La dotazione neuronale è in larga parte innata ed assegnata dalla nascita;
ma il cervello umano continua a svilupparsi fino al ventesimo anno di età,
quando raggiunge la sua perfetta funzionalità. Dopo quest’età è possibile
stabilire nuove sinapsi, ovvero connessioni tra neuroni. Le norme religiose
che impediscono la sessualità tra due adulti eterosessuali sani e consenzienti
non strettamente legati tra loro dalla genetica sono contrarie alla deontologia
biologica e medica5.
Nel IV secolo AC il greco Ippocrate scoprì la funzione del cervello
umano e stabilì la deontologia medica. Nel secolo successivo lo zoologo
Aristotele fu in grado di classificare gran parte delle specie che cadevano
4
Vedi il filologo e scrittore Miguel de Unamuno, Del sentimiento trágico de la vida en los
hombres y los pueblos, Madrid, Renacimiento, 1913, cap. 2. Ovviamente tali norme sono in contrasto con la regolamentazione giuridica della
5
prostituzione eterosessuale.
sotto la sua attenta osservazione fornendo agli scienziati uno strumento che
fu applicato fino al XVIII secolo, tanto che il suo nome appare ancora oggi nei
manuali di zoologia. La fisica aristotelica era basata sul geocentrismo e su
una teoria gravitazionale imperfetta. Egli comprese l’importanza nella scienza
della spiegazione causale, anche se tendeva ad usare questa espressione in
modo estensivo. La sua spiegazione della velocità di caduta di un corpo sulla
Terra considerava solo il peso e trascurava la distanza. Essa fu adottata
dogmaticamente dalla scolastica medioevale e fu falsificata da Newton con le
sue leggi di gravitazione. Ai nostri occhi, le nozioni di medicina di Aristotele
appaiono bizzarre: per lui la sede della mente era il cuore. Le malattie
nascevano da quattro fluidi: il sangue, la flemma, la bile nera e quella gialla.
A ciascuno di essi corrispondeva una personalità: sanguigna, flemmatica,
collerica, malinconica. Ma – per quanto screditate appaiono oggi queste sue
idee -- bisogna riconoscere che egli riconobbe la molteplicità delle scienze,
dando legittimazione scientifica anche alla botanica e alla zoologia. Nella
scienza moderna esse sono branche della biologia, termine ideato nel 1802
da Lamarck. La classificazione morfologica delle specie era operata mediante
la rilevazione per via induttiva di somiglianze (tà όμoia) e differenze
(diaφorái).
Aristotele
contestò
la
tendenza
dicotomica,
fornendo
classificazioni più articolate, come in particolare quella delle classi di animali.
E comprese che il senso del tatto differenzia gli animali dai vegetali
(Aristotele, De anima, libro III). Per lo zoologo greco descrizione e
comparazione precedevano la classificazione ed erano esclusivamente
rivolte ad essa. Il suo fissismo dominò la biologia fino all’epoca in cui si
affermò la teoria dell’evoluzione, fornendo prove empiriche del fatto che le
specie non fossero immutabili.
Aristotele intuì che alcune caratteristiche e alcuni comportamenti
animali e umani hanno origine in schemi innati (De generatione animalium,
paragrafo 760b). Descartes considerò innate nell’uomo le idee di movimento,
di spazio e di tempo, in contrasto con l’empirismo della sua epoca, che
vedeva nella mente una tabula rasa che doveva essere plasmata dalle
sensazioni6. Oggi la ricerca sperimentale attesta che l’alternarsi del sonno e
della veglia sono organizzati con un ritmo circadiano, di circa 24 ore, in
specie molto distanti dalla nostra tenute per alcuni giorni in condizione di
deprivazione (assenza di esposizione alla luce solare e lunare) per una
motivata esigenza sperimentale. E anche gli altri primati sono dotati di una
percezione tridimensionale, che nell’uomo è facile riscontrare sin dalle prime
fasi dell’ontogenesi. Secondo Descartes anche le emozioni umane
scaturivano dal cervello. Quasi tutti gli animali sono capaci di sentire piacere
e dolore. Le emozioni di base (curiosità, disgusto, gioia, paura, rabbia,
tristezza) sono espresse, sia pure in forma diversa, dagli altri primati. E la
nostra familiarità con animali filogeneticamente vicini a noi come cani e gatti
offre indizi nella stessa direzione. Il meccanicismo, che con la denominazione
6
Tra il 1628 e il 1649 il matematico e scienziato francese visse nei Paesi bassi. di comportamentismo è riapparso in epoca contemporanea, è unidirezionale
dal punto vista esplicativo. Il comportamento è visto sempre come una mera
risposta a stimoli esterni e mai come un’attivazione spontanea per soddisfare
esigenze basilari.
Gli istinti sono attitudini innate a comportarsi in un certo modo senza
alcuna previa educazione al compito, che devono essere quindi distinti
rigorosamente dalle abitudini. In accordo con l’uso nell’antico latino, nel
linguaggio medico il termine habitus, introdotto nel 1886, indicava la
costituzione fisica di una persona, la sua suscettibilità alle malattie. Oggi nella
lingua comune il termine italiano ‘abitudine’ (così come quello inglese ‘habit’)
non indica più una disposizione naturale, ma ha invece assunto l’accezione di
azione o comportamento appreso e ripetuto, a prescindere dal fatto che sia
benefico per l’organismo (come ad esempio andare in bicicletta) o dannoso
per esso (come ad esempio fumare una sigaretta). E’ opportuno distinguere
quel che è innato da quel che è appreso culturalmente o naturalmente.
Nel II secolo DC il medico greco Galeno rilevò somiglianze tra il cervello
degli altri primati e quello umano, senza arrivare a concepire un’omologia che
fu stabilita solo dalla teoria evoluzionista del XIX secolo. Il paganesimo era
forse destinato a divenire fantasia letteraria di fronte all’avanzata della
scienza col suo ancoraggio alla realtà e la sua ostinazione nella ricerca della
verità quando Costantino I col suo atto di tolleranza (313 DC) riconobbe il
cristianesimo nella speranza di porre fine alla violenza prodotta da ogni
fanatismo religioso. Nel 380 DC Teodosio I rese il cristianesimo religione di
Stato. Alla sua morte nel 395 DC l’impero fu diviso tra i suoi due figli. Nel 476
il germanico orientale Odoacre, di religione ariana, divenne il primo re d’Italia,
segnando con questa data la fine dell’antichità, inaugurata dalle città greche.
La relazione causale richiede una contiguità tra causa ed effetto che è
assente in questa mia rapida ricostruzione. Peraltro, una catena causale può
condurre ad epoche precedenti ad un certo evento, come il crollo dell’impero
romano. In ogni caso, il declino scientifico nel medioevo europeo giudaicocristiano è un fatto accertato.
I tedeschi convertiti al cristianesimo mostrarono ambizioni imperiali fin
dal medioevo. E’ empiricamente infondato attribuire alla Germania un destino
bellicoso e negativo. Dopo la sconfitta delle truppe di Augusto nella foresta di
Teutoburgo ad opera del tedesco Arminio (9 DC) per circa quattro secoli i
latini e le diverse etnie germaniche vissero sostanzialmente in pace nei propri
territori. Fu l’invasione unna a sospingere i germanici verso occidente. La crisi
dell’impero romano facilitò la loro avanzata.
Quindi la filologia si occupa sia del linguaggio scritto sia di quello
parlato. Archivistica e biblioteconomia hanno un interesse più ristretto, per
quanto utili siano le loro conoscenze tecniche. Ma il filologo non deve avere a
che fare solo con la carta o con testi digitalizzati: deve anche considerare la
conversazione, la lingua parlata e viva, avvalendosi delle moderne tecnologie
con l’ausilio di tecnici preparati. Entro le discipline del trivio, gli ambiti di
pertinenza della filologia sono la grammatica e la retorica, che trovano
perfetta espressione nella letteratura.
I classici distinguevano le discipline del trivium (dialettica, grammatica,
retorica) da quelle del quadrivium (aritmetica, astronomia, geometria,
musica), che nell’insieme costituivano le sette arti liberali (da liber, libro). Il
quadrivio include quella che oggi chiameremmo scienza teorica, una
disciplina formale come la matematica e la musica, che è un’arte. Gli studi
umanistici corrispondevano sostanzialmente al trivio. Nel Rinascimento le arti
liberali furono integrate dalle cosiddette “arti meccaniche” come ingegneria e
medicina, di natura tecnico-scientifica e applicativa, e quindi capaci di fornire
prodotti concreti.
Il filologo si occupa di grammatica e retorica, ma non di dialettica, che è
di pertinenza del giurista. Il filologo studia la grammatica come disciplina
prescrittiva, ma anche la pragmatica, ovvero gli usi quotidiani della lingua,
estendendo la sua riflessione ai dialetti e ai gerghi. La pragmatica si occupa
delle conseguenze del linguaggio e della coerenza tra parole e fatti. Il filologo
non è solo grammatico ed esperto di retorica, ma anche critico e storico della
lingua e della letteratura. Il termine ‘filologia’ fu impiegato in questa accezione
dal secolo XVIII. La filologia può svilupparsi solo da chiare posizioni
deontologiche che rendono possibile una fruttuosa ricerca testuale.
Un noto problema della filologia, in particolare classica e medioevale, è
la formulazione di un’edizione autentica a partire da più manoscritti di uno
stesso testo. Io non ho mai dovuto affrontare problemi di questa natura. Molto
ho invece riflettuto sulla possibilità di giungere a evidenze testuali
corrispondenti al pensiero dell’autore e sulle verità sul mondo esterno che
compaiono in un’opera di letteratura. Io rifiuto il principio della pluralità delle
interpretazioni e preferisco cercare l‘evidenza testuale corrispondente a quel
che davvero aveva in mente l’autore quando ha scritto una certa frase. Se la
sua idea è confusa, emergerà la confusione. Fortunatamente di solito i
letterati non hanno le idee confuse; e quindi emergerà la loro chiarezza in
modo univoco, pur ammettendo che le evidenze testuali siano correggibili in
futuro. Un’evidenza testuale può essere in contrasto con la storia e con la
scienza e non corrispondere a verità: Gesù non è resuscitato, malgrado i
Vangeli affermino questo. L’immaginazione letteraria si proietta nel tempo,
nello spazio e nei personaggi. Peraltro, al contrario dei teologi, i filologi
dovrebbero cercare evidenze testuali senza trascurare l’andamento effettivo
della storia e i risultati della scienza, che non possono essere contraddetti da
qualunque ricerca storica. La filologia non è semplice esegesi di testi, ma in
molti casi anche ricerca della verità sull’autore stesso e sul mondo culturale e
naturale che egli descrive. Particolarmente in teatro, un testo può essere
reinterpretato, senza peraltro dimenticare che una reinterpretazione è
un’innovazione rispetto al documento originale, il cui significato non deve
essere alterato.
Per comprendere il rapporto tra interprete e testo, alcuni fanno ricorso
alla metafora dell’orizzonte. L’orizzonte interpretativo cambia man mano che
l’interprete procede nel cammino: le nuove conoscenze consentono di gettare
luce su un testo del passato. Ma in questo caso il linguaggio metaforico è
fuorviante. L’interprete deve essere fedele non alla cultura della sua epoca, o
a qualche particolare sub-cultura, ma al senso trasmesso dall’autore del
testo.
In base alla mia esperienza di traduttore dall’inglese alla mia
madrelingua e dalla quest’ultima all’inglese, è più facile mantenere la fedeltà
al testo nella traduzione della prosa. Quando si traduce poesia per
mantenere l’originale musicalità, che spesso è espressa dalla rima, possono
essere necessari lievi cambiamenti lessicali e metrici rispetto al testo
originale. In particolare nel caso della poesia, una buona traduzione letteraria
può non essere una traduzione letterale. Piccole modifiche possono essere
richieste per mantenere la coerenza interna di un testo, che era già implicita
nella mente dell’autore, anche se la scelta dei termini può trarre in inganno.
Altri piccoli cambiamenti possono derivare dalla conoscenza globale del
pensiero di un autore. Quanto più un traduttore conosce un autore, tanto più i
mutamenti rispetto al testo originale appariranno ragionevoli.
Comunque, tradurre non significa tradire, ma rispettare l’evidenza
testuale. Il termine ‘tradurre’ deriva dal latino classico traducere e quello
translate dal participio passato del verbo fero. In entrambi i verbi la
preposizione ‘trans’ mette in evidenza lo scambio che si stabilisce tra la
lingua di partenza e quella di destinazione. Invece, il termine tradire proviene
dal latino ecclesiastico.
William James (New York 1842-Chocorua 1910) aveva antenati
scozzesi dell’Ulster secondo una fonte affidabile: una monografia pubblicata
dall’università della Carolina del Nord nel 1995. Gli Scoti, che avevano una
parlata celtica, erano i più antichi abitanti dell’Irlanda. Ma il background
genetico delle isole britanniche è prevalentemente paleo-europeo. Tra la fine
del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo molti scozzesi tornarono nell’Irlanda
del nord. Da lì si sviluppò una nuova migrazione verso il Canada e gli Stati
Uniti, che nel 1792 portò l’omonimo nonno dello scrittore americano nel
nuovo continente nel New England. Il giovane bostoniano William James
visse a lungo in Europa, dove in compagnia di tutta la famiglia fece gli studi
superiori in Francia e Inghilterra. Durante gli studi di medicina viaggiò in
Amazzonia in una spedizione scientifica e visse per un anno in Germania.
James si laureò nel 1869 nella Harvard medical school e fu professore
nella stessa università di anatomia e fisiologia comparata tra il 1872 e il 1873
e tra il 1874 e il 1879 e di fisiologia e igiene tra il 1879 e il 1882. In questo
periodo James fece alcune apprezzabili recensioni di pubblicazioni
scientifiche, prima come studente e poi come professore. Nel 1877 egli aveva
l’intelligenza, l’esperienza e il tempo per migliorare nella pratica. A mio parere
inopportunamente, in quell’anno passò dal dipartimento di scienze naturali a
quello di filosofia e psicologia, dove comunque pubblicò alcuni saggi
scientifici, particolarmente nel 1887. A livello teorico, lui fu un precursore della
ricerca scientifica sugli istinti innati, sebbene la sua teoria periferica delle
emozioni sia oramai falsificata, visto che sono generate dal sistema nervoso
centrale.
In Italia, e precisamente a Padova, nel 1893 ottenne un dottorato di
lettere. Edimburgo, Harvard e Princeton gli diedero un dottorato di diritto.
Qui io mi occupo di William James come poeta, rivalutando l’opinione
del suo conoscente Philip Hale (1854-1934) e proponendo ai lettori un suo
contributo alla letteratura inglese, che nel titolo riecheggia un poema di
Esiodo (VIII-VII secolo AC; Ἔργα καὶ ημέραι; Le opere e i giorni). Hale era un
laureato in diritto a Yale, un qualificato pianista e organista, un critico
musicale che scrisse i commenti per i concerti dalla Boston symphony
orchestra e articoli per giornali e riviste di quella città. Sia lui sia James erano
membri del Tavern club di Boston, fondato nel 1884, dove presumibilmente
all’inizio del nuovo secolo James scrisse, o comunque diede, la poesia al suo
conoscente. Fu pubblicata postuma da Hale nel Boston Herald nel 1924. Il
giornale fondato nel 1846 ottenne otto premi Pulitzer nel corso della sua
storia ed è tuttora considerato un’affidabile fonte di informazione. Nel 2012 la
rivista Editor and publisher lo inserì nella top ten dei giornali americani. Per
questa ragione i dubbi sull’autenticità avanzati in un testo pubblicato nel 1987
dall’università di Harvard, al quale collaborò il ph.d a Harvard e professore
emerito di inglese della Virginia Fredson Bowers, sembrano completamente
infondati.
In questa poesia sul flusso della vita nessuna entità super-umana è
menzionata e nessuna fede nella persistenza dell’anima è affermata. La vita
scorre inesorabile. E’ nostro compito darle un senso nella pubblica αγορά o
nella vita intima e privata. Il ritorno alla condizione di materia è accettato
orgogliosamente. Sulla base di questo testo, possiamo considerare l’autore
un agnostico che cerca la verità nella scienza, nella storia e nella vita
doggedly (testardamente, come dicono gli inglesi con una radice etimologica
che li unisce agli antichi franchi)? Questa tesi fu sostenuta in una monografia
pubblicata nel 1986 da Yale university press. Lascio la riflessione ai suoi
esegeti qualificati che hanno un’ampia conoscenza della sua opera e della
letteratura secondaria. Forse chi diede la poesia al Boston Herald era
agnostico, e certamente io sono un traduttore ateo che è rimasto fedele a
questo testo.
The days
di William James
(Boston Herald, 14 ottobre 1924)
One day, and one day, and so the years go by;
Flowers paint the meadow, stars light the sky,
Kisses follow laughter, the heart beats high,
One day, one day, and so the years fly.
One day, and one days, and years by slow degree;
The fresh winds blow and the winds cease,
Work brings reward and the good gift of peace;
One day, and one day, and so the years increase.
One day, and one day, and so the years wend;
Snow crowns the hills where the great day clouds descend,
colors of the noon in the twilight blend one day, and one day, and so the years end.
One day, and one day, and so the sands run;
flowers on the coffin gleaming in the sun,
the short journey over, the long rest begun,
one day, one day, and all the days are done.
Il sonetto include quartine con mono-rima AAAA, ad eccezione della
seconda quartina che è basata sull’assonanza. Una struttura simile era
presente nella chanson de geste europea (laisse). Questa struttura fu
sviluppata nel XV secolo nella letteratura olandese, dove tutte le parole del
verso dovevano rimare (aldicht). La poesia è deliziosa per le metafore "snow
crowns the hills" (la neve incorona le colline) and "flowers paint the meadow"
(i fiori dipingono il prato), che evocano la sua giovanile esperienza come
pittore, e per l’allitterazione "good gift" (dolce dono), tipicamente germanica. Il
poeta greco Mimnermo, nato nel VII secolo AC, parlò di μείλιχα δώρα (dolci
doni) della giovinezza. La mia traduzione è ispirata dal sonetto a rima baciata
AABB. I primi due versi di ogni quartina sono semi-rime, i due versi
successivi sono rime. Ho solo inserito alcune parole per rendere la rima
baciata in senso più tradizionale. Per questo menziono Crono, padre di molte
parole, e propongo la metafora della vita come strada calpestata da esseri
umani che lasciano tracce reali. I morti non lasciano tracce reali, se non nella
genetica dei vivi e nelle loro opere concrete.
I giorni
di William James
(Boston Herald, 14 ottobre 1924; traduzione di Roberto Fideli)
Un giorno, un altro giorno, gli anni da vivere lentamente passano.
I venti freschi soffiano e i venti cessano.
Il lavoro porta ricompensa e il dolce dono della pace.
Un giorno, un altro giorno, e gli anni vissuti così ti rendono incapace.
Un giorno, un altro giorno, e gli anni viaggiano;
la neve incorona le colline dove le grandi nubi grigie scendono piano.
I colori del mezzodì si mescolano a quelli del tramonto.
Un giorno, un altro giorno, e così gli anni terminano il loro racconto.
Un giorno, un altro giorno, e così le sabbie scorrono;
i fiori sulla bara scintillano al sole nel tempo che divenne di Crono.
Il breve viaggio è terminato, il lungo riposo cominciato.
Un giorno, un altro giorno, e i giorni non lasciano più tracce sul selciato.
Ho quindi sottolineato che i filologi vanno in cerca non solo di evidenza
testuale, ma anche di verità, sia pure contingenti e correggibili, analogamente
a quanto fanno gli scienziati. Faccio un esempio che mi riguarda
direttamente.
In una ricerca genetica basata su campioni non probabilistici tutti gli
abitanti della Sardegna sono stati separati dagli europei e con questi inseriti
in un eterogeneo gruppo caucasoide, del quale fanno parte anche i berberi
nordafricani, gli indo-persiani, i mediorientali7.
Alighieri rilevò che il sardo è un dialetto italiano parlato da un’etnia non
latina e non europea (De vulgari eloquentia, I, XI, 7). Una ricerca filologica
mostra una forte incidenza di toponimi semiti nell’isola8. Alcuni di essi non
sono ascrivibili alla dominazione fenicia o punica (ad esempio Onanì,
dall’antroponimo ebraico Anania)9. Migrazioni di ebrei verso la Sardegna
7
Vedi AA.VV, The history and geography of human genes, Princeton university press, 1994,
capitolo 2.
8
Salvatore Dedola, La toponomastica in Sardegna, Dolianova, Grafica del Parteolla, 2012.
9
Per un elenco dei cognomi ebraici in Italia vedi il testo pubblicato nel 1925 dal filologo ebreo
Samuele Schaerf per l’editore Israel di Firenze (I cognomi degli ebrei d’Italia), che è consultabile
online (vedi http://www.retaggio.it/onomastica/ebrei/). Non conosco aggiornamenti. Per un
elenco internazionale vedi http://www.avotaynu.com/books/sourcebook.htm, che riprende un testo
pubblicato per l’editore Avotaynu (i nostri antenati) di New Haven (Connecticut) nel 1996 dai filologi
ebrei Irwin M. Berent e David S. Zubatsky: Sourcebook for Jewish genealogies and family
sono attestate in epoca fenicia, in epoca romana e in epoca spagnola.
All’inizio dell’era cristiana le fonti affermano che oltre diecimila ebrei si
trasferirono nel sud dell’isola. I loro antichi luoghi di culto non sono stati
ancora identificati. Inoltre, i Sardana (o Shardana), che sul finire del secondo
millennio AC diedero origine all’arte nuragica, provenivano dal Medio Oriente
e si esprimevano in una parlata semitica10. Finora gli esperti non hanno mai
trovato epigrafi o incisioni in tale parlata. Esse sarebbero interpretate con
l’ausilio del metodo comparativo della semitistica. Tale ricerca non
rientrerebbe nella filologia europea.
Prima di stabilirsi nell’isola con i loro atti di pirateria i Sardana, insieme
agli altri cosiddetti “popoli del mare”, contribuirono al tracollo della cultura ittita
e di quella micenea. Gli antichi nuragici non sono geneticamente legati agli
histories. Io ho preso visione di questi testi di recente. Peraltro, alcuni cognomi (ad esempio James
e Herzog) non sono unicamente ebraici; ed alcuni cognomi tipicamente ebraici non sono in questo
elenco. Herzog è un cognome tedesco assegnato ad un leader militare (su Harold Herzog vedi
capitolo 3). Gli antenati di William James erano britannici scozzesi (vedi sopra).
Gli ebrei sono un popolo mediorientale di lingua semita, prevalentemente di religione giudaica, che
ha la sua patria in Israele, dove anche l’ebreo Gesù di Nazareth e i suoi discepoli nacquero o
avevano le radici. Nella genetica delle popolazioni non conosco una sola ricerca che attesti la
vicinanza agli europei degli ebrei askenaziti o sefarditi.
10
Vedi l’archeologo sardo Leonardo Melis, I Shardana: i popoli del mare, Mogoro, PTM, 2002.
Sull’appartenenza della parlata proto-sarda alla famiglia linguistica semitica vedi il sito web del
filologo sardo Salvatore Dedola.
europei11. Quindi sia la tesi dello sviluppo endogeno dai costruttori di dolmen
e menhir nell’isola sia quella della loro provenienza dalla penisola iberica
sono prive di evidenza genetica. La semplice assenza di attestazioni scritte in
miceneo nelle aree edificate dai nuragici rende non credibile la tesi
dell’origine greca, che pure in passato qualcuno avanzò sulla base di
superficiali somiglianze architettoniche che possono essere risultato di
imitazione.
A mio parere, non c’è popolo senza letteratura. Chiunque scriva in
italiano può entrare a fare parte della letteratura italiana. Ma se sui premi
11
Vedi Molecular biology and evolution vol. 27, n. 4, 2010. L’origine mediorientale dei sardi può
essere ragionevolmente ipotizzata, in attesa di ulteriori ricerche. In due miei racconti (Fideli 2014,
cap. XIII; 2015, cap. 3) ho preso spunto da ricerche scientifiche che mostravano l’origine
mediorientale degli etruschi, la cui cultura si sviluppò a partire dall’VIII secolo AC, e la parziale
continuità genetica con l’attuale Toscana. Tali risultati sono smentiti da una più recente
pubblicazione, che suggerisce un’origine paleo-europea, proto-europea non italica o italica (Origins
and evolution of the Etruscans’ mtDNA, Plos one, febbraio 2013). La prima tesi è supportata da
evidenza archeologica. C’è parziale continuità genetica tra il passato etrusco e la Toscana del
presente (Proceedings of the national academy of sciences of USA, 2006). I discendenti di una
migrazione mediorientale avvenuta in epoca precedente all’inizio della cultura etrusca appaiono
concentrati in tre aree della Toscana: Casentino, Murlo, Volterra. Alla Regione Toscana
appartengono aree di parlata corsa, emiliana e romagnola (rispettivamente, l’isola di Capraia, la
provincia di Massa-Carrara, i comuni di Firenzuola, Marradi, Palazzuolo).
scientifici è impossibile dissentire, con qualche spiacevole eccezione, su
quelli letterari ed umanistici il dissenso è sempre lecito. E il marito o la moglie
di uno scrittore, o di chiunque altro, non ha il potere di cambiare la genetica
del partner. Non è un caso che nel 2012 una richiesta di finanziamenti
europei di 128 milioni di Euro per insegnanti di “lingua sarda” abbia incontrato
una ferma opposizione giuridica nella penisola. La legge 482 del 1999 dello
Stato italiano riconosceva il sardo come lingua. Una sentenza della corte di
cassazione del 19 luglio 2012 ha ancora una volta considerato il sardo un
semplice dialetto, i cui parlanti sono comunque maggioritari al di fuori della
Gallura, dove essi sono solo una minoranza.
Una recente ricerca genetica ha ancora una volta riscontrato l’origine
non europea dei nuragici e ha per la prima volta mostrato l’identità italiana
della Gallura sia pure con un campione non probabilistico12. Con l’eccezione
dei sardi, finora nessuna ricerca genetica ha rilevato differenze etniche
ragguardevoli entro il territorio italiano.
Personalmente, io ho ricevuto un’educazione italiana e posso mostrare
evidenza filologica in accordo con questa ricerca genetica13. Impropriamente
12
Vedi la rivista dell’università di Oxford Molecular biology and evolution vol. 27, n. 4, 2010.
13
Vedi Mauro Maxia, Dizionario dei cognomi sardo-corsi, Cagliari, Condaghes, 2002. Maxia deriva
dall’ebraico masiah (re unto; vedi il sito web del filologo sardo Dedola). Sull’identità genetica
italiana della Corsica, che faceva parte della Repubblica di Genova, vedi Genetic history of the
il filologo sardo parla di cognomi sardo-corsi e non italiani dell’isola. Un
dizionario relativo alla sola Gallura sarebbe opportuno. Io sono soddisfatto
dei risultati della mia recente ricerca genealogica e lascio questo compito ad
altri.
I cognomi dei miei genitori e di quattro dei miei bisavoli (Fideli e
Brandano) sono galluresi di origine corsa ed italiana in base ad una ricerca
filologica pubblicata nel 2002. Brando (dal longobardo brant, spada) è un
villaggio del capo corso. Il mio cognome paterno è presente anche in altre
regioni italiane, in particolare in Lombardia, dove potrebbe essere sorto in
epoca medioevale. Il nome Fidelius era diffuso prevalentemente tra le etnie
germaniche14. E’ possibile che la Lombardia sia la regione di origine anche
dei Fideli austro-ungarici e bavaresi di etnia tedesca che ora vivono negli
Stati Uniti e di quelli europei residenti nel sud del Brasile. Comunque, il mio
ed il loro cognome non ha alcuna relazione genealogica con quello Fedeli.
Anche gli altri cognomi dei miei bisavoli (Asara, Giagheddu, Siazzu)
sono galluresi ed italiani, in base alla ricerca menzionata in precedenza o alla
distribuzione territoriale offerta da alcuni siti web. Asara deriva da Dasara,
diffuso in Corsica e collegato al toponimo Serra. Anche i cognomi Azara e il
soprannome Quaglioni, da quaglia, derivano da esso. Giagheddu (da ghjaca,
population of Corsica, Human biology, n.2, 2004, dove peraltro i ricercatori non considerano il
rapporto dell’isola con la Gallura e con la Liguria. 14
Vedi i siti Ganino e Gens. cancello) è un soprannome gallurese dato a un corso. Siazzu significa
setaccio nel dialetto locale e denominò un corso.
Tra i miei bisnonni solo uno non è gallurese: un Fancellu (da Fanciullo),
cognome diffuso nel sassarese, che nel medioevo fu civilizzato dalla
repubblica di Genova, da dove presumibilmente il cognome venne. Ma il mio
bisnonno Fancellu giunse in Gallura alla fine dell’Ottocento da Villaputzu
(Sarrabus, area sudorientale dell’isola), dove i suoi avi risiedettero per molte
generazioni.
La
persistenza
nel
Sarrabus
della
pratica
illegale
dell’uccellagione, introdotta nell’isola dai berberi (chiamati maurreddi nell’area
sudoccidentale), mostra che durante la dominazione vandalica anche lì
potrebbe essere approdata popolazione nordafricana15. Villapuztu ancora
oggi esibisce visibili tracce architettoniche della presenza militare spagnola
dell’epoca medioevale e moderna. La Spagna è lo Stato europeo con la più
alta incidenza di genetica berbera16. La madre del mio bisnonno Fancellu
aveva un cognome di origine lombarda. Lì il mio albero genealogico si ferma.
E’ possibile che mio padre non abbia avuto alcuna eredità genetica da questo
15
Traggo queste informazioni da una versione precedente del sito del filologo sardo Dedola. 16
Vedi Wikipedia, voce Berber ethnicity. Gli Imazighen (uomini liberi) sono una popolazione
autoctona del nord Africa, che intorno al 10.000 AC apprese la lingua proto-egizia, la cui supposta
parentela di natura genealogica con quelle semite non ha alcun fondamento genetico.
Geneticamente, i berberi sono più vicini agli europei che agli africani sub-sahariani. La
commistione con i mediorientali, in particolare con i fenici, non è attestata. suo nonno, o almeno alcuna eredità non europea, ammesso che questo mio
bisnonno davvero la avesse; e lo stesso vale per me nei confronti di mio
padre. Al momento nessuna struttura scientifica pubblica o privata fornisce
con una semplice distribuzione di frequenza la composizione del pool
genetico di un individuo. In base a quanto affermato in precedenza, non c’è
alcuna evidenza che io abbia una componente non europea.
Considerando alcuni dei nomi più antichi del mio albero genealogico
(Giorgio, Pasquale)17 e le date negli archivi, i miei antenati italiani arrivarono
in Gallura dalla Corsica all’inizio dell’Ottocento, sei generazioni prima della
mia nascita. Tra i cognomi dei trisavoli e quadrisavoli, oltre al lombardo Stori
e a De Candia (ovvero originario di Creta), trovo Careddu (diminutivo di caro),
Cossu (da corso), Mariani, Palitta (da paletta), Pinducciu, Pittorra (da petto),
Rossino (da Rossini), cognomi corsi o attribuiti a corsi. In epoca moderna la
Gallura è stata ripopolata da italiani della Corsica, come riconobbe mio zio
materno Paolo Brandano, professore in pensione di zootecnica ed ex
direttore di un dipartimento di agraria, in una conversazione e in una scrittura
privata, quando era ancora in condizione di perfetta salute18.
17
Tra il 1794 e il 1796 Giorgio III fu il re del regno anglo-corso, sostenuto dal patriota e scrittore
italiano Pasquale Paoli. Non c’è alcuna chiara evidenza che i miei antenati fossero esuli. •
18
Una posizione diversa fu espressa in Brandano 2001 con un’enfasi su presunte radici
toscane. Peraltro, l’eredità corsa fu sempre riconosciuta dai ricercatori dell’I.CI.MAR. I corsi paleo-europei abitavano in Gallura prima dell’arrivo dei nuragici
alla fine del secondo millennio AC. Ancora oggi in Corsica il cane è chiamato
in modo omologo alla parlata paleo-europea basca, l’unica sopravvissuta
(rispettivamente, ghjacaru e txákur, pronuncia tʃa: kur con IPA, international
phonetic alphabet).
ll prefisso Gal è tipicamente celtico. E l’antica Bonifacio era chiamata
Fretum gallicum (passaggio dei galli). Finora nessuno ha provato una
presenza celtica in Corsica ed in Gallura, dove, così come nella vicina isola
nel passato, l’acqua è chiamata ea, in modo simile al dialetto gallo-italico
piemontese (eva) e al francese (eau), a partire dal sostrato celtico. Questo
termine non è presente nel dialetto ligure.
Il primo documento in cui appare il nome Gallura è del 1073. Nell’ultima
parte
del
periodo
giudicale
i
Visconti
(1218-1296)
introdussero
nell’architettura il simbolo del gallo, che potrebbe essere all’origine della
denominazione. Non ho mai sentito allusioni alla pratica della poligamia
prevalente nell’ordine dei galliformi. Invece il ritmo diurno del lavoro di
allevatori e contadini è verosimilmente all’origine della denominazione. Dalla
fine del Seicento all’inizio dell’Ottocento la Gallura fu una terra di forte
immigrazione corsa.
La ricerca filologica può promuovere la ricerca genetica, approfondendo
la nostra consapevolezza ed empatia, che sono attività culturali che partono
da una base biologica e che, a loro volta, indirizzano il comportamento in
senso naturale ed eterosessuale. Talvolta è la scienza che promuove la
riflessione interiore. Basti pensare che fino a tempi recenti alcuni scrittori
americani e inglesi professavano un’identità anglosassone che è smentita
dalla contemporanea ricerca genetica.
Dal punto di vista gnoseologico, non c’è quindi alcuna differenza tra
scienziati e umanisti che fanno ricerca empirica: entrambi vanno in cerca di
verità, sia pure contingenti e rivedibili. Col termine gnoseologia (dal greco
γvῶσiς/γvῶσeως, conoscenza, e λόγos/λόγou, discorso) si designa la riflessione
su ciò che è empiricamente accertabile. Ontologia, gnoseologia, estetica,
etica, logica sono aree del pensiero umano. Ciascuna di queste aree
richiederebbe competenze effettivamente professionali. Nel 1911 il termine
‘gnosiology’ fu inserito nell’enciclopedia britannica; ma di solito i britannici
parlano di theory of knowledge. Il termine italiano indica che in greco è
impiegato un genitivo di argomento (riflessione sulla conoscenza). La gnoseologia è quindi un’attività che accomuna scienziati e umanisti
che fanno ricerca empirica. Semplificando, i metodi scientifici possono essere
classificati a seconda che considerino una sola proprietà (descrizione e
comparazione) o le relazioni tra due o più proprietà (statistica ed
esperimento). La descrizione considera un solo caso (in zoologia una singola
specie), rilevandone sistematicamente gli stati su un ampio numero di
proprietà. La comparazione confronta stati su una singola proprietà di due o
più casi spiegando genealogicamente somiglianze e differenze. La statistica
è priva di manipolazione sperimentale, che in molti casi è impossibile o
eticamente non giustificata. La statistica stabilisce relazioni tra variabili e
consente inferenze causali. L’esperimento permette di accertare in modo
rigoroso un nesso causale.
Il filologo non sperimenta. Può anch’egli impiegare il metodo statistico,
ad esempio quando riscontra le lingue di origine dei termini di un certo
dialetto o lingua mediante una distribuzione di frequenza. E quando i dialetti o
le lingue sono almeno due, i dati possono essere presentati in una
tabulazione incrociata.
Come mostrerò in seguito, io ho collaborato ad una ricerca scientifica
trans-nazionale basata sul metodo statistico e sono un cultore del metodo
comparativo, che mi ha consentito di fare alcune piccole scoperte, in
particolare come umanista.
La differenza tra filologia e scienza non è tanto a livello metodologico,
quanto sul piano delle tecniche. I filologi si avvalgono di tecnici con
competenze scientifiche quando vogliono datare un antico documento. Il
radiocarbonio permette la datazione di documenti e di reperti archeologici.
Grazie a queste tecniche è stato possibile smentire tesi prive di evidenza
empirica, ma ancora proclamate come dogmi dagli uomini di fede, come ad
esempio il fatto che la sacra sindone, ancora oggetto di adorazione a Torino,
sia appartenuta ad un ebreo vissuto circa 2000 anni fa’.
A questo punto qualche lettore potrebbe affermare: “ma allora anche la
filologia è una scienza?”. Ciò che differenzia la filologia dalla scienza non è la
gnoseologia, ma l’ontologia (dal greco όvtoς, ente). Ontologia significa
riflessione su ciò che esiste, ovvero sull’oggetto di una certa disciplina sia
scientifica sia umanistica. Io sono contrario sia ad una sciocca emulazione
della scienza da parte degli umanisti sia ad un rifiuto aprioristico e categorico.
Auspico una tendenziale unitarietà metodologica, nella consapevolezza della
sostanziale differenza tra mondo della natura e mondo della cultura.
L’identità dell’umanista non consiste nel semplice rifiuto dell’opzione
alternativa: l’attività scientifica. L’umanista ha una propria identità. E’ un
professionista che studia la specificità della condizione umana a partire da
una conoscenza dell’uomo come essere fisico e biologico. L’umanista non è
anti-scientifico per forma mentis, visto che una stessa logica accomuna i due
ambiti. L’umanista collabora con gli scienziati e si avvale della loro
competenza tecnica in molte situazioni. L’umanista, ed in particolare il
filologo, ha un’identità positiva che io individuo nell’oggetto stesso di studio
ed in quattro parole-chiave: consapevolezza, empatia, intenzionalità,
volontà19.
19
Le voci ‘consapevolezza’, ‘empatia’, ‘intenzionalità’, ‘volontà’ non compaiano in un’enciclopedia
sull’evoluzione biologica umana pubblicata nel 1992 dall’università di Cambridge. Finora il tentativo
di localizzare queste attività nel cervello è privo di risultati convincenti. E’ possibile che la
consapevolezza affiori nei sogni. Finora non è mai stato dimostrato che vi sia consapevolezza
dopo la morte cerebrale.
Gli oggetti delle scienze fisiche e naturali sono privi di intenzionalità. La
velocità di caduta di un oggetto sulla Terra può essere prevista
conoscendone il peso e la distanza dalla superficie terrestre. La legge di
gravitazione universale ha vasti ambiti di applicazione ed ha posto le basi
dello sviluppo della ricerca aerospaziale. Allo stesso modo anche il
comportamento di un atomo o di altre particelle infinitesimali può essere
spiegato e previsto da equazioni o funzioni, che mettono in relazione due o
più variabili. Il mondo della tecnologia quantistica nel quale siamo oggi tutti
immersi come fruitori del computer e di Internet esiste grazie a questa
enorme
capacità
di
spiegazione
e
previsione
della
fisica.
Nessun
professionista ne può ignorare le leggi quando progetta un edificio per
garantirne la sicurezza. Una molecola è composta di atomi. La bio-fisica
mette in connessione fisica, chimica e biologia.
Anche quando parliamo di specie viventi dobbiamo riconoscere che il
loro comportamento può essere spiegato dal funzionamento di cellule
neuronali che sviluppano un programma genetico codificato nel DNA. Le
emozioni e gli istinti esteriormente espressi da un animale (incluso l’uomo in
quanto animale) hanno sede nel cervello e sono programmati geneticamente.
Sappiamo questo grazie alla sperimentazione animale. Ad esempio,
sollecitando specifici neuroni di un gatto gli scienziati possono provocare
emozioni (collocate nell’amigdala) o attivare l’istinto di territorialità, che è
localizzato nell’area motoria pre-frontale. Nel futuro questa stimolazione
potrebbe essere fatta con un laser o un'altra tecnica non intrusiva, senza
rischiare di danneggiare l’animale. Anche gli zoologi spiegano e, con una
certa affidabilità, prevedono il comportamento emotivo ed istintuale di singole
specie. Sono in grado di rilevare processi di apprendimento naturale; ma non
si spingono fino ad affermare che un animale non umano abbia una vita
soggettiva. Gli zoologi non giungono mai a leggi di portata universale e non
possono prevedere come una certa specie si svilupperà. In passato, eventi
improvvisi e inattesi, come l’arrivo di un asteroide sulla Terra, provocarono
estinzioni di massa. Comunque, la zoologia è una branca della biologia,
scienza incorporata nella chimica, che a sua volta è incorporata nella fisica.
Dunque, gli umanisti hanno di fronte non oggetti che hanno
comportamenti spiegabili e prevedibili, ma soggetti mossi da intenzioni e
capaci di libere scelte. Gli animali (incluso l’uomo in quanto animale) hanno
comportamenti naturali che possono essere spiegati da meccanismi
neuronali e da informazioni codificate nel DNA. Gli esseri umani fanno azioni
che hanno per loro un senso, che mostrano un’intenzione, che può essere o
meno realizzata. E, anche a posteriori, essi giustificano le loro azioni con
argomentazioni per loro ragionevoli. Anche le intenzioni sono reali: altrimenti
non ci sarebbe azione. Mi rendo conto della difficoltà di controllare
affermazioni sulle intenzioni; ma non si può dubitare sul fatto che le intenzioni
interiori siano reali e autentiche e che promuovano l’agire. Non nego il fatto
che anche archeologi e storici dell’arte e della letteratura spieghino
causalmente, collegando eventi, come ad esempio una sconfitta militare con
un cambiamento giuridico in un territorio o nella vita di una certa persona.
Peraltro, le previsioni storiche sono sempre azzardate. Inoltre, oltre ai fattori
materiali, gli storici devono considerare le intenzioni dei protagonisti.
Per comprendere l’importanza dell’intenzionalità nel mondo della
cultura non dobbiamo necessariamente considerare i grandi uomini della
storia, che talvolta divengono oggetto della filologia come scrittori. Basta
riflettere su noi stessi e sulle persone che conosciamo.
Per persona (o Sé) si intende l’insieme del corpo e della mente.
L’esistenza individuale non è frammentata in una miriade di relazioni, ma è
percepita come un flusso continuo da un osservatore interiore. La
consapevolezza (consciousness) designa la riflessione sul Sé, che spesso
riguarda
singole
parti
del
corpo
e
specifiche
facoltà
mentali.
La
consapevolezza è personale. Persino quando l’espressione è impedita, gli
esseri umani trovano libertà nel pensiero, che, con poche eccezioni, rimane
sempre di loro unica proprietà.
Il laureato in filologia classica e in medicina John Locke distinse il
concetto di consapevolezza (consciousnes) da quello di coscienza
(conscience)20. Una distinzione analoga è ora presente nella lingua italiana.
20
An essay concerning human understanding, libro I, capitolo III, paragrafo 8, Londra, 1690. In
contrapposizione allo stato di anestesia generale, a quello di sonno, a quello di coma e a quello
La consapevolezza induce a valutare empiricamente non solo le facoltà
corporali, ma anche quelle mentali, che in larga parte noi acquisiamo grazie
alla cultura. Basti pensare all’apprendimento della propria lingua e di altre
lingue e alla conoscenza della matematica. La coscienza indaga su ciò che è
giusto e su ciò che è sbagliato, partendo dalla nostra natura e
dall’apprendimento naturale, come mostra la dichiarazione universale dei
diritti umani. L’articolo 1 afferma che gli esseri umani sono dotati di “ragione e
coscienza”. La giurisprudenza è una disciplina umanistica che dovrebbe
essere dedotta da principi naturali, o almeno essere compatibile con essi.
Anche altre lingue distinguono nettamente i due concetti: la conciencia
e la concienciación in spagnolo; consciousness e conscience in inglese; het
bewustzjin e het geweten in olandese; bewusstsein e gewissen in tedesco. In
francese e portoghese c’è un solo termine per i due concetti: conscience e
consciência, rispettivamente. Peraltro, il matematico e scienziato René
Descartes nei suoi scritti tendeva ad usare il termine ‘conscience’
nell’accezione tradizionale di moralità, distinguendola dalla “connaissance
vegetativo, lo stato di veglia senziente è denominato ‘awareness’ in lingua inglese. Anche animali
molto lontani da noi dal punto di vista filogenetico possono essere dotati di questa abilità
percettiva.
intérieure”, ovvero dalla consapevolezza21. Sarebbe opportuno riprendere la
sua distinzione.
Consideriamo i casi, fortunatamente rarissimi, di bambini selvaggi
allevati da altri primati o da mammiferi di altri ordini. Una volta ritornati tra gli
esseri umani, anche coloro che non soffrivano di problemi fisici o neurologici
hanno avuto enormi difficoltà ad appropriarsi del linguaggio. Essi non hanno
dato alcuna dimostrazione concreta di essere dotati di capacità di riflettere sul
proprio corpo e sulla propria mente (consapevolezza) e di assumere il punto
di vista di un altro (empatia), come fanno abitualmente un insegnante di
fronte agli allievi o un attore sulla scena. Né hanno mostrato di avere una
progettualità rivolta al futuro e di essere dotati di libera volontà. E’ evidente
quindi che queste attività sono acquisite grazie alla cultura, ed in particolare
grazie al linguaggio pronominale (io, tu, etc.)22. L’empatia implica
21
Traduzione in francese di Meditationes de prima philosophia, Parigi, 1641, Méditations sur la
philosophie première, risposta a Gassendi, Parigi, 1647. Secondo illustri scrittori, il secolo dei geni
è stato il Seicento, in cui, in contrasto con la fede, si affermò la scienza (dal latino scientia), che
allora, seguendo i greci, era talvolta ancora chiamata filosofia. L'arte e la letteratura non furono da
meno. Basta pensare a Cervantes, De Leeuwenhoek, Descartes, Newton, Rembrandt,
Shakespeare, che erano etnicamente, linguisticamente, culturalmente uomini europei. Nei secoli
successivi la parola filosofia ha assunto il significato di pseudo-scienza o anti-scienza, anche se
bisogna distinguere singole donne e singoli uomini da un’etichetta oramai priva di senso.
Erroneamente io stesso nel 2012 e nel 2013 fui iscritto ad associazioni filosofiche italiane. 22
Vedi il contributo filologico dell’ingegnere per formazione, professore di sociologia e servizio
sociale e collaboratore di riviste di pedagogia e psicologia grazie ad un erroneo ordine accademico
immedesimazione con un altro e non semplice naturale simpatia verso
qualcuno o riconoscimento delle sue emozioni.
Le prime attestazioni scritte di introspezione ed empatia sono fornite
dall’Odissea di Omero (VIII secolo AC). Sia l’Iliade sia l’Odissea risalgono ad
una tradizione orale risalente al XIII secolo AC. L’autore Omero non diede
alcuna consapevolezza mentale ai guerrieri achei e troiani. Invece, per una
sua scelta stilistica, Ulisse è dotato di personalità (πρόσωπον). Ulisse riflette
sulle proprie capacità mentali, in particolare nell’episodio delle sirene (libro
XII), e sulla mente di altri esseri umani, amici o nemici. Non ho la pretesa di
leggere il poema in lingua originale per presentare brani. Mi limito a citare i
celebri versi di Dante Alighieri, che ingiustamente punì il pagano Ulisse, un
personaggio di finzione, per la sua astuzia, ad esempio con Polifemo (libro
IX). Ecco l’insegnamento che il greco Ulisse rivolse ai suoi marinai: “Fatti non
foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza” (Dante
Alighieri, Inferno, canto XXVI, 1304-1321). Ragionevolmente ho fatto una
ricognizione delle liriche greche del VII secolo AC. In epoca classica la poesia
Charles Cooley, A study of the early use of self-words by a child, Psychological review 15, 1908,
pp. 339-357; vedi anche il giurista statunitense Michael Lind, Let’s abolish social science, Smart
set, 25 agosto 2015. Ovviamente, anche relazioni internazionali e scienza politica sono “scienze
sociali” da abolire. Io sono un ex studente e ricercatore universitario nelle “scienze sociali” (19842005). era magnifica: tecnicamente complessa, cantata ed accompagnata da
strumenti a corda (cetra o lira), a fiato e a percussione23. Qualcuno ha
cercato di far rivivere questa magnificenza nella poesia e nell’arte. E forse in
futuro un Giorgio De Chirico nascerà ancora. I brani delle liriche greche,
scritte in esametri, sono stati classificati nelle seguenti categorie:
A) consapevolezza solo corporea,
B) consapevolezza anche mentale,
C) empatia solo corporea verso l'altro,
D) empatia anche mentale verso l'altro,
A) " τίς δὲ βίος, τί δὲ τερπνὸν ἄτερ χρυσέης Ἀφροδίτης;… κρυπταδίη φιλότης
καì μείλιχα δώρα καì ευνή, (eισί) oi ήβης άνθεα” (“che cos’è la vita, che cosa
è dolce senza Afrodite dorata?... l’amore segreto, i dolci doni e il letto sono i
fiori della giovinezza”; Mimnermo, nato a Smirne, greco ionico)
23
Sulla versificazione rinvio al manuale di greco del filologo classico Gavin Betts (vedi elenco delle
grammatiche consultate). La poesia greco-latina in pentametri o esametri era sillabica. E nelle
lingue volgari sillabico è l’endecasillabo, in cui la decima sillaba ha sempre l’accento. A partire dal
medioevo, la poesia europea tende a dare musicalità con la rima, che è coniugabile alla poesia
sillabica, come mostra la terzina dantesca. Il sonetto inglese ha la struttura ABAB in ogni strofa
(stanza) e cinque accenti in ogni line, che gli conferiscono ritmo. La poesia ha solo ritmo se si
inserisce lo stesso numero di accenti per line (blank verse). Il free verse può essere definito poesia
dagli esperti per il sapiente ricorso alle figure retoriche o per l’introduzione di simboli con valore
letterario.
B) “Mouσέων έρατòν δώρον επιστάμενος” (“conosco il dono amabile delle
muse”, Archiloco, nato a Paro, greco ionico)
C) “άλλος δ’ αυ παίδων επιδεύεται” (“sente un altro la mancanza di figli”,
Mimnermo)
D) "Ou φiλέω μέγαν στατηγòv... αλλά μoi σμιkρός... καρδίης πλέως" (“non
voglio un comandante solamente di alta statura... piuttosto uno basso... ma
pieno di coraggio”; ove coraggio significa intelligenza; Archiloco).
La lettura di questi brani consente di tracciare un contrasto tra
Archiloco, che privilegia la dimensione mentale, e Mimnermo, che mette
l’accento su quella fisica con un lessico naturalistico e metaforico. Egli riprese
la similitudine di Omero tra scorrere della vita umana e cambiamento di
colorazione e aspetto delle foglie (Iliade, libro VI). In questi brani la genesi di
consapevolezza ed empatia sembra connessa sia all’affermazione individuale
sia alla cooperazione.
I biologi distinguono tra
- comportamenti naturali individuali, come l’istinto di pulizia,
- inter-individuali, come la formazione di una coppia eterosessuale tra
persone della stessa etnia (italiana, etc.), o almeno della stessa
macro-etnia (europea, etc.),
- e inter-specifici, come la relazione con un animale da compagnia24.
24
I comportamenti inter-individuali di cooperazione e aggressione sono collocabili in un continuum
dagli esperti. L’istinto umano alla formazione di coppie eterosessuali intra-etniche può essere
I latini pre-cristiani erano ben dotati di consapevolezza, come insegna il
motto di Orazio “Grecia capta ferum victorem cepit” (Epistulae, 20 AC, I, 156).
E forse ciò accadeva ancora prima che i feroci latini entrassero in contatto
con la raffinata cultura greca, come potrebbero mostrare le fonti.
Quali sono le principali lezioni che oggi possiamo trarre dalla letteratura
latina, ed in particolare dalla poesia?
I latini apprezzavano l’ambiente naturale della loro patria: l’Italia (“Sed
neque Medorum silvae, ditissima terra, nec pulcher Ganges atque auro
turbidus Hermus laudibus Italiae certent”; “Neppure i boschi dei Medi, terra
ricchissima, neppure il chiaro Gange ed Ermo, pieno d’oro, possono
rivaleggiare con le bellezze dell’Italia”; Virgilio, Italia, Georgica, 2.136, I
secolo AC). Virgilio non riporta memorie ataviche di indiani approdati in
Europa per portare la civiltà. Secondo il mito, Enea era figlio di Venere. I
troiani avevano gli stessi dei degli achei. Essi erano geneticamente e
linguisticamente europei strettamente imparentati con gli ittiti e quindi con i
greci. Il mito dell’origine troiana non ha alcun fondamento storico.
La poesia prendeva spesso spunto da emozioni ed istinti naturali. Ad
esempio, l’attaccamento agli animali da compagnia fu rilevato da un grande
poeta, Catullo (“passer, deliciae meae puellae, quem plus illa oculis suis
facilmente desunto dalle statistiche ufficiali. Ovviamente la scelta di un partner (o una partner) di
una diversa macro-etnia è una scelta che non dovrebbe trovare ostacoli giuridici. amabat”; “passero, delizia della mia amica, che lei amava più dei suoi occhi”;
Carmina 3, I secolo AC).
In epoca latina fu messa in discussione l’istituzione giuridica della
schiavitù, che non è un’invenzione degli europei e che è ancora presente in
Africa. Per la prima volta fu abolita dall’architetto e militare greco Alessandro
intorno al 300 AC. Fedro, uno schiavo greco liberato da Augusto, scrisse una
favola chiamata Il cavallo e il cinghiale per esprime la sua critica verso di
essa (Fabulae 4.4, I secolo AC).
Infine, l’appetito spirituale per una libera letteratura non fece
dimenticare ad alcuni dei migliori intellettuali latini il carattere materiale della
vita e della morte. “Non… genus, non te facundia, non te restituet pietas”
(“Non… ti riportano in vita la stirpe, la ricchezza o la pietà”; Orazio, Odi, 4.7, I
secolo AC).
In base alle mie conoscenze, la letteratura nelle lingue germaniche
dell’alto medioevo, scritta da autori già convertiti alla religione giudaicocristiana, è invece totalmente priva di riflessione mentale. Ovviamente ciò
non vale per alcuni di coloro che scrivevano in latino.
La consapevolezza si manifesta chiaramente nelle lingue germaniche
solo a partire dal Rinascimento, quando molta letteratura classica, sia
umanistica sia scientifica, fu tradotta nelle lingue volgari. In Astrophil and
Stella di Philip Sidney (1582, 87) la donna è “food of my thoughts”. Con
questa metafora culinaria lo scrittore britannico non solo riflette sulla propria
mente, ma anche sulla relazione tra eterosessualità e salute fisica e mentale.
La sua consapevolezza come poeta appare nella sua ancora eccellente
tassonomia dei generi poetici25.
Peraltro, è possibile che nel mondo germanico individui molto
intelligenti avessero consapevolezza ancor prima di entrare in contatto con la
cultura latina. Ciò è particolarmente plausibile per gli inventori delle rune. E lo
stesso poteva accadere in modo del tutto indipendente anche tra i celti
civilizzati, che pure erano privi di un sistema di scrittura. In tal modo ipotizzo
un’analogia culturale tra celti, antichi popoli germanici e greco-latini, che è al
momento priva di evidenza empirica. Illustro questa tesi in tre racconti ispirati
dal realismo magico. Il pastore protagonista del racconto La culla dell’Europa,
ambientato nel 3300 AC nell’area di origine dei proto-europei nell’Europa
orientale, è solo dotato di consapevolezza ed empatia corporea (Fideli 2015,
cap. 1, 2, 3). Esse gli suggeriscono di effettuare la transumanza estiva verso
la vicina montagna per far partorire le pecore, del cui latte egli stesso e i suoi
affamati familiari sono consumatori. E l’unico agnellino maschio non sarà
soppresso e avrà la sorte di divenire montone. Egli esibisce nei rapporti con
25
Egli distinse tre generi principali: religioso, filosofico (giuridico-morale o naturale, ovvero
scientifico), che considerava “out of taste”, e letterario, individuando cinque registri: comico, eroico,
lirico, che può essere erotico o naturalistico, sarcastico, tragico (Philip Sidney, The defense of
poesy, 1579; citazioni da The Norton anthology of English literature, 2006, London, Norton, pp.
953-974, p. 959).
gli altri esseri umani e con gli animali comportamenti naturali e ha una limitata
capacità di apprendimento culturale del linguaggio, così come tutti gli altri
protagonisti del racconto. Un altro personaggio di fantasia, il celta Kral (circa
1000 AC), non bevette l’acqua della fonte di Tinea (acqua di fuoco), come il
druido gli aveva chiesto per avere la meglio sui nemici, e vinse in un duello.
Quindi, egli esprime i suoi dubbi sulla capacità di previsione del druido,
mostrando così empatia mentale (ivi, cap. 2). E un germanico realmente
vissuto, il vandalo Genserico (389-477 DC) ebbe la capacità di collaborare
con ingegneri latini per la costruzione di una flotta, la prima appartenuta ad
un’etnia germanica. Nel mio racconto egli critica la tendenza di un’amica
latina a fidarsi delle visioni oniriche, parlando espressamente di “diurna
consapevolezza” (ivi, cap. 3, p. 69).
I celti non svilupparono un linguaggio scritto, anche se, grazie alla
raffinata tradizione orale, è possibile applicare anche ad essi l’etichetta di
civiltà. Il linguaggio scritto apparve in Europa intorno al 1600 AC nella Creta
micenea. Il linguaggio parlato è molto più antico. Possiamo ipotizzare che
l’homo sapiens sapiens parlasse già prima della grande migrazione dall’Africa
verso l’Asia e l’Europa avvenuta circa 60.000 anni fa’. Inattese somiglianze
filologiche tra lingue oggi distanti potrebbero provare che il linguaggio parlato
ha un’origine molto antica. Peraltro, io preferisco dedicarmi alla filologia
europea, non avendo alcuna conoscenza delle lingue non europee.
Comunque, la ricerca umanistica può procedere empiricamente anche
dove la scienza incontra ostacoli, offrendo spunto per la ricerca scientifica
stessa. Il rapporto tra i due ambiti non è solo un rapporto emulativo ed
unidirezionale in cui la scienza detta il cammino alle attività umanistiche.
Anche queste ultime possono lanciare sfide agli scienziati, riscontrando
empiricamente attestazioni della consapevolezza e dell’empatia, laddove le
presunte teorie scientifiche sull’origine di queste attività svaniscono in una
nebbia di dubbi. E’ azzardato comparare persone non sane di mente, dal
cervello effettivamente bicamerale e diviso, a uomini del passato come
oracoli e druidi, che magari erano intenzionalmente bugiardi, senza essere
per mestiere abili commedianti26.
Un’altra obiezione potrebbe giungere dagli scienziati: siamo davvero
dotati di libera volontà? Grazie alla risonanza magnetica funzionale, un
neurologo può prevedere con quale mano prenderemo un certo oggetto. Il
neurologo individua i neuroni dell’aria motoria attivati alcune frazioni di
secondo prima che noi effettivamente prendiamo l’oggetto. E ciò accade in
una serie di esperimenti ripetuti. Comunque, il nostro agire non è predeterminato: abbiamo più opzioni a disposizione per ogni singola decisione.
26
Questa fallacia fu espressa con stile raffinato dal professore di psicologia a Princeton Julian
Jaynes (The origin of consciousness in the breakdown of the bicameral mind, New York,
Houghton, 1976). La stessa fallacia si presenta quando il presente dei bambini o delle tribù
“primitive” è usato per ricostruire il lontano passato degli europei privo di evidenza scritta. Alla fine
del XIX secolo ciò fu talvolta impropriamente chiamato “metodo comparativo”. Prima che parta il comando motorio, consapevolezza e volontà sono presenti
nella mente e dirigono l’attivazione nell’area motoria. Il neurologo vede solo il
nesso causale, che è empiricamente accertabile, e non può registrare il
pensiero inespresso che in modo olistico pervade l’intero cervello e detta la
sua volontà. L’agire umano e l’intero corso della storia umana non sono predeterminati. Prima che parta il comando motorio quale neurologo è in grado
di prevedere la successiva pennellata di un pittore sulla tela o la successiva
modellazione del marmo ad opera di uno scultore?
Ricapitolando, ho rilevato l’accordo gnoseologico nella ricerca della
verità e l’unitarietà metodologica della scienza e delle attività umanistiche, e
quindi anche della filologia.
Comunque, tra il mondo della natura e quello della cultura bisogna
riscontrare alcune importanti differenze. Anzitutto, a differenza di atomi,
molecole, cellule, specie viventi (incluso l’uomo in quanto animale), gli esseri
umani possano reagire a quanto è scritto su di loro; e se l’oggetto di studio è
collocato nel passato qualcun altro può reagire a loro nome. Ciò non implica
una differenza gnoseologica: il filologo dovrebbe mantenere la stessa
imparzialità dello scienziato, che pure deve ribattere alle obiezioni ai suoi
scritti con argomentazioni empiriche e ragionevoli. Anche l’umanista
dovrebbe essere libero da pressioni. L’obiettivo del filologo è trovare
evidenze in accordo con l’autore del testo e non con una certa dottrina.
La differenza ontologica tra i due ambiti sta principalmente nel fatto che
gli attori del mondo della cultura sono dotati di consapevolezza, empatia,
intenzionalità, volontà. Queste attività non sono state finora localizzate in
un’area specifica del cervello e al momento sono considerate il frutto dello
sviluppo culturale anche da insigni scienziati, che peraltro sottolineano
l’esigenza di relazioni umane compatibili con la natura.
La realtà è una sola. Non ci sono più realtà, diverse tra loro e
incommensurabili, ma oggetti/soggetti che richiedono approcci diversi: quello
scientifico e quello umanistico. Il mondo della cultura è vincolato da quello
naturale: le azioni sono poste in essere da esseri umani sottoposti a vincoli
biologici e fisici. Il mondo della natura e quello della cultura interagiscono; e
non è lecito osteggiare la ricerca scientifica che ne studia l’interazione. Come
vedremo, le evidenze filologiche spesso contribuiscono a ricostruire verità
storiche; e queste ultime devono essere in accordo con le verità scientifiche.
II. La comparazione come attività empirica.
I fisici distinguono i termini ‘oggetto’, ‘proprietà’, ‘stato’. Ad esempio, un
oggetto in caduta sulla Terra ha un certo stato sulla proprietà ‘distanza dalla
superficie terrestre’, che viene misurato con lo strumento più adeguato.
Ovviamente, tale misurazione mira a prevenire danni a persone o cose.
Abitualmente i fisici studiano proprietà continue connesse col tempo e con lo
spazio. Dati due punti del tempo (o dello spazio) è possibile concepire infiniti
punti intermedi. La frase “l’oggetto X ha un certo stato sulla proprietà
‘distanza dalla Terra’” descrive una certa condizione fattuale. Crono, padre di
Zeus nella mitologia greca, fu padre di molte parole. Considerando due
oggetti, è possibile fare una comparazione sincronica. Se l’oggetto è uno solo
e aumentiamo i momenti dell’osservazione, si effettua una comparazione
diacronica.
I biologi considerano non solo proprietà continue, ma anche proprietà
discrete, che possono essere contabili (ad esempio numero di figli) o che
variano in modo qualitativo. Il sesso è una dicotomia naturale. Le specie (così
come le etnie umane) sono classificate. Ed in base ai loro comportamenti, ad
esempio rispetto all’accesso al cibo, gli zoologi stabiliscono graduatorie
ordinate entro un gruppo di esemplari della stessa specie che vive in un certo
territorio.
Partendo dall’esperienza quotidiana e dalle scienze fisiche e naturali, gli
oggetti della comparazione possono essere svariati. I biologi comparano
esemplari di una stessa specie o di specie diverse. Quando il confronto
riguarda specie nel loro insieme, si parla di analogia, omologia, metodo
comparativo, termini che chiarirò nei capitoli 4 e 6.
Anche l’uomo comune effettua confronti avvalendosi di strumenti di
misurazione dell’altezza, del peso, etc. E, usando la vista, può effettuare
affidabili confronti su proprietà discrete. A mio parere non è opportuno
chiamare ‘comparazione’ attività svolte mediante altri sensi. Ad esempio, i
suoni sono classificati; e gli individui effettuano discriminazioni tra essi. Non
conosco alcuna ricerca neurologica che abbia cercato di localizzare nel
cervello la comparazione. Resta il fatto che si tratta di un’attività pratica sia
dell’uomo comune sia dello scienziato.
La frase “all’aumentare della temperatura (T), aumenta il volume della
barra di ferro (V)” potrebbe essere il risultato di un esperimento che mette in
relazione due proprietà stabilendo una relazione causale di associazione. T
precede e causa V. Le relazioni di associazione possono anche non essere
causali. Ad esempio, considerando l’altezza (A) e il peso (P) in uno stesso
individuo non ha senso affermare che A causa P: entrambe le proprietà
dipendono da quelle dei genitori, nel linguaggio statistico. Le relazioni di
associazione tra due o più proprietà devono essere distinte dalla
comparazione e dal metodo comparativo, a differenza di quanto accade nelle
“scienze sociali”.
La comparazione (sincronica) rileva quindi somiglianze e differenze
negli stati di due o più oggetti su una stessa proprietà. Quando l’oggetto è
uno solo e le rilevazioni due o più di due si parla di comparazione diacronica.
E’ possibile comparare osservazioni diacroniche relative a due o più oggetti
considerati negli stessi punti del tempo.
Una volta chiarito cosa si intende per comparazione come attività
empirica della vita quotidiana e della scienza, passiamo ora a considerarne
l’accezione nell’ambito umanistico.
La grammatica delle lingue europee, e anche di alcune lingue non
europee parlate in Europa e in Asia, individua una struttura di comparazione
organizzata secondo tre gradi: maggioranza, uguaglianza, minoranza. In
greco antico il comparativo di maggioranza degli aggettivi era espresso con i
suffissi –óteρos, -óteρa, -óteρov oppure –ώteρos, -ώteρa, –ώteρov, a
seconda che la vocale precedente fosse lunga o breve. Gli aggettivi
comparativi erano declinati seguendo la prima e la seconda declinazione.
Pochi aggettivi comparativi sono irregolari. Gli aggettivi della terza
declinazione terminanti in –iωv/iov o – ωv/ov nel comparativo hanno suffissi
in ésteρos/a/ov. La particella ή, che seguiva l’aggettivo comparativo,
corrispondeva al latino quam e all’inglese than. Talvolta essa era omessa; e
si usava un genitivo di comparazione, sintatticamente equivalente a quello
della lingua italiana. Il comparativo di eguaglianza era espresso con ωútos
(così/as) e ώσteρ/ώσ (come/as); quello di minoranza con ήπov o μεĩoν
(meno/less). Anche i latini avevano tre gradi di comparazione. Il comparativo
di maggioranza è espresso con il suffisso –ior per gli aggettivi maschili e per
quelli femminili e con il suffisso –ius per quelli neutri seguendo la terza
declinazione. Il comparativo di eguaglianza era espresso con le particelle tam
quam e quello di minoranza con quelle minus quam.
Le comparazioni grammaticali vertono su proprietà continue (“X è più
alto di Y”; Y è meno alto di X”; “A è alto come B”) o almeno categoriali
ordinabili (“X è più istruito di Y”; “Y è meno istruito di X”; “A è istruito come B”,
intendendo per istruzione il livello formale). Quindi, le comparazioni
grammaticali non considerano proprietà non ordinabili, se non per affermare
ovvietà come “Mario è tanto italiano quanto Roberto”.
La retorica consente di ampliare l’ambito di applicazione della
comparazione. Ad esempio, la banale frase pronunciata dalla protagonista di
un romanzo “tu sei italiana; lei è francese” potrebbe essere considerata una
comparazione che riguarda una proprietà con stati classificabili e non
ordinabili. Come vedremo tra breve, oggetto di comparazione possono
essere non solo individui, ma anche gruppi di individui.
Anche nelle humanities la comparazione come attività empirica è
sincronica o diacronica. La comparazione può considerare individui, tradizioni
letterarie, culture (trans-culturale). La religiosità dei celti e dei greco-latini era
antropomorfica; invece, quella degli antichi germanici era naturalistica. Un
banale esempio di comparazione diacronica tra l’Europa moderna e il mondo
greco-romano, che appartengono alla stessa civiltà, ci dice che la religione
oggi prevalente è monoteista e non politeista. La comparazione può anche
essere chiamata acronica quando il tempo è irrilevante, ad esempio quando
si confronta una cultura contemporanea non europea con la civiltà grecoromana.
Il
soldato
romano
Teodoro
di
Amasea
(III-IV
secolo
DC),
presumibilmente di parlata semitica ed etnia mediorientale, fu condannato a
morte dai latini perché dopo la conversione incendiò un tempio pagano,
senza provocare la morte di alcuno. A suo nome fu intitolata la chiesa degli
ariani a Ravenna e l’annesso battistero nel VI secolo DC. Gli ariani non
credevano nella divinità di Gesù e lo consideravano semplicemente un uomo.
Quindi Teodoro divenne patrono di Venezia. Le sue reliquie furono
trasportate in Puglia a Brindisi. Alla fine del XVIII secolo gli fu intitolata la
chiesa del mio paese. Di recente è stata edificata una seconda chiesa in
centro. Invito gli ingegneri a valutare l’impatto ambientale e urbanistico e a
proporre soluzioni alternative.
Il relativismo tipico del diritto britannico consentì al Qatar di mantenere i
suoi costumi islamici durante il protettorato (1916-1971). Ancora oggi in Qatar
basta abiurare dalla religione di Stato per essere condannati a morte27.
27
Vedi Wikipedia, Human rights in Qatar.
Quindi, nei confronti di ex islamici divenuti atei o convertiti al cristianesimo o
ad altre religioni essi agiscono più severamente dei latini nei confronti di un
soldato che abbandonò la religione di Stato commettendo un crimine. Ora in
accordo con la Repubblica italiana, con la Regione Sardegna e con il
Vaticano, grazie ai giacimenti petroliferi l’emiro investe in Gallura, ed in
particolare ad Olbia28. Con il sostegno di costoro, il Qatar porterà qui la sua
genetica e la sua cultura? Non sono uno scienziato, un giornalista, un giurista
e spero che loro indaghino su questo. Una struttura ospedaliera può sempre
cambiare proprietà.
28
Vedi Il Vaticano ricompra il San Raffaele con i soldi dell’emiro, Coscienze in rete, 22 agosto 2014
e le fonti lì fornite.
Tabella 1 Forme di comparazione Forma Caso Punto Caso Punto del tempo S A t1 del tempo B t1 Sn A t1 B, C, n t1 D A Dn A t1 t2, tn t1, t2, tn B, n t1, t2, tn A A t1 B An t2 A t1 B, C, n t2, t3, tn *Dal punto di vista logico, propongo una tipologia che combina due criteri: il fatto che si consideri o
meno il tempo ed il numero dei casi (che devono essere almeno due in quella sincronica). Ho
aggiunto le forme acroniche per una ragione di completezza.
Consideriamo le due frasi “Franco è più alto di Guglielmo”; “Lucia ha gli
occhi più chiari di Amanda”. Esse presentano la stessa struttura: due casi
diversi (Giovanni e Guglielmo; Lucia e Amanda) e una proprietà (l’altezza; il
colore degli occhi) i cui stati sono confrontati. La proprietà è l’aspetto su cui è
operato il confronto; per stato intendo il particolare modo di presentarsi di una
proprietà (ad esempio, l’altezza di Guglielmo). Negli esempi sopra riportati si
esprimeva
una
valutazione
di
maggioranza
o
di
minoranza.
Non
necessariamente formuliamo un giudizio di maggiore/minore: possiamo
anche stabilire un’eguaglianza tra stati (“Carlo è alto quanto Franco”). La
grammatica delle lingue europee a me note presenta sempre tre gradi di
comparazione: di maggioranza (più… che), di eguaglianza (tanto… quanto) e
di minoranza (meno… che). E tale struttura grammaticale è presente anche
in lingue non europee.
Quando la proprietà su cui verte il confronto è discreta, e i suoi stati non
sono nemmeno ordinabili, rileviamo relazioni di eguaglianza oppure di
opposizione fra gli stati (“Franco è maschio; Lucia è femmina”)29. Applicando
semplici concetti della fisica alla rilevazione delle proprietà individuali, si può
29
Questo periodo non è una comparazione dal punto di vista grammaticale. E alcune frasi
grammaticalmente corrette non sono riconducibili alla struttura individuata: “cette maison
est plus grande que jolie”. dire che alcune proprietà variano in modo discreto (femmina / maschio;
nativo, Afro-americano / Euro-americano, etc.; nessun titolo / licenza
elementare, etc.; nessun figlio / un figlio, etc.); altre proprietà (ad esempio,
l’altezza) variano invece per incrementi infinitesimali. Queste ultime possono
essere misurabili o rilevabili mediante tecniche di scaling (vedi oltre, cap. 3).
Le proprietà discrete possono essere contabili, ordinate (come il titolo di
studio) o categoriali non ordinate (come il gruppo etnico di appartenenza. Nella comparazione devono essere esplicitati sia i casi sia la proprietà. Nella
similitudine stabiliamo invece un rapporto di eguaglianza tra due (o più) casi,
senza specificare su quale proprietà verte il confronto (“Gli occhi di Lucia
sono come quelli di Isabella”; “La cucina spagnola è più simile a quella
italiana che a quella francese”). I miei superficiali esempi possono far
pensare che la similitudine sia una comparazione imperfetta. In realtà, essa
assolve una funzione specifica, particolarmente utile nel giornalismo e nella
letteratura.
Anche nell’analogia non si enuclea alcuna proprietà; si segnala
piuttosto un’eguaglianza di rapporto tra due coppie di oggetti (A sta a B come
C sta a D; sulla metafora vedi oltre, cap. 6).
Consideriamo ora la frase “il figlio di Guglielmo è cresciuto”. Essa
consiste in un confronto mentale di un numero (più o meno ampio) di
resoconti osservativi riferiti a punti del tempo diversi (anche se non
specificati). Sul piano strutturale, essa contiene un elemento in più rispetto
alle frasi riportate in precedenza: il tempo. Per definire una certa attività come
comparazione non è quindi necessario che siano presi in considerazione due
casi diversi; possiamo anche confrontare gli stati di uno stesso caso in due (o
più) punti del tempo.
Finora ho esaminato testi esclusivamente dal punto di vista
grammaticale o retorico. Ma io considero la comparazione anche un’attività
fondata sull’accertamento empirico, che può essere effettuato dall’autore
dell’atto o da altri soggetti. Nelle scienze naturali comparare significa non solo
pensare e scrivere frasi o periodi grammaticalmente corretti e stilisticamente
pregevoli, ma implica anche un fare, un attivarsi per controllare affermazioni
sulle specie animali.
Casi, proprietà, stati e (eventualmente) punti del tempo sono dunque gli
elementi strutturali. La comparazione è un’attività mentale di confronto tra
due (o più) stati distinti di due (o più) casi su una stessa proprietà in uno (o
più) punti del tempo; quando il tempo è considerato il numero di casi può
essere uno solo.
Una volta enucleati gli elementi, è possibile classificare gli atti di
comparazione. Si può anzitutto distinguere la comparazione sincronica da
quella diacronica. Nella prima possiamo ignorare la dimensione temporale
perché consideriamo eguali o equivalenti i punti del tempo cui si riferiscono
gli stati confrontati. La frase “Carlo è alto come Franco” costituisce un
esempio della forma più semplice di comparazione sincronica (S; vedi tabella
1). Essa consiste di due casi (Carlo e Franco), una proprietà (l’altezza), due
stati (l’altezza di Carlo / quella di Franco), un solo punto del tempo (non
definito). Tale forma può essere articolata aumentando i casi presi in esame
(Sn): l’essere umano è l’unico primate che non ha il corpo interamente
ricoperto da peli.
In biologia si parla di ‘omologia’ per una somiglianza genetica,
morfologica o comportamentale tra due o più specie imputabile alla loro
origine comune (come nel caso della zampa del cane, dell’elefante e del
pipistrello). Il termine ‘analogia’ indica una somiglianza che risulta da
adattamenti paralleli (per esempio, l’ala del colibrì e quella della farfalla). Le
differenze sono rilevanti sia per le discipline umanistiche per le scienze
naturali.
Come
vedremo
in
seguito,
talvolta
esse
sono
spiegate
genealogicamente dal metodo comparativo nel tentativo di identificare quel
che è naturalmente umano. In altri casi esse mettono l’accento sulle
differenze culturali (vedi oltre in questo capitolo).
Nella forma più semplice di comparazione diacronica (D) consideriamo
gli stati di un solo caso in due o più punti del tempo (“il figlio di Guglielmo è
cresciuto”). Ecco una differenza fondamentale tra lo sviluppo umano e quello
dello scimpanzé: “quando (questo) animale nasce il suo cervello ha già
raggiunto il settanta percento della sua dimensione finale da adulto. Il
restante trenta percento di crescita è rapidamente completato… entro i primi
dodici mesi dalla nascita… Invece (un uomo) ha alla nascita un cervello che è
solo il ventitré percento della sua dimensione da adulto. La crescita è rapida
per altri sei anni; ma l’intero processo di crescita è completato soltanto
intorno al ventesimo anno di vita”30. Dopo aver comparato il cervello umano
con quello dello scimpanzé rispetto alla dimensione, lo zoologo britannico
presenta ancora una forma Dn per mettere in rilievo un’altra fondamentale
differenza tra le due specie. Fino all’età di quattro anni entrambi sono
affascinati dal gioco. E sono capaci di inventare nuovi giochi usando anche
matite e altri strumenti messi loro a disposizione dagli adulti umani. Entrambi
sono capaci di tracciare alcune figure astratte. Lo scimpanzé riesce a fare il
cerchio. Ma, da questo momento, mentre il giovane scimpanzé sviluppa
fortemente il suo fisico, il più gracile bambino della “scimmia nuda” diviene
capace di riprodurre immagini di oggetti, piante, animali31. Possiamo
considerare un’articolazione di questa forma gli atti di comparazione che
considerano una sola proprietà e tre o più casi (“Negli umani il periodo di
allattamento dura più a lungo che negli altri primati”).
Alcune comparazioni non sono riconducibili alla forma sincronica o a
quella diacronica. Per questo ho introdotto il termine ‘acronica’.
Per apprendere una lingua straniera come per me è l’inglese una
persona può essere invitata a valutare se due suoni o parole (utterances)
presentate in rapida successione sono uguali (ad esempio, cats / cats; dogs /
30
Desmond Morris, The naked ape, New York, Random house, 1967, pp. 32-3. 31
ibi, 131-4. dogs; beaches /beaches; oppure; mocked / mocked; lived / lived; nodded /
nodded) o diverse (ad esempio, bitch /beach; heat / heath). I programmi di cui
dispongo per il mio laptop non mi consentono di usare i simboli
dell’International Phonetic Alphabet -- uno strumento della cui utilità io sono
pienamente convinto. La grammatica dell’inglese prescrive il modo in cui
devono essere pronunciate le parti conclusive (endings) di alcune parole (in
particolare, il plurale dei nomi, il genitivo sassone, la terza persona del simple
present; il simple past e i participi passati regolari).
Alla fine del XIX secolo l’attività di valutazione dell’identità / differenza fu
designata discriminazione esistenziale, senza che il termine ‘discriminazione’
avesse in quel periodo un’accezione negativa.
Come ho rilevato in precedenza, i due suoni o parole sono proposti in
un breve arco di tempo. La proprietà è l’identità / differenza degli stati. I due
suoni o parole possono essere considerati casi di una comparazione
sincronica. Ma c’è una differenza fondamentale: lo stato registrato
dall’ascoltatore per ciascuna coppia di casi è uno solo (uguali oppure diversi).
Si chiama discriminazione differenziale un’attività in cui la proprietà ha
stati ordinabili o è continua (ad esempio, l’altezza di due note diverse in una
scala musicale presentate in rapida successione da un insegnante di piano
ad un principiante). In questo semplice esempio, la struttura somiglia ad una
comparazione sincronica (due casi, due stati diversi su una stessa proprietà).
Alcune persone particolarmente dotate sono in grado di comporre
mentalmente un brano di musica classica. Così concepita la discriminazione
appare una facoltà non tipicamente umana e presente anche in animali
filogeneticamente distanti da noi.
La comparazione consiste dunque in un confronto tra stati su una
stessa proprietà. La pretesa di alcuni studiosi di considerare i casi nella loro
globalità è assolutamente illusoria. Non possiamo comparare l’Italia con gli
Stati Uniti; ma solo il modo in cui si presentano alcuni aspetti dei due casi:
l’estensione, il numero di abitanti, , etc. Non compariamo tra loro casi, e
nemmeno le proprietà, ma gli stati. Come vedremo, anche per un ricercatore
scientifico antropocentrico non ha senso affermare che gli esseri umani sono
globalmente superiori alle altre specie animali in quanto dotati di specifiche
caratteristiche che ci ha fornito l’evoluzione: i sensi di alcuni animali sono
notevolmente superiori ai nostri. E’ legittimo comparare per ottenere qualche
indicazione sulla capacità di una certa cultura di soddisfare i bisogni
fondamentali; ma occorre sempre tenere in mente singoli aspetti, e non
culture globalmente intese.
Dunque i casi non possono essere confrontati tra loro globalmente, ma
sulla base dei loro stati su una stessa proprietà. Non si può comparare
l’altezza di Amanda con il colore del cappotto di Marco. Ma come si fa a
dichiarare che due casi sono comparabili? La risposta è semplice: due casi
possono essere comparati solo quando hanno almeno una proprietà in
comune. E’ difficile immaginare, ad esempio, una proprietà su cui confrontare
Marco con gli Stati Uniti. Non è però affatto necessario (e nemmeno sempre
opportuno) che siano comparati fra loro solo casi che appaiono simili. La
scelta di casi che presentano stati eguali (o simili) su un ampio numero di
proprietà (o su alcune proprietà significative) presenta alcuni vantaggi, ma
non è una pre-condizione della comparazione.
Una volta enucleata una proprietà su cui operare il confronto, è
possibile comparare anche casi che appaiono molto lontani tra loro:
comparare non equivale ad accoppiare. Tale convinzione è connessa alla
radice latina della parola, par32. Gli scienziati naturali comparano spesso
animali che appartengono a specie diverse. le emozioni di base sono comuni
all’umanità e ad alcune specie, anche se solo lo scimpanzé ha un repertorio
facciale simile al nostro. Un cane che scodinzola esprime gioia, così come un
gatto che fa le fusa. E ciascuno di noi potrebbe trovare molte altre
espressioni di autenticità negli animali.
Andiamo ora ad avventurarci nel territorio della letteratura, al fine di
mostrare alcune applicazioni della comparazione come attività empirica.
Il lombardo-sassone Curzio Malaparte (1898-1957) fu irredentista,
andando a combattere a soli 16 anni come volontario con i francesi nel 1914
32
Il termine ‘confronto’ è invece privo di questa ambiguità, e quindi appare preferibile. Ma in inglese
si deve tradurre con comparison. e poi con gli alpini nel 191533. Ebbe una medaglia al merito come capitano
italiano e fu decorato anche dai francesi nel 191834. In continuità ideale con lo
Stato unitario, dal 1943 al 1945 il capitano collaborò con la monarchia e con
gli alleati anglo-americani. Oggi a Torino un ufficiale come lui può facilmente
ottenere una laurea quinquennale in studi militari.
Non solo i geni fanno un popolo, ma anche l’arte e la letteratura. La
fedeltà all'Italia traspare anche negli scritti del piemontese Guido Gozzano
(1883-1916), come mostrerò anche in seguito. Solo la malattia gli impedì di
33
Kurt Suchert, di padre sassone e madre lombarda, nacque a Prato dove fu educato nel convitto
Cicognini fino al ginnasio. Lo pseudonimo in lingua italiana Curzio Malaparte fu adottato nel 1925,
prima del suo successo letterario. In un romanzo aveva letto che Malaparte era il cognome
originale dei Bonaparte, la cui origine è fiorentina, e che fu cambiato per compiacere il papa. Non
do alcun credito all’allusione dell’artista e traduttore statunitense Walter Murch, secondo il quale lo
pseudonimo richiamerebbe l’espressione ‘mal partorito’, ovvero figlio di un padre diverso da quello
giuridico (The bird that swallowed its cage. The selected writings of Curzio Malaparte, Berkeley,
Counterpoint, 2013, biographical note, p. 2). Non c’è alcuna evidenza a sostegno di questa
congettura.
34
La pace è naturale; la guerra è culturale. E io non mi occupo di giurisprudenza. Comunque nella
prima guerra mondiale è facile trovare una ratio: l’affermazione dei diritti dei popoli privi di Stato in
Europa contro gli imperi centrali. Per l’Italia la grande guerra rappresentò il compimento del nostro
Risorgimento con la conquista dell’Istria, del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino, sia pure a danno
dei sudtirolesi. Ma come poterono i britannici vedere nella Germania il solo nemico da combattere
dopo l’attacco coordinato e congiunto nel 1939 alla Polonia da parte del Terzo Reich e ad Estonia,
Lettonia e Lituania da parte dell’Unione sovietica?
prendere parte al conflitto, al quale dedicò il racconto Un addio (1915). Anche
la maggior parte dei combattenti nel Risorgimento erano mossi da fini
spirituali: volevano proteggere la lingua italiana, dare educazione ad ogni
bambino italiano, tutelare il patrimonio ambientale e artistico dell’Italia.
C’erano anche combattenti che si preoccupavano dell’economia (economy)35.
Ma questa non fu la principale ragione del Risorgimento in base all’evidenza
empirica.
Malaparte non richiese un funerale religioso e si fece seppellire sulla
collina di Spazzavento a Prato, ad attestare un ateismo che emerge in
particolare nel racconto Terra come me (1940) con la decomposizione del
corpo e il ritorno alla condizione inanimata.
Nemmeno la tubercolosi portò Guido Gozzano alla conversione. Lo
scrittore affermò la propria identità italiana ed europea nel contrasto con una
cultura giudaico-cristiano percepita come estranea, in particolare per un
dualismo che trascura il corpo e per la repressione dell’eterosessualità tra
due adulti consenzienti non strettamente legati tra loro dalla genetica. “Le
campane continuavano nell’aria, gioiosamente, la glorificazione di rabbi
transfigurato” (1906; 1983, 42). Gozzano allude all’Ascensione. Anche per i
giudaici Gesù è un profeta. E lo stesso vale per l’altra religione monoteista:
35
La lingua inglese distingue tra economy, la realtà delle relazioni economiche, ed economics, che
designa una presunta scienza, che non è mai stata incorporata nella teoria e nella ricerca
scientifica come bio-economics. l’Islam. La frase che conclude la Novella bianca (1906) è una forte
affermazione di identità italiana ed europea nel contrasto con la cultura
giudaico-cristiana. Gozzano descrive la relazione tra due culture: quella
giudaico-cristiana, rappresentata dagli uomini di Chiesa, che considera il
martirio una Redenzione degli uomini dal peccato originale, e quella italiana,
di respiro europeo, che viene colta in un’espressione piemontese e
contadina. L’esito tragico non è peraltro imputato alla religione. Una bambina
cade incidentalmente da un carro. Solo dopo un po’ di tempo la madre si
accorge della caduta. La bambina scompare. Avendo terrore degli uomini per
colpa di racconti che descrivono un’umanità malvagia, non chiede aiuto, corre
verso un bosco e non riesce a salvarsi.
In una poesia Malaparte scrisse: “Nulla più dell’umano è perfetto nel
mondo” (Preghiera sull’Acropoli, inedita e senza data, 1963, 354)36.
Seguendo la neurologia, anch’io ritengo che il nostro cervello sia più
sviluppato di quello di ogni altro animale e che l’uomo sia l’unico dotato di
intelligenza.
Gozzano dedicò una poesia alla differenza qualitativa tra l’uomo e gli altri
animali, che si conclude con i versi “l’esser cucinato non è triste, / triste è il
pensar d’essere cucinato” (1907; 1980, 104). La consapevolezza è una dote
36
La poesia si conclude con un’esaltazione del monoteismo rispetto al politeismo, che bisogna
attribuire al filologo e scrittore francese Ernest Renan (Prière sur l'Acropole, in Souvenirs d'enfance
et de jeunesse, Paris, Calmann, 1883).
culturale umana che ha un fondamento nella fisiologia. Come carnivoro
naturale che necessita anche di prodotti vegetali, l’uomo differenzia il suo
comportamento verso gli animali domestici e riconosce speciali tutele soltanto
ad alcuni animali da compagnia. In questa fase di sviluppo scientifico la
sperimentazione anche sulle specie animali che sono a noi più care è
inevitabile (vedi cap 5). L’antropocentrismo appartiene alla deontologia
scientifica.
I confronti tra autori italiani più o meno contemporanei consentono di
gettare uno sguardo sull’attuale contesto storico e di capire le radici profonde
della cultura italiana ed europea. Non risulta che Gozzano abbia influenzato
Malaparte come scrittore, per quanto quest’ultimo sia stato direttore de La
stampa di Torino dal 1929 al 1931 prima di collaborare con il Corriere della
sera di Milano. A Torino, prima capitale del Regno d’Italia tra il 1861 e il 1865,
dopo gli studi liceali classici Gozzano si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza
e seguì le lezioni di letteratura italiana, che realmente lo appassionavano. Lì
tra il 1907 e il 1908 ebbe una relazione con la poetessa Amalia
Guglielminetti.
Le somiglianze tra i due scrittori (antropocentrismo, ateismo e
nazionalismo
spiritualista)
derivano
dalla
tradizione
letteraria
di
appartenenza, ed in particolare dalla loro comune simpatia per Dante
Alighieri, che, seguendo la scienza della sua epoca, era deista, ovvero
credeva in un ente creatore.
Dante Alighieri nacque nel 1265 a Firenze, che allora era la più
popolosa città d’Europa con quasi 100.000 abitanti alla fine del secolo. La
sua famiglia era aristocratica, di origine longobarda per parte paterna e di
origine italiana per parte materna. Egli era consapevole della sua identità
italiana ed europea (Inferno canto XV, 1304-1321). Il suo cognome significa
“all gaira” (alla lettera, tutto lancia) in longobardo, una parlata germanica
orientale37. La sua musa spirituale Beatrice aveva antenati romagnoli. E sua
moglie Gemma era una nobildonna. Alighieri combatté con i ghibellini nel
1302 dopo che i Guelfi neri lo avevano condannato a morte e costretto
all’esilio da Firenze. Alighieri voleva l’unità di Italia sotto la monarchia e un
impero universale con la visione morale del mondo classico. Egli credeva in
un Dio creatore. Al martirio egli sostituì l’ascesa spirituale individuale nella
sua Divina commedia. La guida verso la passione per la scienza della
maturità fu il poeta latino Virgilio. Alla divulgazione scientifica Dante dedicò
anche il trattato Il convivio, scritto per questo motivo in italiano. Nell
Commedia l’educatore fiorentino Brunetto Latini fu collocato tra i sodomiti
(Inferno canto XV, 1304-1321). E il papa Bonifacio VIII, fondatore
dell’università La Sapienza di Roma, trovò posto tra i simoniaci (Inferno canto
37
Vedi
l’articolo
dello
storico
della
lingua
italiana
Ottavio
http://www.infoinsubria.com/2011/04/le-tracce-germaniche-nei-cognomi-italiani/.
Lurati
Le
in
etnie
germaniche orientali dei longobardi e ostrogoti tra il V e il VI secolo DC migrarono in larga parte in
Italia, dove giunsero anche i vandali. Invece i visigoti andarono in Spagna. Tutte le etnie
germaniche orientali furono assorbite da altri europei. XIX, 1304-1321). Finora La Sapienza fu chiamata regia solo tra il 1870, dopo
la breccia di Porta Pia, e il 1946, quando nacque questa repubblica. Bonifacio
VIII fu il principale responsabile dell’esilio del poeta ed un acerrimo nemico
dell’unità di Italia, così come Innocenzo IV, che nel 1245 scomunicò Federico
II.
La rilevazione delle differenze permette di cogliere l’originalità di un
autore. Gozzano fu simbolista; invece Malaparte era attratto dal surrealismo.
In antitesi all’acherontia, che ha una sorta di teschio sul dorso, Gozzano
(1914, VIII) individuò in un’altra falena, il macroglossum stellatarum, un
simbolo di generazione. La falena ha una lunga proboscide e favorisce la
riproduzione di molti fiori, ed in particolare del caprifoglio. La letteratura crea
simboli partendo dall’esperienza empirica, in tal modo ad esempio il cane è
associato alla fedeltà. Senza perdere il contatto con la realtà, la letteratura li
può anche creare con un atto di immaginazione, come nell’esempio del
macroglossum stellatarum. Gozzano intendeva produrre un documentario
naturalistico sulle falene e sulle farfalle. Stefano Fideli, un lontano cugino di
mio padre, Italo Fideli (1924-2011), nel refrain di una poesia espresse la sua
immaginazione antropomorfica, attribuendo naturale compassione ad un
insetto (Lucciole d’alba chiara / hanno illuminato le stelle / perché la notte mi
fa paura)38. Spesso le lucciole sono simbolicamente connesse all’attrazione
femminile notturna.
38
Stefano Fideli (Tempio 1954- Londra 1992) fece studi superiori ad Olbia, femminile dell’aggettivo
greco óλβιος (felice, in inglese happy), nome che fu ristabilito dal Regno d’Italia il 4 agosto 1939. L’attore e regista teatrale, che lavorò anche in Gran Bretagna, morì prematuramente a causa di un
tumore scoperto dopo la pubblicazione delle poesie. Lo considero l’autore della più bella poesia, in
verso libero, scritta da un italiano della Gallura: Lucciole d’alba chiara (1990). Una poesia della sua
breve raccolta (Amazzonia) è dedicata a Salvatore Brandanu (vedi oltre). Un’altra è così attraente
che ho deciso di tradurla. Pertanto, non sono il primo Fideli a pubblicare poesie. Rifiuto alcune
figure esemplari e simboli proposti nella sua giovinezza. Nella poesia Lucciole d’alba chiara i “rosai
di sangue” simbolizzano la comune origine dei due amanti. Lucciole d’alba chiara (Stefano Fideli, 1990).
Lucciole d’alba chiara
hanno illuminato le stelle
perché la notte mi fa paura.
La più bella ha il sorriso incantevole
e labbra di fior di loto.
Se la baci di primo mattino sprofonderà nel limbo.
Sentieri di via lattea intrisi d’oro puro
conducetemi al grande cuore di maggio,
ai rosai di sangue e agli amati girasoli.
Sogno e cometa
su ali di farfalla
volano a nozze con ghirlande d’astri.
Una stella
ingannata dal sogno
strilla perle silenti di rugiada.
La luna, virginea e pensosa,
insegue arcane melodie d’oriente,
celando il suo segreto argentato.
Lucciole d’alba chiara
hanno illuminato le stelle,
perché la notte mi fa paura.
Fireflies of bright dawn (Stefano Fideli, 1990; mia traduzione)
Fireflies of bright dawn
lighted the stars
since the night makes me fearful.
The most wonderful has a charming smile
and lips of lotus flower.
If you kiss her early in the morning she will fall in limbus.
Paths of lacteal way filled with pure gold
take me to the big heart of May,
to the red rose gardens and to the loved sunflowers
On butterfly wings
dream and comet
fly to get wedded with garlands of asters.
A star
deceived by dream
screams silent pearls of dew.
The moon, virgin and thoughtful,
runs after arcane eastern melodies,
hiding her silver secret.
Fireflies of bright dawn
lighted the stars
since the night makes me fearful.
Elegia della notte (Stefano Fideli, 1990)
Versano i giorni,
lenti come melassa
per il mio cuore
bramoso di stelle.
Piccolo insetto
ammaliato dal lume,
perché fuggi
le tenebre?
E tu,
fiore d’incanto,
perché volgi la corolla
al cielo?
La notte infinita
è un coro di luci danzanti:
canto di bimbi,
stormi di lucciole baluginanti.
Hai anche tu
brama di sapere,
serena coccinella
del prato?
E voi,
aridi cuori della mia terra,
avete già tracciato
il vostro cammino?
Gli innocenti
schiacciati dal mondo
vorrebbero poter volare
sulle ali del vento.
La mia stella
è un mistico giardino
di acacie
e mandorli in fiore.
Verso sera
lungo il viale dei sogni,
fra l’argento dei gattici
ti incontrerò, luna di primavera.
Elegy of the night (Stefano Fideli, 1990)
The days pass,
slow like treacle
for my heart
longing for stars.
Small insect
bewitched by light,
why do you flee
darkness?
And you,
enchanted flower,
why do you turn your corolla
to the sky?
The infinite night
is a chorus of dancing lights:
song of children,
flock of flickering fireflies.
Fair ladybird
of the lawn,
are you too wishful
to know?
And you,
dry hearts of my land,
have you already tracked
your path?
The innocent
flattened by the world
would fly
wind-winged.
My star
is a mystical garden
of acacias
and blossomed almonds.
At the evening
crossing the streets of dreams
among the silver of poplars
I will meet you, moon of springtime.
La letteratura tende ad essere più musicale nella poesia e più visuale
nella prosa. Il poeta simbolista Gozzano ha fornito un eccellente esempio di
poesia visuale con il suo poema entomologico Le farfalle. Talvolta la prosa
diviene musicale. "J’ai dormi tranquille. Les bruits de la rue entraient
doucement dans mon sommeil, comme les abeilles dans les trous de la
ruche" ("Ho dormito tranquillo. I rumori della strada entravano dolcemente nel
mio sonno, come le api nelle arnie dell’alveare"; Malaparte 1947-8; 1967,
14)39.
Un simbolo acquisisce il suo significato nel quadro di un’allegoria dove
compaiono altri simboli. Nella poesia europea contemporanea la rosa è
divenuta simbolo di carnalità e di spiritualità, di attrazione fisica e mentale. Il
più antico modello letterario è il Roman de la rose composto dai francesi
Guillame de Lorris (intorno al 1230) e Jean de Meung (intorno al 1280). Non
ho fatto un’esegesi di questo lungo documento in francese antico, del quale
conosco una traduzione parziale. I testi critici che ho consultato ritengono che
39
Alcune parti in italiano del Journal furono tradotte in francese da Gabrielle Cabrini, che
correttamente rivide il testo scritto in francese dallo scrittore. Solo in un punto sarebbe stato
necessario un suo intervento. L’autore esprime il suo favore per l’aborto nel caso di gravidanza
non desiderata dall’uomo (1947; 2015, 348), senza affermare che comunque la donna deve
decidere. Inoltre, la scrittrice e traduttrice francese avrebbe dovuto distinguere tra feto ed essere
umano, come accade nelle legislazioni di molti Stati che a questo riguardo seguono la conoscenza
scientifica. il protagonista maschile di questo poema allegorico non fosse dotato di
empatia mentale verso la donna desiderata. Superando ostacoli che sono
personificazione dei suoi stessi sentimenti contrastanti, egli alla fine la
conquista con l’aiuto di Venere.
“Mens sana in corpore sano” (Iuvenalis, I secolo DC, Satirae X, 356).
Gozzano morì di tubercolosi, che gli fu diagnosticata all’inizio del secolo.
Malaparte, che era tabagista, morì di cancro ai polmoni. Nel mio rapido
esame sia di Gozzano sia di Malaparte ho omesso testi che apparirebbero il
risultato di malattia ad un medico. Anche in quella condizione entrambi
avevano memoria del loro corpo in perfetta salute. Al momento non sono
peraltro interessato alle biografie dei due scrittori40.
I confronti tra scrittori appartenenti ad una stessa letteratura non sono
di pertinenza della letteratura comparata, che dovrebbe estendere il suo
oggetto ad almeno due diverse letterature, confrontando singoli autori o
tradizioni letterarie o culturali nel loro insieme (comparazione trans-culturale)
sulla base di evidenza empirica.
Dante Alighieri diede un ragguardevole contributo personale al lessico
della nostra attuale lingua (il 15%), mostrando in questo modo il suo genio
40
Pertanto, non è mio compito riflettere su una scelta moralmente sbagliata di Malaparte tra il 1920
e il 1933, di cui si rammaricò come scrittore solo nel 1943. Nel 1945 rinunciò ad un’amnistia e fu
assolto da qualunque responsabilità giuridica. Anche nel secondo dopoguerra Malaparte fece
alcune attività e opere moralmente criticabili.
linguistico. Shakespeare ideò quasi il 10% dei termini da lui impiegati (in
totale oltre 17.000). Il 6% dell’attuale lessico inglese di base (circa 25.000
parole) fu creato da lui41.
Malaparte fu un comparativista. Sostenne che la letteratura francese è
introspettiva e capace di esplorare i sentimenti, mentre quella italiana e quella
spagnola sono meno capaci di penetrare nell’interiorità e più grossolane
(1947-1948; 2014, 289-290). Questa tesi è basata su evidenza empirica per
la competenza dello scrittore come critico letterario. Un esperto di letterature
comparate dovrebbe portare altra evidenza, ad esempio attraverso un’analisi
statistica del lessico delle opere più pregevoli secondo il suo parere, o
dovrebbe
almeno
considerare
il
giudizio
dei
più
qualificati
critici
contemporanei commentando e quantificando le loro valutazioni.
La comparazione trans-culturale può fornire risultati interessanti anche
senza il ricorso ad alcuna statistica. La speranza della guarigione dalla
tubercolosi spinse Gozzano a recarsi in India nel 1912. Il suo diario fu
prevalentemente pubblicato sulla Stampa tra il 1914 e il 1916 e quindi
postumo come Lettere dall’India nel 1917. E’ un testo giornalistico, anche se
c'è discordanza nei tempi indicati e negli spazi descritti rispetto alla realtà
effettiva. Il valore letterario è garantito dallo stile di Gozzano, che malgrado la
41
Vedi il filologo Enrico Malato, Dante, Roma, Salerno, 1999, p. 360; Shakespeare’s contribution to
English
language
(http://shakespearescontribution.weebly.com/contribution-to-english-
language.html); Wikipedia, Shakespeare's influence. delusione per l’esito del viaggio non perde la sua originale ironia. "In Europa
gli uomini mettono le tigri in gabbia, qui sono le tigri che costringono in gabbia
gli uomini; non la tigre, veramente, che manca in queste foreste, ma il
leopardo e la pantera nera cingalese, temibilissima" (1914-6; 2008; 95). Il
lettore può trovare diletto per l’arte comica dell'autore acquistando questo
racconto di viaggio. Il brano sopra riportato è una comparazione, sia come
forma retorica sia come attività empirica che si estende a due diverse civiltà.
Il giornalista Gozzano si basa sulle proprie osservazioni e su evidenza
testuale che lui considera affidabile. I gruppi di individui sono confrontati
senza ricorrere ad alcuna statistica. E Gozzano mette l’accento sulle
differenze.
La comparazione trans-culturale consente a Gozzano di rilevare con
una punta di ironia non etnocentrica il diverso comportamento verso le tigri in
Europa e in India, senza alcun interesse per la genealogia, come accade nel
metodo comparativo (vedi capitoli 4 e 6). Gozzano riconosce che, a
differenza degli europei, gli indiani tendono a curare gli animali da compagnia
in cliniche veterinarie, pur rilevando lo scarso progresso della loro medicina.
Nel 2013 la legislazione indiana ha persino concesso lo status di persona non
umana ai delfini. Questa legge potrebbe limitare le possibilità offerte dalla
sperimentazione animale.
L’Europa ha confini geografici ben definiti. Gran parte del territorio della
Russia è al di là degli Urali; ed è plausibile che questo contribuisca a
plasmare l’identità culturale di tutti i suoi abitanti.
Il confronto con altre culture o civiltà consente di stabilire l’identità
specifica dell’Europa. Un italiano rese pubblica la scoperta di un nuovo
continente, sebbene in precedenza i vichinghi avessero abitato lì. E un
italiano diede all’America il nome. Pur dovendo tenere conto della genetica
prevalentemente europea del Nord e del Sud del continente, è lecito dubitare
del fatto che la cultura prevalente sia europea. Due problemi assillarono fin
dall’origine gli abitanti del nuovo mondo: le relazioni interetniche entro uno
stesso paese e la schiavitù. La schiavitù non è un’invenzione europea ed è
ancora presente in alcune aree dell’Africa. Per la prima volta essa fu abolita
da un europeo: l’architetto e militare greco Alessandro quando intorno al 300
AC fondò una grande città europea tra il Nilo e il mare mediterraneo. Al di
fuori del mondo greco-romano, gli antichi europei non furono mai schiavisti.
Fino a tempi relativamente recenti il problema delle relazioni interetniche era
quasi del tutto assente in questo continente.
Malaparte contrappose ad un vento del deserto che potrebbe inghiottire
l’Europa con la sua sabbia un vento primaverile che sorgendo dalla polvere
mostra la bellezza delle torri, il verde dei giardini, l’acqua delle fontane,
unendo antichi popoli europei rinati alla vita (1947; 2014, 21). L’etimologia
fenicia del termine ‘Europa’ e il mito del ratto taurino che ad esso è associato
mantengono una connotazione esotica e brutale. Europa potrebbe essere
considerata il simbolo artistico e letterario dell’alfabeto che i greci copiarono
dai fenici. E’ compito degli storici dell’arte approfondire la riflessione sul tema.
Gli europei hanno appreso l’alfabeto dai fenici e la contabilità matematica
dagli indiani, attraverso gli arabi. E’ possibile apprendere dalle altre culture e
riempire di nuovi significati i nomi, senza alcuna oscillazione consentita da un
simbolismo ambivalente. Nei primi testi di letteratura romanza, la Chanson de
Roland (inizio del XII secolo) e il Cantar de mio Cid (fine del XII secolo), i
popoli europei costruiscono la loro identità in contrasto con conquistatori
arabi portatori di una cultura differente. Quale sarebbe stato il destino
dell’Europa se gli arabi non avessero trovato l’opposizione del franco Carlo
Martello a Poitiers nel 732 DC e poi quella di Carlo Magno e di paladini
altrettanto coraggiosi e più fortunati di Roland morto nel 778 DC? E quale
sarebbe stato il suo destino senza la reconquista posta in atto dagli spagnoli
a cominciare dalle gesta del Cid? Sappiamo che gli arabi erano portatori di
una civiltà raffinata, che aveva acquisito molti elementi da quella greca e da
quella indiana. Ma presumibilmente l’identità genetica dell’Europa sarebbe
stata snaturata e la varietà biologica dell’umanità sarebbe stata ridotta,
rendendo forse gli europei molto simili ai berberi o ai mediorientali. Se
l’opposizione dell’Austria e dei suoi alleati agli ottomani non fosse stata
coronata dal successo nella battaglia di Vienna del 1683 forse gli europei
sarebbero diventati molto simili ai turchi. I biologi che oggi studiano le
relazioni interetniche non possono ignorare le lezioni della storia e devono
tenere conto del valore della biodiversità anche per la specie umana42.
La comparazione riguarda sempre singoli aspetti; e non è possibile
stabilire il primato globale di una cultura o civiltà (ovvero insieme di culture tra
42
Scorrendo la tabella di Wikipedia con dati ONU per il periodo 2005-2010 sul tasso di fecondità
per Stato (ovvero il numero medio di figli per donna), appare evidente la superiorità dell’Africa ed in
seconda battuta dell’Asia rispetto all’Europa. Il paese col più alto tasso di fecondità è il Niger
(7,19). In nessuno Stato africano ci sono meno di due figli per donna. In Asia al primo posto è
l’Afghanistan (7,07), anche se ci sono alcuni Stati al di sotto dei 2 figli per donna. In Europa il livello
più basso si riscontra in Bielorussia (1,2). Solo Albania ed Islanda superano di pochissimo i 2 figli
per donna. Un biologo potrebbe quindi decidere di esaminare i dati per continente. Si può
ipotizzare che il tasso di fecondità sia più alto dove ci sono più credenti, in base alle statistiche
ufficiali. Abitualmente le norme religiose proibiscono l’uso del condom. Dopo aver esaminato il
diagramma a dispersione, il biologo potrebbe fare ricorso alla correlazione per stabilire la forza
della relazione tra percentuale di credenti e tasso di fecondità, separando eventualmente i cattolici
dagli altri cristiani e dai musulmani in sede di analisi. Dati raccolti mediante inchiesta campionaria
trans-nazionale a livello individuale sulle donne appena entrate in menopausa sarebbero più
affidabili per stabilire la relazione tra religiosità (semplicemente concepita come frequenza in
chiesa) e numero di figli. E’ auspicabile ogni innovazione tecnologica che consenta di soddisfare le
esigenze nutritive basilari nel rispetto delle generazioni future. Ma i biologi sanno che ovunque
un’eccessiva pressione antropica produce conseguenze negative in termini sia di sofferenza
umana sia di deperimento delle risorse ambientali. Le ondate migratorie verso il nostro continente
potrebbero mettere a rischio la biodiversità che caratterizza anche le etnie umane e l’identità
genetica e culturale europea. I veri rifugiati sono pochissimi: quelli che si batterono per i diritti dati
dalla dichiarazione e per questo furono perseguitati nel loro paese.
loro relativamente omogenee) rispetto ad altre. Come sfera del pensiero
umano, l'etica, che dovrebbe aspirare all’universalismo, deve essere distinta
dalla gnoseologia, che riflette sulla verità o falsità delle affermazioni,
riscontrando empiricamente somiglianze o differenze. Su singoli aspetti, ad
esempio la capacità di preservare la diversità delle specie, persino una tribù
amazzonica potrebbe far meglio dei vicini europei. Un eurocentrismo assoluto
è privo di supporto empirico. Pensiamo alla superiore capacità di alcune
antiche tribù africane di preservare l'equilibrio tra popolazione e risorse
rispetto agli africani civilizzati dalle religioni monoteiste.
Gli oggetti della comparazione trans-culturale sono culture comparate
alla
ricerca
di
somiglianze
o
differenze.
Talvolta,
in
particolare
nell’archeologia, le somiglianze tra due culture sono spiegate sulla base di un
antenato comune. Nella letteratura comparata l’omologia trova il suo più
fertile terreno di applicazione quando gli oggetti sono lingue organizzate in
modo tassonomico. Prima di avanzare una mia nuova proposta sulla
tassonomia delle lingue, continuerò ad illustrare la comparazione, che è il
principale oggetto di questo saggio.
Io apprezzo i simboli e lo stile letterario, ma, sulla base della mia
esperienza, rifiuto qualunque dottrina. Gli –ismi che introduco in questa
monografia sono fatti empirici nella scienza (antropocentrismo ed ateismo) o
nella filologia (nazionalismo spiritualista in riferimento alla letteratura e alla
storia del Risorgimento italiano)43. L’universalismo, ovvero l’idea che le
stesse leggi debbano applicarsi per chiunque e ovunque, proviene dal diritto
romano e dal 1948 è pacificamente affermato dalla dichiarazione universale
dei diritti umani.
43
Il diritto alla nazionalità è garantito dalla dichiarazione universale dei diritti umani (articolo 15) e
ha un fondamento nella natura, anche se è implementato grazie alla cultura.
III. Tecniche per la ricerca trans‐culturale e trans‐nazionale in biologia. Il termine ‘tecnica’ evoca la ripetizione e la riproducibilità, che in molti
casi facilita l’apprendimento. In questo capitolo illustro aspetti tecnici della
ricerca biologica trans-culturale e trans-nazionale, che abitualmente ha come
oggetto etnie diverse. Restringo l’esame a tecniche di raccolta che nella fase
di analisi consentono l’uso del metodo statistico per controllare ipotesi di
associazione tra variabili: il questionario e i tests visuali.
Table 2 Animal Attitude Scale di Harold Herzog (1991; vedi www.haroldherzog.com)
Response categories
SA = strongly agree A = agree U= undecided D= disagree SD= strongly disagree
1. It is morally wrong to hunt wild animals just for sport.
2. I do not thing that there is anything wrong with using animals in medical research
3. There should be extremely stiff penalties including jail sentences for people who participate
in cock fighting
4. Wild animals, such as mink and racoons, should not be trapped and their skins made into
fur coats.
5. There is nothing morally wrong with hunting wild animals just for food.
6. I think people who object to raising animals for meat are too sentimental.
7. Much of the scientific research made with animals is unnecessary and cruel.
8. I think it is perfectly acceptable for cattle and hogs to be raised for human consumption.
9. Basically, humans have the right to use animals as we fit.
10. The slaughter of whales and dolphins should be immediately stopped even if it means
some people will be put out of work.
11. I sometimes get upset when I see wild animals in cages at zoos.
12. In general, I think that human economic gain is more important than setting aside more land
for wildlife.
13. Too much fuss is made over the welfare of animals these days when there are many
human problems that need to be solved.
14. Breeding animals just for their skins is a legitimate use of animals.
15. Some aspects of biology can only be learned through dissecting preserved animals as cats.
16. Continued research with animals will be necessary if we are to ever conquer diseases as
cancer, heart disease and AIDS.
17. It is unethical to breed purebred dogs for pets when millions of dogs are killed in animal
shelters each year.
18. The production of inexpensive meat, eggs and dairy products justifies maintaining animals
under crowded conditions.
19. The use of animals such as rabbits for testing the safety of cosmetics and household
products is unnecessary and should be stopped.
20. The use of animals in rodeos and circuses is cruel.
Tabella 3 Mia traduzione di Animal Attitude Scale di Harold Herzog (2010)
Categorie di risposta
CA = completamente d’accordo A = d’accordo I= incerto D= in disaccordo CD= completamente in
disaccordo
1. E’ moralmente sbagliato cacciare animali selvatici solo per sport.
2. Penso che sia giusto usare gli animali nella ricerca medica.
3. Ci dovrebbero essere pene estremamente severe, inclusa la detenzione in galera, per chi
partecipa a combattimenti tra cani.
4. Animali selvatici come procioni e visoni non dovrebbero essere catturati con trappole per
fare pellicce con la loro pelle.
5. E’ giusto cacciare animali selvatici per cibarsene.
6. Penso che le persone che fanno obiezioni sull’allevamento degli animali per la carne siano
troppo sentimentali.
7. Molta ricerca scientifica fatta con gli animali non è necessaria ed è crudele.
8. Penso che il bestiame possa essere allevato per il consumo umano.
9. In linea di principio, gli esseri umani hanno il diritto di usare gli animali come ritengono
opportuno.
10. La strage di balene e delfini deve essere immediatamente bloccata anche se alcune
persone perderanno il lavoro.
11. Qualche volta mi dispiace vedere animali selvatici in gabbia negli zoo.
12. In generale, io penso che il guadagno economico umano sia più importante che assegnare
più terra agli animali selvatici.
13. Si discute troppo sul benessere degli animali quando ci sono molti problemi umani che
devono essere risolti.
14. E’ legittimo allevare animali solo per la loro pelle.
15. Alcuni aspetti della biologia possono essere appresi attraverso la dissezione di animali
preservati come i gatti.
16. Una continua ricerca sugli animali sarà necessaria se desideriamo avere la meglio su
malattie come il cancro, le malattie cardiache e l’AIDS.
17. E’ moralmente sbagliato allevare cani di razza come animali da compagnia quando milioni
di cani sono uccisi ogni anno nei canili.
18. La produzione di carne, uova e latticini a basso costo giustifica il mantenimento degli
animali in condizioni disagiate.
19. L’uso di animali come i conigli per testare la sicurezza dei cosmetici e dei prodotti per la
casa non è necessaria e deve essere bloccata.
20. L’uso di animali in giostre e circhi è crudele.
L’atteggiamento è uno stato mentale relativamente stabile verso un
oggetto esterno all’individuo che predispone al comportamento. Gli
antrozoologi hanno ideato scale per rilevare atteggiamenti. In Animal Attitude
Scale dell’antrozoologo euro-americano Harold Herzog il concetto di
atteggiamento verso gli animali è scomposto nelle sue dimensioni. Gli
elementi (items) sono quasi sempre prescrizioni (value statements) che
toccano tematiche etiche. Le domande riguardano i modi in cui gli esseri
umani, a prescindere dalle differenze legate alla nascita, devono considerare
un animale: come cibo (5, 6, 8, 10, 13, 18), come capo di abbigliamento (4,
14), per compagnia e protezione (17), come oggetto ludico che può persino
essere sacrificato nella caccia sportiva (1, 3, 11, 20) o come oggetto di un
esperimento biomedico (2, 7, 15, 16, 19). Alcune domande sono però più
generali: l’item 9 esprime l’orientamento antropocentrico nella sua forma
estrema. L’item 12 contrappone la crescita economica al conservazionismo,
in particolare di specie minacciate44. La maggioranza degli items sono singole
frasi (sentences) esaminabili con gli strumenti della grammatica e della
44
Questa frase (12) contiene il comparativo di maggioranza in un ordinamento di preferenze, che è
un’attività diversa dalla comparazione, anche se questo termine è impiegato in alcuni ordinamenti
(pairwise comparison). La scala non contiene alcuna domanda su zoofilia e bestialità, che esulano
dagli interessi di Herzog. Ma la sua netta contrarietà a queste pratiche contro natura emerge dai
suoi scritti. sintassi45; ma alcuni sono periodi (periods) con una struttura più complessa:
due proposizioni allo stesso livello (clauses) (4 e 19) oppure una proposizione
principale (clause) e una subordinata (sub-clause) (9, 10, 11, 13, 16, 17). La
scala è composta da venti items Likert (dal nome di colui che nel 1932 ideò
questa tecnica) con cinque alternative (completamente d’accordo / d’accordo
/ incerto / in disaccordo / completamente in disaccordo). Nove items hanno
polarità positiva verso gli animali (1, 3, 4, 7, 10, 11, 17, 19, 20). I codici
variano da 0 a 4 o da 1 a 5 e devono essere assegnati tenendo conto della
polarità (ad esempio, la categoria di risposta ‘completamente d’accordo’ della
prima domanda avrà codice 5 e quella ‘completamente d’accordo della
seconda avrà codice 1). Le affermazioni collocate nel continuum animalismo /
antropocentrismo (verso gli animali) tendono ad essere estreme46. Mediante
analisi statistiche basate sulla covariazione Herzog valutò la congruenza
interna delle domande concepite come indicatori di uno stesso concetto
sintetizzabile in un indice sommatorio. Dopo aver accertato che la scala
“funzionava” nell’ambito americano, Herzog avviò una ricerca internazionale.
Accettò la mia collaborazione senza impormi la traduzione letterale, che era
molto diffusa nella fase iniziale di sviluppo della ricerca trans-culturale.
45
Riconduco alla sintassi le proposizioni soggettive, oggettive e relative. 46
Si può costruire un indice sommatorio derivante da items Likert trattati come variabili quasi-
cardinali. L’equidistanza tra le categorie di risposta (completamente d’accordo / d’accordo / incerto
/ in disaccordo / completamente d’accordo) può essere facilmente comunicata agli intervistati. Successivamente furono impiegate procedure più sofisticate. Nella "doppia
traduzione cieca” il testo della domanda è tradotto dalla lingua A alla lingua B;
successivamente un altro traduttore fa l’inverso. Anche in questo modo non si
ottiene una perfetta equivalenza degli stimoli. La mia esperienza mi induce a
ritenere che i problemi di traduzione siano più abbordabili nella rilevazione di
atteggiamenti che hanno una base istintuale come quelli verso la natura,
verso gli animali, verso l’altro sesso, verso i bambini. Pochi termini sono stati
modificati rispetto alla versione originale della scala per garantire
l’equivalenza: in Italia non abbiamo rodei, ma giostre. Mediante un
questionario io ed altri ricercatori intervistammo proprietari di cani in vari
comuni italiani per valutarne il funzionamento in un campione accidentale che
teneva conto di alcune variabili rilevanti (sesso e classe di età). Per questo
motivo nell’item 3 della traduzione della scala, che differisce di poco da quella
somministrata, menziono i combattimenti tra cani.
Fu un’esperienza umana positiva e un’occasione di contatto con la natura
nei parchi cittadini. Particolarmente la classificazione delle razze canine destò
la mia curiosità. Semplificando, la forma del corpo e la direzione della coda
consentono di distinguere sei tipi principali: lupoide, molossoide, braccoide,
levriero, bassotto, volpino (piccolo con coda rivolta verso il retro del corpo).
La domesticazione degli animali è stato un fenomeno naturale di mutuo
vantaggio. E’ stato il cacciatore ad addomesticare il cane. Quindi, con
l’avvento dell’agricoltura i bovini e gli altri ruminanti selvatici hanno tratto
vantaggio dall’avvicinarsi ai campi coltivati, per quanto l’uomo sia
naturalmente carnivoro. I residui della produzione del grano e degli altri
cereali erano per loro una fonte alimentare gradevole. E così nel neolitico
dopo l’agricoltura nacque la pastorizia. Ed anche i gatti si sono avvicinati
all’uomo percependo vantaggi: il campo coltivato attira i topi; ed essi a loro
volta richiamano il predatore felino. L’evidenza paleozoologica suggerisce
che l’Asia occidentale sia la principale area di origine del processo di
domesticazione
degli
animali.
Ma
essa
può
essere
avvenuta
simultaneamente in più luoghi diversi, tra i quali l’Europa.
Io feci il mio lavoro sul campo con accuratezza, e, grazie alle cassette a
me consegnate, posso attestare che fecero lo stesso le persone con cui
collaborai. Nel 2005 al termine della raccolta dei dati (267 interviste con
questionario), inviai il file allo scienziato euro-americano, che sottopose i dati
ad elaborazione statistica con tecniche appropriate menzionando anche il mio
contributo nella rivista Anthrozoos (2007, 11), allora diretta da un dottore di
ricerca e ricercatore di zoologia dell’università di Cambridge.
Le differenze nelle medie su Animal attitude scale tra il campione
statunitense e quello italiano non sono esaminate47. L’analisi statistica mostra
che le donne hanno un atteggiamento più favorevole verso gli animali.
Mediante altre domande Herzog ha anche rilevato che le donne tendono ad
47
Il termine gender nel titolo della ricerca deve essere tradotto in italiano come sesso, che è una
dicotomia naturale. essere più benevole anche nei comportamenti. Le differenze tra uomo e
donna sono codificate nei geni e modellate nelle caratteristiche morfologiche.
La storia evolutiva dell’umanità mostra che i maschi si dedicavano alla caccia
e le donne alla raccolta. Non sorprende quindi che ancora oggi i maschi siano
più rudi verso gli animali, per quanto addomesticati. E, sempre per una causa
genetica, gli istinti di caccia e combattimento sono connaturati ai maschi,
anche se le tradizioni letterarie europee ci offrono contro-esempi: dalle
valchirie dei miti nordici alla dea greca Diana. In base alla mia esperienza, io
quindi mi fido dei sondaggi e delle inchieste campionarie condotte nella
antrozoologia, anche se osservazioni operate da professionisti nelle scienze
naturali sarebbero utili48.
Passo ora ad illustrare alcuni tests visuali.
48
Sui disegni sperimentali vedi cap. 5.
Tabella 4 Domande della circolare di Darwin (1867) relative alle sei emozioni fondamentali
(fonte: Charles Darwin, The expression of the emotions in man and animals, London,
Murray, 1872)
(1) Is astonishment expressed by the eyes and mouth being opened wide, and by the eyebrows
being raised?
(5) When in low spirits, are the corners of the mouth depressed, and the inner corner of the
eyebrows raised by that muscle which the French call the grief muscle? The eyebrow in this state
becomes slightly oblique, with a little swelling at the inner end; and the forehead is transversally
wrinkled in the middle part, but not cross the whole breadth, as when the eyebrows are raised in
surprise.
(6) When in good spirits do the eyes sparkle, with the skin a little wrinkled round and under them,
and with the mouth a little drawn back at the corners?
(7) When a man sneers or snarls at another is the corner of the upper lip over the canine or eye
tooth raised on the side facing the man whom he addresses?
(10) Is disgust shown by the lower lip being turned down, the upper lip slightly raised, with a
sudden expiration, something like incipient vomiting, or like something spit out of the mouth?
(11) Is extreme fear expressed in the same general manner as with Europeans?
Tabella 5 Mia traduzione delle domande della circolare di Darwin relative alle sei emozioni
fondamentali.
(1) La sorpresa è espressa dagli occhi aperti e dalla bocca spalancata e dai sopraccigli sollevati?
(5) Quando si è giù di umore gli angoli della bocca sono abbassati, e l’estremità interna superiore
dei sopraccigli sollevata da quel muscolo che i francesi chiamano della sofferenza? In questo stato
il sopracciglio diventa un po’ obliquo, con un piccolo rigonfiamento nell’estremità interna, e la fronte
è trasversalmente aggrottata nella parte centrale, ma non lungo tutta la larghezza come quando i
sopraccigli sono sollevati per la sorpresa.
(6) Quando si è di buon umore gli occhi brillano con la pelle un po’ increspata intorno a loro e con
la bocca un po’ abbassata alle estremità?
(7) Quando un uomo deride o pronuncia parole dure verso un altro l’estremità del labbro superiore
sopra il dente canino è sollevata dalla parte rivolta all’uomo al quale si rivolge?
(10) Il disgusto è mostrato dal labbro inferiore rivoltato, dal labbro superiore abbastanza sollevato,
con un’espirazione improvvisa, come se arrivasse il vomito o si sputasse qualcosa fuori dalla
bocca?
(11) La paura estrema è espressa allo stesso modo che in Europa?
Dopo aver effettuato osservazioni personali sulle espressioni facciali sia
in Gran Bretagna sia nei paesi stranieri nei quali si recò per ragioni di ricerca,
nel 1867 Charles Darwin inviò una circolare composta da sedici domande a
funzionari di origine europea che risiedevano in tutte le aree dell’impero
dando loro fino ad un anno di tempo per rispondere. Darwin lasciò
volutamente aperte le domande perché si aspettava che gli informatori
andassero al di là di una semplice risposta “sì” o “no”, in modo da avere
elementi per valutarne l’affidabilità. Trentasei risposero, uno dei quali inviò
anche l’opinione in inglese dell’africano del sud Gaika. Inoltre, Darwin fu
anche uno dei primi ricercatori ad avvalersi di fotografie, chiedendo a cittadini
britannici di individuare lo stato emotivo dei soggetti rappresentati. I risultati
indussero
Darwin
ad
affermare
che
le
espressioni
delle
emozioni
fondamentali (vedi tabelle 2 e 3) sono innate ed universali. Ciò è una prova
convincente dell’unità dell’umanità, alla quale allora alcuni scienziati non
credevano affatto. I sentimenti che tendono ad essere più duraturi (vergogna,
colpa, ammirazione, disprezzo, etc.) non sono espressi da una specifica
espressione facciale.
Per lungo tempo gli scienziati abbandonarono il percorso di ricerca
avviato da Darwin.
A partire dagli anni sessanta anche lo scienziato ebreo americano Paul
Ekman
avviò
una
ricerca
trans-culturale
con
l’ausilio
di
fotografie
opportunatamente scelte da un certo numero di codificatori49. Ekman rilevò
infatti i limiti dell’altra tecnica usata da Darwin: la circolare composta da
domande aperte. A suo giudizio, menzionando nel testo lo stato emotivo, le
domande tendevano ad essere pilotanti, inducendo l’informatore a dare
risposte positive.
49
Ekman fece studi realmente scientifici nel post-dottorato presso il National institute of mental
health degli Stati Uniti fra il 1960 e il 1963. Charles Darwin studiò ad Edimburgo e Cambridge
senza laurearsi. Le sue tesi furono accolte dopo la pubblicazione del suo fortunato libro The origin
of species by means of natural selection del 1859. Figura 1 Fotografie usate da Ekman in ricerche condotte negli anni sessanta in Europa ed in altre culture letterate (fonte: Preface, introduction, notes, afterword to Charles Darwin, The expression of emotions in man and animals, Oxford university press, 1998) La ricerca fu condotta in ventuno Stati europei (tra i quali l’Italia) ed
extraeuropei (tra i quali gli Stati Uniti) su campioni spesso costituiti da
studenti universitari. Tutti i continenti erano rappresentati, ad eccezione
dell’Oceania. Ciascuna immagine fu sottoposta agli interrogati con sei
alternative di risposta (disgusto, gioia, paura, rabbia, sorpresa, tristezza). Le
lingue parlate nei paesi oggetto della ricerca tendevano ad avere un termine
corrispondente per ciascuna emozione. Gli intervistati potevano dare la
risposta corretta o una risposta non corretta corrispondente ad un’altra delle
sei emozioni di base. La tecnica di analisi poteva essere la semplice
tabulazione incrociata. Per ogni espressione emotiva Ekman ed i suoi
collaboratori disponevano di ventuno distribuzioni di frequenza relative ai
diversi ambiti nazionali (corrispondenti alle categorie della variabile ‘Stato di
residenza dell’intervistato’). I dati potevano anche essere condensati in
un’unica tabella con gli Stati in riga, le variabili relative a ciascuna emozione
in colonna e la percentuale nella categoria modale nelle celle. Essi non si
aspettavano che il contesto influisse sulle risposte degli intervistati; si
aspettavano invece uniformità nelle scelte: in ciascuno Stato la maggioranza
avrebbe dovuto scegliere l’emozione che essi giudicavano corretta. E così fu
con sei sole eccezioni. Ma anche in questi casi la risposta più frequente (la
moda) era la stessa data dalla maggioranza degli intervistati degli altri Stati.
Fu condotta anche una ricerca metodologica negli Stati Uniti che non rilevò
apprezzabili differenze tra il formato chiuso e quello aperto.
Sembrava che i risultati fornissero un solido sostegno alla tesi
dell’universalità e del carattere innato delle emozioni. Ma fin dalla fine
dell’ottocento chi presenta generalizzazioni trans-culturali deve tener conto
del “problema di Galton”. In un convegno del 1888 del Royal Anthropological
Institute Galton affermò che una relazione tra variabili, per quanto
statisticamente ineccepibile, può essere dovuta alla diffusione di abitudini da
una cultura all’altra anziché ad un legame causale che opera in contesti tra
loro indipendenti.
Nell’epoca dei mass media Ekman si trovò ad affrontare questa facile
critica: se un giapponese interpreta una certa espressione facciale come un
sorriso lo può fare perché lo ha appreso dai film americani; e lo stesso vale
per qualunque altra espressione di base in ogni cultura non americana.
Peraltro, la critica non toglie alcun valore alle uniformità da lui scoperte col
metodo statistico. Ekman avrebbe potuto replicare la ricerca su bambini,
meno esposti all’apprendimento culturale. Con lo scopo di mostrare la
naturalità delle emozioni nel 1967 egli sottopose ad alcuni individui di una
tribù pre-letterata (i Fore di Papua Nuova Guinea) che mai erano venuti a
contatto con immagini dei mass media alcune brevi storie, chiedendo loro di
collegare a ciascuna di esse uno stato emotivo espresso da soggetti
rappresentati in fotografie. Tendenzialmente i Fore individuarono le stesse
emozioni che un occidentale avrebbe individuato. A San Francisco Ekman
chiese a studenti universitari di collegare le storie ad espressioni facciali in
fotografie che ritraevano Fore. I giudizi coincisero.
In una ricerca pubblicata nel 1862 il neurologo francese Guillaume
Duchenne riscontrò che l’emozione di gioia è espressa col movimento di due
muscoli: quelli orbicolari, nelle parti esteriori degli occhi, e quelli zigomatici,
alle estremità della bocca. Mentre il movimento di questi ultimi può essere
controllato volontariamente, quello dei muscoli orbicolari può essere solo
involontario50. Ovviamente solo un esperto come Duchenne è in grado di
distinguere un sorriso sincero da uno artefatto; e lo stesso vale per le altre
emozioni di base, che sono prodotte dal sistema nervoso centrale (vedi
capitolo 1).
50
Guillaume Duchenne, Mécanisme de la physionomie humaine, ou Analyse électro-physiologique
de l'expression des passions applicable à la pratique des arts plastiques, Paris, Renouard, 1862. Figura 2 Alcuni disegni del test di Hudson (fonte: William Hudson, The study of the problem of pictorial perception among unaccultured groups, International journal of psychology, 2, 1967) A differenza del questionario formulato e somministrato nell’inchiesta, il
test rileva capacità, e non atteggiamenti. In quell’ambito il rilevatore si aspetta
di ricevere risposte sincere; in un test le risposte possono essere considerate
corrette o scorrette.
Un’altra importante applicazioni dei tests fu la ricerca trans-culturale
condotta nell’Africa del Sud da William Hudson su bambini diversificati per
appartenenza etnica ed età. Ai soggetti furono sottoposte figure che
rappresentavano un cacciatore, un’antilope, un elefante (vedi fig. 2). Le figure
furono disegnate in modo da rendere evidente la profondità. La risposta alla
domanda se il cacciatore mirasse all’elefante o all’antilope era considerata un
indicatore
della
tendenza
del
soggetto
ad
avere
una
percezione
bidimensionale o tridimensionale dello spazio. L’interrogato aveva infatti la
possibilità di rispondere a più domande con figure simili. I risultati della
ricerca mostrarono che gli studenti di origine europea che iniziavano la scuola
primaria avevano qualche difficoltà a vedere le immagini in profondità. La
maggior parte degli europei che frequentava gli ultimi anni della scuola
primaria era invece in grado di percepire in modo tridimensionale il materiale
figurativo. Ciò non accadeva tra i bambini bantu, per quanto fra i più adulti vi
fosse una percentuale più alta di percezioni tridimensionali. I ricercatori
rilevarono che anche alcuni studenti indiani di lingua gujarati avevano
difficoltà con la tridimensionalità. Il contorno della collina su cui stava
l’elefante era visto da chi percepiva in due dimensioni come un sentiero o
come un fiume. Le linee in prospettiva erano interpretate come una trappola
per elefanti o come dei pali. I più istruiti qualche volta le interpretavano come
lettere dell’alfabeto. Molti bantu analfabeti guardarono la figura girandola da
tutte le parti per determinare con cura la direzione verso la quale mirava il
cacciatore.
Alcuni
rifiutarono
la
propria
percezione
bidimensionale
sostenendo che un cacciatore non attaccherebbe mai un elefante solo con
un’asta. Hudson concluse che l’istruzione ufficiale non svolgeva un ruolo
decisivo nello sviluppo della percezione della profondità pittorica. Nella
ricerca di Hudson la percentuale di risposte corrette saliva dal 17% nella
prima classe della scuola primaria al 72% nell’ultima classe tra i bambini di
origine europea, in contrasto con il 35% tra i bambini di colore della stessa
classe. Tra i bantu la dimensione non era usata come strumento grafico per
indicare la distanza. La mancanza di una percezione tridimensionale fu
rilevata anche mediante altri tests grafici. I bantu tendevano a rappresentare
quello che sapevano, e non quello che vedevano. I bambini europei erano
educati alla percezione tridimensionale nell’arte anche nelle loro abitazioni.
La prospettiva appartiene all’organo umano della vista, ma nell’arte è
un’acquisizione relativamente recente. Nei loro affreschi gli antichi egizi
tendevano a dare risalto alle persone più rispettate (il faraone, il guerriero, il
sacerdote, lo scriba), a prescindere dalla distanza dall’osservatore. Soltanto a
partire dall’arte europea rinascimentale la prospettiva rispetta rigorosamente
le leggi fisiologiche ed è governata dalla geometria. La meritevole ricerca di
Hudson ha quindi rilevanza per la storia dell’arte e non per le scienze naturali.
IV. Il metodo comparativo della biologia.
Descartes riteneva che la sede dell’anima immortale fosse la
ghiandola endocrina pineale, collocata al centro del cervello. La
convinzione di una differenza sostanziale, di un salto qualitativo tra
esseri umani ed animali, che trasse direttamente dai testi biblici, impedì
persino ad un genio come lui di comparare. La semplice comparazione
anatomica gli avrebbe consentito di vedere che cani e gatti defunti per
cause naturali non vivono in un mondo estraneo alla nostra spiritualità in
quanto privi di ghiandola pineale. Anche loro hanno quest’organo; ma
nessuno scienziato, sia pure credente, ha mai dimostrato che esistono
Dio o l’anima immortale, e che persino un nostro pet ne è dotato. Liberi
di associarsi, i credenti possono finanziare la ricerca ecclesiastica su
questo, così come altre attività delle chiese dai dichiarati intenti benefici.
A mia conoscenza, il primo a stabilire qual è la funzione della
comparazione come attività cognitiva fu Diderot51, che, partendo dalla
grammatica, argutamente rilevò che essa coglie somiglianze o differenze
tra due o più casi su una stessa proprietà: l’altezza, il peso, il colore degli
occhi, il colore dei capelli, etc. Inoltre Diderot rilevò l’inadeguatezza del
51
Pensées sur l’interprétation de la nature, Paris, 1754, xxiv; ristampato da Farmington
Hills, Gale, 2010. fissismo, l’idea che le specie permangono immutate, anticipando
l’evoluzionismo darwiniano. Pur non essendo un medico per formazione,
tra il 1746 e il 1748 Diderot tradusse dall’inglese al francese il dizionario
di fisiologia di Robert James. Les bijoux indiscret e Voyage en Hollande
sollecitano analisi testuali tra un luogo immaginario (il Congo maschilista
di Les bijoux) e un luogo reale (i Paesi bassi femministi del Voyage).
La pubblicazione nel 1872 di The expressions of the emotions in
man and animals di Darwin mise in luce le potenzialità della
comparazione come metodo specifico della scienza. Egli rilevò
somiglianze nei modi in cui una stessa emozione è espressa in specie
animali diverse tra loro: il labbro sollevato sopra il dente canino esprime
rabbia sia nell’uomo sia nel cane. Inoltre Darwin riuscì anche a
ricondurre espressioni diverse ad una stessa emozione: il ronfare
rumoroso del gatto è analogo al nostro sorriso tipicamente umano, che la
scimmia esibisce nei muscoli del viso provando peraltro timore.
Specifiche espressioni visive e vocali corrispondono all’emozione
mentale di gioia. Le somiglianze nella vita emotiva ed istintiva furono per
lui
un’evidenza
convincente
dell’ascendenza
animale
dell’uomo.
Mediante una circolare inviata a più esperti Darwin riscontrò anche
somiglianze nel modo in cui le emozioni di base sono espresse in etnie
diverse. A conclusioni simili è giunto in tempi recenti anche Ekman sulla
base di un’inchiesta trans-culturale basata su campioni opportunamente
selezionati.
“Instinct is usually defined as the faculty of acting in such a way
as to produce certain ends, without foresight of the ends, and
without previous education in the performance. That instincts,
as thus defined, exist on an enormous scale in the animal
kingdom needs no proof….
It is not for the sake of their utility that they are followed, but
because at the moment of following them we feel that it is the
only appropriate and natural thing to do…
Reason might be used… not as the mere power of inferring, but
also as a name for the tendency to obey impulses…
Some sort of sympathy… are surely primitive… Cattle do not
help a wounded comrade; on the contrary they are more likely
to dispatch him. But a dog will lick another dog, and even bring
food; and the sympathy of monkeys is proved by many
observations to be strong. In man, them, we may lay it down
that the sight of suffering or danger to others is a direct exciter
of interest and, an immediate stimulus, if no complication
hinders, to acts of relief….
Sympathy is peculiarly liable to inhibition from other instincts…
The… pugnacious instinct… when aroused… inhibit(s) our
sympathy absolutely”. (James, What is an instinct?, in
Scribner's Magazine, vol. 1, 1887; Some human instincts,
Popular science monthly, vol. 31, 1887)
“L’istinto è abitualmente definito come la facoltà di agire in
modo tale da ottenere un certo risultato, senza alcuna
riflessione sullo scopo e senza previa educazione alla
prestazione. Il fatto che gli istinti, così definiti, esistano in
enorme scala nel regno animale non richiede ulteriori prove…
Gli istinti non sono seguiti per la loro utilità, ma poiché nel
momento di seguirli sentiamo che è l’unica cosa naturale da
fare…
Come spesso è stato…, la ragione potrebbe essere considerata
non come il mero potere di inferire, ma anche come una
tendenza ad obbedire ad impulsi…
Alcune forme di altruismo… sono certamente naturali… Tra il
bestiame non si rileva alcuna tendenza ad aiutare un compagno
ferito; al contrario gli animali da allevamento tendono a
mandarlo all’altro mondo. Ma un cane lecca un altro cane e gli
porta persino cibo; e l’altruismo dei primati non umani è provata
da molte osservazioni. Quindi, nell’uomo noi potremmo stabilire
che la percezione della sofferenza o del pericolo in altri suscita
immediato interesse e stimola atti di sollievo, se non c’è
l’ostacolo di alcuna complicazione…
L’altruismo è peculiarmente suscettibile ad inibizioni per opera
di altri istinti… L’aggressività, quando sollecitata, inibisce
assolutamente il nostro altruismo” (mia traduzione).
Gli scienziati evoluzionisti dell’epoca confrontavano sistematicamente la
forma e la funzione di organi di specie vicine, ma raramente facevano
comparazioni tra i loro comportamenti. Al divulgatore scientifico William
James dobbiamo una lucida definizione del termine ‘istinto’ e un’anticipazione
del metodo comparativo in etologia. Egli invece espresse fondate critiche a
quella forma di comparazione trans-culturale che allora gli “evoluzionisti
sociali” chiamavano “metodo comparativo”: il tentativo di ricostruire il passato
dei popoli letterati attraverso il confronto tra quelli pre-letterati del presente.
Anche il tentativo di ricostruire le menti della storia passata con evidenza
tratta da ricerche contemporanee sui bambini e sui malati mentali appare
quanto meno azzardato.
Nel brano da me tradotto James considera l’essere umano, gli altri
primati e il cane, trovando somiglianze nell’espressione dell’istinto di
sympathy (altruismo): il prestare effettivo soccorso ad un conspecifico in
difficoltà, anche per cause naturali (età, malattia, evento naturale, disastro
naturale, etc.), con comportamenti salutari come leccare le ferite o portare
cibo. Questi comportamenti sono qualcosa di diverso dal semplice
sentimento naturale di compassione. I comportamenti altruistici di alcuni
primati e canidi, così come quelli aggressivi verso il molestatore di una
conspecifica tra le taccole, gettano qualche dubbio sull’idea che l’individuo sia
sempre unità di selezione. L’altruismo può essere intra-specifico o interspecifico. Alcune razze di cani come il Labrador sono state selezionate
proprio per questa dote. Le più recenti ricerche etologiche sui bonobo e sugli
scimpanzé corroborano la tesi del carattere naturale del nostro altruismo;
invece, tra i macachi questi comportamenti sono rari52. La vicinanza
nell’albero filogenetico consente di affermare che questa somiglianza tra
esseri umani, bonobo e scimpanzé è un’omologia imputabile all’antenato
comune, che visse in Africa circa 7 milioni di anni fa’.
I biologi distinguono l’omologia dall’analogia. Un’omologia è una
somiglianza tra due o più specie imputabile alla filogenesi, ovvero ad un
antenato comune. Sia le specie del genus pan (bonobo e scimpanzé) sia
quelle del genus homo, che appartengono alla stessa tribù (hominini), hanno
(o avevano) una dieta tendenzialmente carnivora. Gli ominidi non umani
(generi pan, gorilla, pongo) vivono mediamente tra i 40 e i 50 anni allo stato
selvatico. Così verosimilmente accadeva anche ai nostri antenati nel
paleolitico ed anche all’antenato di tutta la famiglia degli ominidi, alla quale
52
Vedi il primatologo olandese Frans De Waal, The cosmopolitan ape, in Nautilus, I, 2013.
l’homo sapiens appartiene. Tutti i primati percepiscono un mondo a colori.
Tutti i placentati hanno una funzionale connessione tra i due emisferi grazie
al corpus callosum. Tutti i mammiferi hanno le stesse 28 ossa denominabili
con gli stessi nomi. Tutti i vertebrati sono dotati della coclea, un organo a
forma di chiocciola che consente di decodificare le onde sonore. Tutti i cordati
hanno una conformazione fisiologica simile (una sistema nervoso, un vaso
sanguigno principale e un tubo digerente), come si desume dall’anatomia dei
feti di mammiferi e di uccelli in esposizione al museo Nemo di Amsterdam.
Tutti gli animali che si riproducono sessualmente hanno un orientamento
eterosessuale. I rapporti eterosessuali precedono la formazione di coppie
stabili laddove esse sono previste dalla filogenesi. Queste somiglianze
morfologiche o comportamentali sono rilevate mediante osservazioni e non
sono desumibili dal criterio classificatorio sic et simpliciter. I vertebrati non
solo sono dotati di vertebre, ma possiedono anche l’organo della coclea.
Queste somiglianze attestano l’origine di tutti gli animali da uno stesso
antenato e forniscono evidenza decisiva a favore della teoria evoluzionista.
In biologia l’omologia rileva somiglianze su una proprietà tra due o più
specie e le spiega sulla base dell’antenato comune. L’omologia può essere
rilevata non solo mediante osservazione, ma anche mediante esperimento.
Attraverso evidenza sperimentale sappiamo ad esempio che, così come
l’uomo, lo scimpanzé è in grado di riconoscere la propria immagine allo
specchio compiendo movimenti sul proprio corpo (ad esempio, toccando una
macchia colorata). Ma questa risultanza ottenuta in un contesto artificiale non
implica che lo scimpanzé o altri animali che hanno la capacità di riconoscere
la propria immagine allo specchio siano dotati di consapevolezza, che io
attribuisco solamente agli esseri umani.
In biologia l’analogia rileva invece somiglianze imputabili non alla
filogenesi, ad uno stesso antenato comune, ma ad adattamenti paralleli. Il
90% delle specie di uccelli sono monogame, mentre questo comportamento è
presente solo nel 3% delle specie di mammiferi53. Tra i primati anche i
gibboni, formano coppie stabili e ad accudiscono i piccoli, in particolare nei
primi quattro anni di vita. La pubertà giunge in tempi più rapidi (attorno agli
otto anni). Ma la separazione della famiglia hylobatidae da quella degli
ominidi (generi pongo, gorilla, pan, homo) è avvenuta circa 17 milioni di anni
fa’. La somiglianza dei gibboni con gli esseri umani in questo aspetto non è
imputabile allo stesso antenato comune, ma ad un adattamento parallelo. E’
quindi opportuno parlare di analogia.
Il metodo comparativo della biologia è fondato sull’omologia, ma può
anche rilevare differenze. Il metodo comparativo individua somiglianze o
differenze morfologiche (ovvero anatomiche) o comportamentali tra specie su
una singola proprietà e le spiega sulla base della loro collocazione nell’albero
53
Wikipedia, voce Monogamy in animals.
tassonomico54. Esso presuppone un’accurata descrizione delle specie nel
loro ambiente naturale.
I crostacei sono un sub-phylum degli artropodi privo di sistema nervoso.
Al contrario, tutte le specie del phylum dei molluschi hanno un sistema
nervoso. I primi sostanzialmente non hanno sistema nervoso perché ne era
privo l’antenato. I secondi hanno sistema nervoso perché ne era dotato
l’antenato. Lo studio dei fossili può corroborare questa inferenza induttiva. E
la presenza o assenza di un sistema nervoso ha conseguenze indagate dalla
fisiologia. Così come tutti crostacei, l’aragosta non sente il dolore. Invece, le
specie del phylum dei molluschi possono sentire sia dolore sia piacere,
essendo dotati di un sistema nervoso.
Ai molluschi è dedicata la sezione di malacologia del museo delle civiltà
del mare del mio paese, fondato dal pittore e scrittore Salvatore Brandanu
(1936-2015), di padre gallurese ed italiano, cugino di primo grado di mio
nonno materno, e di madre aristocratica di lontana origine greco-bizantina
(Mereu, da mέρεια, parte). Conchiglie in una spiaggia deserta furono
54
Vedi Nobel prize in physiology or medicine: biographies and lectures del 1906 e del 1973
in www.nobelprize.org. In particolare, i premi Nobel per la medicina del 1906 e del 1973
hanno definito il metodo comparativo e ne hanno mostrato le potenzialità. Non li menziono
perché io faccio teoria e pratica letteraria, divulgando informazioni scientifiche rilevanti per
il comparativista in campo letterario. raffigurate in due oli su tela naturalistici del 2014. Una conchiglia affiancata
ad una pagina aperta di un’agenda segnala l’inizio della primavera in un olio
su tavola del 201555. Una coppia di fenicotteri ha ravvivato la sua creatività
simbolica in un volo “verso la libertà” in un olio su tela del 201556. Oggi spetta
ad altri approfondire la conoscenza biologica della fauna e della flora del mio
paese. I fenicotteri non sono mai stati indagati in una ricerca zoologica.
Nell’ordine dei carnivori è facile trovare somiglianze tra canidi e felini nella
conformazione fisica (ad esempio, nella forma del muso) e nella dotazione
emotiva (ad esempio, nel modo in cui esprimono l’emozione di rabbia). Le
somiglianze attestano l’appartenenza dei membri delle due famiglie all’ordine
dei carnivori. Ma i canidi tendono ad accettare una posizione gregaria entro
un gruppo, mentre i felidi tendono ad essere individualisti. Questa differenza
è imputabile, rispettivamente, all’antenato comune dei canidi e a quello dei
felini.
55
Salvatore Brandanu (2015), pp. 78, 84 e 98. Dopo essersi laureato in lettere moderne, Salvatore
insegnò italiano e latino in una scuola superiore. Seguì i corsi per corrispondenza dell’École de
Beaux-arts di Parigi e sulle rovine di Coclearia fondò l’istituto delle civiltà del mare (I.CI.MAR) con
l’annesso museo archeologico. Salvatore organizzò due convegni internazionali sui parchi marini
nel 1989 e nel 1991, che favorirono l’istituzione dell’area marina protetta nel 1998. E’ autore di
romanzi, racconti, opere filologiche sulla Gallura, tra le quali le recensioni dei miei due libretti di
racconti del 2014 e del 2015. 56
Ivi, p. 93. Chi considera l’uomo trova facilmente proprietà filogenetiche che lo
distinguono dagli altri ominidi (posizione eretta, peso del cervello rispetto al
corpo, tendenza a formare una famiglia, minore dimorfismo sessuale in
altezza e peso, etc.). Dopo quindici giorni di vita un neonato è in grado di
discriminare i colori ed è attratto da quelli più chiari. Inoltre, fissa per più
tempo una figura umana di qualunque altro oggetto. Infine, si volta con lo
sguardo verso una fonte sonora, discriminando quindi le percezioni acustiche
da quelle visive. Non ho trovato riferimenti a queste capacità nelle ricerche tra
i neonati di altri primati. A differenza degli altri ominidi, l’uomo ha acquisito
alcune capacità attraverso l’evoluzione naturale, ad esempio la tendenza a
nuotare fin da quando è neonato. E’ facile immaginare in una piscina
esperimenti con neonati umani e delle specie più vicine, provvedendo al
soccorso dei piccoli in difficoltà.
Il metodo comparativo della biologia ha come oggetto le specie e può
rilevare anche proprietà misurabili (altezza) o enumerabili (numero di nascite
per femmina feconda) condensando l’informazione in medie e deviazioni
standard sulla base di ricerche condotte su un congruo numero di casi scelti
nel modo più opportuno. La sua logica è induttiva57.
57
La relazione tra appartenenza di specie ed età tra i primati e tra appartenenza di classe e
monogamia può essere affrontato da un biologo anche in termini di relazione statistica (con il
confronto tra medie nel primo esempio, con la tabulazione incrociata nel secondo esempio).
L’inferenza dalle specie all’antenato è un’induzione fondata su dati. Negli esempi classici ci sono
organizzazione tabulare e notazione verbale. Il metodo comparativo richiede una previa e
Anche altri animali filogeneticamente vicini a noi hanno una tendenza
all’auto-medicazione. Chi non ha mai visto un gatto masticare una foglia
d’erba per poter liberare lo stomaco da un pasto indigesto? Le femmine di
muriqui, un piccolo primate della famiglia degli atelidi, sono in grado di
impedire la gravidanza masticando le foglie di un’erba amazzonica e possono
anche favorirla mediante un particolare frutto. In questo modo esse
stabiliscono
una
straordinaria
analogia
col
comportamento
umano.
L’automedicazione è presente anche nelle specie più vicine a noi. Lo
scimpanzé è in grado di curare la malaria. Il bonobo mangia alcune erbe per
liberarsi dai parassiti intestinali. Fin dalle prime fasi dell’ontogenesi in modo
spontaneo
gli
altri
primati
si
grattano
reciprocamente.
Altrettanto
spontaneamente, il cane ed il gatto disinfettano il corpo con la saliva.
Mediante ricerche sperimentali è possibile stabilire la localizzazione nell’aria
motoria del cervello degli istinti, come la pulizia.
In libri di biologia è possibile leggere divertenti descrizioni di pettirossi
che si inebriano con le bacche di Californian holly (agrifoglio della California),
volteggiando lievemente confusi e visibilmente festosi intorno ai suoi rami,
approfondita descrizione. Il metodo comparativo si può in parte sovrapporre a quello statistico,
impiegando semplici statistiche (medie e percentuali). Ciò che conta è l’uso dell’omologia e la
spiegazione genealogica anche delle differenze, relative ad una singola specie / genere / famiglia,
etc. senza che sia mai stata registrata una vera e propria intossicazione. I gatti
vanno in cerca di nepeta cataria, che per loro funge da afrodisiaco. Cani,
capre e renne mangiano funghi come l’amanita muscaria. Le capre sembrano
avere il primato nella tendenza a cercare sostanze stimolanti salutari come il
caffè. L’alcool delle palme è delizioso per gli elefanti, che lo bevono con
moderazione. Anche in altre specie a noi vicine è stata rilevata una tendenza
a fare un uso moderato di alcool58. Pertanto, è sensato parlare di un istinto
all’euforia.
Cosa accomuna tutti questi comportamenti che possono essere colti
attraverso la descrizione, l’omologia del metodo comparativo o la
comparazione basata sull’analogia? Si tratta di comportamenti naturali.
“La guerra è culturale; la pace è naturale”. L’aggressione intra-specifica
e quella inter-specifica sono funzionali solo in limitate circostanze e tendono
ad occupare un intervallo molto limitato nel tempo di vita di un esemplare di
una certa specie.
58
Chimpanzees found to drink alcoholic plant sap in wild, BBC, 10 giugno 2015 e le fonti
scientifiche ivi citate. Sui benefici per l’organismo umano di un consumo moderato di alcool vedi
Eat, drink and be healthy. The Harvard medical school guide to healthy eating, New York, Free
press, 2001.
Il metodo comparativo spiega somiglianze e differenze tra specie sulla
base della loro collocazione nell’albero filogenetico, fornendo evidenza
decisiva a favore della teoria evoluzionista. Nel caso dell’essere umano,
quando si scopre una differenza rispetto alle specie più vicine occorre
sempre domandarsi se ha carattere culturale, come la capacità di produrre
arte, o se ha carattere naturale, come l’esistenza della famiglia, che peraltro è
presente anche in altre specie di primati, come i gibboni.
Un efficace tentativo di applicare nell’indagine storica trans-culturale
l’omologia si deve a Melville Herskovits, uno statunitense di etnia ebraica.
Quando lo storico dell’arte avviò la sua ricerca nel 1924 gran parte degli
studiosi, inclusi quelli afroamericani, erano convinti che il passato nero fosse
un mito senza fondamento59. Secondo costoro, le sofferenze inflitte nella
cattura e il duro regime di lavoro nelle piantagioni avevano cancellato ogni
traccia delle usanze africane. All’inizio della ricerca Herskovits (1941, capitolo
1) era interessato al processo di “acculturazione” e condivideva questa tesi:
solo dopo alcuni anni si rese conto che il mito era veritiero sulla base di
un’ampia messe di dati derivanti da analisi di canzoni, di filmati, di fotografie,
da interviste, da ricerca di archivio. Egli riscontrò alcune omologie culturali tra
gli afroamericani residenti nei diversi Stati del Nuovo mondo che trovavano
corrispondenza nel loro continente di origine, nel quale ancora oggi è
59
Melville Herskovits, The myth of the negro past, Gloucester, Smith, 1941. In effetti, Herskovits
non si laureò in un’accademia di arte o musica, ma in storia nell’università di Chicago nel 1920. presente in alcune regioni la schiavitù, che non è un’invenzione degli europei.
In particolare Herskovits (1941, capitolo 6) fu colpito dall’abitudine di alcune
afroamericane di portare carichi sulla testa e da quella di alcuni bambini
afroamericani di voltare il capo da un’altra parte di fronte ad un adulto, incluso
un insegnante, in segno di rispetto. Queste sopravvivenze erano imputabili
all’educazione e non avevano alcuna base innata. Inoltre, furono riscontrate
alcune uniformità nel linguaggio, nella danza, nell’espressione musicale. Si
trattava quindi di “omologie di tradizione” e non di omologie filetiche In effetti
effetti, gran parte degli schiavi giunti nel Nuovo Mondo provenivano da
un’area limitata della costa africana compresa tra l’attuale Nigeria e l’attuale
Senegal con usanze consolidate che sostanzialmente davano luogo ad una
sola cultura. Dopo l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti in quest’area
nacque la Liberia. L’ebreo Herskovits contò le sopravvivenze e le organizzò
per area tematica in una “scala degli africanismi” al fine di favorire analisi a
livello territoriale. Al vertice di questa scala egli collocò gli abitanti dell’interno
del Suriname. Le diverse sub-culture (gli afroamericani di uno Stato degli
Stati Uniti o di una sua parte, dell’intero Suriname o di una sua parte, etc.)
erano considerate manifestazioni locali e contemporanee di un’antica e
lontana cultura africana.
Fino a che punto dobbiamo essere disposti a rispettare le differenze
culturali? La proposta di Herskovits di far inserire nella dichiarazione
universale dei diritti umani un articolo che affermava che le norme di una
certa cultura hanno lo stesso valore di quelle di qualunque altra fu respinta. ll
“relativismo culturale” al quale giunse Herskovits è criticabile60, pur essendo
apprezzabile il valore umanistico di una ricerca che distinse nettamente
l'evoluzione naturale, alla quale devono essere imputate le differenze
esteriormente visibili tra le diverse etnie umane, dal cambiamento culturale,
nella divergenza o nella convergenza degli esiti. ll lettore può facilmente
immaginare altre omologie nel confronto tra culture contemporanee
accomunate dalla fede in rigide convinzioni. Alcune pratiche (come ad
esempio
la
mutilazione
genitale)
penalizzano
il
genere
femminile.
Naturalmente, è moralmente apprezzabile rimuoverle, senza peraltro
dimenticare che l’evoluzione biologica ha reso e tuttora continua a rendere
l’uomo e la donna diversi tra loro.
60
Quest’attitudine è molto diffusa nella “scienza sociale e umana” dell’antropologia
culturale, alla quale Herskovits si avvicinò negli studi dottorali conclusi nel 1923. V. Distorsioni nella scienza: antropomorfismo e naturalizzazione del
culturale.
Nella prima parte presenterò una ricerca sul linguaggio che è un esempio
di naturalizzazione dell’umano: The language instinct del professore di
psicologia a Harvard Steven Pinker (1994), un canadese di origine ebraica
che è molto apprezzato anche dagli “scienziati” della linguistica. Un’altra
possibile distorsione è l’antropomorfismo, ovvero l’uso del linguaggio tipico
delle attività umanistiche nel campo scientifico (o dichiarato tale), che
esaminerò nella seconda parte. Concluderò il capitolo con alcune riflessioni
sulla sperimentazione in antrozoologia.
Il linguaggio è un istinto?
Il senso comune ci dice che gli animali comunicano tra loro. Persino in una
campagna oramai parzialmente urbanizzata è possibile ascoltare il canto dei
grilli o quello degli usignoli. E i latrati di pena dei cani e i miagolii di gioia dei
gatti hanno sempre suscitato la curiosità dei poeti. Ma lasciamo ai poeti
l’immaginazione e, seguendo Pinker, che come scienziato serio si presenta,
riflettiamo su queste comunicazioni con spirito scientifico. L’istinto induce gli
animali a comunicare emettendo un numero limitato di vocalizzazioni.
L’etologia mostra che gran parte della comunicazione animale è innata.
Alcuni uccelli sono in grado di imitare il canto di altri uccelli e di trasmettere il
motivo ad altri. Ma chiunque abbia dimestichezza con cani e gatti sa che il
loro repertorio vocale è molto limitato. La capacità dei cani di apprendere
comunicazioni loro rivolte da parte di esseri umani è indubbia. Ma rimane il
fatto che il loro sistema di comunicazione è innato. E’ stata la capacità di
emettere il suono miao in virtù di una mutazione accidentale che ha favorito
alcuni gatti nell’interazione con gli esseri umani. Prescelti dalla selezione
naturale, essi sono stati capaci di trasmettere questa mutazione genetica ai
discendenti. Quindi il mondo della comunicazione animale è dominato da
istinti che, prima ancora di manifestarsi come comportamenti motori, sono
codificati nel DNA e localizzati nel cervello. La logica classificatoria invita a
distinguere la comunicazione animale, che in larga parte è innata, da quella
umana, che invece in larga parte è appresa culturalmente. Abbiamo visto che
alcuni gesti e posture sono comuni con gli altri ominidi. Ma bisogna osservare
che persino la distanza alla quale teniamo un interlocutore è stabilita in base
a consuetudini apprese e trasmesse culturalmente.
Opportunamente Pinker coglie l’importanza degli istinti per la scienza.
Ancora nel 1968 c’erano “scienziati sociali” che sostenevano che l’uomo è
privo di essi. Ma Pinker tende ad estendere gli istinti ad un ambito che è di
pertinenza delle attività umanistiche: il linguaggio umano. Secondo Pinker
siamo dotati dell’”istinto ad apprendere, parlare e comprendere il linguaggio”
61
. Così egli celebra la nascita di una nuova disciplina: “la scienza cognitiva”
(ibidem). A suo parere, il linguaggio è un evento “biologico” (ibi, 4). Ciò ha
senso solo se egli si riferisce alla localizzazione delle facoltà mentali di
comprensione della scrittura ed emissione di suoni, come ben sanno i
neurologi che studiano le lesioni cerebrali nelle aree di Broca e di Wernicke.
La prima, collocata nel lobo frontale posteriore dell’emisfero sinistro, è
responsabile dell’emissione dei suoni vocalici e consonantici. La seconda,
collocata nel lobo temporale dell’emisfero sinistro, è responsabile della
comprensione della scrittura. Le due aree portano i nomi di due importanti
neurologi vissuti nella seconda metà dell’Ottocento. La capacità di esprimere
alcuni suoni vocalici e consonantici è una caratteristica fisiologica uniforme di
cui tutti gli individui sani sono dotati e che è emersa nel corso dell’evoluzione
naturale. Tale capacità è fisiologicamente presente nell’area di Broca. In
quanto all’area di Wernicke, nell’uomo essa controlla il riconoscimento della
conversazione e dei segni scritti.
Tra gli esseri umani esistono variazioni inter-individuali nelle facoltà
percettive legate alla genetica. Ma è opportuno distinguere l’abilità di
61
The Language instinct, New York, Harper, 1995. Egli naturalizza l’umano analogamente a chi
parla di ecologia, che è una scienza, in riferimento alle dottrine ambientaliste. Il termine ‘ecologista’
è una scorretta traduzione di quello inglese ‘environmentalist’ (ambientalista). In inglese ecologist
significa scienziato dell’ecologia. emettere e di riconoscere suoni vocalici e consonantici che appartengono alla
sotto-specie homo sapiens sapiens dal linguaggio umano, che è dotato di
senso, storicamente plurale e frutto di apprendimento. Quando un individuo
vede per la prima volta un segno come una lettera dell’alfabeto o un
ideogramma deve imparare a riconoscerlo. Una volta effettuato questo
iniziale riconoscimento con l’aiuto di una figura familiare o di un docente, il
segno sarà immagazzinato in memoria e potrà essere recuperato in futuro
con l’attivazione dell’intera mente. Con la visione del segno X (sia esso un
ideogramma o una lettera) non si attiva in immediata successione temporale
una certa area neuronale che comunica all’individuo che cosa quel segno
rappresenta. Più aree sono coinvolte; ed è la volontà a dirigere. Invece un
segnale provoca un rilascio innato, come mostrano le emozioni facciali nelle
prime fasi dello sviluppo ontogenetico, o reazioni istintuali che tendono a
perdurare anche tra gli adulti. Al contrario, un segno deve essere decodificato
mediante un sistema di notazione prodotto da una certa cultura. E solo dopo
la decodifica l’individuo tenderà a riconoscerlo in modo immediato. Anche
associare un suono ad una certa lettera comporta un’attività educativa. La
classificazione IPA (International phonetic alphabet) è un utile strumento
umanistico per insegnare e per apprendere la propria lingua o una lingua
straniera e non una registrazione auditiva e fonatoria con misurazioni che
spettano ai fisici e ai fisiologi. Quindi, la componente genetica può porre dei
vincoli al parlante; ma bisogna distinguerla dal processo di apprendimento
linguistico nell’ambito familiare, in contesti didattici, in altre situazioni
formative. Ancora oggi i cinesi usano un sistema ideografico. Quindi, essi
organizzano l’esperienza in modo diverso sia da noi, che usiamo un sistema
composto da semplici fonemi, sia dai giapponesi, che usano un sistema
sillabico. Ciò non significa che cinesi e giapponesi vedano la realtà in modo
diverso da noi. Una traduzione fedele al testo originale e comprensibile per il
destinatario è sempre possibile. Ma non c’è nulla di universale nel modo di
apprendere una lingua, una volta identificati gli aspetti fisiologici. Come
vedremo, raramente le generalizzazioni si estendono al di là di una stessa
famiglia linguistica.
Pinker scrive che “we have all the instincts that animals do, and many
more besides” (“siamo dotati di tutti gli istinti di cui gli animali sono dotati e di
molti altri”; ibi, 7, mia sottolineatura). Chiunque osservi il comportamento di
un uccello riscontrerà istinti diversi da quelli tipici dei mammiferi. Abbiamo
alcuni istinti in comune con gli altri ominidi e alcuni istinti tipicamente umani
rispetto alle altre specie della nostra famiglia: gli sperimentatori sanno che in
una piscina un neonato cerca di nuotare. Il bonobo e lo scimpanzé vanno
inesorabilmente a fondo, a meno che intervenga un provvidenziale intervento
umano. Ovviamente l’analogia consente di trovare affinità tra l’uomo e specie
non appartenenti alla famiglia degli ominidi.
La differenza tra comunicazione animale innata e linguaggio umano è
considerata semplicemente di grado di complessità e non di qualità (ibi,
343).. L’accento è posto su presunti meccanismi genetici innati e non
sull’educazione linguistica, che ancora oggi è in larga parte affidata non a
tecnologie digitali, ma ad insegnanti, le cui doti possono consentire la piena
espressione del potenziale di intelligenza genetica degli studenti, a partire
dalla scuola elementare. Riconosco l’utilità di tecnologie di cui io stesso mi
avvolgo proficuamente; ma non si deve sperare che esse sostituiscano
l’intelligenza e la preparazione degli insegnanti, in particolare nella scuola
dell’obbligo.
Pinker porta a favore della sua tesi innatista la facilità con cui i bambini
apprendono sia la propria lingua sia le lingue straniere. I neonati sono
certamente dotati di una gamma di vocalizzazioni innate con cui esprimono le
emozioni e le sensazioni di dolore e di piacere. Ma queste vocalizzazioni
gradualmente lasciano posto al linguaggio appreso. E già in un asilo un
insegnante è legittimato ad intervenire per correggere errori linguistici di un
bambino seguendo le regole grammaticale e fonetiche. Non c’è nessuna
informazione codificata nel DNA e nessuna area del cervello che indichi
quale lingua un bambino parlerà. Il linguaggio è frutto di apprendimento e può
essere un ambito in cui si esercita la libera volontà degli esseri umani, in
particolare quando sono adulti, anche se essi non possono ignorare i vincoli
posti dalla fisiologia. Contrariamente a quanto afferma Pinker, le ricerche
empiriche mostrano che gli adulti hanno più difficoltà ad apprendere la
pronuncia corretta di una nuova lingua, ma acquisiscono con più padronanza
le regole grammaticali e sono capaci di apprendere il lessico specialistico che
è di loro interesse, effettuando una selezione che i bambini non sarebbero in
grado di fare.
L’altro argomento innatista di Pinker è basato sulla presenza di forme
universali nella grammatica. Un universale linguistico è un tratto presente in
tutte le lingue che predetermina il modo in cui noi ragioniamo. Chi crede negli
universali linguistici ritiene che, così come siamo dotati per una causa
filogenetica innata di una percezione tridimensionale, allo stesso modo siamo
dotati di categorie grammaticali innate che consentono la strutturazione del
linguaggio parlato o scritto. In realtà, anche chi come Pinker sostiene
l’esistenza di tali universali è costretto ad ammettere che siano ben pochi, in
particolare la distinzione tra soggetto e oggetto di un’azione e quella tra la
voce verbale attiva e quella passiva. Ma chi fa queste affermazioni non
presenta un elenco di tutte le lingue conosciute con la relativa evidenza. E’
possibile concepire una lingua in cui il soggetto si fonde con il verbo oppure
l’oggetto con il verbo. E’ possibile concepire una lingua che ignora la voce
passiva ed usa solo quella attiva. Per quanto mi risulta, il norreno non aveva
la voce passiva. Inoltre, Pinker afferma che l’ordine SVO (soggetto-verbooggetto) e quello SOV (soggetto-oggetto-verbo) sono prevalenti e che l’ordine
SVO implica una parola di domanda (question word) all’inizio di una frase
interrogativa (ibi, 234). Quindi Pinker non è nemmeno in grado di stabilire una
sola sequenza prevalente e fa affermazioni che implicano eccezioni: in
italiano seguiamo l’ordine SVO e, a differenza dell’inglese, non abbiamo una
parola di domanda all’inizio di una frase interrogativa. Inoltre, a mia
conoscenza, al di fuori delle lingue europee, solo poche altre lingue
distinguono i tre gradi di comparazione. Ciò è chiaramente in contrasto con i
fautori degli universali linguistici e in accordo con una concezione storica
della filologia che non ignora i nessi genetici tra i parlanti di lingue parenti.
Quindi, così come l’argomentazione della presunta superiorità dei bambini
rispetto agli adulti nella pratica linguistica, anche l’enfasi sugli universali
linguistici è suscettibile di critica per l’assenza di una consistente base
empirica, che è sostituita da assunti teorici non dimostrati.
Queste critiche non implicano il rifiuto di strumenti concettuali di portata
universale per l’apprendimento del linguaggio. L’International phonetic
alphabet, promosso nel 1886 da insegnanti di lingua inglese, si applica a tutte
le lingue del passato, del presente e del futuro. Siamo fisiologicamente
predisposti ad emettere alcuni suoni e non altri. Ma è l’educazione a stabilire
quali suoni emetteremo come parlanti di una certa lingua. L’International
phonetic alphabet è uno strumento classificatorio che distingue i fonemi e i
loro allofoni con simboli specifici. I simboli IPA sono utili per imparare a
discriminare i diversi fonemi, in particolare le 11 vocali e le 24 consonanti
dell’inglese britannico. A mio parere, la scuola superiore è il livello a cui
sarebbe opportuno intraprendere lo studio di almeno una lingua straniera,
dopo aver appreso solidamente le basi grammaticali e fonetiche della lingua
italiana nella scuola primaria. La quantità di informazioni a cui i bambini sono
esposti a scuola e in casa, in particolare mediante i mezzi di comunicazione
di massa, rischia di sottoporre ad una fatica eccessiva il loro cervello in corso
di sviluppo e di renderli depressi per alcuni risultati non soddisfacenti. In Italia
è auspicabile lo studio obbligatorio di almeno una lingua straniera solo a
partire
dalla
scuola
superiore.
Tale
lingua
non
dovrebbe
essere
necessariamente l’inglese, ma potrebbe essere anche la lingua ufficiale di un
altro Stato confinante con l’Italia come il francese o il tedesco. La
dimestichezza dei docenti delle scuole superiori con i simboli IPA potrebbe
favorire l’apprendimento di una lingua caratterizzata da una così marcata
discrepanza tra ortografia e pronuncia come l’inglese. Soltanto tra il Seicento
e il Settecento le parole food, house, sea, time acquisirono l’attuale
pronuncia, e quelle make e stone solo nell’Ottocento. Questo fenomeno di
mutamento fonetico è stato denominato Great vowel shift.
Una volta dimostrato che la tesi di Pinker è infondata, visto che il
linguaggio è appreso e non istintuale, ci potremmo domandare per quale
ragione il professore di Harvard non ha mai preso le distanze da questa sua
tesi, che per la verità lo accomuna ad altri noti accademici la cui competenza
linguistica potrebbe essere superiore a quella di chi onestamente riconosce di
avere una conoscenza di ebraico, francese e spagnolo non proprio fluente. A
mio parere, dietro la pretesa di naturalizzare l’umano si cela un tentativo di
invasione dell’ambito umanistico da parte di individui che, possedendo o
semplicemente vantando di possedere una formazione scientifica, si
presentano come più qualificati rispetto ai tradizionali operatori.
Antropomorfismo
L’antropomorfismo consiste nel trasferire il linguaggio delle attività
umanistiche nell’ambito scientifico. Sono un costante lettore della rubrica
Animalia nell’inserto Sette del Corriere della sera dell’eccellente scrittore e
biologo Danilo Mainardi. Raramente riscontro un linguaggio antropomorfico
nei suoi scritti. Ma in un convegno che si tenne a Napoli nel 2003 egli parlò di
cultura a proposito della capacità dei primati non umani di maneggiare
utensili facendo semplici operazioni manuali, come ad esempio stanare
formiche con un bastone sottile. Le cince che in Inghilterra vivono in ambiente
urbano hanno imparato ad aprire i tappi delle bottiglie di latte. Anche questa è
cultura per Mainardi! Nel 1953 si scoprì che Imu, un esemplare femminile di
una popolazione di macachi giapponesi dell’isola di Koshima, aveva imparato
a lavare le patate ed era stata capace di insegnare questa pratica ai suoi
piccoli, riscontrando presumibilmente sensazioni positive. Ma tra gli animali i
pochi casi di trasmissione di una pratica da una generazione all’altra sono
limitati ad una singola attività e non consistono in un passaggio sistematico di
conoscenze da una generazione all’altra come avviene nell’educazione
umana.
“I am ready to believe that whenever brains begin to generate
primordial feelings -- and that could be quite early in evolutionary
history -- organisms acquire an early form of sentience. From there
on an organized self process could develop… Reptiles are
contenders for this distinction, for example; birds make even
stronger contenders; and mammals get the award…
Most species whose brain generate a self do so at a core level.
Humans have both core self and autobiographical self. A number of
mammals are likely to have both as well, namely wolves, our ape
cousins, marine mammals and elephants, cats, and, of course, that
off-the-scale species called the domestic dog” (Antonio Damasio,
Self comes to mind, New York, Pantheon, 2010, p. 26).
“Sono pronto a credere che dovunque il cervello cominci a generare
sentimenti primordiali -- e potrebbe essere piuttosto presto nella
storia evolutiva -- gli organismi acquisiscono una prima forma di
sensibilità. Da essa un processo organizzato di formazione del Sé
può svilupparsi… I rettili competono per questa distinzione, per
esempio; gli uccelli competono ancora di più; e i mammiferi
ottengono il premio…
Molte specie il cui cervello genera un Sé fanno questo ad un livello
di base (core). Gli esseri umani hanno sia un Sé di base (core) sia
un Sé autobiografico. Un certo numero di mammiferi tendono ad
avere entrambi, in particolare i lupi, i nostri cugini primati, i
mammiferi marini e gli elefanti, i gatti, e, naturalmente, quella specie
fuori scala chiamata cane domestico” (Damasio, Self comes to
mind, Ney York, Pantheon, p. 26).
Non dubito della competenza scientifica del neurologo Damasio, che ha
fornito alcuni pregevoli contributi alla sua disciplina, in particolare nell’esame
della relazione tra emozioni e ragionamento. Ma, sorvolando sull’uso
estensivo del termine ‘self’, trovo che questo brano sia un’esemplificazione di
un antropomorfismo promosso dal naturalismo scientista. Consapevole della
sua abilità professionale nel sottoporre individui a risonanza magnetica
funzionale e nell’interpretarne i risultati, Damasio ritiene che col tempo
saremo in grado di localizzare in specifiche aree del cervello la
consapevolezza e l’empatia. Inoltre, seguendo il credo prevalente tra gli
“psicologi evoluzionisti” e i “sociobiologi”, Damasio ritiene che queste facoltà
non siano tipicamente umane e di carattere culturale, ma che siano
gradualmente emerse nel corso dell’evoluzione. Nel momento in cui si
sviluppa il cervello un animale può ottenere informazioni sull’ambiente. Ma la
presunta origine nella filogenesi di consapevolezza ed empatia è ancora
avvolta in un’oscurità che al momento gli scienziati (o presunti tali) non sono
in grado di illuminare con le loro teorie azzardate prive di sostegno empirico.
Damasio distingue una “core consciousness”, che è solo corporea, da
una “autobiographical consciousness”, che implica una riflessione sulla
memoria e su altre facoltà mentali. Egli arriva ad affermare che persino i rettili
potrebbero essere dotati di “core consciousness”. E’ fiducioso sul fatto che
essa si manifesti tra gli uccelli ed è quasi sicuro che sia presente in tutti i
mammiferi. Non solo: egli sostiene che gli altri ominidi, i cetacei, gli elefanti, il
lupo, il cane e il gatto tendono ad essere dotati non solo di consapevolezza
corporea, ma anche di consapevolezza mentale. Questa frase è presentata
come frutto di accertamento empirico. In realtà, tale accertamento sugli altri
ominidi, sui cetacei, sull’elefante, sul lupo, sul cane e sul gatto non è mai
avvenuto, visto che le prove non sono presentate in alcuna parte del libro.
La ricerca etologica ha mostrato che non solo i primati, ma anche altri
animali filogeneticamente vicini a noi sono dotati di emozioni e sono capaci di
riconoscere le emozioni degli altri. Dall’epoca di Aristotele sappiamo che tutti
gli animali sono dotati di sensazioni, per quanto essi differiscano per
dotazione sensoriale. Ma solo alcuni animali possiedono memoria e quindi
capacità di apprendimento (Aristotele, Metafisica, libro I, paragrafi 980a,
980b). Un recente esperimento condotto dall’etologo Csany illustra queste
capacità nei cani in modo semplice ed efficace62. Lo sperimentatore
nascondeva una palla all’interno di una scatola chiusa da tre lati e aperta da
un solo lato con una tendina esterna affiancata da altre due scatole della
stessa forma. I casi sperimentali erano 18 cani adulti, 24 bambini tra i 4 e i 6
anni e 24 studenti universitari. Gli esseri umani non furono scelti
casualmente. Il numero di prove era 3 per ogni esemplare. I totali delle prove
erano quindi 54, 72 e 72 per i tre gruppi sperimentali. I soggetti sperimentali
potevano vedere il ricercatore mentre nascondeva la palla. Nell’individuare
tra le tre scatole dove fosse collocata la palla gli adulti fecero 1 solo errore su
72 prove (99% arrotondando) con 24 successi (33%) in base al caso. Tra i
bambini ci furono più successi che errori: 49 (68%) vs 23, con 24 successi
(33%) in base al caso. Tra i cani adulti i successi superarono di poco gli
errori: 29 successi (54%) vs 25 errori, con 18 successi (33%) in base al
caso, così come negli altri gruppi sperimentali.
Negli esseri umani l’intelligenza è una proprietà che ha una base
genetica e che si manifesta attraverso il ragionamento linguistico o logico.
Abitualmente il ragionamento è oggetto di rilevazione ad opera di grammatici
ed esperti di una disciplina formale come la matematica. Sulla base dei
risultati di questa ricerca sperimentale è possibile inferire che alcuni cani
sono dotati di intelligenza? Ritengo che quest’inferenza non sia giustificata.
62
Bukfenc és jeromos: hogyan gondolkodnak a kutyák?, Budapest, Kiadó. 2000; trad. ingl. If dogs
could talk. Exploring the canine mind, New York, North point press, 2005, pp. 93-94. Semplicemente i cani osservano con la vista, memorizzano dove è la palla e
quindi apprendono il compito di ritrovarla. Attribuire ad essi capacità di
introspezione e intelligenza, ovvero una mente, è insensato. Nulla sappiamo
della loro vita soggettiva, ammesso che la possiedano. Gli indizi finora
raccolti sulla capacità di apprendere il linguaggio umano, la logica e la
quantificazione in alcuni scimpanzé non consentono di attribuire ad essi ciò
che noi chiamiamo intelligenza -- un frutto dell’evoluzione naturale, che, in
particolare nel percorso scolastico, è abitualmente rilevata da grammatici e
da matematici. Traggo questa posizione antropocentrica dallo zoologo
Aristotele, che afferma che solo gli esseri umani sono capaci di ragionare
(Metafisica, libro I, paragrafo 980b). Gli etologi tendono invece ad usare in
modo estensivo i termini ‘intelligenza’ e ‘mente’.
Il lettore potrebbe pensare che il linguaggio antropomorfico sia innocuo.
Ma così non è. Esso si accompagna ad una tendenza a naturalizzare il
culturale che entra in conflitto con la tradizione umanistica con la sua enfasi
su azioni dirette da intenzioni e sorrette dalla volontà e non pre-determinate
dal meccanico operare di specifiche aree neuronali, ad eccezione dei casi
patologici.
Inoltre,
possibili
conseguenze
dello
scientismo
e
dell’antropomorfismo sono mutamenti legislativi che limitano la possibilità di
trarre benefici estetici dalla contemplazione della natura in un ambiente
urbano o che impediscono alcune ricerche scientifiche.
Queste affermazioni comportano l’adozione da parte mia di un’etica
tendenzialmente antropocentrica che, pur rifiutando la crudeltà, privilegia
l’essere umano sugli altri animali, sui vegetali, sul mondo inanimato63. La
persistenza della natura è necessaria all’essere umano non solo per un
contingente bisogno materiale, che ha la durata di un’esistenza. Non
deturpandola, egli mostra rispetto per le future generazioni ed alimenta il suo
interesse puramente estetico ad ammirarne la bellezza. Un’esigenza
puramente estetica rende alcune persone sensibili alla sopravvivenza di
specie anche molto lontane dalla nostra. La morale e l’estetica contribuiscono
quindi alla persistenza del mondo naturale. Ma anche la conoscenza
scientifica deve essere presa in considerazione. Gli scienziati possono
valutare le possibili conseguenze, anche nel lungo periodo, della riduzione
degli esemplari di una certa specie, o addirittura della sua scomparsa, su un
certo ecosistema. C’è una relazione tra la salute degli ecosistemi e la salute
umana. L’eventuale estinzione di una specie non solo riduce il nostro diritto
ad ammirare la bellezza della natura, ma impedisce lo sviluppo di
63
Purtroppo, zoofilia e bestialità sono ancora legali in molti Stati europei, inclusa l’Italia, ed in molti
Stati extra-europei, tra i quali il distretto di Washington e il Texas negli Stati Uniti d’America. In
Inghilterra esse furono penalmente perseguite dal 1290. Si può avere, globalmente, un
atteggiamento fortemente o lievemente antropocentrico ed essere totalmente contrari a queste
pratiche, che, a mia conoscenza, nessuno tra gli etologi più affermati ha apertamente condannato,
così come i più noti sostenitori di dottrine ambientaliste ed animaliste.
conoscenze scientifiche relative a quella specie che potrebbero essere utili
agli esseri umani.
Sia i materialisti sia gli spiritualisti tendono ad estendere la
consapevolezza al di fuori dei limiti del corpo umano. I materialisti tendono ad
estendere i confini del proprio Sé ai beni posseduti o ad attribuire
consapevolezza ad entità collettive composte da individui uniti da interessi
economici
comuni.
Gli
spiritualisti
considerano
parte
di
un’unica
consapevolezza talvolta gli animali umani e quelli non umani, in taluni casi la
natura nel suo insieme. Alcuni credenti considerano parte di un’unica
consapevolezza i vivi e i morti. Sia le estensioni del Sé di carattere
materialista sia quelle di natura spiritualista sono prive di fondamento
empirico. Negli esseri umani il corpo e la mente pongono limiti e offrono
potenzialità, formando un’unica entità, dalla nascita, o meglio ancora dal
momento in cui un bambino acquisisce il linguaggio pronominale, fino alla
morte. Siamo capaci di riflettere sui nostri beni, su altri esseri umani e sulla
natura non umana; ma tali entità sono esterne alla nostra persona. E dopo la
nostra morte niente ci autorizza a sperare in un’unione mistica con i viventi.
La tesi antropomorfica di Damasio e di altri scienziati ha aperto la
strada alla formulazione della nozione di “persona non umana”, status che nel
2013 l’India ha concesso ai delfini64. In quello Stato, come già accade in altri
64
Nel diritto anche entità diverse dalle singole persone hanno personalità giuridica, ma si
tratta di associazioni, società o altre entità costituite da esseri umani.
Stati i cui cittadini non hanno mai venerato animali sacri, i delfinari sono ora
proibiti. La vita nell’ambiente marino è il destino che l’evoluzione naturale ha
assegnato ai delfini, mammiferi dotati di una straordinaria capacità di
apprendimento. Come io stesso ho ammirato nel delfinario di Harderwijk nei
Paesi bassi, un delfino apprende numerosi comandi da un addestratore:
salire e scendere dal palco, afferrare e restituire una palla, balzare in aria da
solo dall’acqua, accompagnare sul dorso l’addestratore, con l’ausilio di una
compagna lanciarlo delicatamente in aria. Inoltre, i delfini sono anche capaci
di riconoscere la propria immagine allo specchio, così come gli altri ominidi e
altri animali filogeneticamente vicini a noi. Ma è del tutto azzardato ipotizzare
che tale riconoscimento, che avviene in una situazione artificialmente
prodotta dallo sperimentatore, sia una pre-condizione della consapevolezza.
La chiusura dei delfinari produce danni non solo economici. I bambini
che vivono in un ambiente urbano sono per sempre privati della possibilità di
stabilire un’omologia con gli altri mammiferi osservando con i propri occhi dal
vivo i movimenti della coda di un delfino dall’alto verso il basso. Navigando in
un battello lungo il rio delle Amazzoni è possibile osservare un pesce che la
vita acquatica ha reso di forma simile al delfino: il dorado. Quest’analogia è
meravigliosa; ma, a differenza del delfino, il movimento del dorado è simile a
quello di un’onda. E’ senz’altro preferibile ammirare gli animali nel loro
ambiente naturale, ma perché privare chi non ha la possibilità di farlo di
appagare la propria curiosità, a condizione che le regole sanitarie siano
rispettate? Inoltre, nuove vite animali potrebbero nascere nei delfinari,
assistite da giovani studiosi desiderosi di accrescere le proprie competenze e
da volontari che potrebbero trarre da questa esperienza motivazione per una
fare nuova formazione professionale. Proprio queste idee promuovono la
progettazione dei delfinari, come quello di Genova inaugurato nel 2013.
Anche i circhi e gli zoo possono diventare occasioni per soddisfare la
curiosità e accrescere la conoscenza. E’ auspicabile che il motto latino dello
zoo Artis di Amsterdam (natura artis magistra) ispiri la creatività anche dei
giovani studenti della capitale dei Paesi bassi. Inoltre, lo zoo non è
necessariamente una situazione che limita la libertà animale. In Artis i lemuri,
che appartengono all’ordine dei primati, sono liberi di muoversi tra gli alberi,
così come i nostri antenati ominidi, e possono anche usufruire di
un’abitazione di legno per proteggersi dalle intemperie.
Altri studiosi non si spingono fino ad affermare che si debba concedere
lo status di persona ad esseri non umani, ma vogliono ampiamente estendere
i diritti loro concessi. In particolare, ritengono che alcune specie animali
debbano essere esentate dalla ricerca sperimentale intrusiva o almeno dalla
vivisezione, che non possano essere esibite in situazioni ludiche non violente,
che non debbano essere tenute in gabbia, etc. La sperimentazione animale
sugli altri primati, sui cani, sui gatti è indispensabile nel caso di farmaci che
mirano a curare malattie mortali o molto pericolose per gli esseri umani. E’
opportuno limitare la vivisezione, in particolare ai casi in cui sono
sperimentate cure per i militari colpiti dal fuoco nemico in guerra. Queste
limitazioni sono oggi imposte da comitati etici. E’ giusto fare ciò che potrebbe
alleviare la sofferenza umana e ridurre i rischi per l’uomo, anche se ciò
impone disagi, o addirittura dolore, ad altri animali. Le forme alternative di
ricerca finora proposte (in vitro e mediante simulazione) al momento non
sono altrettanto utili della sperimentazione animale. Peraltro, l’obiezione di
coscienza di chi non desidera arrecare sofferenza a tutti gli animali o solo ad
alcuni animali è legittima.
Concludo questo capitolo con alcune riflessioni sulle potenzialità
scientifiche dell’antrozoologia.
I benefici per gli esseri umani dell’interazione con gli animali da
compagnia.
Una delle più note ricerche scientifiche di antrozoologia è stata condotta
negli Stati Uniti. Il tasso di sopravvivenza a distanza di un anno dei 53
proprietari di animali da compagnia dimessi da una clinica dove erano stati
ricoverati in seguito ad un infarto risultò più alto rispetto a quello del gruppo di
controllo, composto da 39 cardiopatici, anch’essi dimessi da un anno da una
clinica, che non avevano il conforto di alcun pet. Nel gruppo sperimentale 50
sopravvissero (ovvero il 94%); nel gruppo di controllo solo 28 sopravvissero
(ovvero il 72%, arrotondando le percentuali). La ricerca fu replicata con un
risultato analogo. Spetta ai fisiologi stabilire quali specifiche aree neuronali
sono attivate dall’uso della vista e del tatto con gli animali da compagnia e
valutarne l’interazione con l’organo cardiaco in pazienti dimessi da una clinica
dopo un’operazione. Ad eccezione di questa ricerca, al momento mancano
prove convincenti a favore della terapia assistita con l’ausilio degli animali.
Opportunamente, i biologi Enrico Alleva e Francesca Cirulli65 distinguono
l’Animal assisted activity (AAA) dall’Animal assisted therapy (AAT),
riconoscendo che l’efficacia di quest’ultima come intervento terapeutico non è
stata ancora riscontrata adeguatamente. Ciò risulta anche da loro
pubblicazioni più recenti. Il contatto delle persone con cani, gatti o altri
animali potrebbe non avere alcun effetto terapeutico riscontrabile con le
affidabili tecniche di rilevazione della biologia. Non sarebbe quindi possibile
curare alcuna malattia con l’ausilio degli animali da compagnia. Ma queste
risultanze scientifiche non dovrebbero indurre ad interrompere fin da ora le
terapie assistite con l’ausilio degli animali.
Inoltre, bisogna mantenere ferma la distinzione tra la terapia assistita con
gli animali, che al momento è al vaglio degli sperimentatori, e l’attività
assistita, i cui benefici sono stati ampiamente riscontrati. Essa incentiva la
naturale propensione a trarre benefici cognitivi ed emotivi dalla varietà del
mondo animale e vegetale, che taluni chiamano biofilia. L’attività assistita non
65
Istituto superiore della sanità, 2007, pp. 3 e 38. è curativa rispetto ad una particolare patologia, ma si basa su direttive
scientifiche e ha effetti biologici. In cosa consiste tale attività? Ad esempio, di
fronte ad alcuni bambini un addestratore dà comandi ad un cane (Avvicinati!
Prendi l’osso di gomma! Torna qui!). Inoltre, egli potrebbe dimostrarne la
capacità visiva nel ritrovare un oggetto nascosto, ad esempio una palla
all’interno di una scatola chiusa da tre lati e aperta da un solo lato con una
tendina esterna affiancata da altre due scatole della stessa forma, seguendo
il disegno sperimentale presentato in precedenza. Quindi i bambini
potrebbero essere invitati a ripetere i comandi e i giochi, lasciando loro piena
libertà, nel rispetto della salute del cane. Mai l’addestratore dovrebbe dire ai
bambini: “guarda com’è intelligente il cane!”, consapevole che solo noi esseri
umani diamo prove di intelligenza con le parole o con la scrittura oppure con
il ragionamento logico e matematico, che consente la costruzione di forme
geometriche. Peraltro, è importante comunicare loro la capacità del cane di
provare emozioni come la gioia, dimenando la coda, o come la rabbia,
abbaiando rumorosamente. Lo stesso vale nel caso in cui l’attività sia
condotta con l’ausilio di un gatto. L’attività è sempre mediata da un operatore,
che può valutare i risultati nella conversazione con i bambini o con strumenti
più strutturati.
Sono stati ipotizzati due possibili benefici cognitivi o pratici dell’attività
assistita con animali:
a) ampliamento delle capacità di classificazione e di comparazione;
b) prevenzione della violenza o di altre azioni dannose verso gli animali,
che spesso sono associate alla violenza verso gli esseri umani66.
Questi temi dovrebbero essere indagati nell’ambito di disegni quasisperimentali, che prevedono una somministrazione iniziale seguita da un
breve ciclo di attività assistita e una somministrazione al termine di tale ciclo,
senza necessariamente considerare un gruppo di controllo. Se i soggetti della
ricerca fossero gli alunni di una classe elementare, ad esempio si potrebbe
rilevare mediante due diverse versioni di un test corredato di fotografie di cani
la capacità di classificare le diverse razze e di fare comparazioni tra queste
prima dell’attività e alla conclusione dell’intervento.
La domesticazione di animali come il cane e il gatto è stata un fenomeno
naturale, un incontro tra due specie che hanno stabilito una relazione di
mutualismo. La ricerca scientifica di antrozoologia mostra che l’esposizione
visiva e il contatto fisico con gli animali da compagnia attivano nell’uomo, ed
in particolare nei bambini, la vita emotiva e istinti innati come la curiosità e il
gioco. E’ opportuno approfondire la ricerca biologica su questi temi. E i
risultati di una semplice ricerca quasi-sperimentale come quella illustrata in
precedenza potrebbero consentire ai biologi di rilevare eventuali effetti
66 Le ricerche mostrano che i carcerati hanno più propensione a commettere azioni disdicevoli nei
confronti degli animali. Finora non sono stati individuati problemi fisiologici connessi all’abuso: la
buona educazione risulta cruciale.
cognitivi. Inoltre, i veterinari dovrebbero indagare sui possibili benefici o sulle
eventuali patologie degli animali da compagnia coinvolti nell’attività.
VI. La tassonomia delle lingue e il metodo comparativo della filologia.
Illustrerò ora la tassonomia delle lingue partendo dai dialetti parlati in
Gallura e nella vicina Corsica. Tutte le lingue neo-latine sono sorte nel
medioevo e hanno sviluppato una letteratura. Non si crea una letteratura o un
popolo con le norme. Il corso è un dialetto italiano affine al gallurese e al
ligure, che in tale forma hanno riconoscimento giuridico in Italia, malgrado a
Luogosanto sia stata istituita una “accademia della lingua gallurese” col
supporto della diocesi67. Il corso non è mai stato lingua ufficiale; e in Francia
è solo una lingua regionale. In base alle ricerche genetiche, corsi e galluresi
sono sub-etnie italiane (vedi cap. 1).
Ogni dialetto ha un sostrato, che deriva dalle parlate precedenti, e un
superstrato, che deriva dai contatti successivi alla sua formazione. Per
esempio, in dialetto corso il cane è chiamato ghjacaru stabilendo un’omologia
col basco txákur (pronuncia IPA tʃa: kur). Il basco è l’unica parlata paleoeuropea sopravvissuta. Dal punto di vista genetico ci sono poche differenze
tra i baschi e gli spagnoli. I paleo-europei dominarono l’Europa dal 60.000 AC
fino all’arrivo dall’Europa orientale di celti, germanici, greci e italici tra il
67
E’ un dialetto italiano anche il ligure parlato a Calasetta e Carloforte da discendenti di italiani
emigrati nel XVIII secolo dall’isola di Tabarca (attuale Tunisia). Il ligure è parlato anche in Corsica
a Bonifacio. secondo e il primo millennio AC. In Corsica i paleo-europei sono autori di
opere pregevoli come i menhir di Filitosa, tra i pochi in Europa in cui appaiono
rappresentazioni di volti umani. Essi diedero ai corsi almeno una parola del
loro dialetto, che ne rappresenta un sostrato.
Al superstrato del corso e del gallurese appartengono termini derivanti
da contatti con altre lingue o dialetti. Corsica e Gallura furono parte del regno
vandalico tra il 455 e il 534 DC. Il latino divenne lingua ufficiale della corte,
dove era in particolare apprezzata la poesia. Peraltro, i re vandalici
continuarono ad usare la loro parlata, anche se finora i filologi non hanno mai
trovato testi scritti. Due fonti in latino riportano alcune parole della loro
parlata. L’espressione ‘froia arme’ (Signore, pietà) è inserita nel trattato antiariano Collatio beati Augustini cum Pascentio ariano (circa 430-450 DC). In
De conviviis barbaris (Anthologia latina, epigramma 285, prima riga) compare
la seguente frase: «inter ‘eils’ gotichum ‘scapia matzia ia drinkan’». Nella
frase successiva l’anonimo poeta latino che viveva in Nord Africa allude
quindi in latino all’incapacità dei goti di scrivere poesie decenti. Escludendo le
due parole scritte in latino (inter e gotichum, nell’accezione di vandali), la
prima frase si potrebbe tradurre in inglese come «These Vandals say: ‘Hail!
Eat, drink and shape yourselves!» («Questi vandali dicono: ‘Salve! Mangiate,
bevete e plasmate voi stessi!’»). I termini della frase diretta sono attestati, sia
pure in forma diversa, anche nel gotico. Il passaggio irride l’incomprensibilità
della parlata vandalica per chi conosceva il latino e allude a gioiose feste in
cui cibo e bevande naturali erano assunte dai convitati per dare al corpo la
forma più appropriata.
Finora in nessun dialetto o lingua sono state trovate effettive tracce
della presenza vandalica. I vandali occuparono Corsica e Gallura (455-534
DC). Ci lasciarono qualcosa in eredità? “Falati da quassù, i so più belli lumi
/chi ghjocanu a l’ochjate a l’ora di la mane” (“Discesi da quassù, i suoi lumi
più belli / che giocano a darsi occhiate nelle ore mattutine”). Il corso Ignazio
Colombani (1908-1988) dedicò questi versi alla vetta luminosa della
montagna più alta del suo comune (Morosaglia) che raggiunge i 1230 metri. Il
verbo falà (cadere, scendere) è usato anche in Gallura e in aree vicine.
Inoltre, i corsi chiamano ziga la capra, usando un termine germanico che non
è presente in nessun altro dialetto italiano. Il toponimo zighinu appare anche
in Gallura. E i galluresi quando parlano dell’umore dicono di essere di mutta
bona e di mutta mala, in modo omologo a quanto avviene ancora oggi
nell’inglese (good mood / bad mood), mediante un’antica radice germanica
presente nel norreno (modr). Ora in olandese questa radice (moed) significa
coraggio. Inoltre, il toponimo Ofolle/Oviddè potrebbe derivare da opila (terra
posseduta). Ho quindi individuato quattro possibili germanismi presenti nello
Stato italiano solo nel dialetto della Gallura, due dei quali sono in comune col
dialetto corso. Essi entrarono a far parte del dialetto in via di formazione
nell’alto medioevo. I primi testi scritti risalgono al secolo XVIII. Ma la tesi
secondo cui il dialetto sia stato esportato nell’isola da coloni corsi in epoca
moderna è priva di fondamento. L’articolo determinativo maschile lu è un
arcaismo del dialetto corso medioevale col quale il gallurese è storicamente
collegato.
Tra i quattro germanismi da me individuati solo i termini mod e opila
sono attestati nella lingua gotica. Anche alcuni svevi, germanici occidentali,
migrarono con i vandali, forse apportando un contributo alla loro parlata. Dei
141 nomi vandalici finora individuati 5 sono svevi. In realtà, altri 3 termini di
origine gotica sono presenti nel dialetto gallurese, ma forse essi derivano dal
superstrato spagnolo: bottu, stivale, brià, bisticciare, buscà, cercare, ai quali
corrispondono nel gotico bota, brikan, imparentato con l’inglese break, buska,
bosco. Il termine botta è presente anche in Corsica, forse per influenza del
superstrato franco del francese. Anche il termine buscare è presente lì, così
come nell’italiano.
“Il mio paese, che sorge nell’antica terra europea e corsa di Gallura, fu
fondato nei primi secoli dell’era cristiana dai latini col nome di Coclearia (da
chiocciola). Nel medioevo assunse la denominazione di Oviddè, che io ho
fatto derivare da oppidum (città) in una precedente pubblicazione, in
contrasto con chi ha suggerito un’origine da ovile -- termine che nel dialetto
gallurese è designato mandra, dal latino mandra (mandria di bestiame). Ciò
rende la derivazione dal latino ‘ovis’ poco plausibile. Il termine latino oppidum
è imparentato anche col proto-germanico opila, presente anche nel gotico,
dove non significa città, ma terra posseduta. Si tratta di un termine molto
antico, attestato fin dalle prime rune, che non è presente in greco. Raramente
si trova un termine in comune solo tra antiche lingue germaniche e latino, a
riprova del legame genetico tra i primi parlanti di queste lingue. Quindi il
toponimo Ofolle/Oviddè in un’area dove non sorgeva alcuna città potrebbe
indicare la lontana presenza dei vandali nel territorio del mio comune. Finora
non sono stati trovati reperti archeologici o umani. I vandali vissero nel
territorio della Pannonia per oltre due secoli prima della migrazione di una
larga parte della loro popolazione intorno al 400 DC. I discendenti di chi non
partì rimasero lì per oltre un secolo mantenendo contatti con il regno
vandalico africano nella speranza che anche lì sorgesse un altro regno ariano
e vandalico, finendo poi per mescolarsi con altri germanici. Eppure anche in
Pannonia non sono mai state trovate loro costruzioni, ma solo alcuni oggetti
artigianali. Scarsa fu la produzione artistica anche in Nord Africa. Da tempo il
British museum espone un frammento di un mosaico trovato a Cartagine e
risalente all’epoca del regno che raffigura un cacciatore a cavallo che
abilmente con una fune agguanta il collo di un cervo maschio che cerca di
fuggire verso la foresta. Di recente in una sala del museo è stato inserito
anche un altro mosaico risalente alla stessa epoca, che raffigura un cavaliere
vandalico non armato al galoppo di fronte ad una città fortificata. Il museo
archeologico del mio paese espone una coppa di provenienza africana
ritrovata in un comune limitrofo che potrebbe essere stata prodotta da
artigiani del regno vandalico. E altre anfore, ciotole, coppe, piatti ritrovati nel
territorio del mio comune e, in base alla datazione, prodotti in Nord Africa in
epoca precedente potrebbero essere arrivati qui durante l’epoca del regno.
Due navi romane furono affondate dai vandali a Olbia. I loro resti sono
conservati nel museo archeologico della città” (Fideli 2015, 82-83). Chiocciola
(coclea) è un prestito dal greco (kóxλos), così come conchiglia (concha)68.
Coclearia è il nome che i latini diedero al mio paese e che mi auguro sia
ripristinato in futuro, se non emergeranno prove della presenza vandalica
(opila, terra posseduta, da cui potrebbe derivare il nome medioevale del mio
paese Oviddè, è omologo di oppidum, città). Uno Stato laico non dovrebbe
tollerare nella toponomastica i nomi dei santi.
Dopo aver rilevato nelle fonti consultate sul regno vandalico la
prevalenza di elementi spirituali e la tendenza ad usare la violenza solo in
risposta alla violenza altrui69, sostengo che il nome ‘vandalismo’, il verbo
‘vandalizzare’ e l’aggettivo inglese ‘vandalistic’ dovrebbero scomparire.
Finora nessuna ricerca sistematica sulla loro presenza è stata condotta nelle
due isole.
Quindi, il gallurese è una sotto-specie della lingua italiana, la cui
brillante tradizione letteraria risale al medioevo.
68
Vedi http://www.etymonline.com.
69
Per le fonti primarie e secondarie consultate vedi Fideli (2015, cap. 3). La lingua letteraria italiana si formò a Napoli alla corte dello svevo
Federico II, nato a Jesi nel 1194, tra i primi a concepire il progetto dell’unità di
Italia. Dispiace vedere che le minoranze italiane all’estero abbiano spesso
poca considerazione, anche laddove i cognomi italiani sono molto diffusi
come in Argentina, in Uruguay e negli Stati del sud del Brasile. E in nessuno
Stato che fu colonia italiana la lingua che nacque alla corte di Federico II è
ufficiale. Considerando la semplicità della grammatica e dell’ortografia
spagnola, qualcuno potrebbe dare la colpa ai grammatici italiani, che non
hanno introdotto nuovi grafemi, distinguendo la e semi-lunga da quella semi
aperta e la o semi-lunga da quella semi-aperta, e che hanno previsto
l’accento grafico in rarissimi casi. Ma la discordanza tra lingua scritta e lingua
parlata è considerevole anche in francese e più ancora in inglese, che pure è
oggi la lingua internazionale sia degli scienziati sia degli umanisti. Invito altri
ad indagare sulla difficoltà dell’Italia unita nel mantenimento dei legami con gli
italiani all’estero e sull’inadeguata funzione educativa svolta nelle colonie. I
filologi talvolta propongono generalizzazioni che valgono per due o più casi;
le migliori spiegazioni storiche sono idiografiche. Peraltro, come essere
umano dotato di un’identità genetica e culturale, mi auguro che l’italiano
continui ad acquisire nuovi parlanti e che in futuro la sua posizione come
lingua ufficiale sia riconosciuta anche in altri Stati. Gli italiani discendono dai
latini, che ebbero una vocazione universalista che ha lasciato durature e
profonde tracce culturali.
In filologia il metodo comparativo spiega somiglianze e differenze tra
due o più lingue o dialetti sulla base della loro collocazione nell’albero
tassonomico nel quale esse sono classificate. In particolare, il metodo
comparativo individua somiglianze o differenze grammaticali, sintattiche,
fonetiche, lessicali, semantiche, stilistiche.
L’italiano è in rapporto di parentela con le altre lingue romanze: il francese,
il portoghese, il romeno, lo spagnolo. Questa parentela deriva dal fatto che
l’antenato è comune: il latino, l’unica parlata italica che divenne una lingua
letteraria. In Europa la parentela tra i parlanti delle lingue neo-latine non è
solo linguistica, ma, in buona parte, anche genetica. Furono i coloni latini in
Dacia, in Gallia e nella penisola iberica a diffondere il latino e quindi le parlate
vernacolari. E, se escludiamo la Francia, il cui nome richiama l’etnia
germanica dei franchi, ancora oggi in Europa i legami genetici tra i parlanti
delle lingue neolatine, italiani, portoghesi, romeni, spagnoli, sono abbastanza
stretti. La transizione alle lingue romanze avvenne gradualmente: molti
fenomeni erano già in atto nella lingua parlata ancora prima che cadesse
l’impero romano e hanno lasciato traccia anche in quella scritta. Nelle lingue
romanze bisogna distinguere quattro fasi di sviluppo di un comune antenato:
il latino letterario classico, l’antico latino parlato, il latino letterario medioevale,
il latino parlato del medioevo.
Ecco un interessante esempio di derivazione dal latino letterario del
medioevo. L’aggettivo italiano bravo e quello francese brave e i sostantivi
corrispondenti (bravura; bravoure) derivano dall’aggettivo latino medioevale
‘brabus’ (indomito), che a sua volta deriva dal latino classico ‘barbarus’ (dal
greco βάρβαρος, balbuziente, straniero). Sia in italiano sia in francese
l’aggettivo bravo/brave e il sostantivo bravura/bravoure hanno una chiara
accezione positiva, tanto che l’aggettivo depravato/dépravé è in antitesi
semantica con ‘bravo’/ ‘brave’. Nel medioevo molti “barbari” germanici
appresero il latino. E in Francia svilupparono essi stessi una lingua neolatina. Per questo il neologismo ‘brabus’, derivante da ‘barbarus’, assunse
una connotazione positiva. In italiano il termine bravata mantiene
un’accezione lievemente negativa. Il termine letterario bravo, ovvero sgherro
al soldo di un signore potente, è oramai desueto. In inglese l’aggettivo ‘brave’
ed il corrispondente sostantivo ‘bravery’ sono prestiti dal francese e hanno
una chiara accezione positiva.
Dal punto di vista grammaticale, in tutte le lingue romanze si forma
l’articolo e nasce un nuovo futuro analitico formato dall’infinito e dal presente
indicativo di habere (latino cantabo; francese chanterai; italiano canterò;
spagnolo cantaré). Italiano e spagnolo conservano sostanzialmente le
coniugazioni verbali del latino classico, anche se la distinzione tra la
coniugazione con e lunga e con e breve scomparve.
Sul piano sintattico, tutte le lingue romanze conobbero il fenomeno
della perdita dei casi nei nomi, negli aggettivi, nei pronomi. Inoltre, sempre sul
piano sintattico, nelle lingue romanze le proposizioni oggettive e soggettive
(introdotte dal che in italiano) sono esplicite, mentre in latino erano implicite
(formate da accusativo più infinito). Lo stesso accade ancora oggi nelle lingue
germaniche (“Ego volo te esse sanum”; “I want you to be healthy”).
Inoltre, le lingue romanze hanno subito omologhi mutamenti fonetici. In
particolare, i latini non avevano le affricate c e g delle parole italiane cento
(latino centum) e gemma. Essi usavano al loro posto i fonemi plosivi k e g.
Nella filologia romanza il passaggio dai fonemi plosivi velari | k | e | g | alle
affricate palatali | tς | | dζ | o fricative palatali | ς| e | ζ | è chiamato
palatalizzazione. Esso è presente in tutte le lingue romanze, come mostra
l’esito del latino gemma sia in italiano sia in francese. Raramente troviamo
per una singola parola esiti simili in tutte le lingue romanze. Inoltre, i latini non
distinguevano tra la s iniziale sorda di salus e la s, che in italiano è sonora, di
rosa. In filologia romanza il passaggio da consonante sorda a sonora è
chiamato lenizione, che nell’esempio è intervocalica. Tale mutamento
fonetico è presente non solo in italiano, ma anche in francese. Un esempio di
lenizione in spagnolo è il termine amigo dal latino amicus. Il sistema vocalico
latino era molto ampio, includendo 5 vocali aperte e 5 vocali chiuse
identificate dalla notazione. Gli esiti nelle lingue romanze sono molto
differenziati; e vi è scarsa corrispondenza tra grafemi e fonemi, se si eccettua
lo spagnolo che ha mantenuto solo le 5 vocali chiuse.
Ho quindi mostrato l’utilità dell’approccio comparativo e genealogico in
filologia per ricostruire le somiglianze tra lingue appartenenti ad uno stesso
genus. Il latino è bene conosciuto e i suoi discendenti si sono sviluppati in
modo indipendente a partire dal medioevo, come attestano i più antichi
documenti in volgare.
Gli slavi sono tra gli ultimi europei ad essere menzionati dalle fonti (VI
secolo DC). La loro origine potrebbe essere molto più antica. I primi testi
scritti appaiono intorno al 1000 DC nell’area culturale bizantina. Gli slavisti
hanno ricostruito il proto-slavo, che non è attestato, mediante il metodo
comparativo, individuando un piccolo nucleo di termini comuni con le antiche
lingue europee nel linguaggio relativo al corpo, alla famiglia, agli animali,
all’abitazione. E un’analoga ricostruzione è stata operata dai germanisti
Enucleo di seguito alcune delle principali somiglianze tra le antiche lingue
europee (greco, latino, norreno):
- la distinzione grammaticale per genere (maschile e femminile) e per
numero (singolare e plurale);
- un articolato sistema sintattico di casi per nomi, aggettivi, pronomi;
- la distinzione tra vocali aperte e vocali lunghe;
- un insieme di termini in comune (in particolare nel lessico relativo alla
famiglia, agli animali, ai verbi di azione e di movimento);
- somiglianze stilistiche, che chiarirò di seguito.
Di particolare rilevanza per attestare l’origine comune sono le
somiglianze lessicali tra greco e lingue germaniche, come ad esempio:
- ελπίς (greco, speranza) - hjelp (norreno; inglese help, aiuto);
- καλέω (greco) - kalla (norreno; inglese call, chiamare);
- kρáτος (greco) – kraptr (norreno; olandese kracht, forza, collegato ai
termini inglesi craft, arte, e crave, desiderare).
Le antiche rune furono scritte con alcuni caratteri greco-latini appresi da
chi non conosceva queste lingue. Nei corni dorati di Gallehus (Danimarca),
risalenti al V secolo DC, all’inizio dell’età del ferro germanica, si legge la
parola horna, che corrisponde al greco κéρας e al latino cornu. Fin
dall’antichità latina questa radice greca denomina insieme a quella riν-,
naso, una specie di mammifero: il rhinoceros. Gli autori della rune usavano
alcune lettere dell’alfabeto greco senza conoscere questa lingua. Gli
esperti non hanno mai rilevato prove di un’influenza lessicale del greco o
del latino sulle più antiche lingue germaniche. Consideriamo ora queste omologie:
- ßoulέuω (greco) - volo (latino) – vili (norreno; inglese will);
- λευκός/ή/όv(greco) - lux (latino) - logi (norreno; inglese light);
- oίvoς (greco) - vinum (latino) – vin (norreno; inglese wine).
Il vino era prodotto anche dai proto-europei che vivevano tra i monti Urali e
il Mare Nero tra il 3500 e il 2000 AC70. E’ quindi possibile che sia in greco sia
nelle lingue germaniche la radice vin sia frutto di omologia e non di
imitazione.
Il greco ebbe certamente influenza sul latino. Ma le antiche epigrafi latine il
(carme Arvale, il carme Lustrale, il carme Saliare, le dodici tavole, scritti tra il
VI e il IV secolo AC) attestano alcune somiglianze che non possono essere
imputate all’influsso del greco. A titolo esemplificativo riporto alcuni brani dal
Carmen lustrale: “20 Mars pater te precor quaesoque/ uti sies volens
propitius/ mihi domo familiaeque nostrae…21 novum vetus vinum bibo,/ novo
veteri morbo medeor. 22 Terra, pestem teneto, salus, hic maneto” (20 Padre
Marte, ti chiedo e ti supplico; sii benigno e favorevole a me, alla mia casa e
alla nostra famiglia. 21 Bevo vino nuovo e vecchio;/ curo mali nuovi e vecchi.
22 Terra, tieni il malanno; salute, resta qui). Il lettore può notare non solo
parole omologhe al greco (Mars, pater, volens, novum, vinum), ma anche
un’allitterazione (morbo medeor). La parola stessa Roma è omologa con il
greco ρώμη (forza). Non è attestato che un greco diede ai romani il nome
della loro città.
Inoltre, ho scoperto due verbi latini imparentati con le lingue
germaniche e non col greco: tangere (norreno taka; inglese touch) e vagare
(olandese e tedesco wagen). Il nome inglese fisherman e i termini
70
See Cambridge world history of food n. 1, 2000; Wikipedia, entry wine. corrispondenti in altre lingue germaniche sono omologhi ai nomi latini piscis e
masculus. Il nome norreno kottr (gatto) è omologo al latino cattus. Il nome
oppidum (città) è imparentato col proto-germanico opila, che appare in
un’incisione runica in lingua gotica del IV-V secolo DC71. Anche la parola
latina sol è imparentata col goto sauil. L’omologia del gotico faida col latino
fides è particolarmente rilevante per me72. Mi chiamo Fideli e mi occupo di
comparazione e metodo comparativo. Dopo essere stato studente di liceo
classico e di lettere moderne, cominciai a studiare in modo approfondito
l’argomento tra il 1991 e il 1994 in un dottorato di metodologia dell’università
di Roma-La Sapienza che non esiste più. Essendo ateo e fedele alla naturale
eterosessualità, io non sono affatto interessato alla relazione tra religione e
violenza o a qualunque forma di violenza. La faida non aveva alcun
fondamento religioso: era un’antica tradizione germanica che comportava
una reazione della vittima o della sua parentela nei confronti dell’autore del
crimine, anche di entità superiore al danno subito.
Non conosco alcun testo di filologia che separi le omologie tra greco e
norreno dalle omologie solo tra latino e norreno. Il lavoro potrebbe essere
esteso ad altre lingue germaniche. Le omologie solo tra latino e lingue
germaniche risalgono al proto-europeo (vedi appendice). In base all’evidenza
71
Raymond Ian Page, Runes, London, British Museum, 1987.
72
Vedi il contributo filologico del giurista e storico del diritto Hugo de Groot, Historia
Gotthorum, Vandalorum, Langobardorum, Amsterdam, Elzevir, 1655; ristampato da New
Delhi, Ishar, 2013, II, p. 576). archeologica, si può parlare di celti, germanici e italici solo alcuni secoli dopo
la nascita della civiltà micenea intorno al 1600 AC.
Il metodo comparativo rileva anche le differenze che caratterizzano un
genus o una specie entro una certa famiglia linguistica. Considerando il livello
lessicale, termini come boat (barca), sail (vela), sea (mare), swim (nuotare)
sono tipici del genus germanico e non trovano corrispondenza negli altri
genera europei73. In olandese i verbi che designano le cinque attività dei
sensi (aanraken, toccare, horen, ascoltare, reuken, odorare, smaken,
assaggiare, zien, vedere) hanno radici germaniche. In inglese l’odorato è
espresso con una diversa radice germanica (smell). In inglese è designato
con radice latina il gusto, taste (gustare). In tedesco si parla di tastgefühl,
senso del tatto. Entro il genus germanico ci sono termini specifici ad una sola lingua, come
ad esempio l’inglese bird (uccello), una volta escluso che provenga dal
sostrato paleo-europeo, da quello celtico o da un superstrato neo-latino o di
un'altra lingua. Il filologo deve anche eliminare spiegazioni alternative. La
geminatio (raddoppiamento delle consonanti) è abitualmente solo grafica in
tutte le lingue germaniche (per esempio, nella parola olandese lekker,
appetitoso), ma fonetica in quelle neo-latine (come nel latino bellum). Nel
passato la geminatio era foneticamente presente anche nelle lingue
73
Nicoletta Onesti, Filologia germanica. Lingue e culture dei germani antichi, Roma, Carocci, 2002,
p. 61. germaniche, come l’Old Dutch. Quindi i due genera erano omologhi sotto
questo aspetto.
Le analogie non sono imputabili ad uno stesso fattore genealogico e quindi
non sono spiegabili considerando l’albero filogenetico. Il fatto che i britannici
chiamino l’uccello ‘bird’ o gli olandesi il mare ‘zee’ è spiegabile in modo
genealogico considerando la filogenesi, per quanto sia idiografico (relativo ad
una sola lingua germanica) o specifico di poche lingue (quelle germaniche),
ed in contrasto con altre classificate come europee. Al contrario, il fatto che il
sistema dei casi sia scomparso sia in italiano, una lingua romanza, sia in
inglese, una lingua germanica, è un’analogia sul piano sintattico, uno
sviluppo parallelo, che non deriva da una stesso fattore genealogico. A
questo stesso proposito, il confronto dell’italiano con le altre lingue romanze
consente invece di rilevare un’omologia: in tutte le lingue romanze il sistema
dei casi è scomparso nel corso di uno stesso processo storico.
Passo ora a considerare il livello stilistico, che è quello di pertinenza
della letteratura comparata.
"La giovinezza è l'alba della vita" (libero adattamento di Aristotele, Poetica,
XXI, par. 20).
"il maschio è un albero di sorbo (reynir, rowan tree) piantato sulla terra"
(libero adattamento da Snorri Sturluson, Edda in prosa, Skaldskaparmal).
“Hebban olla vogala nestas hagunnan/hinase hic enda thu;/ wat unbidan nu?”
“Habent omnes volucres nidos inceptos nisi ego et tu -- quind expectamus
nunc” (“Mentre tutti gli uccelli fanno nidi/ io e te ancora esitiamo. Che cosa
stiamo aspettando? (anonimo olandese residente a Rochester, Inghilterra,
che scriveva in Old Dutch, Bodleian library).
"Il canto è il fiume che conduce alle divinità" (Rigveda, I, 11, 1).
Dal punto di vista retorico, si tratta di metafore che presentano la stessa
struttura (i due punti significano sta a).
giovinezza : vecchiaia = l'alba : sera).
l’uomo : donna = sorbo : terra;
l’uomo : donna = uccello maschio : uccello femmina.
il canto : Indra (una divinità indiana) = fiume : mare.
L'analogia è dapprima ridotta ad una similitudine (la giovinezza è simile
all’alba, all’uomo al sorbo, l’uomo all’uccello maschio, il canto al fiume) e
quindi ad una metafora, eliminando la locuzione italiana "simile a" o la
preposizione inglese like. Queste metafore sono chiamate comparative dagli
esperti. Il ragionamento linguistico ha una sua specificità rispetto a quello
logico. Comunque, dal punto di vista didattico, sarebbe utile richiamare la
proporzione matematica e la similitudine geometrica. Tutte le metafore hanno
natura interattiva, mettendo in relazione due campi semantici (negli esempi:
fasi della vita, giorno; uomo, albero; uomo, uccelli; canto spirituale, idrologia).
Talvolta similitudini, analogie e metafore divengono simboli nel quadro di
un’allegoria.
La metafora è quindi una struttura retorica e stilistica presente in quattro
diverse letterature: quella greca classica, quella norrena, quella in antico
olandese, quella vedica.
Aristotele visse tra il 384 e il 322 AC, giungendo nel corso della sua vita
a riflettere sulla vecchiaia, che è l’effettivo oggetto della sua metafora.
Peraltro, l’analogia che io illustro è rispettosa del testo.
Nell'Edda (antenata), un'opera di prosa che incorpora brani di poesia,
l'islandese Snorri Sturluson (1179-1241) fa riferimento ad una tradizione orale
scandinava che, in base ai fatti e ai personaggi storici riportati, potrebbe
risalire ad oltre 700 anni prima. Dal punto di vista cronologico, la letteratura in
Old English, che appartiene al gruppo delle lingue germaniche occidentali, è
precedente, visto che appare intorno al 700 DC nelle isole britanniche. Anche
la letteratura in Old English è ricca di metafore. Ad esempio, in Beowulf (circa
700 DC), il primo poema in una lingua volgare, il mare è la dimora del
gabbiano. E ci sono iscrizioni risalenti al momento dell’arrivo, avvenuto circa
due secoli prima. Così come accadde con l’arrivo dei celti intorno al 600 AC e
con quello dei latini, che occuparono Galles e Inghilterra tra la fine del I
secolo AC e la fine del IV secolo DC, i germanici non distrussero la
popolazione paleo-europea, che fisicamente doveva essere abbastanza
simile a loro74. Ancora oggi il profilo paleo-europeo prevale nell’arcipelago
74
Vedi il professore di genetica dell’università di Oxford Bryan Sykes, The blood of the isles,
Bantam, 2006. Tale ricerca fornisce utili informazioni a tutti i britannici per definire la loro identità
britannico e nelle aree in cui vivono i discendenti da immigrati da queste isole.
La Bibbia di Wulfila (311-382 DC), il primo testo letterario germanico, fu
scritto in gotico, l’unica lingua letteraria del gruppo orientale, nel IV secolo
DC. L’ariano Wulfila (piccolo lupo), che era di madre greca, tradusse dal
greco antico al gotico. Egli introdusse nell’alfabeto gotico di 27 lettere 6
nuove lettere che riproducevano suoni germanici, ad attestare il fatto che
l’alfabeto era uno strumento per codificare la lingua parlata e non per copiare
termini stranieri. Ma il norreno, che appartiene al gruppo settentrionale, è
l'antenato di tutte le lingue scandinave e la lingua germanica più vicina al
proto-germanico: ci sono iscrizioni in proto-norreno che risalgono al II secolo
DC. L'autore dell'Edda conosceva testi giudaico-cristiani, in particolare scritti
in latino. Non è verosimile che egli abbia adottato termini di questa lingua,
descrivendo un mondo pagano. E’ quindi legittimo considerare la metafora un
elemento genuino della letteratura germanica fin dai primordi che la
accomuna a quella greca e latina mediante un’omologia. Ho riportato una
libera traduzione del brano, visto che il testo originale presenta una
similitudine tra uomo e albero, ed in particolare sorbo (rowan), un termine
dell’inglese medioevale che deriva dal contatto con la parlata dei vichinghi. Il
in modo più corrispondente alla realtà: c’è una sola etnia britannica in tutto l’arcipelago e quattro
sub-etnie: gallesi, inglesi, irlandesi e scozzesi, che erano i primi abitanti dell’Irlanda e che oggi
risiedono in Scozia e Ulster. Lo stesso profilo genetico fu portato nelle aree di immigrazione.
Ovviamente, io considero aspetti genetici e letterari, a prescindere dalle norme giuridiche.
confronto tra uomo e donna che genera è implicito, così come il rapporto tra
albero e terra. Altre metafore più esplicite sono “il vento è fratello del fuoco” e
“la luna è la sorella del sole” (Edda in prosa, Skaldskaparmal, che è una parte
dell’opera dedicata alla dizione poetica).
Il testo in antico olandese fu scritto a Rochester in Inghilterra intorno al
1100 DC, forse da un ex monaco che viveva lì e che descriveva la sua
relazione con una donna con un’analogia da cui è facile trarre la metafora
della casa come nido. La traduzione in latino fu aggiunta successivamente. Il
documento fu scoperto nella Bodleian library di Oxford nel 1932. L’istinto di
costruzione del nido (nesting instinct) è effettivamente presente tra gli uccelli
e tra i mammiferi, e quindi anche tra gli esseri umani, dove è espresso dalla
tendenza della donna al quinto mese di gravidanza a pulire la casa e
preparare la stanza del nascituro. L’olandese è una lingua germanica
occidentale che appartiene al sotto-gruppo ingevone, che comprende
l’inglese, che è ufficiale nel Commonwealth e in altri Stati, come gli Stati Uniti
d’America. All’olandese possono essere ricondotti la parlata frisone e
l’afrikaans, che attualmente ha lo status di lingua ufficiale nel Sudafrica. Il
termine ‘ingevone’ fu usato per la prima volta da Tacito (Germania, par. 2.3)
per designare un insieme di tribù germaniche che abitavano sulle coste del
mare del Nord. La letteratura vedica fu codificata nella lingua sanscrita intorno al 250
AC, ma risale ad una tradizione orale che secondo alcuni studiosi ha origine
oltre 3000 anni prima. Ma, come chiarirò di seguito, contrariamente a quanto
scrisse metaforicamente Gozzano (1914-6), l'India non fu la culla della civiltà.
Il testo che ho consultato presenta una similitudine tra il canto e il fiume, che
è inserita in un’analogia retorica75. Anche in questo caso è legittimo
considerare autoctona la metafora desumibile dal testo, rilevando un’analogia
(in senso filologico) con l’Europa.
Parlo di omologia tra testi germanici e greci, che si sono sviluppati in
modo indipendente ed originale. Impiegando la parola omologia con
un’inferenza induttiva stabilisco che l’antenato europeo comune aveva la
stessa abilità di usare l’analogia, la similitudine e la metafora. I greci si
separarono dagli altri europei circa 2000 anni AC nell’età del bronzo. E’
possibile che in quell’età le loro menti fossero abbastanza sviluppate per
esprimere metafore e simboli nell’arte. Un pittore potrebbe rappresentare
quel che il poeta olandese scrive con una coppia, formata da un giovane
uomo e una giovane donna, che osserva una coppia di uccelli che fanno un
nido. E un altro pittore potrebbe disegnare nella tela altri simboli (ad esempio,
la luna e la terra). Noi già sappiamo che i paleo-europei, che in realtà sono gli
antenati dei proto-europei (diretti antenati di celti, germanici, greci, italici,
75
David Frawley e Navartna Rajaram, Vedic Aryans and the origin of civilization. A literary and
scientific perspective, New Delhi, Voice of India, citazioni dalla terza edizione del 2001, 94.
Rajaram è un ingegnere indiano con un dottorato in matematica. Frawley è un convertito
statunitense e un filologo. slavi), erano capaci di esprimere una simbologia con i loro menhir. Per
esempio, un menhir che rappresentava un agnello e un menhir che
rappresentava un’aquila avrebbero formato un’allegoria dell’aggressione
alimentare, per usare un’espressione compatibile con l’attuale linguaggio
biologico. Quindi è del tutto possibile che, così come i paleo-europei, i protoeuropei esprimessero un linguaggio poetico nell’arte. L’induzione implica
un’estensione della conoscenza, che potrebbe essere non corretta. Peraltro,
anche i biologi che si avvalgono del metodo comparativo talvolta non
possiedono l’evidenza del fossile per supportare la loro affermazione
sull’antenato. Tutti i primati hanno la coda, o un residuo della coda nel caso
dell’uomo. Così inferiamo che lo stesso accadde all’antenato, anche se
l’evidenza non è al momento disponibile.
Come ho rilevato in precedenza a proposito della comparazione (cap.
2), non ci sono "strutture linguistiche universali". Non c’è evidenza che la
distinzione tra soggetto, verbo e oggetto dell’azione sia presente in tutte le
lingue esistite. La metafora è una creazione letteraria presente solo in alcune
letterature fin dai primordi. Ci sono lingue puramente descrittive parlate da
tribù che ancora oggi sopravvivono. Inoltre, alcune letterature hanno lasciato
solo poche centinaia di pagine senza esempi stilistici di rilievo.
Così come le altre figure retoriche, talvolta la metafora ha un
fondamento empirico. Ecco un elenco di figure e attività empiriche proposte
da James Boswell in An account of Corsica, London, Dilly, 1768.
A) “Writing a book I have found to be like building a house” (“Ho trovato
che scrivere un libro sia come costruire una casa”; ibi, xviii) (similitudine
non basata su evidenza empirica).
B) The language of the Corsicans is remarkably good Italian” (“Bisogna
rimarcare che la lingua della Corsica è davvero un buon italiano”; ibi,
212) (classificazione basata su evidenza empirica).
C) “Ajaccio is the prettiest town in Corsica. It has many very handsome
streets and beautiful walks, a citadel and a palace for the Genoese
governor” (“Ajaccio è la città più bella della Corsica. Ha molte strade
deliziose e passeggiate panoramiche, una cittadella e un palazzo per il
governatore genovese”; ibi, 25) (descrizione basata su evidenza
empirica).
D) “Corte is situated part at the foot and part on the declivity of a rock, in
plain surrounded with prodigious high mountains, and at the conflux of
two rivers, the Tavignano and Restonica” (“Corte è situata in parte ai
pendii e in parte sui declivi di una rocca, in una pianura circondata da
prodigiose alte montagne e alla confluenza di due fiumi: Restonica e
Tavignano”; ibi, 30) (descrizione basata su evidenza empirica).
E) “I do believe an English newspaper is the most various and
extraordinary composition that mankind ever produced” (“Io credo che
un giornale inglese sia la composizione più varia e straordinaria mai
prodotta dall’umanità”; ibi, 198) (esagerazione non basata su evidenza
empirica).
F) “He (Pasquale Paoli) entertained us for some time with some curious
reveries and conjectures as to the nature of the intelligence of beasts,
with regard to which, he observed, human knowledge was as yet very
imperfect… If it were not liable to ridicule, I would say that an
acquaintance with the language of beasts would be a most agreeable
acquisition to man, as it would enlarge the circle of his... intercourse”
(“Pasquale Paoli ci intratteneva per un po’ con alcune curiose
fantasticherie e congetture sulle facoltà mentali degli animali, riguardo
alle quali
--
egli osservava
--
la conoscenza umana era finora
veramente imperfetta. Se ciò non rischiasse di espormi al ridicolo, direi
che la conoscenza della comunicazione animale sarebbe una tra le più
desiderabili acquisizioni per l’uomo: allargherebbe il cerchio delle sue
relazioni”; ibi, 309) (ironia basata su evidenza empirica).
G) “Never was I so thoroughly sensible of my own defects as while I was in
Corsica. I felt how small were my abilities, and how little I know” (“Mai
fui così profondamente sensibile ai miei difetti come quando mi trovavo
in Corsica. Sentii quanto fossero ridotte le mie abilità e quanto poco
sapessi”; ibi, 351) (understatement. L’evidenza empirica è irrilevante)76.
76
Per una rassegna delle figure retoriche vedi la filologa Bice Mortara Garavelli, Le figure
retoriche, Milano, Bompiani, 1993. La Corsica si ribellò a Genova, in particolare quando quest’ultima
cedette l’isola alla Francia. Questa lettera di Pasquale Paoli mostra la sua
capacità nel creare una metafora ironica tratta dal linguaggio medico e la
sua preferenza per la diplomazia.
Stimatissimo signor Boswell,
ricevei la lettera che mi favorì da Bastia, e mi consolo assai colla notizia di
essersi rimesso in perfetta salute. Buon per lei che cadde in mano di un
valente medico! Quando altra volta il disgusto de’ paesi colti ed ameni lo
prendesse e lo portasse in questa infelice contrada, procurerò che sia
alloggiato in camere più calde e custodite di quelle della casa Colonna in
Sollacarò; ma ella ancora dovrà contentarsi di non viaggiare quando la
giornata e la stagione vogliono che resti in casa per attendere il tempo
buono. Io resto ora impaziente per la lettera che ha promesso scrivermi da
Genova, dove dubito assai che la delicatezza di quelle dame non le abbia
fatto fare qualche giorno di quarantena, per spurgarsi di ogni anche più
leggero influsso che possa aver portato seco dall’aria di questo paese; e
molto più, se le fosse venuto il capriccio di far vedere quell’abito di velluto
corso e quel berrettone, di cui i corsi vogliono l’origine dagli elmi antichi, e
che i genovesi dicono inventato da quelli che, rubando alla strada, non
vogliono essere conosciuti
--
come se in tempo del loro governo
avessero mai avuto apprensione di castigo i ladri pubblici. Son sicuro però
che ella presto avrà il buon partito con quelle amabili e delicate persone,
insinuando alle medesime che il cuore delle belle è fatto per la
compassione, non per il disprezzo e per la tirannia; e così sarà rientrato
facilmente nella loro grazia… In ogni luogo avrò presente la sua amicizia e
sarò desideroso dei continui suoi riscontri. Frattanto ella mia creda suo
affettuosissimo amico (Pasquale Paoli, 23 dicembre 1765; ibi pp. 378380).
La poesia Dover beach fu pubblicata nel 1867 dall’editore londinese
MacMillan nella raccolta New poems. Tre anni prima che lo Stato italiano
ponesse fine al potere temporale della Chiesa cattolica, l’autore, Matthew
Arnold, con lungimiranza scrisse “the sea of faith/ was once… at the full/…
now I only hear/ its melancholy, long, withdrawing roar/, retreating”
(l’oceano della fede/ era un tempo… in piena/… oggi sento solo/ la sua
malinconica, lunga, rombante/ ritirata). Roar retreating --
alla lettera,
rombo che si ritira -- è un’allitterazione che unisce due versi successivi. Il
verbo ‘retreat’ è tipico della vita militare, evocata anche dal rombo del
cannone. Il brano di Arnold include anche una metafora: la relazione tra la
verità e la fede è analoga a quella tra una spiaggia e un’occasionale alta
marea proveniente dall’oceano. La spiaggia non solo può resistere all’alta
marea, ma è anche in grado di ospitare vita umana. Con questa poesia il
critico letterario laureato in filologia classica ad Oxford esprimeva il suo
agnosticismo, ovvero i suoi dubbi sul deismo fino ad allora professato
anche da importanti scienziati. I deisti rifiutavano il teismo, ovvero la
convinzione che esseri sovra-umani intervenissero nelle vicende umane,
ma continuavano a credere in un principio creatore. Oggi anche questa
tesi è falsificata dalla fisica.
In un codice dominicano conservato una biblioteca belga nel 1922 fu
scoperta una traduzione in ungherese del ‘Planctus’ del francese Geoffroi de
Breteuil, che risale circa al 1300. L’espressione lux mundi, con la quale nel
vangelo secondo Giovanni (8, 9,12) è denominata metaforicamente Maria, è
tradotta in ungherese come Világ világa (luce del mondo). L’ungherese è una
lingua uralica, e più precisamente ugrica. Nel testo si trova anche
l’allitterazione: virágnak virága (fiore dei fiori). La metafora “luce del mondo” è
ripresa dal testo giudaico-cristiano e tradotta in ungherese. Nel linguaggio
tecnico della filologia si tratta di un prestito (loan). L’allitterazione è autoctona
della letteratura ungherese o piuttosto è anch’essa un’imitazione di un
modello europeo? Io sostengo la seconda tesi. E mi spingo ad affermare che
l’allitterazione è una tipica figura retorica delle lingue europee.
Quindi, dal punto di vista stilistico, oltre alla metafora, un’altra struttura
accomuna le antiche letterature europee fin dai loro esordi: l’allitterazione,
ovvero la ripetizione di un suono (in genere una consonante) all’inizio di due
o più parole, spesso all’inizio del verso in una poesia. In particolare, questa
forma retorica è tipica dell’antica letteratura germanica dove costituiva un
pattern costante nella versificazione e rimane un segnale distintivo anche
nella poesia più recente. L’antica letteratura germanica era strutturata col
verso allitterativo. Nel Beowulf, il primo poema di questa letteratura, scritto in
Old English, ogni verso ha quattro accenti principali. Le prime tre parole
accentate allitterano. L’allitterazione è una forma stilistica tipica delle lingue
europee.
Alcuni sviluppi paralleli in archeologia e filologia sono spiegati
dall’analogia. Un esempio è l’arte cavernicola che si presenta in modo del
tutto indipendente in culture distanti tra loro: quella paleo-europea, che
intorno al 30.000 AC riuscì a rappresentare un mammut con una piccola
scultura d’avorio, quella nativa americana, quella aborigena australiana,
quella africana. I disegni su argilla e le incisioni privilegiano il corpo umano e
gli animali, trascurando il paesaggio, senza che vi sia qualche garanzia
empirica che in qualunque luogo fin dai primi tentativi artistici (dal 40.000 al
10.000 AC circa) fosse presente almeno il pensiero simbolico. Un altro
esempio di analogia è il sistema di scrittura, che in modo totalmente
indipendente apparve nei cuneiformi sumeri (circa 3350 AC), nei geroglifici
egizi (circa 3200 AC), negli ideogrammi cinesi (circa 1250 AC), nei
logogrammi maya (circa 300 AC). Al momento non abbiamo alcuna evidenza
di contatti tra queste culture. La scoperta della scrittura, così come quella
dell’architettura, dimostra l’intelligenza degli inventori. Ma non possiamo
affermare che essi fossero dotati di consapevolezza. Questa comparazione
richiede una previa classificazione dei sistemi di scrittura, alcuni dei quali
sono misti77. Gli antichi sistemi di scrittura includono sia segni linguistici sia
segni matematici. Il sistema decimale, che ha un fondamento empirico, non è
stato adottato universalmente. I babilonesi usavano un sistema basato sul
numero 60, che è ancora in auge nella misurazione del tempo.
La presenza di somiglianze tra culture distanti fra loro potrebbe indurre
a pensare che gli autori del sistema di scrittura fossero dotati di
conformazioni cerebrali del tutto simili. Si potrebbe inferire che omologie e
analogie culturali derivino da omologie e analogie biologiche. Tale tentativo di
derivazione del culturale dal biologico è chiamato riduzionismo. In effetti, in
Europa i parlanti di lingue simili tendono ad avere tratti biologici simili.
Comunque, l’eredità culturale dei parlanti delle lingue germaniche o romanze
non deriva direttamente dalla vicinanza biologica, ma è frutto dell’educazione.
L’educazione consente la supremazia della lingua inglese, che è oggi parlata
da etnie molto diverse tra loro. La Gran Bretagna è ancora oggi la più grande
potenza linguistica del pianeta grazie al Commonwealth, al quale
appartengono alcuni paesi etnicamente in larga parte europei di altri
77
I tre principali sistemi di scrittura sono quello alfabetico (che i greci appresero dai fenici), quello
sillabico (tuttora usato in Giappone) e quello ideografico (che caratterizza il cinese). La scrittura
cuneiforme, quella geroglifica e quella logografica sono forme miste. continenti. La Gran Bretagna ha sempre avuto grande rispetto per i suoi poeti
e nel passato ne ha fatto i massimi rappresentanti della cultura nazionale
assegnando loro un ruolo di educatori. E’ possibile vedere in quest’abitudine
una continuità con la tradizione del bardo tra i celti, che era allo stesso tempo
un musicista e poeta molto apprezzato. La persistenza di temi celtici è
evidente nella letteratura inglese del medioevo e dell’età moderna.
Nell’Ottocento alcuni scrittori parlarono addirittura di letteratura celtica,
discettando almeno di elfi (elves) di sesso maschile e fate (fairies) di sesso
femminile senza alcuna ambiguità. Chi vive in Italia e vuole conoscere la
cultura britannica non deve solo parlare la lingua inglese con i turisti britannici
ed ascoltare di continuo la BBC, ma anche acquistare un’antologia di storia
della letteratura. Senza questa conoscenza culturale è difficile sviluppare
empatia per i britannici, non trascurando la conoscenza genetica, che
introspettivamente rende gli italiani europei diversi da loro.
Il riduzionismo è ancora più infondato nell’analogia. Consideriamo
l'invenzione della scrittura. Tenendo conto del linguaggio parlato, oggetti del
mondo reale furono associati a segni alfabetici, sillabici, ideografici in culture
distanti tra loro. Coloro che fecero quest’invenzione dovevano essere dotati di
grande intelligenza. Ma si trattava di persone di etnia diversa; e sulla loro
conformazione cerebrale nulla sappiamo, anche se l’analisi del DNA ci
trasmette informazioni sugli uomini del passato. Quindi, la scoperta di
omologie e analogie culturali può fornire lo spunto per ricerche biologiche
senza dare in alcun modo per scontato il risultato. Comunque, nel caso della
scrittura il filologo, come umanista, mantiene la sua competenza nella
decifrazione.
Ho distinto la comparazione e il metodo comparativo da altre attività
empiriche: la classificazione, la descrizione e l’associazione. Anche le
situazioni che derivano da contatto e che generano imitazione oppure
risposta almeno in parte originale ad una certa sfida non rientrano nella mia
trattazione. Lo stesso vale quando un testo è confrontato con testi successivi
che in qualche modo lo hanno preso a modello Ad esempio, un teologo
potrebbe domandarsi come il tema della creazione è affrontato nella Torah,
nella Bibbia e nel Corano. Non c’è dubbio che si tratti di una ricerca transculturale. Ma i casi non sono tra loro indipendenti: il testo giudaico fu un
modello per il cristianesimo. Sia la Torah sia la Bibbia influenzarono
l’islamismo. Al contrario, nella comparazione biologica l’interazione di una
certa specie con l’ambiente gioca un ruolo trascurabile rispetto alla mutazione
accidentale che produce lo sviluppo filogenetico. Per essere più precisi, nella
sequenza causale la mutazione accidentale precede l’interazione con
l’ambiente. Solo le mutazioni favorevoli sono selezionate e trasmesse agli
eredi. Lo sviluppo filogenetico è spiegato anzitutto attraverso le mutazioni. In
questa fase della sequenza causale i casi sono completamente indipendenti
tra loro. Invece, le culture umane non sono mai totalmente indipendenti.
Peraltro, sia il metodo comparativo della filologia sia la comparazione storica
trans-culturale tendono a considerare casi tendenzialmente indipendenti al
fine di caratterizzare la specificità di una certa cultura rispetto ad altre culture,
cogliendo somiglianze e differenze. La proprietà considerata non è frutto di
reciproca interazione. Ciò invece abitualmente accade nella sub-disciplina del
diritto comparato, dove il cambiamento della legislazione in uno Stato è un
modello o un anti-modello per altri Stati.
Inoltre, il metodo comparativo e la comparazione trans-culturale non
sono operazioni di reciproco svelamento in cui la cultura “altra” mostra le sue
vere caratteristiche solo ad un estraneo e l’estraneo chiarisce all’insider
(ovvero al membro di quella cultura) le sue reali caratteristiche. Chi è membro
di una certa cultura o civiltà potrebbe essere affetto da pregiudizi positivi. Chi
è estraneo potrebbe non solo avere pregiudizi negativi, ma anche avere più
difficoltà ad acquisire le competenze linguistiche necessarie. In filologia la
comparazione è un’attività di rigoroso accertamento empirico in cui né
l’etichetta ‘insider’ né quella ‘outsider’ hanno un valore privilegiato. La
posizione di un filologo rispetto alla cultura studiata non deve interferire con la
ricerca della verità.
La genetica mostra che in Europa nel passato i legami tra i parlanti
delle lingue europee erano piuttosto stretti e tuttora lo sono abbastanza.
Quindi, si può ipotizzare che nell’epoca neolitica, quando ancora i costruttori
di megaliti dominavano l’Europa, i parlanti delle antiche lingue europee
vivessero in un’area geografica limitata ed avessero stretti rapporti genetici
tra loro. E’ improbabile che nell’epoca neolitica in cui si affermò il protoeuropeo individui privi di legami genetici vivessero nello stesso territorio e
parlassero una stessa lingua. Non abbiamo alcun indizio della presenza della
schiavitù nell’Europa neolitica. E le ricerche paleontologiche forniscono
evidenza a favore di una sostanziale omogeneità genetica degli antichi gruppi
umani che vivevano in Europa in uno stesso territorio.
Taluni hanno visto nel Caucaso l’area di origine degli europei, tanto che
ancora oggi in alcune rilevazioni censuarie statunitensi è usata la categoria
Caucasian. Peraltro, tale termine è considerato un sinonimo di bianco.
Pertanto, negli Stati Uniti anche arabi, berberi, ebrei e turchi sono chiamati
Caucasian. Analogamente, l’etichetta caucasoide è stata impiegata in una
ricerca genetica pubblicata nel 1994 dall’università di Princeton per inserire in
un vasto gruppo europei e altri abitanti del Mediterraneo. Io non la userò non
solo perché è riferita a non europei, ma anche perché non c’è alcuna prova di
uno stretto legame tra l’unica lingua ufficiale europea attualmente parlata nel
Caucaso, l’armeno, e le antiche lingue europee. Inoltre, il Caucaso è sempre
stato piuttosto eterogeneo sia dal punto di vista linguistico sia dal punto di
vista etnico.
Dall’area dell’Europa orientale tra gli Urali meridionali e il Mar nero a
partire dalla fine del III millennio AC avvennero migrazioni verso l’Europa
centrale e occidentale, che, in epoche successive, diedero vita alla cultura
greca, a quella celtica, a quella latina, a quella germanica. Quest’area era la
sede della cosiddetta cultura Yamna intorno al 3500 AC. Gli Yamna
lavoravano il rame e svilupparono l’agricoltura, in particolare nelle aree
fluviali. Intorno al 2000 AC, quando avvenne la migrazione per una causa che
non conosciamo, costruivano oggetti di bronzo.
All’epoca la civiltà megalitica dominava nell’Europa centro-occidentale e
raggiunse il suo apice nelle isole britanniche con l’erezione di Stonehenge
(3000-2000 AC). Una ricerca genetica pubblicata nel 2006 mostra che i
britannici sono strettamente imparentati con gli antichi abitanti paleo-europei.
Fisicamente essi dovevano essere abbastanza simili ai successivi immigrati
celtici, latini e germanici, visto che i contatti commerciali e umani tra le
diverse aree del continente sono attestati fin da tempi remoti.
Secondo uno studio di resti umani dell’etnia Yamna e di DNA
contemporaneo, il background proto-europeo è più alto in Europa centrale e
settentrionale (40-54%) che in Europa meridionale (20-32%). Esso è
particolarmente basso in Sicilia (12%) e Sardegna (7%)78. In quest’isola la
popolazione di Calasetta, Carloforte, Gallura è davvero poca (circa 15%). Tali
dati, provenienti da campioni non casuali, devono essere considerati con
cautela. Britannici e parlanti di lingue uraliche non sono separati dagli altri
78
DNA deciphers roots of modern Europeans, New York times, 10 giugno 2015; Wikipedia, voce
Yamna culture e le fonti scientifiche lì fornite.
europei centro-settentrionali. E la ricerca non considera l’apporto paleoeuropeo, che potrebbe essere rilevante soprattutto nell’Europa centromeridionale (incluse Corsica e Gallura). Comunque, questa evidenza
genetica consente di identificare l’originale patria (fatherland) degli europei. E
non c’è alcuna evidenza di una loro migrazione verso l’area di lingua indopersiana. Non sappiamo per quale causa o motivo i proto-europei migrarono
verso occidente. E non sappiamo quando e dove avvenne la separazione tra
proto-celti, proto-germanici, proto-greci, proto-italici, proto-slavi.
L’Europa orientale attualmente non è solo dimora dei parlanti di lingue
europee, ma anche di parlanti di lingue uraliche come l’estone e il finlandese.
Dante Alighieri considerava gli ungheresi un popolo europeo che parlava una
lingua europea (De vulgari eloquentia, I, VIII, 4). I parlanti delle lingue
uraliche (estone, finlandese, ungherese) sono geneticamente abbastanza
vicini agli altri europei, secondo la ricerca pubblicata dall’università di
Princeton nel 1994. Nel 2004 il centro di ricerca biologica dell’Unione europea
di Szeged ha scoperto anche che quando intorno al 900 DC gli ungheresi
arrivarono nell’Europa centrale erano in larga parte etnicamente europei, pur
avendo avuto contatti con i turchi e pur usando le rune turche, che derivano
dal sistema di scrittura dei fenici. Al momento dell’arrivo la percentuale di
ungheresi con un marcatore genetico tipicamente asiatico era del 36%. Oggi
questa quota è ridotta al 16%79. L’antica identità europea di estoni e
finlandesi, che appartengono al genus finnico, è sempre stata riconosciuta.
Essi parlano lingue imparentate con l’ungherese, pur essendosi separati dai
magiari da circa quattro millenni e pur essendo geograficamente molto
distanti da loro. L’affinità dell’ungherese con le lingue turche è smentita da
una ricerca condotta nel 2004 nell’istituto di anglistica di Szeged: il 51% del
lessico ungherese è uralico, in quanto tipicamente ungherese (30%) o
imparentato con altre lingue uraliche (21%). Percentuali rilevanti sono di
origine slava (20%) e germanica (11%). Soltanto il 9% deriva dalle lingue
turche. Il resto del lessico deriva dal greco e dal latino (6%), dalle lingue
romanze (2%) o da altre lingue (1%).
Non sono mai state riscontrate affinità di natura genealogica tra le
lingue europee e quelle uraliche. Le somiglianze lessicali derivano
dall’imitazione. Inoltre, ci sono affinità semantiche, che sono frutto di
imitazione. Ad esempio, la distinzione tra conoscenza empirica e scienza è
chiara sia in greco e latino sia in ungherese (soφía, sapientia, ismeret vs
επιστήμη, scientia, tudomány). La conoscenza empirica è presente anche
nelle attività umanistiche (humanities), come io cerco di mostrare. Dal punto
di vista fonetico, tutte le lingue uraliche riconoscono almeno 5 vocali. La
79
Vedi
Genetic markers
in
the
Hungarian
https://hungarianspectrum.wordpress.com/about , 2004.
population:
then
and
now,
in
sintassi prevede un ampio sistema dei casi. L’ungherese ha i tre comparativi
grammaticali di maggioranza, di eguaglianza e di minoranza. Quello di
maggioranza è espresso con il suffisso –abb, sintatticamente equivalente al
latino –ior e all’inglese –er. La vicinanza genetica tra i parlanti delle lingue
europee e delle lingue uraliche è attestata fin da tempi remoti. Ma la distanza
geografica portò ad una differenziazione delle loro parlate. Peraltro, almeno
due parole del proto-uralico ricostruito sono in comune col proto-europeo
(ema, madre, e weti, acqua).
Inoltre, in assenza di vicinanza genetica, è possibile fondare una
famiglia linguistica? Eppure quasi tutti parlano ancora di famiglia indoeuropea80.
La parentela tra le lingue dei due continenti è spiegata con le seguenti
argomentazioni:
a) sia gli antenati degli europei sia quelli degli indo-persiani si spostarono
dalle steppe dell’Asia centrale in età neolitica (la cosiddetta teoria di
Kurgan, la parola turca che denomina il tumulo funerario);
b) intorno al 150 AC europei “ariani” arrivarono in India e in Persia
portando lì la civiltà (la cosiddetta teoria dell’invasione);
80
L’esistenza dell’indo-europeo e degli universali linguistici sono assunti fondativi della cosiddetta
“scienza” della linguistica e delle discipline affini della “scienza della comunicazione” e della
“semiotica”.
c) intorno al 4600 AC popolazioni indiane arrivarono in Europa
diffondendo la loro lingua e la loro civiltà nel continente (la cosiddetta
“out of India theory”).
La teoria sub a è oramai falsificata. L’analisi di reperti umani ha consentito
di riscontrare che nella presunta area originaria degli indo-europei in Asia
centrale vivevano popolazioni dalla pelle chiara e con gli occhi chiari a partire
dell’età europea del bronzo (3000-1000 AC circa), ma non nell’epoca
neolitica (10.000-3000 AC circa)81. Gli europei dell’età del bronzo non
possono aver dato origine alla civiltà indiana, che è più antica, seguendo
l’evidenza archeologica. Inoltre, nel Rigveda, il più antico testo letterario
dell’India, che risale ad una tradizione orale che ebbe origine intorno al 3700
AC, non c’è alcun riferimento alle steppe dell’Asia centrale, presunta terra di
origine degli indoeuropei. Gli autori del Rigveda descrivono l’ambiente
dell’India con un oceano, molti fiumi, abbondanza d’acqua, come risulta dalla
similitudine tra il canto e il fiume commentata in precedenza. E la presunta
fatherland nell’Asia centrale non è descritta in alcun antico documento della
letteratura europea.
Anche la teoria sub b è falsificata. La migrazione intorno al 1500 AC
dall’Europa all’India di un’etnia dalla pelle chiara denominata ‘ariana’ che si
impose su una popolazione autoctona dalla pelle scura non è mai stata
provata. La distanza genetica tra indiani ed europei è maggiore di quella tra
81
Human genetics, n. 3, 2009. questi ultimi e alcune popolazioni del Mediterraneo. E non esiste alcuna
ricerca che attesti una vicinanza genetica nel lontano passato. Inoltre, in India
la distanza genetica tra i parlanti le lingue indo-europee e quelle dravidiche è
ridotta. La maggiore vicinanza degli iranici agli europei potrebbe derivare da
successivi contatti82.
La datazione al radiocarbonio mostra che molto prima del presunto arrivo
dei civilizzatori “ariani”, nell’attuale Pakistan fu costruita la grande città di
Harappa (3300 AC), scoperta nel 1921. I suoi cittadini riuscirono a lavorare il
bronzo, ma non idearono alcun sistema di scrittura. Intorno al 1300 DC la
città non fu distrutta da invasori, ma scomparve a causa di cambiamenti
idrogeologici che condussero alla sparizione del fiume Sarasvati e alla
desertificazione.
Inoltre, anche l’evidenza filologica è in contrasto con la tesi dell’invasione.
Nel Rigveda, una raccolta di 1028 inni organizzati in 10 libri, il termine ‘ariano’
è usato 36 volte come nome o aggettivo nel senso di condotta morale e mai
con una connotazione razziale.
Un’altra tesi scientifica priva di corroborazione è designata “out of India
theory”: intorno al 4600 AC una popolazione indiana si spostò in Europa
contribuendo allo sviluppo della civiltà europea e portando il proto-indo 82
Vedi Cavalli-Sforza et al., The history and geography of human genes, Princeton university
press, 1994, cap. 2. europeo sul nostro continente83. Ma questi scienziati non forniscono alcun
supporto empirico a una congettura falsificata dalla più recente ricerca
genetica. In base alle attuali conoscenze, non furono gli indiani a portare
l’agricoltura e la domesticazione degli animali nel nostro continente. Generalmente, gli archeologi ritengono che i contatti col Medio Oriente furono
decisivi. Peraltro, sviluppi paralleli sono sempre possibili.
Dopo aver espresso la mia mancanza di fiducia sulla nozione di
famiglia indo-europea, provo ad avanzare spiegazioni alternative delle
somiglianze grammaticali e lessicali tra le antiche lingue europee ed il
sanscrito. In realtà, queste ultime sono poche decine. Tra queste in un
dizionario etimologico dell’università di Oxford pubblicato nel 1996 io trovo
mata (madre) e sarpati (serpente). Inoltre, i nomi dei numeri fino a dieci sono
analoghi in greco e in sanscrito. Il sanscrito era una lingua di corte, parlata da
poche persone colte, che in seguito fece sentire il suo influsso sull’Hindi e
sulle altre lingue indiane.
Alcuni sviluppi sintattici simili in Europa ed in India (in particolare, il
sistema dei casi) potrebbero essere spiegati dall’analogia, visto che anche
83
Vedi David Frawley e Navaratna Rajaram, Vedic Aryans and the origin of civilization. A literary
and scientific perspective, New Delhi, Voice of India, citazioni dalla terza edizione del 2001, per la
loro critica alla tesi dell’invasione ariana e per la “out-of-India theory” da loro proposta, in
particolare pp. 63 e 284. Al momento l’unica migrazione accertata dall’India all’Europa è quella dei
rom, che peraltro non la riconoscono come patria. alcune antiche lingue africane e mediorientali possedevano un’articolata
sintassi.
All’inizio del primo millennio AC i persiani parlavano in elamitico, una
lingua orientale che non è né semitica né europea. Essi svilupparono una
lingua scritta tra il 600 e il 300 AC che è collegata alle lingue europee, forse
per l’influenza dell’ittita. Nel millennio precedente, provenienti dal Mar Nero,
gli ittiti occuparono l’Anatolia, presumibilmente dando origine a Troia. Il loro
impero scomparve; ma residui linguistici forse sopravvissero nell’antico
persiano e nelle lingue più vicine ad esso. E ciò potrebbe in futuro essere
suffragato dalle fonti.
Infine, l’arrivo delle truppe di Alessandro Magno in Persia e in India
intorno al 330 AC potrebbe aver lasciato tracce linguistiche che le fonti
potrebbero corroborare. Saggi greci vivevano in India nell’epoca in cui
apparve la scrittura con un alfabeto con alcune lettere greche come la θ (sin
dal 400 AC) e la δ (dal 250 AC). Il Rigveda, un nome che richiama la radice
del termine greco εĩδος (forma) e del verbo latino videre, fu codificato intorno
al 250 AC. I rapporti tra culture sono basati non solo sulla sfida e sulla
risposta originale, ma anche sull’imitazione. Gli indiani diedero un grande
contributo allo sviluppo della matematica europea inventando la notazione
decimale, il numero 0 e i numeri negativi. E la matematica è una disciplina
formale utile non solo agli scienziati, ma anche agli umanisti.
In assenza della prova di un’antica parentela tra indo-persiani e
europei, nel quadro di un metodo comparativo fondato sull’omologia e sulla
genealogia è legittimo parlare di famiglia europea, separandola da quella
indo-persiana. La base induttiva del ragionamento degli indoeuropeisti è
debole: la somiglianza tra due o più lingue può venire dall’analogia o
dall’imitazione e non dall’antenato comune. Il loro ragionamento somiglia a
quello di chi recandosi in un asilo asserisce che il bambino A di pelle chiara e
quello B di pelle scura sono figli degli stessi genitori perché nella loro
espressione ci sono alcune parole in comune, in assenza di qualunque prova
genetica. Al contrario, nella filologia europea le somiglianze linguistiche
rimandano ad antiche affinità genetiche. L’originale fatherland (patria) degli
europei da cui si svilupparono le migrazioni è stata recentemente identificata.
In base alla genetica, non dubitiamo della comune origine dei parlanti delle
lingue celtiche, germaniche, latine, slave in Europa, con le specificazioni
prima fornite per i britannici.
I livelli superiori a quello della famiglia sono la super-famiglia, l’ordine,
la classe, etc. Ma io non sono interessato alla ricerca di somiglianze tra le
diverse famiglie, anche se menziono quella uralica (ed in particolare la lingua
ungherese). In futuro quest’ultima potrebbe essere inclusa in una superfamiglia euro-uralica se si accerterà che ci sono somiglianze che non
derivano da analogia o da imitazione, ma che sono di natura genealogica,
ovvero provenienti dal paleo-europeo. Esso sopravvive in una sola parlata:
quella basca. Con la super-famiglia euro-uralica il basco potrebbe entrare a
far parte dell’ordine europoide. A mia conoscenza, finora nessuno ha studiato
le possibili omologie grammaticali e lessicali tra proto-europeo e protouralico.
I filologi devono mantenere un contatto con la scienza, in particolare se
ricorrono al metodo comparativo con la sua logica tassonomica e
genealogica. Definizioni e classificazioni non possono essere arbitrarie e
svincolate dai risultati della scienza. Peraltro, come ho sottolineato nel
capitolo 1, resto un convinto assertore dell’appartenenza alle humanities della
filologia, così come l’arte (incluse l’archeologia e l’architettura) e la
giurisprudenza.
Queste
discipline
abitualmente
formano
professionisti
attraverso accademie d’arte, conservatori musicali e corsi di laurea che
prevedono pratica e specializzazione84.
84
Mi riferisco ad archeologia, architettura, giurisprudenza, italianistica, lettere classiche, lingue e
letterature straniere. La formazione dei giornalisti dovrebbe essere affidata a master post-laurea. RIFERIMENTI ARTISTICI E LETTERARI85
Brandanu Salvatore
2015
Cinquant’anni di pittura, Olbia, Taphros.
Fideli Roberto
2014
Storie brevissime, Macerata, Simple.
2015
La culla dell’Europa, Macerata, Simple.
2016
Poesie (1983-2015), Macerata, Simple.
Fideli Stefano
1990
Elegia della notte e Lucciole d’alba chiara, in Le stagioni
dell’intimo. Poesie (1969-1990), Olbia, Nebbiolina.
Gozzano Guido
1906
La novella bianca, Gazzetta del popolo della domenica, 11
novembre, 1906; ristampata in I sandali della diva e tutte le
altre novelle, Milano, Serra e Riva, 1983, pp. 27-42.
85
Questa bibliografia include solo testi contemporanei. I testi antichi, medioevali, moderni e
specialistici sono indicati in esteso nella monografia. 1907
La differenza in La via del rifugio, Torino, Streglio;
ristampata in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1980.
1914
Le farfalle. Poema entomologico, in Tutte le poesie, Milano,
Mondadori, 1980.
1914-6 Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India, pubblicate
prevalentemente su La Stampa; raccolte in un libro da
Milano, Treves, 1917; citazioni da Milano, Bompiani, 2008.
1915
Un addio, in L’ultima traccia, Milano, Treves, 1919, pp. 6386; ristampato in I sandali della diva e tutte le altre novelle,
Milano, Serra e Riva, 1983, pp. 287-300.
James William
1924
The days, Boston Herald; ristampato in Essays, comments
and reviews, Harvard university press, 1987, p. 644.
Malaparte Curzio
1940
Terra come me, racconto, Milano, Mondadori.
1947-8
Journal d’un étranger à Paris; revisione del testo francese
e traduzione dall’italiano di Gabrielle Cabrini, Paris,
Denoël, 1967; citazioni da Paris, La table ronde, 2014.
1963
Preghiera
sull’Acropoli,
inedita
e
senza
data,
L’arcitaliano e tutte le altre poesie, Firenze, Vallecchi.
in
DIZIONARI CONSULTATI
AA.VV.
2002
Cambridge advanced learner’s dictionary, Cambridge
university.
AA.VV.
1980
German dictionary, Glasgow, Collins; sesta edizione
HarperCollins del 2005.
AA.VV.
1994
Oxford-Hachette dictionary, Oxford university press; trad. it.
Milano, Paravia, 2001.
Arthur Ross G.
2002
English-Old Norse dictionary, Toronto, York university,
consultabile in http://www.yorku.ca/inpar/language/EnglishOld_Norse.pdf.
Castiglioni Luigi, Mariotti Scevola
1996
Vocabolario della lingua latina, Milano, Loescher, 1966;
terza edizione.
Hempelman R. Osselton N.
2003
Dutch dictionary, London, Routledge.
Hoad Terry F.
1996
Concise dictionary of English etymology, Oxford university
press.
Montanari Franco et al.
1995
Vocabolario della lingua greca. Milano, Loescher, terza
edizione del 2013.
Morwood James, Taylor John
2002
Pocket Oxford classical Greek dictionary, Oxford university
press.
Rajki András
2004
Gothic dictionary
(http://web.archive.org/web/20100416081032/http://etymological.f
w.hu/Gothic.htm)
GRAMMATICHE CLASSICHE CON PRATICA CONSULTATE86
Balme Maurice, Morwood James
2012
Oxford Latin course. College edition. Grammar,
exercises, context, Oxford university press.
Betts Gavin
1989
Teach yourself ancient Greek, Hachette, Hodder;
ristampato da New York, McGrawHill, 1993
(in collaborazione con Alan S. Henry).
2000
Teach yourself Latin, Hachette, Hodder;
ristampato da New York, McGrawHill, 2000.
Jones Peter V. et al.
1978
Reading Greek. Grammar and exercises;
seconda edizione del 2007, Cambridge university
press.
1986
Reading Latin. Grammar, vocabulary
and exercises, Cambridge university press.
86
La mia pratica a livello avanzato della lingua inglese, la più parlata lingua germanica, è
testimoniata dai titoli indicati nel mio sito. Il norreno è la lingua più vicina al proto-germanico. Ho
consultato tutti i dizionari inseriti in bibliografia. Luschnig Cecilia E.
2007
An introduction to ancient Greek.
A literary approach, Cambridge Mass., Hackett
(in collaborazione con Deborah Mitchell).
RIFERIMENTI SCIENTIFICI87
AA.VV.
1992
Cambridge encyclopedia of human evolution, Cambridge
university press (ristampa più recente 2010).
Brandano Paolo
2001
Lo stazzo della bassa Gallura in La Gallura: una regione
diversa in Sardegna, I.CI.MAR.
Herzog Harold
2007
Gender differences in human-animal interactions: a review,
Anthrozoos, 20, pp. 7-21 (mio contributo come traduttore,
rilevatore di dati, analista a livello di base a pagina 11).
87
Questa bibliografia include solo testi contemporanei. I testi antichi, medioevali, moderni e
specialistici sono indicati in esteso nella monografia. APPENDICE: LESSICO PROTO-EUROPEO (nella mia ricostruzione basata
sulle somiglianze tra greco o latino e norreno o altre antiche lingue
germaniche)
abilità
mag
acqua
wak
albero
dor
animale
θer
aiuto
help
anno
an
asse
ax
avo
av
buono
agat
campo
camp
chiamo
kal
città
opida
conosco
ken
corno
korn
credenza fid
dì
dag
fiume
flo
forza
krat
fratello
brod
faccio
ger
fuggo
flug
fuoco
hirr
gatto
kat
ho
hab
luminoso
lio
mangio
et
madre
mad
maschio
mal
memoria
mnem
miele
mel
nome
nam
notte
not
occhio
ag
padre
pad
pesce
pisc
posto
plat
(Io)porto
far
prendo in giro
radice
rot
sole
sol
(Io)
mamf
sono em
sorella
sor
stella
astar
stringo
streng
tempo
tem
(Io)tocco
tak
(Io)vago
wag
vedo
vid
vento
vend
vinco
win
vino
vin
voglio
vil