il concorso ALIENE PArOLE
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il concorso ALIENE PArOLE
CONSULTA PROVINCIALE DEGLI STUDENTI il concorso ALIENE PAROLE Molti hanno partecipano Il concorso indetto quest’anno dalla Consulta degli studenti “Aliene parole” è nato su proposta della referente della commissione Arte e creatività Erler Rosanna. L’iniziativa è stata accettata dalla commissione, dall’altro referente Veneri Alessandro, dal vicepresidente (Riccardo De Gasperi) e dalla presidente Debora Simonazzi. Con il sostegno del dirigente del Servizio sviluppo innovazione Paolo Renna e l’aiuto della dirigente distaccata Beatrice de Gerloni, la Consulta provinciale degli studenti ha promosso questo progetto, diffondendolo in tutte le scuole. La premiazione Il concorso ha visto la partecipazione di 62 componimenti tra prosa e poesia (33 per la poesia e 39 per la prosa) più alcuni arrivati oltre il temine di scadenza (10 maggio). Il tutto è stato giudicato da una giuria così composta: Giggi Zoppello, Elvira Zuin, Alessandra Sartori, Debora Simonazzi e Alessandro Fontanari. La cerimonia di premiazione si è tenuta il 6 giugno 2009 nell’aula nord del palazzo d’istruzione alla presenza del dirigente Paolo Renna e dell’assessore Marta Dalmaso. I premi in palio consistevano in buoni acquisto presso alcuni negozi (primi 300 euro, secondi 200, terzi 100). Questi studenti sono risultati vincitori Il verdetto della giuria Per la poesia 1° classificato: JONAH di Alessandro Baldessarri, letto da Luca Gadler n.7-8 luglio/agosto 2009 Una lirica che ripercorre in chiave moderna l’epica avventura di un nuovo Jonah che scansa la balena, impara a mangiare il sale, segue con timore le parabole di una società sovrana e prega la luna, parla al mare e al mare ritorna in cerca di un nuovo tuffo, di una nuova corrente, di una nuova impronta poetica, di un giovane talento dall’autentica genialità terrena. Mr Dio, signora gente, ecce Jonah. 2° classificato: TRA MIA MADRE E ME di Elisa Menotti, letto da Ilaria Petron Una cronaca accorata del conflitto tra una madre e una figlia, donne lontane eppure indispensabili l’una all’altra, donne in continua ricerca. Versi concisi e appassionati che si inseriscono con estrema precisione nell’attuale poetica contemporanea e presentano senza nessuna retorica il dramma di una giovane donna che cerca nella madre una nuova strada da percorrere. Un contatto tra epidermidi sempre attente a sfiorarsi. Nascondevo la mia pelle nelle tue vesti profumate, La tua bocca amara le ha stracciate ti ho perso? 3° classificato : I BUCANEVE di Alessio Lugnan, letto da Luca Follador Una voce si spezza nel coro, una voce racconta un mondo che trema dal gelo. Un autentico verseggiare di musica e immagini che sfilano tra le colline e il mare, si accavallano, si schivano e si ritrovano infine tra le note di un autentico appello a quella vita che sa ancora ballare, che riesce comunque ad appiccare fuochi, che si consuma spietatamente fino a ritrovare ogni perduta gioia. Si balla sempre, si balla ancora fino a schiantarsi, fradici di vita, sul fondo dell’aurora. 39 Per la prosa 1° classificato: ORE IN FUMO di Marcello Calogero, letto da Luca Follador La ricerca che non trova soluzione. Un enigma che si srotola nella quotidianità di un ragazzo comune. Giornate che rimbalzano involontariamente tra la grande città e il piccolo nido rurale, tra chi cerca uno specchio altrove, in persone diverse da quelle che normalmente gli transitano accanto. E allora, nel dubbio dell’esistenza, prova a sfidare dall’alto lo sguardo di chi vive passivamente una vita che lui invece avverte ancora dannatamente priva di senso. Dov’è la giusta risposta? Rimanere? Andarsene? Cercare altrove e ancora e sfinire il mondo di richieste insensate o accontentarsi nell’attendere un futuro assegnato? Un perfetto ritratto di quotidianità, tedio e ricerca di imprevedibilità terrena. Non poteva continuare a fingere. Mentre camminava verso il liceo guardandosi le scarpe, pensò che la rabbia era finalmente abbastanza per dargli il coraggio di fare loro delle domande che con buona probabilità li avrebbero offesi. ci ritrovamenti e canzoni che mai trovano fine. Pochi oserebbero mischiare Cicerone a David Bowie, ma è tempo di provarci. Mi rifugio in un posticino tranquillo, assieme alle poche facce che, come me, si sono stancate di strare in mezzo a tutto e a nulla. Con me ho la mia chitarra. Mr Hyde si è portato qualche birretta. Si vedono le stesse. Così tante. Così lontane. 3° classificato: CARA MAMMA, CARO PAPA’ di Anna Piccoli, letto da Ilaria Petron C’è la luna in cielo, non è piena, mostra solo metà della sua faccia. E la luna accompagna un racconto epistolare in cui chi scrive cerca se stesso mascherandosi tra le parole di una lunga lettera indirizzata ai genitori. Cerco in voi e trovo ancora me stesso. Un intreccio di domande e risposte che si rincorrono delineando con autenticità la quotidiana riserva di vita che ognuno di noi nasconde in luoghi troppo spesso ignorati . Un inno alla vita, alla giovane vita, a chi sa ancora cercare, progettare, inventare infinite possibilità di mondo. Liberarsi dai propri problemi e librarsi più leggeri nell’aria, in una corsa che non sia più frenetica rincorsa, ma solo battito di cuore. A cura di Debora Simonazzi 2° classificato: RISVEGLIO/SOGNO di Riccardo Degasperi, letto da Luca Gadler Un risveglio che si alterna al sogno in un continuo e voluto mutarsi di identità vecchie e nuove. Un corposo quanto geniale ritratto della società: il nucleo familiare che si apre e chiude in lente sequenze dai colori nitidi e puntuali; il telegiornale che spiattella in giro per il mondo definizioni spesso errate e altrettanto spesso sublimi; la musica che accompagna ogni passo e si svela infine come unica ed autentica confidente. Un’altalena di immagini, chiacchiere, epi40 n.7-8 luglio/agosto 2009 i testi JONAH ORE IN FUMO Non chiese il mio parere, disse “ecce homo” e il signore mi spinse al deserto e il signore mi volle adulto: per me ebbe la gente le leggi del sedentario. Curva dopo curva la valle si snodava e il paesaggio fuori dal finestrino si infilava tra le palpebre fra un momento di sonno e l’altro. Era così presto che il buio era ancora dietro ogni tornante e Davide non sapeva più se a dargli la nausea fossero le curve oppure quelle mattine tutte uguali. In quei giorni le ore in classe si erano fatte più noiose del solito e tutte quelle ore di viaggio per arrivare in città cominciavano a farsi spazio nella sua pazienza. Non era sempre stato così. Una volta a Davide il suo paese piaceva, ma ora i tempi in cui per arrivare alle elementari bastava attraversare la strada erano lontani, perfino un po’ sbiaditi. La corriera era arrivata in valle: si tirò su sul sedile e con una smorfia prese dalla cartella un libro:forse sarebbe riuscito a imparare qualcosa all’ultimo minuto. Il pomeriggio prima era tornato a casa esausto e di aprire i quaderni non se ne era nemmeno parlato. Le teste degli altri passeggeri ondeggiavano insieme come tanti fili d’erba, tutti uguali. Era qualcosa di totalmente nuovo: per un bambino la noia in paese non esiste. Poi anche per Davide era venuto il momento delle medie e quella distanza da affrontare aveva significato allontanarsi da casa da soli, liberi. Col tempo l’interesse per quel viaggio era sparito e al suo posto si erano accumulati i secondi, i minuti, le ore rubati, sprecati, gettati al vento dai finestrini di quell’autobus. Ora i suoi compagni di liceo dopo il suono della campanella camminavano verso casa chiacchierando, ma anche discutendo di argomenti tutt’altro che frivoli; Davide, invece, si scapicollava verso la stazione: davanti a lui più di un’ora di inutile viaggio. Alessandro Baldessari Bambino, cometa nomade, provai l’impatto di un pianto più vecchio “giovane”! mi gridavano, mi davano del lei ed ho solo taglie più grandi, vesto solo maglie più serie. Scelgo il mare e perdo la fede, mr. dio, signora gente, i ecce Jonah. Straniero dell’equipaggio mi giocai la tempesta a dadi e in un azzardo la morte e la sorte che mi volle onda. Nessun pesce ad ingoiarmi, l’abisso mi fece sputo, impara a nuotare, gocciola, impara a mangiare il sale Jonah, camminerai sull’acqua. Pregai la luna di amarmi, di farmi marea e marea sono e come marea amo, ogni donna è una spiaggia, ritorno e riparto e la notte rimpiango di non tenerla mai quella sabbia che bagno. di Marcello Calogero Tieni pescatore il mio canto e il tuo guadagno, il ventre delle tue reti lo sazio per attraversarlo, perché possa riempirlo ogni pesce di voce. Sta sotto le onde il suono della corrente e soltanto l’ascolta il tuffatore, lui che ha ancora la campagna nel cuore e salta gli scogli che lo vogliono a terra. n.7-8 luglio/agosto 2009 41 Dietro il vetro freddo passavano interi paesini come il suo, abitati da gente che quando la mattina si svegliava non vedeva l’orizzonte, solo salite e pendii, ma che, almeno a parole, non ne sembrava minimamente infastidita. Nel pomeriggio i suoi amici uscivano dal portone della loro casa in città e, dandosi appuntamento, chiacchieravano insieme fino alla scuola di musica, al corso di teatro o alla piscina per gli allenamenti di nuoto. Davide, tornato a casa, in città non poteva più tornarci: quella strada era così lunga che il gioco non valeva la candela. Così nel pomeriggio, disteso esausto sul divano della sua mansarda, guardava con occhi vuoti il televisore pensando a come i suoi compagni nello stesso momento mangiassero gelati passeggiando per il centro oppure, distesi sul prato del parco, guardassero il cielo parlando di vita. Non pretendeva di unirsi a loro,sapeva che questo era troppo: gli sarebbe bastato anche solo sapere cosa facevano per non esserne invidioso. Di questo si trattava: di invidia. Non di solitudine. Aveva amici in paese con cui passare le sere d’estate ridendo di ogni sciocchezza. Davide, però, era stato l’unico di loro ad aver scelto di frequentare le superiori in città, mentre tutti gli altri avevano deciso il loro futuro nella scuola in provincia. Quei campi sulle colline sarebbero diventati loro, avrebbero ereditato le aziende dei loro padri e lì avrebbero vissuto. Per sempre. Sapere cosa li attendeva li rendeva tranquilli e felici di ciò che avevano e questo purtroppo aveva fatto diventare Davide sempre più insofferente alla loro compagnia. Non si sentivano anche loro tagliati fuori, esclusi, ignorati dalla vera vita che andava avanti in fondo alla valle senza di loro? Più passava con loro le serate seduto sulla riva del fiume e più li sentiva diversi. Una diversità che faceva sì che an42 che solo ascoltandoli si sentisse a disagio: nessun discorso di politica, nessuna discussione sul futuro, sull’università, sulla religione, sul mondo. Ormai Davide faceva solo finta di ridere alle loro battute. Quando stava fra i suoi compagni di classe del liceo e ascoltava i loro infervorati scontri sulla politica, sul governo e sulle guerre, provava imbarazzo per quei suoi amici di infanzia che neanche immaginavano che anche tra ragazzi si potesse discutere di vita: i compagni con cui esplorava i boschi sulle colline erano diventati adolescenti di cui vergognarsi. D’altra parte non avrebbe mai avuto il coraggio di dire loro tutto ciò che pensava e incontrandoli in piazza doveva fare buon viso a cattivo gioco. Le curve erano finite, la strada era ritornata diritta e il sole si era finalmente deciso ad illuminare la città che si avvicinava lentamente, l’unico luogo in cui Davide riuscisse a respirare. Veramente. L’ipocrisia a cui era costretto non era l’unica ad essere sopportata, un’altra pressione si era andata accumulando nella sua testa in quegli ultimi tempi: era il peso delle vie non percorse, di tutte le possibilità che quello che ormai chiamava “il suo viaggio” gli negava. Davide non riusciva a fare a meno di ricordare a se stesso che se solo la sua casa si fosse trovata in città, i suoi pomeriggi sarebbero stati ben diversi: corsi di musica, teatro, lingue straniere. E tutto ciò avrebbe significato più divertimento, più cultura, perfino più amici! In quattro parole: essere una persona migliore. Invece tutta la voglia di fare di Davide andava sprecata mentre, seduto su un autobus, guardava la città scomparire dietro le curve della sua valle. Ed era impossibile non pensare che il caso si prendesse gioco di lui quando gli capitava di ascoltare delle sue sciocche compagne che abitavano a un passo dal centro, raccontare con tranquillità di aver trascorso il pomeriggio precedente davanti alla televisione. Invece di sfruttare la fortuna che avevano. Invece di stare là fuori. Invece di darsi da fare. Per essere persone migliori. La rabbia non poteva che crescere e Davide era sempre più spesso di malumore. Se qualcuno poi gli chiedeva il perchè dei suoi modi sgarbati-si trattasse anche dei suoi genitori- usare come scusa la stanchezza era una questione da nulla: chi non sarebbe stato sfinito dopo una giornata come le sue in cui tra l’arrivo e la partenza non sembrava esserci nulla? Nei momenti peggiori rifletteva sul fatto che forse aveva sbagliato a iscriversi al liceo cittadino, forse avrebbe dovuto adattarsi ai suoi coetanei e frequentare l’istituto a pochi passi da casa. Così avrebbe vissuto una vita trann.7-8 luglio/agosto 2009 quilla, riposata, senza la preoccupazione di non avere mai abbastanza tempo: quella possibilità portava ad immaginare una vita così gelidamente mediocre che Davide rabbrividiva al solo pensiero ogni sera nel suo letto. Con una brusca frenata il mezzo si fermò e lui fu il primo a scendere. Era sempre il primo. Ma come facevano ad essere felici? Come mai non sentivano anche loro quella sua stessa paura, quella sensazione di una vita che ti viene rubata solo perchè abiti in un luogo invece che in un altro? Non poteva continuare a fingere. Mentre camminava verso il liceo guardandosi le scarpe, pensò che la rabbia era finalmente abbastanza per dargli il coraggio di fare loro delle domande che con buona probabilità li avrebbero offesi. Era deciso: quella sera avrebbe chiesto loro che cosa facessero per riuscire a guardare in faccia le loro montagne senza rancore, senza odio, senza...amaro in bocca. Il sole stava spegnendosi e Davide non ebbe nemmeno il tempo di chiudersi la porta di casa alle spalle che già tutta la sua rabbia coraggiosa si era dissolta, e tutti dubbi che vi si erano nascosti dietro ora potevano parlare forte e chiaro. Mentre si avviava al fiume, rigirandosi le mani in tasca, si chiese se forse non fosse altro che un ingrato: pensò che lui, al contrario di tanti ragazzi, aveva la fortuna di avere una casa, due genitori uniti e soldi a sufficienza per mangiare e frequentare una scuola. Appena li vide seduti sulla riva a Davide venne paura e si immaginò le risposte che avrebbe ricevuto alle sue don.7-8 luglio/agosto 2009 mande. Sapeva già che i più intelligenti fra loro avrebbero obiettato che i ragazzi in città sognano a loro volta di vivere in città più grandi, e che alla fine finisce sempre che si drogano perché si sentono sprecati e insoddisfatti. Mentre camminava sul ponte si chiese se i suoi amici, non avendo viaggiato, semplicemente ignorassero che si poteva vivere meglio, che c’erano infinite possibilità là fuori, oltre il loro campo. No. Era impossibile. Forse non leggevano i giornali,ma era sicuro che ognuno di loro guardasse la televisione abbastanza per vederci persone che vivevano ad un’intensità mille volte maggiore della loro. Poi però Davide arrivò alla conclusione che per non sentirsi inferiori a quei modelli, probabilmente a loro bastava avere un cellulare come quello delle celebrità, non una vita come la loro. Infine si chiese se in fin dei conti loro non fossero già felici così, vivendo in valle, dove la gente è più buona, dove ci si giudica per come si è e non per come ci si veste, dove la droga non riesce ad arrivare. Presto avrebbe avuto una risposta. Davide si sporse dalla balaustra del ponte e rimase ad osservarli dall’alto per qualche secondo: erano seduti in cerchio, avevano vestiti falsi che imitavano marche famose, maschi e femmine avevano tutti lo stesso taglio di capelli. Quella sera c’era anche una novità: fra le loro mani passava quella che era molto di più della solita sigaretta. All’improvviso tutti alzarono la testa verso l’alto attirati da un rumore. Ma rimasero delusi. A guardarli, ormai, non c’era più nessuno. 43