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Capitolo 3
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Decreto ingiuntivo e condominio
Caso 3.1
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Quali sono i presupposti di concedibilità del decreto ingiuntivo
immediatamente esecutivo a carico di un condomino?
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In linea generale l’obbligo del condomino di pagare i contributi deriva non dalla
preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla
concreta attuazione dell’attività di manutenzione e sorge quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una determinata attività
di gestione (Cass., 857/2000; 4393/1997).
È risaputo che, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., l’amministratore del condominio può chiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti
del condomino moroso, in base al preventivo delle spese approvato dall’assemblea (Cass., 12 febbraio 1993, n. 1789). Avuto riguardo alla natura eccezionale
della norma e al fatto che il decreto ingiuntivo presuppone l’esistenza di una
prova scritta del credito proveniente dal debitore (e non dal creditore), l’emissione del decreto ingiuntivo deve ritenersi ammessa solo in presenza dell’approvazione del bilancio, preventivo o consuntivo, da parte dell’assemblea (Cass.,
8 marzo 2001, n. 3435).
Il verbale di un’assemblea condominiale contenente l’indicazione delle spese
occorrenti per la conservazione o l’uso delle parti comuni, che costituisce prova
scritta idonea per ottenere decreto ingiuntivo, necessita però dello stato di ripartizione delle medesime per l’ulteriore fine di ottenere anche la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. (Cass.,
15017/2000; 3296/1996; 6879/1994). Pertanto, ai sensi di quest’ultima disposizione, — norma riguardante solo la provvisoria esecuzione di cui all’art. 642 e
non anche la dispensa del termine di cui all’art. 482 c.p.c. (Cass., 1161/1979) —
l’amministratore di un condominio può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo sulla base del verbale dell’assemblea che approva il rendiconto con relativo stato di ripartizione, perché il verbale costituisce prova scritta
e la delibera vincola anche gli assenti e i dissenzienti (Cass., 9787/1997). Lo stesso può fare il rappresentante designato per la gestione di un servizio comune
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(nella specie riscaldamento) sulla base del rendiconto della spesa dei servizio.
Occorre però che l’assemblea abbia provveduto alla approvazione del bilancio,
preventivo o consuntivo, in considerazione della natura eccezionale della norma e del fatto che il decreto ingiuntivo presuppone l’esistenza di una prova
scritta del credito proveniente dal debitore, e non dal creditore (Cass., 4616/
2001; 10826/2004). In base al preventivo delle spese, l’amministratore può chiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo soltanto fino a che l’esercizio, a cui tali spese si riferiscono, non sia terminato, dovendo altresì agire in base
al consuntivo della gestione annuale (Cass., 1789/1993).
Mette conto, altresì, evidenziare che il solo verbale di assemblea, contenente l’indicazione delle spese occorrenti per la conservazione o l’uso delle parti comuni,
costituisce pur sempre prova scritta idonea per ottenere decreto ingiuntivo, in
quanto, in mancanza dello stato di ripartizione delle medesime, non va concessa
soltanto la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. (Cass., 15017/2000). Analogamente, l’amministratore può
chiedere l’emissione del decreto ingiuntivo per i contributi dovuti dai condomini in base alle «ricevute» di pagamento mensili, costituenti prova scritta, ma
anche in questo caso non può ottenere la clausola di immediata esecutività, per
la quale è necessaria l’allegazione dello stato di ripartizione della spesa approvata dall’assemblea (Cass., 4638/2001).
La possibilità di ottenere il decreto ingiuntivo fa riferimento in genere a tutte le
quote delle spese contemplate dall’art. 1123 c.c., senza che possano al riguardo,
distinguersi le spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni e
per l’esercizio dei servizi condominiali dalle altre spese relative alle innovazioni
(Cass., 8676/2001), senza distinzione tra oneri condominiali relativi a spese
ordinarie e quelli riguardanti spese straordinarie (Cass., 27292/2005; 29/2000;
14665/1999) e le deliberazioni con cui vengono stabiliti i contributi dovuti dai
singoli condomini costituiscono titoli di credito del condominio e da sole provano l’esistenza di tale credito, legittimando non solo la concessione del decreto
ingiuntivo ma anche la condanna del condomino al pagamento delle somme nel
giudizio di opposizione eventualmente proposto contro il decreto (Cass., 2387/
2003; 27292/2005).
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NOTA BENE
In ogni caso, qualora l’opponente contesti la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione, incombe appunto all’amministratore del condominio di dimostrare i fatti costitutivi del credito con la produzione di tutti gli opportuni documenti (Cass., 13 febbraio 2009, n. 3662).
Va ancora evidenziato che la disposizione dell’art. 649 c.p.c. concernente la facoltà di disporre la sospensione dell’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo trova applicazione anche nel caso di decreto immediatamente esecutivo ottenuto ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. per la riscossione dei contributi
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condominiali, anche se tale sospensione va attentamente ponderata laddove la deliberazione dell’assemblea del condominio di approvazione dello stato di ripartizione dei contributi non sia stata impugnata nei modi di legge (contra Cass., 4 giugno 1991, n. 6326).
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Al fine di ottenere la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento di ingiunzione, ai sensi
dell’art. 63 disp. att. c.c. occorre produrre il verbale dell’assemblea condominiale contenente l’indicazione delle spese e/o contributi deliberati e il relativo stato di ripartizione parimenti approvato.
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Chi è il soggetto legittimato passivo della richiesta monitoria
di decreto ingiuntivo per oneri condominiali non pagati?
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In primo luogo — anche nell’ipotesi di appartamento concesso in locazione — il
debitore è sempre il proprietario effettivo del cespite locato, che potrebbe essere
persona diversa dal locatore, e non anche il conduttore. Per altro verso va osservato che, in caso di azione dell’amministratore diretta al recupero delle quote di
spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, passivamente legittimato è il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa
apparire tale (Cass., 9 febbraio 2005, n. 2616; sez. un., 5035/2002; Cass., 6187/
1994; 5122/2000; 4866/2001; contra Cass., 2617/1999; 9079/1990; 907/1981, secondo le quali la legittimazione passiva spetterebbe ancora al venditore dell’unità
immobiliare, che dopo il trasferimento della proprietà ha continuato ad esercitare i diritti apparenti del condomino), pure se quest’ultimo, con le sue dichiarazioni e comportamenti, anche univoci, abbia ingenerato nell’amministratore il
ragionevole convincimento che si tratti dell’effettivo condomino (Cass., 12709/
2002). Ciò, perché difettano nei rapporti tra condominio, che è un ente di gestione, ed i singoli partecipanti ad esso le condizioni per l’operatività del principio
dell’apparenza del diritto, strumentale a esigenze di tutela dell’affidamento del
terzo in buona fede (Cass., 17897/2003; 1435/2004).
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NOTA BENE
Il principio della responsabilità del condomino apparente, in virtù del quale colui che appaia e si
comporti come proprietario di una unità abitativa è legittimato passivo dell’azione giudiziaria per l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie relative all’unità stessa, vale solo nei confronti dei terzi e non nei
rapporti con gli altri condomini e con il condominio (Trib. Torino, 10 dicembre 2007).
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Dalle norme in materia di condominio, ed in particolare dagli artt. 1123 c.c. e art.
63 disp. att. c.c., può in definitiva ricavarsi il principio generale, posto a garanzia
della certezza indispensabile al buon andamento della gestione del condominio,
che l’azione derivante dai rapporti di condominio non può in alcun caso essere
fatta valere nei confronti di persone che pur detenendo, usando e sfruttando
una parte del fabbricato, non abbiano la proprietà di esso, e che per il condominio devono ritenersi in generale irrilevanti i particolari rapporti che intercorrono tra il proprietario unico tenuto nei suoi confronti, ed i soggetti che si trovano
ad occupare l’appartamento di questo e comunque a goderne (Trib. Modena
Carpi, 12 novembre 2005).
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In conclusione… risposta a 3.2
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Secondo l’ormai prevalente orientamento della S.C., in materia condominiale nella individuazione
dei soggetti tenuti al pagamento delle spese di gestione di un condominio, non può operare il
principio della apparenza del diritto poiché esso, nella materia contrattuale è applicabile a tutela
della buona fede di terzi che, in presenza di circostanze obiettive ed univoche abbiano fatto ragionevole affidamento in una situazione di fatto risultata non corrispondente allo stato di diritto,
mentre nella materia della proprietà (condominiale) non può ravvisarsi una relazione di terzietà tra
il condomino ed il condominio, che non ha una soggettività giuridica diversa da quella dei singoli
condomini, e quando si tratti di intraprendere azioni giudiziarie per il recupero delle spese debbano prevalere i principi della pubblicità e della effettività che superano ogni apparenza (Cass., 3
agosto 2007, n. 17039; Cass., 25 gennaio 2007, n. 1627) con conseguente legittimazione passiva
esclusiva dell’effettivo proprietario anche se diverso da quello apparente e/o locatore del cespite.
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Caso 3.3
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Nell’ipotesi di alienazione di appartamento condominiale, come
si deve regolare l’amministratore per il recupero monitorio di
crediti condominiali?
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Occorre prendere le mosse dal principio dell’ambulatorietà passiva, di cui all’art. 63, comma secondo, disp. att. c.c., in base al quale l’acquirente di una unità
immobiliare nell’edificio può essere chiamato a rispondere, nei confronti dell’ente di gestione condominiale, dei debiti del suo dante causa, solidalmente con
lui, ma non al suo posto, anche se esclusivamente per i contributi risultanti dallo
stato di ripartizione approvato dall’assemblea (limitatamente al biennio precedente all’acquisto).
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Non sussiste la legittimazione passiva dell’acquirente di una unità immobiliare condominiale per i danni
causati da tale unità ad altro appartamento anteriormente all’alienazione. Una tale legittimazione non è
prospettabile neppure in base al principio dell’ambulatorietà passiva di cui all’articolo 63, comma 2, delle
disposizioni di attuazione del codice civile. L’acquirente di un’unità immobiliare nell’edificio, infatti, può
essere chiamato a rispondere, nei confronti dell’ente di gestione condominiale, dei debiti del suo dante
causa, solidalmente con lui e non al suo posto, esclusivamente per i contributi in base allo stato di
ripartizione approvato dall’assemblea e non per altre ragioni di debito (Cass., 22 giugno 2004, n. 11599,
relativa ad un’ipotesi di alienazione di un appartamento in condominio che aveva provocato un danno a un
terzo, ha così ritenuto che tale trasferimento avvenuto in data successiva all’evento dannoso non comportava alcuna successione dell’acquirente nella pregressa obbligazione personale dell’alienante).
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La Suprema Corte ha poi osservato come la disposizione di cui all’art. 63, comma 2, delle disposizioni di attuazione del codice civile, che limita al biennio precedente l’acquisto l’obbligo del successore nei diritti di un condomino di versare, in solido con il dante causa, i contributi da costui dovuti al condominio è
speciale rispetto a quella posta, in tema di comunione in generale, dall’art. 1104,
ultimo comma, del c.c. che rende il cessionario obbligato, senza alcun limite di
tempo, in solido con il cedente, a pagare i contributi dovuti dal cedente e non
versati (Cass., 18 agosto 2005, n. 16975). Pertanto, in tema di contributi condominiali va fatta applicazione dell’art. 63, comma 2 disp. att. c.c., poiché, il rinvio
operato dall’art. 1139 c.c. alle norme sulla comunione in generale vale, per espressa
previsione dello stesso articolo, solo per quanto non sia espressamente previsto
dalle norme sul condominio. Né può aderirsi alla tesi che collega alla natura di
disposizione di attuazione dell’art. 63 citato l’impossibilità di derogare alle norme previste dal capo II del titolo VII del codice civile, cui l’art. 1139 fa letteral-
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mente rinvio, sia perché un’interpretazione logica di quest’ultima norma induce
a ritenere il rinvio esteso a tutte le norme specificamente dettate in tema di condominio e, quindi, anche a quelle poste in materia da disposizioni di attuazione
del codice civile sia perché non esiste una gerarchia tra le norme del codice civile
e quelle di attuazione di esso, sia perché, comunque, non è ravvisabile alcun
contrasto tra la disposizione dell’art. 1123 c.c., posta in via generale con riferimento al contenuto dell’obbligo contributivo previsto a carico dei condomini e
l’art. 63, comma 2 disp. att. c.c., che prevede l’obbligo solidale dal cessionario
circoscrivendolo nel tempo. Da ultimo, non ha pregio l’argomento del favor verso il condominio, espresso dall’art. 63 disp. att. comma 1 (con la previsione della
provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo richiesto sulla scorta dello stato di
ripartizione approvato dall’assemblea) e che alcuni ritengono debba essere valorizzato anche al fine di interpretare la disposizione dettata dal 2 comma, poiché a ben vedere tale favor, indubbiamente presente in tutte le disposizioni dell’articolo, con riferimento alla previsione del secondo comma si manifesta con
l’istituire la responsabilità solidale del cessionario accanto a quella del cedente,
limitandola, però, all’esercizio in corso al tempo della cessione ed a quello precedente, in deroga alla illimitata previsione dell’art. 1104, ult. comma, c.c. in tema
di comunione generale.
Mette conto altresì evidenziare — per quanto concerne il profilo dei rapporti
interni tra i soggetti della compravendita — che, secondo il prevalente orientamento di legittimità, nel caso di alienazione di unità immobiliare sita in edificio condominiale, a contribuire alle spese per la conservazione delle parti
comuni è tenuto chi riveste la qualità di condomino nel momento in cui si
rende necessario provvedere alla conservazione della cosa e, per conseguenza,
si eseguono i lavori, non rilevando la data di approvazione della spesa da parte dell’assemblea dei condomini né quella successiva di ripartizione della spesa stessa (Cass., 18 aprile 2003, n. 6323; contra Cass., 26 ottobre 1996, n. 9366
secondo cui l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese
condominiali sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le
spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente e che può anche mancare ove
esistano tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini è il frutto di una semplice operazione
matematica. Pertanto, nel caso di alienazione di un appartamento, obbligato al
pagamento dei tributi è il proprietario nel momento in cui la spesa viene deliberata). Ancora, ai fini del riparto, nei rapporti interni tra alienante ed acquirente, dell’onere delle spese condominiali, occorre osservare che l’obbligo del
condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti co-
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muni dell’edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell’attività di manutenzione e sorge quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta. Deve, inoltre, tenersi conto non già del momento in cui è stata giudizialmente accertata l’obbligazione a carico del Condominio, bensì a quello della
sua insorgenza (Cass., 22 febbraio 2000, n. 1956). La deliberazione dell’assemblea condominiale di eseguire opere straordinarie all’edificio, precedente di
qualche giorno la vendita di unità immobiliari, comporta che gli acquirenti
debbono pagare le spese relative, trattandosi di obligationes propter rem. Non
esclude il debito degli aventi causa verso il condominio la mancanza di informativa tra le parti circa la deliberazione stessa e gli acquirenti sono chiamati a
rispondere delle spese solidalmente con l’alienante, non al suo posto. E, poiché la buona fede avrebbe voluto che l’obbligazione fosse dichiarata nelle trattative e indicata nei contratti, perché rilevanti nel sinallagma, la parte venditrice è tenuta alla manleva per tali spese (Trib. Milano, 14 settembre 2006).
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Dal punto di vista infine della legittimazione passiva di eventuale iniziativa
monitoria la Suprema Corte è di recente intervenuta affermando che, in tema di
condominio di edificio, poiché il condomino che abbia alienato un piano o una
porzione di un piano ha perso lo status di condomino, in favore dell’acquirente,
dal momento in cui il trasferimento sia stato reso noto al condominio, egli non
può essere legittimato passivo di decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi atteso che soltanto nei confronti di colui che rivesta la qualità di condomino può trovare applicazione l’art. 63, comma 1, disp. att. c.c.. (Cass., 9 settembre 2008, n. 23345). In tale arresto la Corte di Cassazione ha dedotto che, in caso
di alienazione di un piano o di porzione di un piano, dal momento in cui il
trasferimento venga reso noto al condominio, lo status di condomino appartiene
all’acquirente, e pertanto soltanto quest’ultimo è legittimato a partecipare alle
assemblee e ad impugnarne le deliberazioni, mentre il venditore, che non è più
legittimato a partecipare direttamente alle assemblee condominiali, può far valere le sue ragioni connesse al pagamento dei contributi (relativi all’anno in corso e a quello precedente, ai sensi dell’art. 63 comma 2 disp. att. c.c.) attraverso
l’acquirente che gli è subentrato, e per il quale, anche in relazione al vincolo di
solidarietà, si configura una gestione di affari non rappresentativa che importa
obbligazioni analoghe a quelle derivanti da un mandato, e fra queste quella di
partecipare alle assemblee condominiali e far valere in merito anche le ragioni
del suo dante causa (Cass., 9/1990).
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Se il condomino alienante non è legittimato a partecipare alle assemblee e ad impugnare le delibere
condominiali, nei suoi confronti non può essere chiesto ed emesso il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi, atteso che soltanto nei confronti di colui che rivesta la qualità di condomino, vale
a dire l’acquirente, può trovare applicazione l’art. 63 disp. att. c.p.c., comma 1, («per la riscossione dei
contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea l’amministratore può ottenere
decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione»).
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Caso 3.4
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Quid iuris nel caso in cui il condomino opponente deduca l’invalidità della delibera assembleare posta a base dell’ingiunzione di pagamento in sede di opposizione o in separato giudizio di impugnativa della delibera condominiale?
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L’accertamento concernente l’invalidità delle delibere assembleari, costituendo
l’antecedente logico-giuridico, ha in linea di massima carattere di causa pregiudiziale rispetto alla domanda di revoca del decreto ingiuntivo contenente l’ingiunzione di pagamento dei contributi condominiali (Cass., 11327/2003). Ma la
questione relativa alla validità, o meno, della delibera condominiale che ha approvato la ripartizione delle spese deve essere prospettata in sede di impugnazione della delibera stessa, a norma dell’art. 1137 c.c. e non può essere sollevata
nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’amministratore sulla base di quella delibera, la quale è obbligatoria e vincolante per i condomini sino al suo annullamento o, quantomeno, alla sua sospensione da parte del
giudice competente a pronunciarsi sulla sua impugnazione (Cass., 7005/2001).
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NOTA BENE
Secondo Cass., 29/2000, emesso decreto ingiuntivo per il pagamento di spese condominiali sulla base
di una deliberazione assembleare, al giudice è consentito dichiarare anche d’ufficio la nullità di tale
delibera e del conseguente provvedimento monitorio, anche per una ragione diversa da quella esposta
dall’opponente, posto che questo adduce l’invalidità della delibera medesima non con una domanda,
ma con un’eccezione volta a paralizzare la pretesa condominiale. Inoltre, secondo Cass., 18363/2002,
insorta causa pregiudiziale in ordine alla validità della delibera assembleare in base alla quale è richiesto il pagamento, l’esorbitanza della causa dai limiti della competenza per valore del giudice adito in
sede monitoria osta a che questi possa conoscerne, imponendo la rimessione dell’intera causa al
giudice superiore competente.
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Quanto, poi, ai rapporti tra giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e giudizio impugnatorio della delibera posta a fondamento della pretesa monitoria,
si è posta in giurisprudenza la questione della necessità o meno di sospendere il
primo, ex art. 295 c.p.c., sino al passaggio in giudicato del secondo.
L’orientamento contrario alla esclusione del nesso di pregiudizialità necessaria
è da alcuni arresti di legittimità motivato considerando che il diritto del condominio alla percezione delle quote di spese erogate per il godimento delle cose e
dei servizi comuni non nasce con la delibera assembleare d’approvazione del
riparto delle spese stesse, ma è inerente all’effettuata gestione dei detti beni e
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servizi comuni, allo stesso modo che il fondamento dell’obbligo degli ingiunti
di pagare i contributi non si fonda sulla delibera, ma è inerente alla titolarità del
diritto reale sull’immobile; onde, non essendo la delibera d’approvazione del
riparto delle spese costitutiva del diritto di credito del condominio ma solo dichiarativa di esso, in relazione alla quota di contribuzione del singolo partecipante alla comunione, l’eventuale venir meno della delibera per invalidità non
comporta l’insussistenza del diritto del condominio di pretendere la contribuzione alle spese per i beni e servizi comuni erogati, diritto che ben può essere
accertato da altra delibera valida, ma comporta solo la perdita d’efficacia del
provvedimento monitorio emesso sulla base della delibera invalida; pertanto, la
permanenza dell’efficacia della delibera impugnata, salvo il provvedimento di
sospensione del giudice, consente l’emissione d’una pronunzia di condanna al
pagamento a prescindere dalla validità della delibera. La tesi appena analizzata,
recentemente ripresa da Cass., 7 ottobre 2005, n. 19519, e da Cass., 26 gennaio
2000, n. 857, è minoritaria e si richiama sostanzialmente ai precedenti di Cass.,
17 maggio 1997, n. 4393, e 7 luglio 1988, n. 4467 ( che, a loro volta, richiamano la
risalente Cass., 21 maggio 1964, n. 1251).
L’esclusione della necessità di sospensione ex art. 295 c.p.c. è affermata anche da
altro, ma prevalente, indirizzo sulla considerazione per cui, in tema d’opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo emesso ai sensi dell’art.
63, comma 1 disp. att. c.c. per la riscossione dei contributi in base allo stato di
ripartizione approvato dall’assemblea, il condomino opponente non può far
valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale, già impugnata in altro giudizio, ma solo questioni riguardanti l’efficacia della medesima.
Ciò in quanto le deliberazioni condominiali sono soggette ad impugnativa ai
sensi del secondo comma dell’art. 1137 c.c. e tuttavia, per espressa previsione
della medesima norma, restano non di meno vincolanti per i singoli condomini,
nonostante l’esperita impugnazione, salvo il giudice di questa ne disponga la
sospensione dell’efficacia esecutiva, tale delibera costituendo, infatti, ex lege titolo di credito in favore del condominio e, di per sé, prova idonea, ai fini di cui agli
artt. 633 e 634 c.p.c., dell’esistenza di tale credito, sì da legittimare non solo la
concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio d’opposizione che quest’ultimo proponga contro
tale decreto, ed il cui ambito è, dunque, ristretto alla sola verifica dell’esistenza e
dell’efficacia della deliberazione assembleare d’approvazione della spesa e di
ripartizione del relativo onere. Né sussistono continenza, ex art. 39, comma 2
c.p.c. o pregiudizialità necessaria, ex art. 295 c.p.c., tra la causa d’opposizione al
decreto ingiuntivo, ottenuto ai sensi del citato art. 63, comma 1 disp. att. c.c. e
quella preventivamente instaurata innanzi ad altro giudice con l’impugnativa
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della relativa delibera condominiale ex art. 1137 c.c., in quanto presupposto del
provvedimento monitorio è l’efficacia esecutiva della deliberazione condominiale ed oggetto del giudizio innanzi al giudice dell’opposizione è l’accertamento in ordine alla persistenza di tale efficacia e della consequenziale obbligazione
di pagamento delle spese dovute dal condomino sulla base della ripartizione
approvata con la deliberazione medesima, obbligatoria ed esecutiva finché non
sospesa dal giudice competente nell’ambito del giudizio d’impugnazione, mentre oggetto del detto giudizio d’impugnazione è il diverso accertamento in ordine alla validità della delibera medesima; onde, appunto in ragione della diversità della materia del contendere, tra il giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 63, comma 1 cit. e quello d’impugnazione della deliberazione condominiale in virtù della quale tale decreto è stato concesso non
esistendo né continenza né pregiudizialità necessaria, il giudice del primo deve
limitarsi ad accertare che il credito ingiunto sia fondato su deliberazioni con le
quali siano stati approvati la spesa ed il relativo stato di riparto e che l’opponente fornisca o meno la prova d’aver corrisposto quanto dovuto, in difetto della
qual prova deve rigettare l’opposizione, essendo ininfluente, in difetto di sospensione dell’esecutività delle deliberazioni da parte del giudice competente
adìto con l’impugnazione ex art. 1137 c.c., che le deliberazioni stesse possano o
meno essere invalide sotto qualsivoglia profilo (Cass., 7 marzo 2005, n. 4951; 19
ottobre 2004, n. 20484; 17 maggio 2002, n. 7261; 13 ottobre 1999, n. 11515; 18
novembre 1997, n. 11457; 29 agosto 1994, n. 7569).
La fondatezza di questa seconda ricostruzione è stata recentemente contestata
(Cass., 11 febbraio 2005, n. 2759, ma già 23 giugno 1999, n. 6384) osservandosi
che, in tal modo, viene eluso il problema relativo al rapporto di pregiudizialità,
la sussistenza del quale non può essere negata in ragione del fatto che il condomino, in caso d’applicazione dell’art. 295 c.p.c., sarebbe comunque costretto a
pagare, quanto meno in via provvisoria, i contributi fissati dalla deliberazione
assembleare impugnata, dovendosi invece considerare che, ove il giudizio d’opposizione non venisse sospeso, si potrebbe verificare l’anomalia che tale giudizio potrebbe concludersi con il passaggio in giudicato di una situazione sfavorevole all’opponente in ordine alla sussistenza del credito vantato nei suoi confronti dal condominio, in contrasto con l’annullamento, all’esito del giudizio
d’impugnazione, proprio di quella delibera che rappresenta il titolo costitutivo
di tale credito; che, in altri termini, il fatto che la sospensione del giudizio d’opposizione non comporterebbe anche la sospensione della delibera impugnata e
della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo in base ad essa emesso (in
quanto l’art. 298, comma 1 c.p.c. dispone soltanto che durante la sospensione
non possono essere compiuti atti del procedimento) non fa venire meno, da un
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lato, l’obbligo del giudice d’accertare il rapporto di pregiudizialità e, dall’altro,
l’interesse della parte alla conseguente sospensione, dacché a seguito dell’accoglimento della domanda proposta nel giudizio d’impugnazione della delibera
verrebbe evitato un possibile conflitto di giudicati e per effetto della caducazione del titolo in base al quale è stato emesso il decreto ingiuntivo il condomino
avrebbe diritto alla restituzione di quanto eventualmente pagato.
La tesi testé riferita ha, in prima approssimazione, un suo logico fondamento e
risulta compatibile con il più recente indirizzo giurisprudenziale in tema di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c.
Con ordinanza 26 luglio 2004, alle cui considerazioni si sono uniformate numerose
successive pronunzie, hanno infatti ritenuto le Sezioni Unite di comporre il contrasto determinatosi al riguardo prestando adesione all’orientamento — coerente con
il disfavore dell’ordinamento verso il fenomeno sospensivo desumibile così dalla
normativa processuale come dalle pronunzie del giudice delle leggi con particolare
riferimento agli effetti negativi dell’istituto sulla ragionevole durata del processo
richiesta anche dal novellato art. 111 comma 2 Cost. — incentrato su di una lettura
restrittiva dell’istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. e sulla valorizzazione della disciplina dettata dall’art. 337 comma 2 c.p.c., in correlazione con la previsione dell’art. 336 comma 2 c.p.c., limitando, quindi, l’area d’operatività della norma in discussione, così come già in precedenza avevano operato escludendo, con
l’ordinanza 1° ottobre 2003, n. 14670, che la vigente normativa consentisse ancora di
ravvisare, come per il passato, nell’art. 295 c.p.c., l’attribuzione al giudice d’una facoltà di discrezionale sospensione del giudizio per motivi d’opportunità.
Sono, dunque, pervenute alla conclusione che la sospensione necessaria del processo, ove non sia imposta da specifica disposizione di legge, ha per fondamento non solo l’indispensabilità logica dell’antecedente avente carattere pregiudiziale, nel senso che la definizione della relativa controversia si ponga come momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente, ma anche la sua
indispensabilità giuridica, nel senso che l’antecedente logico venga postulato
con efficacia di giudicato, per modo che non possa eventualmente verificarsi un
conflitto di giudicati; onde, lo scopo perseguito dalla sospensione necessaria
essendo quello d’evitare il conflitto di giudicati, l’art. 295 c.p.c. può trovare applicazione solo quando in altro giudizio deve esser decisa, con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, sussistendo in tal
caso il rischio del conflitto di giudicati, e non anche qualora oggetto dell’altra
controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, non configurandosi in questo caso il menzionato rischio. Orbene, aderendo al preesistente indirizzo poi confermato dalla richiamata ordinanza, per il quale le condizioni per la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. ricorrono qualora
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risultino pendenti innanzi a giudici diversi giudizi legati tra loro da un rapporto
di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisca l’imprescindibile
presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato di modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto tra giudicati (Cass., 28 giugno 2001, n.
8819; 15 novembre 2000, n. 14795; 24 maggio 2000, n. 6792; 26 maggio 1999, n.
5082), la Suprema Corte aveva già altre volte evidenziato come, nel giudizio
promosso per il riconoscimento di diritti derivanti da titolo, l’obbligo di sospensione ex art. 295 c.p.c. insorga quando in un diverso giudizio tra le stesse parti si
controverta dell’inesistenza o della nullità assoluta del titolo stesso, dacché al
giudicato d’accertamento della nullità, la quale impedisce all’atto di produrre ab
origine qualunque effetto, sia pure interinale, si potrebbe contrapporre un distinto giudicato, d’accoglimento della pretesa basata su quel medesimo titolo, contrastante con il primo in quanto presupponente un antecedente logico-giuridico
opposto (Cass., 5 dicembre 2002, n. 17317; 25 gennaio 2000, n. 787; 4 aprile 2001,
n. 4977; 12 maggio 1999, n. 4730; 30 marzo 1999, n. 3059; 9 agosto 1997, n. 7451).
Precisando come, ovviamente, il nesso di pregiudizialità necessaria ex art. 295 c.p.c.
non sia, per contro, riconoscibile ove nel diverso giudizio si controverta di meri vizi
d’annullabilità del titolo medesimo, atteso che, agli effetti della norma de qua, la
causa inerente ad una pretesa creditoria può ritenersi dipendente dalla causa sul
titolo del relativo diritto se quest’ultima inerisca alla sussistenza del titolo medesimo, come in precedenza evidenziato, non anche ove ne possa comportare l’annullamento con sentenza di natura costitutiva, non essendo l’annullamento stesso incompatibile con la sua efficacia medio tempore; salva restando, peraltro, la retroattività inter partes con i connessi obblighi di restituzione delle prestazioni già eseguite.
Ond’è che l’indirizzo giurisprudenziale in discussione, evidenziando come, nella specie, tra le stesse parti si controvertisse in una causa della nullità o dell’inefficacia del titolo, id est la deliberazione assembleare, che in altra causa era posto
a fondamento della domanda di condanna per l’inadempimento alle obbligazioni dal titolo stesso derivanti, correttamente rileva che tra i due giudizi ricorre
quel rapporto di pregiudizialità necessaria per il quale s’impone la sospensione
del secondo in attesa del giudicato d’accertamento sulla nullità oggetto del primo, diversamente potendosi dar luogo a giudicati contrastanti (sempre che, giova ripetere, nel primo di nullità del titolo si discuta e non d’annullabilità).
In ulteriore approssimazione devesi, tuttavia, rilevare che l’indirizzo in esame
non tiene conto della peculiarità del rapporto cui il criterio decisionale adottato,
pur esatto nella sua elaborazione teorica valida in astratto per la generalità dei
rapporti, dovrebbe trovare applicazione e della specialità della normativa dalla
quale è, in ragione di ciò, regolato.
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Sull’obiettiva considerazione che al condominio — onde gli sia consentito in
concreto di conseguire la sua istituzionale finalità di conservazione e gestione
della cosa comune nell’interesse della collettività dei partecipanti, mediante la
manutenzione, ordinaria e straordinaria, delle parti comuni dell’edificio e l’esercizio dei servizi comuni — è necessario poter fare fronte con regolarità alle relative spese e che all’uopo risulta imprescindibile la puntuale riscossione dei contributi dovuti dai condomini secondo il piano di riparto approvato dall’assemblea (o, comunque, materialmente elaborato in conformità alle tabelle millesimali vigenti: Cass., 26 ottobre 1996, n. 9366), il legislatore ha predisposto un
sistema di strumenti adeguatamente coordinati, com’è all’evidenza desumibile
da una lettura sistematica della disciplina elaborata al riguardo con la pertinente normativa civilistica e segnatamente con gli artt. 1130 c.c. e 63 comma 1 disp.
att. c.c., anche in relazione agli artt. 633 e 634 c.p.c.
Anzitutto, nel ricomprendere, tra le plurime attribuzioni dell’amministratore, il
dovere d’eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini (art. 1130 comma 1 sub 1) e di riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi
comuni (art. 1130 comma 1 sub 3), ha posto una sostanziale correlazione tra l’un
dovere e l’altro, risultando all’evidenza l’adempimento del primo condizionato
di fatto a quello del secondo, quindi necessariamente correlati entrambi nella
realizzazione della finalità economico-sociale dell’istituto, perseguita con la regolamentazione dello stesso, prima autonoma e poi inserita con variazioni nella
disciplina codicistica.
In secondo luogo, onde consentire il tempestivo adempimento del condizionante dovere di riscossione dei contributi condominiali, ha attribuito all’amministratore, con l’art. 63 disp. att. c.c., il potere di chiedere decreto ingiuntivo, al
quale ha anche riconosciuto il carattere dell’immediata esecutività, nei confronti
dei condomini morosi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea senza neppure necessità d’autorizzazione alcuna da parte del detto organo
deliberante (Cass., 9 dicembre 2005, n. 27292; 5 gennaio 2000, n. 29; 29 dicembre
1999, n. 14665; 15 maggio 1998, n. 4900); correlativamente, nel riservare, con l’art.
1137 c.c., ad autonomo giudizio ogni controversia sull’invalidità delle deliberazioni assembleari, ha anche escluso che qualsivoglia questione al riguardo possa essere sollevata nell’ambito dell’eventuale opposizione al provvedimento
monitorio, l’oggetto di tale giudizio rimanendo, in tal modo, circoscritto all’accertamento dell’idoneità formale (validità del verbale) e sostanziale (pertinenza
della pretesa azionata alla deliberazione allegata) della documentazione posta a
fondamento dell’ingiunzione e della persistenza o meno dell’obbligazione dedotta in giudizio (Cass., 8 agosto 2000, n. 10427; 29 agosto 1994, n. 7569).
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È, dunque, evidente come il sistema normativo in questione, che s’inserisce nella disciplina del condominio già di per sé connotata da specialità in ragione della necessità d’una distinta considerazione per il settore di vita sociale che rappresenta, sia da ricondurre a quella categoria di disposizioni che, nell’attribuire
a sentenze, negozi, diritti, il carattere dell’immediata esecutività, della necessaria realizzabilità pur in pendenza di controversia, a tutela d’interessi generali o
particolari discrezionalmente ritenuti prevalenti e meritevoli d’autonoma considerazione rispetto alla disciplina comune propter aliquam utilitatem, si pongono
con carattere derogatorio nei confronti del principio generale d’inesecutività del
titolo ove impugnato con allegazione della sua originaria invalidità assoluta (nullità — inesistenza), quindi anche del principio, affermato dalla giurisprudenza
più sopra richiamata, per cui la pendenza del giudizio sulla contestazione della
validità del titolo giustifica la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio nel quale
si discute dell’adempimento delle obbligazioni con quel titolo costituite.
È, d’altra parte, significativo che il legislatore, nel garantire l’interesse della collettività condominiale, considerato prevalente, non abbia, tuttavia, lasciato il singolo condomino del tutto privo di tutela, dacché ha attribuito al giudice dell’impugnazione della deliberazione il potere di sospendere l’esecutività della stessa;
per il che, deve aggiungersi ulteriore considerazione in ordine all’illegittimità,
sotto il profilo in esame, di un’eventuale sospensione del giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo emesso ex art. 63 disp. att. c.c., giacché, in tal caso, il
giudice si arrogherebbe, di fatto, il potere di far venire meno, sia pure temporaneamente, quell’efficacia esecutiva espressamente conferita ex lege alla deliberazione, già impugnata ex art. 1137 c.c., sulla quale può esclusivamente incidere, e
del pari espressamente ex lege, il solo giudice dell’impugnazione medesima.
In vero, il giudizio sul fumus boni iuris in ordine alla contestata validità della deliberazione posta a base del provvedimento monitorio opposto si porrebbe, sia pure
ai soli fini della pronunzia sulla sospensione, come giudizio incidentale nell’ambito del giudizio d’opposizione, e pertanto, se nel giudizio espressamente predisposto dal legislatore per la valutazione della contestazione sulla validità della deliberazione l’esecutività di questa non sia stata sospesa dal giudice competente valendosi del potere attribuitogli dall’art. 1137 comma 1 c.c. in ragione della proposta
impugnazione, nessun potere di sospensione può comunque riconoscersi, né ex
art. 295 c.p.c. né ex art. 337 c.p.c., al giudice del giudizio d’opposizione in relazione
alla pretesa influenza su tale giudizio dell’esito del giudizio d’impugnazione, la
questione essendo già stata esaminata e negativamente risolta dall’unico giudice
cui è stata espressamente attribuita la competenza a deciderne.
A fronte delle evidenziate esigenze che hanno determinato la predisposizione
d’una disciplina speciale e derogatoria, non può che considerarsi recessiva la
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prevenzione dell’eventuale contrasto di giudicati che potrebbe, in ipotesi, verificarsi in seguito al rigetto, nell’un giudizio, dell’opposizione al decreto ingiuntivo ed all’accoglimento, nell’altro, dell’impugnativa della delibera, le conseguenze
del quale ben possono essere superate, sia in sede esecutiva ove i tempi lo consentano, facendo valere la sopravvenuta perdita d’efficacia del provvedimento
monitorio come conseguenza della dichiarata invalidità della delibera, sia in sede
ordinaria mediante azione di ripetizione dell’indebito (Cass., 7 ottobre 2005, n.
19519; 7 luglio 1999, n. 7073; 3 maggio 1999, n. 4371).
In definitiva, per tutte le esposte considerazioni, va escluso che al giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto ex art. 63 comma 1 disp. att. c.c. sia
consentito di sospendere il giudizio in attesa della definizione del diverso giudizio d’impugnazione, ex art. 1137 c.c., della deliberazione posta a base del provvedimento monitorio opposto (Cass., 27 febbraio 2007, n. 4421).
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Conforme: Cass., 29 gennaio 2008, n. 1955
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«Il principio di inesecutività del titolo impugnato a seguito di allegazione della sua originaria
invalidità assoluta è derogato, nella disciplina del condominio, da un sistema normativo che
mira all’immediata esecutività del titolo, pur in pendenza di controversia, a tutela di interessi
generali ritenuti prevalenti e meritevoli d’autonoma considerazione, sicché il giudice non ha il
potere di disporre la sospensione della causa di opposizione a decreto ingiuntivo
ingiuntivo, ottenuto ai
sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., in relazione alla pendenza del giudizio in cui sia stata impugnata la relativa delibera condominiale, restando riservato al giudice dell’impugnazione il potere
di sospendere ex art. 1137 c.c., comma 2, l’esecuzione della delibera, e che non osta a tale
disciplina derogatoria il possibile contrasto di giudicati in caso di rigetto dell’opposizione all’ingiunzione e di accoglimento dell’impugnativa della delibera, poiché le conseguenze possono
essere superate in sede esecutiva, facendo valere la sopravvenuta inefficacia del provvedimento monitorio, ovvero in sede ordinaria mediante azione di ripetizione dell’indebito
In conclusione… risposta a 3.4
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L’eventuale opposizione del condomino ingiunto può riguardare la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione, ovvero il verbale della delibera assembleare, ma non può
estendersi ai profili di nullità o annullabilità della delibera che dovranno necessariamente essere fatti
valere in via separata con l’impugnazione di cui all’art.1137 c.c. (Cass., 10427/2000; Cass., 7005/2001;
Cass., 17206/2005; Cass., 2305/2008) senza che il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo possa
essere sospeso per pregiudizialità necessaria. Ciò non esclude peraltro che se di tale delibera, nel
giudizio di impugnazione ex art.1137 c.c. sia stata accertata e dichiarata l’illegittimità, il condomino ha
diritto alla restituzione di quanto in virtù di essa è stato costretto a pagare (Cass., 2387/2003).
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