1 Gestione strategica e controllo strategico Relazione di Guido
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1 Gestione strategica e controllo strategico Relazione di Guido
Gestione strategica e controllo strategico Relazione di Guido Corbetta al Convegno nazionale dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti, 21 settembre 20011 Premessa. – 1. La gestione strategica. – 2. Il controllo strategico: contenuti e condizioni di realizzazione. – 3. Gli strumenti per il controllo strategico. – 4. Controllo strategico e corporate governance (cenni e rinvio). – 5. Il controllo strategico nelle imprese di minori dimensioni. – 6. I possibili contributi dei dottori commercialisti. Premessa In questa relazione mi propongo di raggiungere quattro obiettivi. In primo luogo, intendo chiarire i contenuti e le condizioni di realizzazione delle attività di controllo strategico. In secondo luogo, intendo presentare alcuni strumenti di controllo strategico allo scopo di dare qualche concretezza alle riflessioni presentate. In terzo luogo, credo opportuno indagare come il tema del controllo strategico si declini nelle aziende di minore dimensione e, infine, offro qualche suggerimento sul possibile contributo dei dottori commercialisti. La relazione, pur accogliendo i contributi provenienti dal contesto nord-americano, culla di una cultura della gestione strategica più formalizzata di quella in uso nel nostro paese, muove dalla consapevolezza della minore dimensione media delle imprese italiane e della maggiore propensione degli imprenditori italiani ad adottare modelli di gestione più spontanei. 1. La gestione strategica Il controllo strategico è parte integrante delle attività di gestione strategica. La nostra riflessione deve allora iniziare chiarendo che la gestione strategica di un'impresa consiste nell'uso consapevole di processi, metodi e strumenti che consentono, da un lato, di individuare i contenuti della strategia e le condizioni per la sua realizzazione e, dall'altro, di 1 L’Autore ringrazia il Dott. Antonello Garzoni per l’efficace contributo ricevuto sia in termini di discussione dell’impostazione della relazione che di integrazione nella stesura del terzo e del quinto paragrafo. 1 controllare l'avanzamento dell'impresa lungo le linee decise al fine, se del caso, di modificarle. La gestione strategica si compone di tre macro-processi finalizzati, rispettivamente, a formare le intenzioni strategiche del top management, a realizzare la strategia definita con attività dedicate (spesso organizzate in piani d’azione) e a selezionare e sviluppare iniziative strategiche frutto della imprenditorialità diffusa in azienda. L’intento strategico, che in un numero crescente di aziende si formalizza nelle cd. missioni e visioni, prefigura la posizione di leadership ricercata ed è un elemento essenziale per stabilire gli obiettivi da impiegare per monitorare i progressi dell’azienda. Si può anche dire che l’intento strategico definisce le aspettative degli stakeholders che l’hanno formulato. Le intenzioni strategiche, messe a confronto con la strategia aziendale sin qui seguita, inducono a processi di cambiamento della strategia definiti dal vertice aziendale sulla base delle criticità percepite. Tali processi, spesso formalizzati in piani di azione tempificati, includono, ad esempio, la ristrutturazione del portafoglio ASA (aree strategiche d’affari), la ridefinizione della strategia competitiva a livello di singola ASA, la ristrutturazione organizzativa, il lancio di sfide aziendali. La strategia realizzata non è tuttavia solo il risultato dei processi top-down sopra indicati. La strategia, infatti, soprattutto nelle aziende più complesse, si modifica nel tempo anche per effetto di nuove iniziative strategiche che sono selezionate dal top management tra quelle che vengono proposte autonomamente da manager di livello inferiore o che vengono indotte tramite opportune attività di formazione e di incentivazione. Si parla, in questi casi, di processi di imprenditorialità interna. Non tutte le imprese sono gestite strategicamente. In un certo numero di imprese la strategia realizzata è frutto del combinarsi casuale di una serie di elementi e, anche per periodi non brevi, ci si limita a svolgere le attività senza preoccuparsi di definire una strategia o di metterla in discussione e, se del caso, modificarla. Ciò può succedere quando: il management è totalmente assorbito dalle attività di gestione operativa; nell'impresa si è consolidata una certa rilassatezza organizzativa a seguito di un lungo periodo di successi; non sono stati attivati, o non funzionano come dovrebbero, meccanismi di controllo dell'evoluzione ambientale; il management rimane fedele a linee di azione tradizionali che non intende in alcun modo rivedere. L’assenza di gestione strategica può mettere in pericolo la continuità del successo di un’impresa poiché ogni strategia, pur valida in un certo momento, dati il dinamismo ambientale e i cambiamenti anche inerziali che hanno luogo nelle aziende, è destinata, prima o poi, a dare origine a un divario strutturale tra attese e risultati. L’attività di gestione strategica si rende necessaria anche per superare la spinta delle forze conservatrici interne all’azienda che si oppongono a nuove impostazioni strategiche. 2 2. Il controllo strategico: contenuti e condizioni di realizzazione Il controllo strategico che, come abbiamo sostenuto, è parte integrante delle attività di gestione strategica, può essere definito come il sistema direzionale composto di elementi strutturali e di processo volto: • a monitorare i cambiamenti ambientali e a valutarne la natura congiunturale o strutturale e l’impatto sulla strategia e sui risultati dell’impresa • a formulare ipotesi alternative sulla evoluzione delle principali variabili economiche e non economiche che interessano la strategia dell’azienda • a riconoscere l’eventuale esistenza di un gap tra intenzioni strategiche e strategia realizzata e a valutare la necessità di un intervento correttivo • a controllare che le azioni di realizzazione della strategia siano effettivamente quelle decise ex ante e inserite nel piano strategico che funge da elemento parametrico • a misurare i risultati della strategia realizzata in modo da valutare la sua rispondenza agli obiettivi pianificati e da individuare le ragioni di eventuali scostamenti • a esaminare e valutare lo stato di avanzamento dei processi di imprenditorialità interna. Il controllo strategico è quindi finalizzato a mettere a disposizione degli organi di governo e del top management tutte le informazioni necessarie per decidere se e come modificare la strategia realizzata. Posto che la modifica di una strategia non può essere realizzata se non con un certo ritardo temporale e con l’impiego di ingenti risorse economiche e organizzative, il controllo strategico è un’attività che dovrebbe svolgersi sia ex post che ex ante la realizzazione della strategia. Il controllo strategico non deve essere inteso solo come un processo finalizzato a verificare la coerenza tra obiettivi e risultati, bensì deve essere impiegato come strumento di apprendimento strategico che consente di migliorare nel tempo la qualità del processo di gestione strategica. Venendo ora alle condizioni di realizzazione, per poter svolgere attività di controllo strategico occorre che la strategia (o almeno gli obiettivi strategici prioritari) sia definita in un documento formale, più o meno articolato e periodicamente rivisto. Senza tale formalizzazione le attività di controllo svolte ex ante non sono adeguatamente finalizzate, mentre le attività di controllo ex post non sono possibili. Il documento citato, denominato piano strategico o piano industriale, dovrebbe contenere i seguenti elementi: • la struttura strategica dell’azienda in termini di ASA e di eventuali collegamenti tra le stesse; 3 • l’intento strategico e le scelte strategiche relative alle diverse ASA e all’azienda nel suo complesso condivise dal top management; • le assunzioni chiave (o ipotesi strategiche) con riferimento alle dinamiche di determinate variabili ambientali quali, ad esempio, l’andamento quali-quantitativo della domanda nelle diverse ASA o segmenti in cui opera l’impresa, la dinamica dei prezzi dei fattori produttivi, la strategia perseguita dai concorrenti, dai clienti, dai fornitori, dai complementors (aziende impegnate in filiere diverse da quella nella quale è impegnata l’impresa ma che si propongono di servire i medesimi clienti) e così via; • le milestones, ossia i traguardi operativi concreti che devono essere raggiunti in un arco temporale definito affinchè la strategia possa realizzarsi. Trattasi di traguardi riguardanti, ad esempio, il riposizionamento di un marchio, il lancio di nuovi prodotti, l’ingresso in nuovi mercati e così via. Nelle aziende multibusiness, le milestones possono essere diverse per le varie ASA; • gli indicatori chiave di performance aziendale. In quest’ambito, l’utilizzo di indicatori non economico-finanziari è essenziale perché essi consentono di monitorare l’evoluzione di quelle condizioni strutturali di successo dell’impresa che non possono essere tradotte (o non è utile tradurre) in “espressione monetaria”. Per ogni indicatore devono essere esplicitati i valori quantitativi target che si propone di raggiungere, declinati nel tempo. Alcuni target possono anche non essere quantificati; l’importante è che ogni obiettivo inserito nel piano diventi elemento di discussione e di reciproco impegno tra organi di governo, top management e manager di livello inferiore. L’attività di controllo strategico richiede poi che siano individuati i centri di responsabilità strategica (strategic busines units) nei quali è suddivisa l’impresa. Solo in questo modo, infatti, è possibile, da un lato, risalire alle responsabilità di determinati scostamenti tra quanto pianificato ex ante e risultati raggiunti e, dall’altro, è possibile collegare il raggiungimento dei risultati a sistemi di valutazione delle performances dei singoli manager. Così facendo, si favoriscono sia una maggior precisione dei vari elementi della strategia che il coinvolgimento del management nella sua realizzazione. Infine, il controllo strategico deve essere svolto da una unità dedicata, eventualmente supportata da idonei attori esterni, che, dotata delle conoscenze e degli strumenti adatti, si dedichi a rilevare periodicamente l’andamento delle variabili e dei risultati oggetto di controllo. Tale unità, la cui struttura varia in funzione della dimensione e della complessità strategica dell’azienda, agisce in stretta relazione con il vertice aziendale e con la funzione controllo di gestione e interviene a supporto di tutti i processi di gestione strategica. Tale unità deve integrare le competenze multidisciplinari necessarie per comprendere e valutare le dinamiche dei vari elementi critici per il successo dell’impresa. Occorre attentamente progettare le modalità di relazione tra tale unità e gli altri manager dell’azienda in modo che questi ultimi non si sentano esautorati nelle loro aree di responsabilità, ma, al contrario, 4 si sentano supportati nella loro attività direzionale e, soprattutto, nello sviluppo delle loro capacità di gestione strategica. 3. Gli strumenti per il controllo strategico I risultati di una recente indagine effettuata da una importante società di consulenza intervistando manager di 475 imprese di grandi dimensioni operanti in vari Paesi evidenziano che l’impiego degli strumenti di gestione strategica, da un lato, è spesso condizionato da fenomeni di moda e, dall’altro, ha prodotto livelli di soddisfazione ben inferiori rispetto a quelli ipotizzati nella letteratura specializzata. Si pensi, ad esempio, al knowledge management o alla teoria delle opzioni reali, che godono di una straordinaria notorietà scientifica, ma che in tale indagine vengono citati dai manager intervistati tra gli strumenti ritenuti meno utili alla attività di gestione strategica. Pur con la cautela suggerita anche dall’indagine citata, è evidente che il panorama degli strumenti a disposizione del management per l’attuazione del controllo strategico si è molto ampliato in anni recenti. In generale, l’utilizzo di questi strumenti ha favorito l’aumento del numero delle informazioni disponibili sulle performances aziendali, non solo di tipo economico-finanziario, e sui processi che le determinano. L’evoluzione delle tecnologie informatiche e degli applicativi software ha inoltre migliorato la qualità di tali informazioni e la velocità con cui esse possono essere inserite all’interno del sistema di reporting. Gli strumenti di controllo strategico possono essere suddivisi in strumenti volti a controllare l’evoluzione ambientale e in strumenti di reporting multidimensionale volti a monitorare le variazioni delle performances aziendali. Tra i primi, i più noti sono la competitive intelligence, l’analisi per scenari, il benchmarking. La competitive intelligence è definita come il processo di raccolta, analisi e diffusione sistematica di informazioni sui concorrenti e sull’ambiente competitivo. Tale attività, che nelle imprese di maggiori dimensioni è svolta da un team specializzato e dedicato, si estrinseca nella trasformazione di dati grezzi, raccolti sul campo o attraverso l’uso di banche dati specializzate, in informazioni utili al vertice aziendale per anticipare le mosse dei concorrenti, prevedere le reazioni ad eventuali attacchi, individuare possibili trend di sviluppo del settore, e così via. Nel tempo, ai tradizionali strumenti di analisi del settore e del bilancio dei concorrenti, si sono affiancati strumenti più evoluti, volti ad accertare le modalità attraverso le quali i concorrenti svolgono le varie attività nei sistemi di produzione del valore e il profilo di risorse e competenze da essi posseduto. Con riferimento specifico alla competitive intelligence e più in generale al controllo strategico è necessario, da un lato, selezionare le informazioni più importanti ai fini della gestione strategica e, dall’altro, rendere sistematico il processo di reperimento delle informazioni e di trasmissione delle stesse al vertice aziendale e ai livelli dell’organizzazione che si vogliono coinvolgere. 5 Gli scenari sono una configurazione coerente dei possibili stati futuri di un settore, nella quale si pone in relazione l’impatto sull’azienda del cambiamento di variabili esogene – quali l’evoluzione socio-demografica, l’ingresso di concorrenti, il cambio dei gusti della domanda – con la probabilità di accadimento di tali eventi. Diversamente dai precedenti, il benchmarking si è dimostrato uno strumento che ha subìto l’effetto della moda. Vi sono tre tipi di benchmarking: a) di processo, dato dal confronto su singoli processi/attività con società non concorrenti; b) interno, dato dal confronto con altre unità all’interno dell’azienda medesima; c) competitivo, dato dal confronto con società concorrenti. Quest’ultimo si è rivelato pressoché impossibile da realizzare, per la mancanza di motivazione da parte delle aziende nel condividere informazioni con i propri concorrenti. In ogni caso, anche con riferimento alle altre due modalità, il benchmarking si è rivelato utile per il miglioramento delle modalità di gestione operativa, mentre difficilmente ha fornito stimoli interessanti al vertice aziendale per lo sviluppo di importanti processi di cambiamento strategico. La natura multidimensionale del controllo strategico deve tradursi nel sistema di reporting, ossia nel sistema dei rapporti di gestione inteso come l’insieme dei prospetti contenenti le informazioni e dei processi di raccolta e comunicazione delle informazioni. Volendo concentrare l’attenzione sui prospetti, in particolare su quelli utili all’alta direzione aziendale, un modello che sembra acquisire un consenso via via maggiore è quello proposto da Kaplan e Norton all’inizio degli anni novanta: la balanced scorecard. Il modello propone di considerare congiuntamente quattro aree di risultato. Per ognuna di esse, ipotizzando di trovarci di fronte ad una società monoasa, si propongono ora, a titolo di esempio, alcuni parametri che potrebbero essere utilizzati per monitorare la strategia di una società di consulenza: • la prospettiva degli azionisti (o finanziaria): secondo questa prospettiva si tratta di valutare i risultati della società nei confronti dei propri azionisti. A questo proposito Kaplan e Norton, nel loro ultimo lavoro, suggeriscono di utilizzare alcuni indicatori che consentano di monitorare la capacità di creare valore per gli azionisti. Nelle società di consulenza le attività non abbisognano di rilevanti investimenti in capitale fisso e, di norma, il capitale circolante netto è sempre relativamente contenuto. Di conseguenza, le leve per creare valore nelle società di consulenza consistono essenzialmente nelle leve che aumentano la redditività operativa, posto che il costo medio ponderato del capitale si riferisce ad una massa limitata e che la differenza tra redditività operativa e costo del capitale si applica a una massa di capitale investito altrettanto limitata. Una qualche attenzione aggiuntiva va dedicata all’andamento dei profili di rischio che possono essere misurati da indicatori quali, ad esempio, la concentrazione dei clienti o la difficile sostituibilità di alcune risorse; • la prospettiva dei clienti: secondo questa prospettiva ogni azienda dovrebbe definire variabili di controllo funzionali alla valutazione del rapporto con i clienti e alla loro soddisfazione. Ad esempio: il numero dei clienti; il tasso di offerte non accettate dai 6 clienti; la quota di mercato assoluta e relativa; la quota di penetrazione presso il singolo cliente; il tasso di acquisto di un nuovo progetto da parte dei clienti esistenti; la quota di fatturato aziendale sviluppato con clienti acquisiti negli ultimi due o tre anni; • la prospettiva interna: secondo questa prospettiva si valuta la capacità dell’impresa di essere più efficace ed efficiente nei suoi processi in modo da rispondere alle attese dei clienti. Per le società di consulenza indicatori rilevanti riferiti ai vari processi potrebbero essere, ad esempio: il numero di candidati esaminati e il tasso di rinuncia di candidati ai quali è stata formulata una proposta (per il processo di selezione); il tempo medio intercorrente tra il primo contatto con il potenziale cliente e la consegna dell’offerta (per il processo di vendita); il tasso di progetti terminati in ritardo rispetto a quanto pattuito con il cliente (per il processo di produzione del servizio); il tasso di consulenti che abbandonano l’azienda, il tasso di consulenti che chiedono di cambiare progetto o che anonimamente dichiarano di non essere soddisfatti del proprio lavoro (per il processo di gestione del personale); la qualità e la puntualità del lavoro svolto dalle diverse staff. La definizione dei parametri dipende dagli obiettivi di miglioramento che la direzione aziendale intende perseguire; • la prospettiva dello sviluppo: in questo caso si tratta di valutare la capacità dell’azienda non solo di competere nell’oggi, ma altresì di creare le condizioni per il successo futuro. Nel caso delle società di consulenza indicatori utili potrebbero essere: la performance scolastica dei consulenti; il numero di nuovi servizi presentato in una determinata unità di tempo; il tempo dedicato alla formazione dei consulenti; il tempo dedicato alla condivisione della conoscenza; il numero di articoli o libri pubblicati. E’ evidente che il modello di rappresentazione delle performances appena accennato non si fonda unicamente su dati economico-finanziari bensì esplicita il patrimonio intangibile rappresentato da variabili quali immagine, network, competenze di marketing, competenze tecnologiche e così via. I pregi di questo modello integrato di reporting sembrano essere molteplici. In primo luogo, esso favorisce la definizione delle priorità strategiche, senza le quali è impossibile determinare gli indicatori per le varie aree di risultato e riduce il rischio di subottimizzazioni, ossia di miglioramenti in un’area che portino a peggioramenti in un’altra. Inoltre, per la sua multidimensionalità, la balanced scorecard costringe il management a dotarsi di un modello di relazioni causa-effetto tra i vari elementi di una strategia. Ciò è indispensabile per avviare un processo di apprendimento strategico sulla base dell’analisi degli scostamenti tra risultati e obiettivi. Ancora, il modello consente di raccogliere in un unico report numerosi elementi, tutti utili per favorire la capacità dell’azienda di migliorare i propri risultati in un’ottica strategica e facilita la scoperta di eventuali mancanze nelle variabili che devono essere monitorate. 7 4. Controllo strategico e corporate governance (cenni e rinvio) Altre relazioni presentate in questo Convegno trattano specificamente il tema, oggi divenuto così importante, della corporate governance. Pur rinviando a tali interventi per gli opportuni approfondimenti, vale la pena almeno sottolineare le relazioni che esistono tra controllo strategico e consiglio di amministrazione di un’impresa. Il consiglio è l’organo che approva la strategia di un’azienda e ne monitora la realizzazione. Per svolgere responsabilmente tale compito, esso deve disporre di un documento che presenti la strategia prescelta dal management e di un sistema di controllo strategico. Il consiglio, quindi, dovrebbe dotarsi di un modello per interpretare l’andamento delle variabili strategiche rilevanti e delle relazioni tra le stesse. Inoltre, il consiglio è (o dovrebbe essere) un attore particolarmente interessato a spingere il management a dotarsi di un processo di gestione strategica, a presentare almeno una volta l’anno la strategia prescelta spiegando le ragioni della continuità o meno della stessa, a inquadrare le iniziative strategiche e le operazioni straordinarie nel disegno strategico complessivo, a produrre un modello di reporting che consenta di valutare i risultati della strategia perseguita relativamente alle attese e ai concorrenti. Infine, il consiglio è responsabile di monitorare la capacità del management e di garantire una idonea successione nelle posizioni di vertice. Per svolgere tali compiti, occorre che il consiglio, nel suo insieme, disponga delle competenze e dell’autonomia necessarie. Nelle altre relazioni avremo certamente modo di apprezzare quanto la realtà fattuale nelle imprese italiane si discosti o meno da tale disegno ideale. 5. Il controllo strategico nelle imprese di minori dimensioni Un qualsivoglia modello di controllo strategico può affermarsi solo in quelle aziende dove esista una gestione strategica consapevole. Tale attività assume alcune specificità nelle imprese di minori dimensioni. Nelle piccole imprese è del tutto fisiologico che la gestione strategica sia svolta da poche persone (al limite solo dall’imprenditore) con processi poco formalizzati. Il numero limitato dei mercati sui quali occorre operare scelte di posizionamento e il basso livello della articolazione interna di tali mercati fanno sì che poche persone siano in grado di analizzare tutte le informazioni necessarie per prendere decisioni; la semplicità della struttura e l’elevato potere detenuto dalle poche persone al vertice fanno sì che queste persone ottengano rapidamente le informazioni necessarie per decidere e possano trasmettere le decisioni lungo la struttura senza incontrare serie resistenze; la flessibilità dell’organizzazione fa sì che le scelte a più alta intensità di commitment, ossia quelle che aumentano la necessità per l’impresa di mantenersi fedele alla strategia scelta, siano veramente poche. Risulta allora evidente che nelle imprese minori il successo delle attività di gestione strategica dipende essenzialmente dalla qualità dell’imprenditore e di poche altre persone. 8 Lo sviluppo di sistemi di controllo strategico formali dovrebbe quindi risultare utile, nelle piccole e medie imprese, innanzitutto per spingere l’imprenditore a formulare valide intenzioni strategiche. Perché ciò avvenga, occorre che egli sia indotto ad evitare gli errori collegati a: • la focalizzazione sulle operations: alcuni imprenditori non amano guardare al di là del breve periodo e preferiscono concentrare attenzione ed energie sulle attività di gestione operativa. Alle attività di gestione strategica si dedicano solo scampoli di tempo e, di solito, quando le energie sono già state largamente assorbite da altre attività; • la focalizzazione su un mercato: alcuni imprenditori accumulano molta conoscenza implicita su uno o pochi mercati tra quelli in cui l’impresa si trova ad operare e non si preoccupano di conoscere gli altri mercati. Nascono così gli imprenditori “tecnici” tutti concentrati sul mercato della tecnologia di prodotto o di processo o gli imprenditori “commerciali” convinti che l’unico mercato rilevante sia quello dei prodotti finiti. Ciò porta a perdere di vista l’insieme delle scelte e le loro connessioni sistemiche; • la focalizzazione sul passato: alcuni imprenditori, focalizzati o meno su uno o pochi mercati, non si preoccupano di aggiornare le proprie esperienze perdendo di vista le necessità di innovazione presenti in qualsiasi formula imprenditoriale, anche di quelle che in un certo spazio-tempo si manifestino come le più innovative; • la focalizzazione su esperienze di bassa qualità o marginali: alcuni imprenditori commettono l’errore di concentrare la propria attenzione su esperienze poco sfidanti, marginali, che non consentono di accumulare conoscenza implicita di qualità; • l’assenza di un quadro unificante: alcuni imprenditori si caratterizzano per la capacità di aprirsi ad esperienze innovative o qualitativamente sfidanti, ma non si preoccupano di riflettere su tali esperienze per cercare di unificarle in modo tale da formarsi un quadro completo della realtà. Si tratta di imprenditori che “corrono molto”, sempre aggiornati, brillanti, ma, in definitiva, senza la capacità di unificare esperienze disparate; • l’assenza di cultura manageriale: alcuni imprenditori, infine, commettono l’errore di ritenere del tutto inutile la conoscenza “esplicita” fondata sull’approfondimento di modelli, metodologie, strumenti di gestione manageriale. Senza questi supporti è difficile attribuire il giusto valore alle esperienze accumulate. In secondo luogo, lo sviluppo di sistemi di controllo strategico formali risulta (o dovrebbe risultare) particolarmente evidente quando l’impresa di minori dimensioni si trova ad affrontare alcuni processi di cambiamento, quali i seguenti: • i mercati si complicano per effetto della maggior complessità di un singolo mercato, ad esempio quello della tecnologia; 9 • la strategia dell’impresa si complica, ad esempio per un processo di crescita e/o di diversificazione strategica; • la necessità di prendere una decisione che comporta un’approfondita attività di valutazione ex ante, ad esempio un investimento in un nuovo stabilimento che aumenti sensibilmente la capacità produttiva totale; • la struttura organizzativa dell’impresa si articola (per l’aumento dei livelli gerarchici) o diventa più sofisticata (per la richiesta di autonomia dei responsabili di livello intermedio); • la volontà di coinvolgere soci terzi al fine di realizzare impegnativi progetti di crescita. Una azienda di minore dimensione che decida di dotarsi di un sistema di gestione strategica e di controllo strategico formale secondo le linee indicate nei paragrafi precedenti può ottenere, tra l’altro, i seguenti benefici: la migliore comprensione del tessuto causale tra indicatori di performance e leve strategiche favorisce una crescita delle capacità di gestione strategica dell’imprenditore e dei suoi collaboratori; la maggiore condivisione delle scelte incoraggia lo sviluppo di un dialogo riguardante la strategia, che periodicamente coinvolge ed invita al confronto l’imprenditore e i suoi principali collaboratori, oltre che far emergere nuove idee e iniziative imprenditoriali; la traduzione della strategia in un insieme di indicatori di carattere economico-finanziario e fisico-tecnico comporta una maggiore responsabilizzazione su singoli obiettivi. 6. I possibili contributi dei dottori commercialisti Venendo ora, in conclusione, ai possibili contributi dei dottori commercialisti in tema di controllo strategico, si possono enucleare alcune aree di lavoro. In primo luogo, i dottori commercialisti possono aiutare i responsabili delle imprese a riflettere sul modello di gestione strategica esistente. Ciò significa, soprattutto ma non solo nelle piccole e medie imprese, aiutare l’imprenditore a comprendere i limiti del proprio modello di gestione strategica che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, sono legati sia alla qualità del pensiero strategico proprio dell’imprenditore che alla inadeguatezza rispetto ai cambiamenti in corso nel contesto competitivo o nella strategia perseguita. In secondo luogo, grazie al rapporto di fiducia che esiste con i propri clienti e alle conoscenze di cui dispongono con riferimento ad altre imprese dello stesso settore o ad alcune aziende eccellenti, i dottori commercialisti sono spesso l’unico attore legittimato a mettere in discussione le visioni e le strategie ipotizzate dall’imprenditore di una piccola e media impresa. Essi possono evitare all’imprenditore di cadere in alcune trappole 10 strategiche dovute a inerzia e immobilismo o a disegni eccessivamente ambiziosi, aiutandolo a determinare gli obiettivi strategici prioritari, a definire gli indicatori per misurare tali obiettivi, a fissare i target da raggiungere, a precisare le iniziative strategiche necessarie per raggiungere tali target. Venendo poi all’aspetto più tecnico - e sempre nelle piccole e medie imprese -, i dottori commercialisti possono ampliare le proprie funzioni fornendo all’azienda cliente un servizio di consulenza in tema di messa a punto dei sistemi di controllo strategico. In quest’ambito, sembra che le aree di più immediato sviluppo possano essere legate all’introduzione di: • metodi di valutazioni delle strategie che tengano conto della attualizzazione dei flussi finanziari futuri e del costo del capitale • metodi per il controllo dei costi ad utilità differita come ricerca e sviluppo, progettazione, formazione • confronti periodici con le strategie e i risultati dei concorrenti • sistemi di reporting strategico che considerino anche variabili non strettamente finanziarie. Nelle grandi imprese, infine, i dottori commercialisti possono svolgere un ruolo di rilievo contribuendo a creare le condizioni affinchè i consigli di amministrazione possano agire efficacemente. In caso contrario, infatti, come abbiamo accennato e come vedremo meglio nelle relazioni successive, ogni sistema di controllo strategico rischia di risultare inutile. Per svolgere questi compiti, sembra evidente che, da soli o in collaborazione con altri professionisti, i dottori commercialisti devono sviluppare un sistema di competenze che, pur mantenendo ben saldo il presidio delle aree tradizionali come quelle dell’analisi di bilancio e legale, consenta di integrare appropriate conoscenze di consulenza strategica. 11 Bibliografia consultata BASTIA P., Sistemi di pianificazione e controllo, Bologna, Il Mulino, 2001. BERGAMIN BARBATO M., Programmazione e controllo in un’ottica strategica, Torino, UTET, 1991. BRUNI G., Contabilità per l’alta direzione. Il processo informativo funzionale alle decisioni di governo dell’impresa, Milano, Etas, 1999. BRUSA L. – ZAMPROGNA L., Pianificazione e controllo di gestione, Milano, Etaslibri, 1991. 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