In mostra alla Bibliothèque-Musée dell`Opéra de Paris

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In mostra alla Bibliothèque-Musée dell`Opéra de Paris
cultura
In mostra alla Bibliothèque-Musée dell’Opéra de Paris
Les Ballets Suédois
Una compagnia all’avanguardia
di Sergio Trombetta
Ci sono stati anni in cui in ogni cineclub universitario
che si rispettasse si proiettava Entr’acte di René Clair,
short format surrealista (così come Un chien andalou
di Buñuel e Dalì), dove una ballerina grassa e barbuta in tutù
(si trattava del compositore Erik Satie) faceva piroette ripresa
dal basso attraverso un piano trasparente, un cecchino sparava
colpi di fucile dai tetti di Parigi e un corteo rincorreva un carro
funebre che aumentava sempre più di velocità: sì proprio come
in Cinico tv di Ciprì e Maresco.
Pochi sapevano però che il filmino del 1924
era proprio un entr’acte, e veniva proiettato come intervallo di Relâche (giorno di riposo) balletto canto del
cigno dei Ballets Suédois che al Théâtre des ChampsElysées con le scene di Picabia, la musica di Satie e
la coreografia di Jean Börlin, faceva provare frissons
avant-garde al tout Paris. Arrivato alle porte del Teatro, impreziosito dai bassorilievi di Bourdelle, in Avenue Montaigne, l’elegante pubblico restava interdetto:
entrare oppure no, vista la scritta sui manifesti: giorno
di riposo, appunto.
Di lì a pochi mesi sarebbe risuonato il de profundis per
un’avventura artistica, i Ballets Suédois, che in cinque
28
anni, dal 1920, avevano bruciato tutte le tendenze,
sperimentato ogni possibile nuova strada, messo in pericolo la consolidata reputazione dei Ballets Russes di
Djagilev, destinati però a durare sino al ‘29, avvalendosi, molto più di Djagilev, di quanto Parigi in quegli
anni, ancora per non molto, offriva in quantità: la voglia di provare, meticciare le arti, fare ricorso a forme
plebee come i pattini a rotelle in Skating-Rink, libretto
di Riciotto Canudo, coreografia di Börlin, musica di Honegger, forme barbare africane come in La Création du
monde di Fernand Léger e Milhaud. Lo swing e l’America di Cole Porter in Within the Quota.
Prendeva forma, ancora primordiale, è vero, lo happening, la performance, il video coniugato alla danza, il
cinésketch. Un salto a pie’ pari nella modernità.
Di questa avventura che nasceva dalla liaison fra un
nobile svedese, Rolf de Maré e il suo protetto, il ballerino e coreografo Jean Börlin testimonia ora una grande
mostra aperta sino al 28 settembre alla BibliothèqueMusée dell’Opéra de Paris, curata da Mathias Auclair,
Frank Claustrat, Inés Piovesan.
E ci racconta che il Gesammtkunstwerk danzerino
(l’unione delle diverse arti sceniche) inventato da Djagilev impallidiva rispetto alle invenzioni degli svedesi
che chiamavano a raccolta Cocteau, Claudel, Pirandello, Cendrars, Ravel, Honegger, Milhaud, Satie, Auric,
o Cole Porter, Leger, Picabia, De Chirico, Bonnard o
Steinlen.
La mostra certamente non è la prima, ma ha tuttavia il pregio di aprire nuove porte sulla conoscenza
La compagnia sui tetti di Parigi, al centro Börlin.
Qui a fianco Jean Börlin in “Maison de fous”
balletto del 1920.
A sinistra, Fernand Léger, Progetto per scenografia
della “Création du monde” 1923.
cultura
Quoziente NID.
Criteri e opportunità
Riflessioni dalla Piattaforma della danza italiana
“Meditation on beauty N.2” di Marina Giovannini (foto Ilaria Costanzo)
“Relâche” rimontato dal Ballet de Lorraine e, in alto,
nell’allestimento d’epoca.
del fenomeno. È innovatrice sotto diversi aspetti,
come ci spiega il commissario Claustrat: “Svela per
la prima volta l’importanza della collezione Ballets
Suédois della Biblioteca Museo dell’Opéra, una selezione di 120 pezzi, in gran parte inediti: fotografie, costumi, pitture, disegni, bozzetti, manifesti.
Fa il punto sulla totalità delle creazioni dei Ballets
Suédois, che sono 26 e non 24 come spesso si sostiene e sulla rivista Cinésketch; dimostra quanto ampio fosse lo spettro coreografico dei Ballets Suédois
tra folklore, danza popolare, pantomima, danza libera, performance”.
Anche se non detto esplicitamente pare di cogliere
nell’operato dei commissari un certo orgoglio per la
possibilità di ricorrere per l’esposizione quasi esclusivamente ai pezzi conservati al Museo dell’Opéra,
senza dovere chiedere in prestito, come si fa di solito,
alla collezione che si trova presso il Dansmuseet di
Stoccolma. Tutto materiale maison, tranne qualche
pezzo in arrivo da altri musei francesi, e per la gioia
degli amanti delle rarità un manifesto che rappresenta Börlin in una coreografia del 1918, quindi prima
della nascita dei Suédois, prestato da un collezionista
privato.
Certo, gli storici rifletteranno sull’eredità artistica della compagnia, ben meno eclatante rispetto a quella dei
Ballets Russes. Qui nessun titolo mito come Shéhérazade, il Fauno o Sagra della primavera. Ma il fenomeno è forse da attribuirsi alla vita troppo breve dell’avventura di De Maré e Börlin.
Occorre ricordare però che gli immancabili Kenneth
Archer e Millicent Hodson hanno realizzato nel recente passato la ricostruzione di Skating-Rink (19211922) e Within the Quota (1923). E in questa stagione
proprio Relâche è stato rimontato dal Ballet de Lorraine che lo porterà alla prossima Biennale de la Danse di Lione.
In mostra a Parigi presso la Bibliothèque-Musée de l’Opéra Palais Garnier Les Ballets Suédois – 1920-1925
Fino al 28 settembre 2014
Catalogo a cura di Mathias Auclair, Frank Claustrat e Inès
Piovesan, Gourcuff Gradenigo editore
Si parla già con gran fermento
della terza edizione, nell’ottobre
2015, in Lombardia. E non
potrebbe essere altrimenti
dato il bilancio positivo che
la Nuova Piattaforma della
Danza Italiana, svoltasi a
maggio a Pisa e Pontedera, ha
mostrato, chiudendo i battenti
con un’affluenza di operatori
italiani e stranieri, giornalisti
e addetti al settore di gran
lunga superiore alle aspettative.
Nell’ordine delle 350 presenze
nei quattro giorni intensivi
organizzati dalla Fondazione
Toscana Spettacolo insieme alla
Fondazione Teatro Verdi di Pisa
e Fabbrica Europa. Un successo
che di per sé è la riprova della
necessità di organizzare una
vetrina della danza italiana.
Momento di confronto e condivisione importantissimo, oltre che di mercato, capace di restituire una visione sullo stato dell’arte coreutica nel
paese (almeno di una parte, e qui sta il problema
ricorrente!) che altrimenti non potrebbe essere verificato. Tante volte abbiamo ricevuto richieste di
suggerimenti da parte di programmatori stranieri
affinché segnalassimo loro qualche autore italiano
da programmare nei loro festival o stagioni. Troppe volte ci siamo sentiti dire: “Abbiamo difficoltà ad
intercettare quello che producete e a capire chi sono
gli autori di punta”. Dare quindi una visibilità alle
compagnie nazionali meritevoli, svantaggiate sul
piano del mercato estero, è necessità ancor prima
che idea.
Bene ha fatto il Raggruppamento Temporaneo di
Operatori a puntare i piedi per far nascere, di concerto con il Ministero, a cadenza biennale (ma Expo
chiama già nel 2015 a un appuntamento ravvicinato) la Nuova Piattaforma della Danza Italiana che
ha visto la luce per la prima volta nel 2012 a Brindisi. Ma a chiusura della seconda edizione alcune
riflessioni si impongono, sia sulla logistica sia sul
côté artistico. Partiamo da quest’ultimo.
A Pisa si sono visti pochissimi spettacoli, molte
brevi performance (da Museo) e un numero esiguo
di progetti autoriali forti (leggi strutturati). Ancora una volta – lo scrivemmo già in queste pagine
post NID 2012 – la questione delle scelte artistiche
è centrale e problematica. È noto che la selezione
dei lavori si deve a una commissione di program-
matori italiani e stranieri nominata dal Ministero,
rinnovata ad ogni edizione. Corretto è pensare che
ciascun commissario rispecchi il gusto personale
nella selezione (ci mancherebbe), ma NID Platform non può e non deve essere concepita con le
stesse modalità con cui il programmatore compila il cartellone del proprio festival. La selezione
dei lavori della piattaforma, per natura e ragione
intrinseca del concetto di showcase deve essere
ecumenica, deve presentare generi e stili differenti e soprattutto prodotti (volutamente usiamo
questa parola commerciale che ci aiuta a pensare
a un fruitore) che mostrino una struttura scenica organizzata e che rivelino la maturità dell’autore (definito tale non foss’altro che per un unico
progetto azzeccato). Senza entrare in discussioni
prettamente filosofiche, la sensazione che abbiamo avuto a quest’ultima NID è che in Italia esiste
solo la danza contemporanea, anzi un certo tipo
di danza contemporanea (è così?) e che molti degli
autori che la praticano vivano ancora nel riflesso
delle istanze post-moderne: nella sperimentazione
e nel processo. Che tutto (o quasi) quello che viene
prodotto sia ancora ‘cantiere’, che l’autoreferenzialità sia un assioma così come la commistione dei
generi. La storia è dialettica – teorizzava Hegel – e
il mutamento è la sua categoria dominante. L’ora
del ritorno alla specificità, alla coreografia e al teatro di regia sembra scoccata. Almeno per il pubblico e per chi non si accontenta di programmare
per la nicchia.
Così, escludendo le due compagnie ospiti, tra le 16
selezionate c’è tanto fermento, ma poco mercato. Eccezion fatta per la coerenza registica/coreografica di
Alessandro Sciarroni e i suoi strepitosi giocolieri; per
il buon ‘vecchio’ Enzo Cosimi mai a corto di necessità creative; per Giulio D’Anna e il suo laboratorio,
strutturatissimo, di giovanissimi; per Roberto Zappalà che conferma di saper orchestrare i corpi nello
spazio coniugando vigore e senso, e per Marina Giovannini mossa da uno studio artistico/compositivo
tra l’arte pittorica e la meditazione sulla posa.
Infine, una riflessione sulla logistica e i futuri luoghi di accoglienza per NID. Nell’individuazione della città ospitante va considerata l’offerta dei suoi
teatri, la loro struttura (all’italiana o a gradinata),
capienza (l’overbooking è condizione inaccettabile
in questo contesto) e vicinanza (per evitare lunghi
trasbordi di massa). Non sempre le sale ‘adibite a
teatro’ – salvo specifica richiesta dell’autore – funzionano, non sempre consentono allestimenti tecnici ottimali, profondità di visione e posti a sedere che
non assomiglino a strumenti di tortura per lo spettatore già sottoposto a una lunga maratona. Siamo
sicuri che Brescia, città di cui si parla come luogo
d’ospitalità per NID 2015, abbia queste caratteristiche? Maria Luisa Buzzi
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