Cazza e lasca

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Cazza e lasca
www.solovela.net
Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
Cazza e lasca
Quando conviene
ridurre la randa?
Come eseguire la manovra
nel migliore dei modi?
Tutto sul momento più delicato
della navigazione a vela
di Mauro Melandri
Veleggiare in una bella giornata con una tranquilla brezza termica è
senza dubbio divertente e rilassante. Le cose cambiano quando il
vento aumenta. La barca sbanda, rendendo ardua la salita da sotto
a sopravvento; le onde che spruzzano la coperta diventano sempre
più frequenti e l’equipaggio incomincia a fare battute sempre meno
spiritose, sostituendole dopo un po’ con occhiate preoccupate. Che
sia arrivato il momento di ridurre la velatura?
In genere si comincia dal genoa. Si lasca un po’ di scotta e si rolla
l’avvolgifiocco. Ma a volte non basta: appena ritrovato l’assetto la
barca continua a fare di testa sua, rimanendo inclinata di 30 gradi
rispetto all’orizzonte, quasi cercasse da sola di sottrarre tela alle raffiche più intense.
“Ragazzi, diamo una mano!”, arriva infine l’ordine perentorio dello
skipper. E’ il momento di fare sul serio: si prendono i terzaroli. La
manovra è delicata e, pur componendosi di pochi passaggi, può nascondere qualche insidia.
RIDURRE RANDA, PERCHÉ?
Dilemma
terzaroli
La riduzione della velatura è l’unico modo che un velista ha per affrontare una situazione avversa dal punto di vista del vento. Ma anche se le condizioni meteo fossero soltanto “vivaci” ma non esasperate, una mano di terzaroli può equilibrare la barca e farla procedere più fluidamente e con meno sforzi, anche se questa, teoricamente, potrebbe sopportare una tela maggiore.
Con vento forte, in crociera e di bolina basta che Eolo soffi a 20 nodi che la vita a bordo diventa meno agevole e tutti i movimenti risultano più faticosi.
L’imbarcazione invece di navigare arranca faticosamente fermandosi contro ogni onda, e il suo avanzare è fortemente influenzato dallo scarroccio. Il timone si fa durissimo e, nonostante la barra sia tutta alla poggia, la prua continua a cadere nel letto del
vento. E’ la straorza, evento che per alcuni equivale a una specie
di rito d’iniziazione: dopo la prima esperienza di questo tipo si
diventa (quasi) marinai e lo si racconta agli amici. A bordo, gli
effetti di questo anomalo assetto sono rilevati anche dal log che
comunica brutte notizie.
La riduzione della randa, quando quella del genoa non è più Febbraio 2003
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lica, sarà portato a stendersi presto sull’acqua, reagendo in modo
nervoso a ogni raffica più decisa e obbligando così ad anticipare
la presa dei terzaroli.
In generale si può dire che un buon timoniere che conosce bene la
barca “sente” alla barra (o alla ruota) che è arrivato il momento di
ridurre.
LA PREPARAZIONE DELLA MANOVRA
sufficiente, permetterà di ritrovare l’equilibrio ideale e, insieme al
miglioramento delle condizioni di vita a bordo, restituirà il controllo sulla barca: una sensazione molto piacevole. Il log tornerà a mostrare numeri familiari. Il cavallo bizzarro è domato.
taccati al boma mentre la barca rolla in balia di vento forte e onda
formata. Insomma in mare, quando si prevede un serio peggioramento, prevenire è meglio che curare.
LA DECISIONE
OCCHIO AL METEO
La presa dei terzaroli è un’operazione strettamente collegata alle
condizioni meteo marine e può essere condizionata dalla loro evoluzione prevista.
Se si naviga in condizioni di vento teso con il cielo terso e il barometro stabile è probabile che ci si trovi nella più classica delle giornate ventose, senza alcuna tendenza al peggioramento. In questo
caso si potrà valutare con calma la necessità di ridurre le vele.
Invece, nel caso in cui i segnali di un peggioramento delle condizioni meteo siano chiari ed evidenti (caduta barometrica e avvicinamento di un fronte) è consigliabile correre preventivamente ai ripari riducendo per tempo la velatura, evitando così di trovarsi at-
Quando ridurre la superficie velica? A questo proposito non esiste
una regola scientifica: è una decisione che va di pari passo con la
sensibilità marina e col senso di responsabilità dello skipper. Dopo
aver valutato accuratamente lo stato del vento e del mare bisogna
fare i conti con il tipo di imbarcazione su cui si naviga.
Infatti, uno scafo classico a chiglia profonda, caratterizzato dal
dislocamento pesante e da una proporzionata superficie velica, o
una moderna barca da crociera dall’importante baglio massimo,
hanno una notevole stabilità di forma che gli permette di reagire con gradualità agli aumenti del vento. Un racer-cruiser dell’ultima generazione, invece, a causa del suo dislocamento leggero,
della sua concezione estrema e della considerevole superficie ve-
Una volta presa la decisione di terzarolare, è il momento di preparare la manovra. L’organizzazione deve essere razionale. Lo skipper
deve assegnare in modo inequivocabile i compiti dei singoli membri
dell’equipaggio. L’ideale è disporre di tre persone, capitano a parte:
uno dovrà occuparsi della drizza e dell’amantiglio, gli altri due di
vang, punto di mura e borose. Il capo della barca, se fedele al detto “armiamoci e partite”, rimarrà al timone. Altrimenti lascerà il più
esperto alla ruota e si occuperà in prima persona dei lavori all’albero, che sono i più delicati.
Dopo aver assegnato i ruoli, si metteranno in chiaro tutte le manovre, presupposto fondamentale per la buona riuscita dell’operazione.
Questa comincerà portando la barca in un’andatura di bolina larga.
LE FASI PRINCIPALI
La manovra è facilmente riassumibile in alcune fasi salienti. Prima
fase: mantenendo un’andatura di bolina larga si allenterà il vang e
la scotta della randa per mettere in forza l’amantiglio (nelle barche
sprovviste di vang rigido). L’amantiglio verrà cazzato a sollevare il
boma di una trentina di centimetri. Agendo in questo modo si aprirà
al massimo la balumina della randa, facendole perdere ulteriormente portanza e rendendola più gestibile.
Fase due: a questo punto verrà aperto lo stopper della drizza randa,
non prima di averla passata su un winch che servirà da frizione, e si
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inizierà a far scendere la vela. L’uomo all’albero dovrà preoccuparsi
di agganciare l’occhiello di mura (brancarella) del terzarolo all’apposito gancio che si trova sulla trozza del boma (collo d’oca).
Fase tre: completata l’operazione di agganciamento si metterà in
tensione la borosa, e si recupereranno le borose delle mani successive che, in conseguenza della riduzione appena effettuata, saranno
lasche e pericolosamente pendenti in pozzetto.
Fase quattro: appena regolata la tensione della drizza, si dovrà allentare l’amantiglio e andrà puntato il vang. Si deve dare poi un’occhiata al meolo (il cavetto che regola la chiusura della balumina): è
probabile che dopo aver ridotto sia necessario tenderlo leggermente. Il fileggiare della balumina è molto dannoso per una vela, visto
che il tessuto viene sottoposto a continui microtraumi.
Fase cinque: la manovra è completata serrando la parte ammainata
della randa con i matafioni, che dovranno essere legati non troppo
stretti, avendo la precauzione di muoversi sopravvento al boma,
sempre che la barca non sia dotata di un lazy bag (o un lazy jack)
che assolverà al compito di contenere la tela inutilizzata.
QUANDO PASSA LA TEMPESTA
Una volta passato il groppo di vento verrà il momento di restituire
tela alla barca. Dopo aver raggiunto l’andatura di bolina larga andrà
lascato il vang e la scotta della randa fino a farla fileggiare. Andranno poi allentate la drizza e la borosa tanto da riuscire a sganciare agevolmente l’occhiello della mura dal “collo d’oca”. A questo
punto non resterà che issare randa fino in testa d’albero, facendo attenzione ad avere le borose dei terzaroli libere, per tornare a veleggiare a pieno regime.
Se invece si arriverà in porto con la randa terzarolata, va allentata
la tensione della borosa non appena la vela sarà ammainata, per evi
tare che il tessuto rimanga in tensione più del necessario.
In questo disegno
vediamo riassunta la
manovra di riduzione
della randa.
Organizzazione,
calma e ordine:
ingredienti
fondamentali per
affrontarla in
sicurezza
Un uomo dovrà essere all’albero
per “incocciare” l’occhiello della
nuova mura al “collo d’oca”
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La borosa, passando anche
dall’occhiello della mura, sostituisce
il “collo d’oca”. Si fa tutto dal pozzetto
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METODO RAPIDO
In questa foto si nota il
dettaglio della trozza del
boma di una moderna barca
da crociera. Il gancio ricurvo,
a cui si aggancia l’occhiello
della mura dei terzaroli,
viene chiamato “collo d’oca”
Quella descritta è la manovra di riduzione che si esegue se la
barca in questione è dotata del sistema classico, quello in cui
le borose dei terzaroli passano solo dalla balumina della vela
prima di essere rinviate in pozzetto.
La maggior parte delle barche attuali, invece, è dotata di un
sistema di terzaroli più rapido. Questo prevede che la borosa,
dopo essere passata in una puleggia fissata alla balumina in
corrispondenza dell’occhiello dei terzaroli, rientri nel boma per
riuscirne vicino alla trozza.
Da lì la cima sale nuovamente verso l’alto, fino a raggiun-
Il lazy bag
ha reso inutili
i matafioni.
L’avvolgiranda
ha sostituito
la manovra
classica
cazzando contemporaneamente la borosa, per vedere la vela abbassarsi sia lungo l’inferitura che lungo la balumina. L’operazione
inversa andrà fatta quando sarà il caso di issare nuovamente, rilasciando gradualmente la borosa, mentre si alerà la drizza con
l’ausilio del winch.
L’AVVOLGIRANDA
gere un’altra puleggia che sostituisce l’occhiello di mura del
terzarolo. Il circuito si chiude facendo scendere la borosa fino
ad un bozzello posto a piede albero da dove viene rinviata in
pozzetto.
Con questo sistema, la riduzione della randa diventa un’operazione gestibile anche da un equipaggio ridotto senza bisogno di
uscire dal pozzetto. Infatti, basterà lascare la drizza della randa,
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Le cose sono molto più semplici se la barca è armata con un avvolgiranda: in questo caso ci si può addirittura permettere il lusso di ridurre tela da soli senza troppa fatica.
La manovra si esegue lascando gradualmente il tesa base e cazzando la cima che controlla l’avvolgitore, che sulle barche di nuova concezione si trova all’interno dell’albero.
L’importante è prestare molta attenzione al coordinamento delle
operazioni: se si lasca troppo la cima che controlla la tensione
della base, si corre il rischio di avvolgere in modo errato.
La presenza vicino all’inferitura di numerose pieghe, indica che si
è verificato qualche problema. Queste pieghe, oltre ad essere antiestetiche e a modificare i filetti fluidi sulla vela, a lungo andare potrebbero danneggiare la vela oltre a renderne difficile il suc
cessivo svolgimento.
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