il numero 0 - Informusic
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3e e n. 0 • dicembre 2007 e ducare vangelizzare Tornare a sperare Q Gabriella Cominotti, Apocalissi, 1999 L a speranza non è cosa del futuro, di un indeterminato domani. La speranza è cosa del presente. Interpella le mie scelte, la mia serenità, il mio impegno. Eppure oggi non si sente parlare di speranza. Meglio: si sentono espressioni ormai logore, che invocano la speranza senza nessuna convinzione: “Mah, speriamo!”, “Guarda, lo vorrei proprio sperare!”. E si dimentica così la forza dirompente di questa dimensione fondamentale dell’uomo, che lo proietta nel futuro tenendolo ben ancorato al presente, anzi rendendolo veramente capace di creare, di vivere, di essere. Mai come oggi si avverte l’urgenza di educare alla speranza. L’educatore per primo riesce a essere tale soltanto se è uomo di speranza. L’educazione – ben lo sappiamo! – non è certo una dimensione soltanto didattica, tecnica o culturale in senso ristretto e impoverito. L’educazione è coinvolgimento integrale della persona, è accompagnamento a divenire pro- tagonisti della propria vita, della società, dell’universo. In un mondo che pare non avere più speranza, in un mondo che pare di-speratamente (appunto!) cercare nell’appagamento dell’attimo fuggente la soluzione ad ogni domanda dell’uomo, il vero educatore è colui che sa condurre ad affrontare la domanda del senso della vita. L’educatore non è certo un dittatore delle coscienze, ma nemmeno uno che abbia rinunciato a provare il gusto e la sfida di porsi di fronte alle domande dell’esistenza. Con questa carica del cuore, con questa onestà di coscienza, l’educatore potrà definirsi tale e porsi in rapporto fecondo, fruttuoso e onesto con i giovani affidàti alle sue cure. La vita e la morte non sono – per parafrasare Jean Baudrillard – un “film per soli adulti”. Ma che cos’è questa speranza? Con le parole focose di Paolo di Tarso possiamo dire che essa “non delude” (Rm 5, 5) se riposa nella certezza di Colui che ci ha messi in vita, ci ha redenti e ci attende per l’eternità. La speranza ha per noi un e e uesto foglio si identifica con la terza E del titolo: non l’iniziale di una parola o di un concetto alto quali quelli introdotti dalle prime due, bensì una funzione: una semplice congiunzione. Una delle qualità che caratterizzano il centro della nostra città è certamente la costellazione infinita di realtà educative rivolte ai ragazzi e ai giovani che abitano o attraversano quotidianamente questa porzione particolare di Milano: scuole, oratori, associazioni, università, scuole per l’infanzia, gruppi scout, movimenti, collegi, realtà laiche e religiose, politiche e assistenziali, culturali e sportive… Dietro le innumerevoli sedi, le variegate denominazioni, le definite competenze, le infinite precisazioni progettuali e identitarie, ci sono volti e storie di adulti e giovani che hanno scelto di fare dell’educare una delle ragioni fondamentali della loro vita, che quotidianamente si confrontano con le giovani generazioni della nostra società, che spendono la loro umanità scommettendo sul futuro che questi ragazzi rappresentano per noi e per la città intera. In questo fortunatamente affollato panorama educativo, questo foglio si pone quale possibilità concreta di congiunzione, quale operatore di relazioni, di confronto semplice, di riconoscimento del bene che ogni educatore (qualunque sia la sua storia e appartenenza) porta con sé. Queste pagine nascono dalla riflessione di un gruppo di preti e consacrate incaricati della Pastorale Giovanile del centro della città. Proprio questa precisa identità ci fa scommettere sulla possibilità di un dialogo e un confronto tra educatori di diverse storie, estra- zioni e tradizioni. Crediamo che Educare sia comunque e sempre offrire una buona notizia (Evangelizzare) a quanti ci sono stati affidati; questo cercare e comunicare la possibilità di una vita buona è più vero se compiuto nel dialogo e nel confronto pieno di apprezzamento con quanti, da posizioni più o meno condivise, dedicano passione ed energie allo stesso scopo. Se poi tutto ciò servirà anche ad alleviare la fatica grande e un certo scoramento che talvolta sembra caratterizzare questa stagione dell’educare, non avremo condiviso queste parole invano. L’équipe di Pastorale Giovanile del Centro Storico di Milano volto: Cristo Gesù. Ci permette di cogliere il respiro dell’eternità nel momento presente, che ne riceve senso, valore, appagamento intimo e profondo. La speranza è virtù che infonde calma, pazienza, tenacia, laboriosità, perché semina nell’oggi affidando l’esito del proprio lavoro a Colui che tutto può. Educare alla speranza è innanzitutto educare al desiderio di bellezza e di senso. Oggi molti dei nostri bambini e ragazzi non hanno più desideri perché hanno già molte cose: l’abbondanza ottunde il desiderio. Ma le domande ultime del cuore non possono essere soddisfatte dalle cose, dall’abbondanza, dall’ottundimento. Il vero educatore sa far emergere queste domande perché educa la persona, educa un essere che anela all’infinito e vuole volare alto. In secondo luogo, educare è insegnare ad accogliere in pace i propri limiti. L’insuccesso, la fatica, il lavoro, la paura fanno parte dell’uomo e vanno conosciuti perché la persona cresca con una struttura solida e sana. Paradossalmente e contrariamente a quanto oggi si pensa, il limite è condizione d’esistenza: l’illimitato (il confuso, l’indistinto) invece, non permette lo sviluppo della vita e porta alla morte, a quella morte che si vorrebbe evitare ed esorcizzare proprio «oltrepassando ogni limite». Noi non possiamo tutto. Il muro, il limite, la “siepe” di leopardiana memoria ci spingono ad andare oltre, a trovare oltre la sorgente del nostro pre- sente. Allora la speranza cambia la vita, e la cambia adesso. Da questo derivano allora, in terzo luogo, la capacità di essere liberi nelle relazioni con l’altro, la pace interiore e la gratuità. Molti fatti di cronaca ci parlano di giovani senza speranza, drammaticamente smarriti nella selva di un presente che non ha via d’uscita perché non vede senso, non vede soluzione, non vede la via della felicità. Quale meraviglioso ruolo dobbiamo allora giocare noi educatori! Di fronte agli insuccessi scolastici, alle chiusure, alle paure, ecco il nostro compito di accompagnatori nella vita attraverso l’educazione alla speranza. Non basta esigere nozioni, non basta insegnare a fare un nodo o a montare una tenda, non basta sentire ripetere formule. Noi educhiamo alla vita. Vogliamo che i nostri ragazzi si sentano accolti ed abbracciati, come lo siamo noi, da Colui che è la nostra speranza! È con questa tensione del cuore che possiamo ancora una volta augurare, ma in modo consapevole e pregnante, il “Buon Natale”: il Natale della speranza fatta carne in Cristo Gesù. Crescere con: esperienze educative D ue esperienze educative a confronto sul tema della speranza. Ecco il frutto di un dialogo con il prof. Cosimo Mero, insegnante di materie letterarie e latino presso il liceo classico “A. Manzoni” e don Alberto Barin, cappellano del carcere di San Vittore. Umberto Galimberti, nel suo ultimo libro, parla del nichilismo come de “l’ospite inquietante” dei giovani di oggi. Vorremmo però non fermarci solo su questo tratto vero e preoccupante del nostro tempo. Quali positività caratterizza, secondo voi, il vissuto dei nostri ragazzi e dei nostri giovani? Quali segni di vitalità autentica esprimono? Barin: Da 10 anni vivo in carcere a san Vittore a stretto contatto con molti giovani. E quindi parlo di questi giovani che sono lo specchio di tanti altri che vivono fuori le mura. Guardo a ogni giovane come una “infinità possibilità” di bene. Ciascuno ha la sua storia, spesso segnata però da vuoti di amore! In ciascuno scopro ogni giorno una grande Forza di Vita, un amore per la vita e per la libertà. Anche nei vissuti più estremi, prevale la volontà di bene. Spesso il male fatto è solo espressione di una ricerca disperata di un bene mancato, di una prospettiva di vita negata … Allora si sbaglia il bersaglio, si confondono le strade, ma in ognuno emerge il desiderio di poter essere, il bisogno di venire considerati persone “ degne” di sguardo e di attenzione. Incontro troppi giovani che soffrono la solitudine, nei loro occhi leggo tanta voglia di amicizia e di relazioni positive. Mero: I giovani sono pieni di desideri, sentono forte il bisogno di socialità ed è incredibile quanto sia marcata e persistente questa loro istanza vitale, ma vivono con la paura di non poterli realizzare davanti a un mondo di adulti spesso poco incoraggiante, talvolta interessato alla sola strumentalizzazione ideologica del loro vissuto. Anche la scuola, così come è strutturata oggi, non è l’ambiente più idoneo perché la vitalità dei giovani trovi un’adeguata valorizzazione, per cui molte delle loro naturali predisposizioni restano deluse se non addirittura frustrate. La trasmissione di un sapere spesso scollato dalla loro realtà, la mancanza di spa- zi e tempi per una vera aggregazione e un utile confronto, non permette che le energie giovanili migliori trovino la giusta dimensione per una sana crescita e una vera creatività. Davanti a un mondo sempre più segnato dal ripiegamento sul presente e dalla paura per un futuro colto più come minaccia che come opportunità, quali sono le condizioni di possibilità per un’efficace azione educativa che aiuti i più giovani a guardare con lungimiranza e progettualità la propria esistenza e quella della società in cui vivono? Barin: Lo sforzo educativo va impiegato per una vera rivoluzione di prospettiva antropologica. Aiutare il giovane a non “centrarsi su di sé”, ma sull’altro, uscendo da se stesso. È la chiamata profonda alla responsabilità. La vita di un giovane si realizza non come appagamento fine se stesso, ma nel dono gratuito verso l’altro che improvvisamente incontro. Dal Narciso che si ammira, dall’Ulisse che torna sempre a casa sua, ad Abramo che parte, cammina, rischia, esce fuori dalla sua terra ed evolve in umanità, grazie all’incontro con un Altro che lo interpella. Ciò che è in gioco è l’uomo che il giovane desidera essere. Un uomo ripiegato su se stesso o un Uomo che sa dare risposte alla storia! Mero: Le volte in cui ho aiutato una figlia o uno studente a muovere un passo di crescita è perché mi sono veramente comportato da adulto. Nel mondo metropolitano in cui viviamo occorre agire così contro il vuoto generato dal risorgere di certe ideologie che alimentano un conflitto sottile che mette il giorno contro la notte, il dovere contro il piacere, l’oggi col domani, il mondo del giovane contro quello dell’adulto, il vecchio col nuovo e via dicendo. Mi ha colpito quanto ho letto nel tema di un’intelligente studentessa: “la razionalità non permette spesso di vedere l’inscindibilità dei contrari”, dentro cui ogni persona, per crescere, deve rafforzare in una dialettica costante la sua coscienza e libertà, il giovane soprattutto. A partire dalla vostra esperienza, potete indicarci un luogo, un’esperienza, un percorso che ha aiuProf. Cosimo Mero tato chi è stato coinvolto a diventare donna o uomo di speranza? Barin: Ogni luogo di povertà, ogni luogo dove ci sono crocifissi, innocenti o colpevoli, diviene oggi il vero luogo educativo per un giovane. Perché provocato dalla vita. Perché scomodato dall’altro. Perché destinatario di vissuti e di speranze imprevedibili, che nascono dagli estremi confini della terra. Mero: Facendo riferimento al mio lavoro d’insegnante ho visto sorgere la speranza quando sono stato capace di ascolto perché niente rende più felice un ragazzo che il sentirsi compreso. Per far questo però è necessario combattere il proprio ego e l’insidioso pregiudizio che possono notevolmente compromettere il rapporto fra docente e studente. Nei giovani c’è un grande bisogno di accoglienza e di stima, ma non sempre chi insegna sa cogliere ciò oltre il banale errore di forma e contenuto dei loro elaborati scritti ed orali. Invece la speranza sorge quando si lascia sempre una porta aperta e un po’ di luce accesa e si evita di prospettare il buio pesto dell’impossibilità a migliorare. I luoghi che sanno accogliere, ascoltare, suggerire percor- si per trovare risposte credo che siano di per sé ricchi di speranza, sempre che tutto ciò non avvenga in modo formale o con risposte fittizie, perché, nella mia vita di uomo ho capito che talvolta chi vive di presuntuose risposte può nascondere una disperazione assai più perniciosa di quella di chi sa farsi solo tante domande. La speranza è una voglia di conoscere e di crescere che non finisce mai, mentre la disperazione fuga qualsiasi ulteriore prospettiva di crescita. In tal senso le persone più speranzose credo che siano quelle capaci di contagiare fin nelle midolla chi le incontra e tale contagio si chiama desiderio di conoscere, o meglio, amore per il sapere autentico. A conclusione di questo breve dialogo, volete consegnare a tutti i lettori di 3e un’immagine sintetica del vostro lavoro educativo? Barin: L’immagine che mi è più cara è una piccola statuina del presepe, che non rimetto mai nello scatolone, ma mi accompagna per tutto l’anno : il pastore che porta sulle sue spalle la pecorella stanca, forse ribelle o solo ferita. È l’immagine dell’uomo che accoglie in se l’altro, cammina con lui e da lui si lascia ospitare. Accogliendosi a vicenda, pellegrinano per ospitare un Altro, ancora ! Mero: Innanzitutto vorrei dire che io credo nel mio lavoro Don Alberto Barin e ho coscienza della sua importanza e mi adopero per trasmettere queste due certezze: la scuola deve istruire, perché è necessario che il giovane affini competenze ed abilità per le sue scelte future; la scuola deve però formare, perché oggi unica, indispensabile, “palestra” per l’educazione alla cittadinanza, al senso di appartenenza ad un sistema di valori culturali e civili condivisi e condivisibili, perfettibili ma necessari. pratica dell’educare O leggere vedere ascoltare sereste dunque creare giovani vite con il vostro sangue marcio? Volete rinnovare con uomini nuovi l’interminabile agonia del mondo? Questa è la domanda rivolta ai suoi concittadini oppressi dall’impero romano da Bariona, protagonista disperato di questo testo teatrale di Sartre, scritto durante la prigionia in un campo di concentramento in vista del Natale del 1940. Non fare più figli per spegnere in modo radicale l’orrore della schiavitù e del dolore: se non ci saranno più bambini i romani non avranno più nessuno da dominare. A partire da questa provocazione si dipana la riflessione sul senso del generare in tempo di dolore, dello scommettere sul futuro anche quando questo sembra plumbeo. Il dialogo serrato con la moglie, l’ascolto delle riflessioni di uno dei magi (impersonato dallo stesso Sartre) e l’incrociare lo sguardo con quello di un altro padre diventano i luoghi dell’emergere delle ragioni per cui vale comunque la pena di mettere al mondo un figlio in tempo di schiavitù, di perdere la vita per la libertà. “Un racconto di Natale per cristiani e non credenti” di estrema attualità. [a.c.] Amor di vita Invoco il fiore di luce, la grazia del mattino quando si scioglie il sonno come un grumo di sangue scuro: amor di vita torna a splendere sugli alberi e sul lino. Erbe tra le macerie del mondo che riplasma le sue forme, cedo all’antica brama di fiorire per sempre sopra l’eterno morire. Adriano Grande (Genova 1897-1972) da: Fuoco bianco il Mexico lo proietta ininterrottamente. Non perdetelo! (info: www.ilventofailsuogiro.com) [b.u.] Jean-Paul Sartre, Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per Cristiani e non credenti, Cristian Marinotti Editore, Milano 2003 Giorgio Diritti, Il vento fa il suo giro, Aranciafilm, Imago orbis, 2007. C U i può essere un futuro per un piccolo paese occitano abbandonato in una valle piemontese? C’è speranza per un professore francese, e la sua famiglia, alla ricerca di una qualità autentica di vita? Ci può essere certo, a condizione di un confronto con l’altro, il diverso, lo straniero. E di una convivenza nel reciproco arricchimento e nella complementare fecondità. L’invidia e la paura, la gelosia e il sospetto, il pregiudizio e la vendetta, invece, uccidono la speranza. Su questo tema, o meglio, su questa sfida, Giorgio Diritti (collaboratore di Avati e discepolo di Olmi) intesse il suo splendido e primo film: Il vento fa il suo giro. Le immagini incantano lo sguardo, la storia commuove il cuore, ma nello stomaco arriva il pugno dell’ottusa incapacità di andare oltre lo scontro per costruire insieme quel domani che tutti cerchiamo. Il vento della vita ci avvolge nel suo abbraccio e torna ancora una volta per concederci, nel suo giro, un’altra possibilità. Lasciarsi afferrare e mettere in gioco non è follia ma l’unica chance perché il sogno si compia. Bisogna essere per forza matti per capirlo? È un film autoprodotto, di grande qualità cinematografica, impegnato e bello. Quindi, naturalmente, non distribuito e snobbato dal mercato. C’è speranza per il cinema italiano di valore? Dal 1° giugno, 3e È promosso dell’Equipe di Pastorale Giovanile del Centro Storico di Milano na speranza che si apre all’orizzonte seguendo le avventure di tre cugini che cacciati dalla loro terra e smarriti in vasto e inesplorato deserto si ritrovano in un’immensa valle popolata da creature meravigliose e terrificanti. Un fumetto, per godere dell’avventura, emozionarsi, divertirsi e riflettere. Stiamo parlando di Bone la saga di Jeff Smith, pluridecorato autore statunitense, che ha creato le avventure dei tre cugini Bone: Fone, Smiley e Phoney. Piccoli e simpatici esseri antropomorfi, completamente bianchi, un grosso nasone e le mani a quattro dita. Tre eroi per caso d’avventure dal sapore epico con qualche riferimento a Tolkien e alle icone dell’immaginario del fumetto mondiale. Un fumetto che racconta e metaforizza i delicati passaggi dell’adolescenza, la voglia di crescere, la paura dell’ignoto, il coraggio e l’incoscienza, la sagacia e l’intraprendenza, coniugate con la lotta per un mondo nuovo. Non male per un fumetto che è stato apprezzato in tutto il mondo, da lettori d’ogni età. Per farsi un’idea, date un’occhiata al sito www.boneville.com (in inglese e con una sezione per educatori e insegnanti [s.g.] per l’uso didattico-educativo del graphic novel). Jeff Smith, Bone, Panini Comics (collezione 100% cult comics), Modena, 2004, 3 volumi. È aperto a quanti vogliono contribuire alla riflessione sui temi dell’educazione e dell’evangelizzazione dei ragazzi e dei giovani. È distribuita gratuitamente in formato cartaceo o elettronico a quanti ne fanno richiesta e scaricabile, in formato pdf, sul sito della pastorale giovanile del Centro Storico di Milano: www.centrogiovane.org Per ogni contatto scrivere a [email protected] Direttore responsabile: Stefano Gorla. Pubblicazione in attesa di registrazione.