La modella in tanga e autoreggenti esibì le grazie con audacia

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La modella in tanga e autoreggenti esibì le grazie con audacia
Interno, meriggio.
La modella in tanga e autoreggenti esibì le grazie con audacia fenomenale, che non poteva lasciare
insensibile un uomo della caratura sessuale di Travis. Egli aprì l’obiettivo e scattò quattro, cinque
foto per ogni movimento della riccioluta giunone, esaltato e ammaliato. Cercò di frenare il
testosterone e scaricarlo sul lungo obiettivo, come se fosse quello il fallo, e la luce delle foto lo
sperma. Diabolicamente meglio dell’estasi di Santa Teresa. La modella sembrava percepire quelle
avance sulla propria pelle, e continuava, sempre più spudorata, a fare la troia con l’obiettivo. Travis
sentiva di non farcela più al centesimo scatto: l’avrebbe stesa sul pavimento dello studio e scopata
seduta stante, una, due, tre volte, ignorando l’eiaculazione precoce che viceversa avrebbe mostrato
in tale eventuale performance. Si avvicinò ulteriormente e potè inquadrarle la coscia sudata, la
goccia di sudore che le scendeva lungo la coscia semicoperta…
In quell’istante, la modella esplose.
Fu come se una forza occulta fosse improvvisamente cresciuta nel suo corpo, per poi liberarsi tutta
ad un tratto in uno slancio orribile. L’essere uscito dal suo stomaco divenne sempre più grande
come un feto ipertrofico, finché, pulendosi dal sangue, non si mostrò come un banale essere umano.
Ovviamente Travis stava ancora urlando. Un uomo era uscito all’improvviso dal corpo perfetto ed
erotico di Ella, o Telma, o come cazzo si chiamava quella puttana. E gli aveva macchiato
l’obiettivo. Si poteva quasi dire che fosse il figlio del loro amplesso mentale, anche se non aveva
alcunché dei loro rispettivi tratti genetici.
Comunque, tornando all’apparizione, l’uomo totalmente sporco di sangue si pulì per bene occhi e
faccia, si guardò attorno, e rapidamente guarì dalla confusione in cui sembrava trovarsi. Inquadrò
Travis con occhietti maligni verdi, e pulendosi dell’altro sangue, prese fiato e gli pose una domanda
semplice semplice.
<< Sai dirmi in che anno siamo? >>
***
I dati piovvero sullo schermo del supercomputer, fino a trovare l’oggetto della loro ricerca.
<< Turelbacterius translucis. >> disse Randolph Burningham, indicando il nome sul monitor con il
retro della matita.
<< L’hai trovato? >> disse Harvey Costa, sedendogli accanto. L’odore dei suoi sigari fu trasportato
dal suo alito mefitico. Aleggiava come la sua soffocante presenza in qualità di coordinatore, sul suo
operato, innervosendolo. Avrebbero potuto assegnarli Ava, quella del settore 13 con le tette da
favola, invece no. Un’estrazione al lotto, ecco cosa avevano fatto, pensò Randolph, innervosendosi.
<< Sì >> sospirò << fammi scaricare su dischetto e poi ce ne andiamo >>
<< Diamine, Burningham sei un fottuto paranoico >> lo apostrofò Costa << la gatta frettolosa fece i
figli storpi, lo sapevi? >>
<< Fece i figli ciechi. >> idiota, avrebbe aggiunto.
<< Quello che è >> disse, succhiando il sigaro per sfumacchiarlo << prendi il tempo che ti serve,
tonto. >>
Il backup partì.
Randolph tentò di rilassarsi sulla seggiola traendo dal taschino della giacca una bustina di mentine.
<< Tu sai perché la Compagnia vuole queste informazioni? >>
Costa palpebrò sospirando lui stavolta, con aria di superiorità, di chi sta per impartire una lezione
vitale.
<< Ho imparato una cosa su questo mestiere, figliolo >> disse, pescando la mentina non dalla
bustina ma direttamente dalle sue mani << non chiederti mai nulla, e camperai a lungo. >>
Ecco.
Di tutti i tarchiati retorici figli di puttana…
***
Zio Klux salutò a dita strette la sua famigliola di coetanei, stendendo il braccio e piegando il polso
in su, dopodiché camminò per un miglio buono sotto la luna calda di luglio, col cannemozze
dondolante, finché non trovò i binari della ferrovia.
<< E’ il momento di eliminare qualche testa di cazzo. >> disse, con fare da antico cowboy. Non
tardò il treno a rallentare su quel percorso, e lui ci salì al volo, sfruttando una rapida rincorsa
favorita da una buona discesa. Un finestrino mezzo aperto, e il bandito si aggrappò, infilandosi
dentro. Le cuccette erano quasi tutte vuote, eccetto una manciata in fondo. Zio Klux imbracciò il
fucile e individuò uno scomparto di inglesi fottuti. Dopo averli fatti saltare in mille pezzi, recuperò
una sopravvissuta e la prese per capelli, urlante. Con il calcio del fucile la fece stare zitta, dopodiché
baciò le sue labbra sanguinanti. Il suo accento inglese si sentiva fin nei singhiozzi. Era eccitante.
Cercò di aprirle le cosce per consumarla, perversione da lui preferita mentre i morti attorno li
circondavano.
Durante la perpetuazione dell’atto, dei passi pesanti raggiunsero la cabina. Un tuono infranse
entrambi i corpi, di netto. La canna ancora fumante del fucile apparteneva a una mano nera di un
braccio nero. Il corpo dello zio Klux, mezzo integro, continuava involontariamente lo stupro sul
corpo agonizzante della ragazza. Il negro fissò la scena, e dopo aver esaminato entrambi i corpi
senza vita, sbottò qualcosa e ruppe il finestrino del treno che aveva appena preso velocità. Si salvò
di un soffio, atterrando in un certo modo, dopodiché corse verso vallate lontane, bestemmiando.
<< E’ ancora in giro >> sbottò.
***
Nudo e ancora sporco di rosso, Azra cercò negli armadietti di Travis dei vestiti adatti per non
destare sospetti fra i civili. Il pudore, stupido anacronismo, pensò.
Annusò l’aria come un cane da tartufo, pronto a tutto, e si fiondò in strada. La puzza del vecchio
mondo lo indisponeva: monossidi di carbonio, diossina, escrementi canini, sudore, e altre
composizioni chimiche tremendamente retrò. Le ignorò, e raggiunse un compromesso
concentrandosi sulla propria missione. Alcune donne lo fissarono disgustate, seguite da alcune
vecchiette. Azra entrò in un supermercato a piedi scalzi, con l’aria di un insonne che ha appena fatto
un incidente grave. Raccolse mele e banane, e mangiò seduta stante. Ci fu chi chiuse un occhio,
guardandolo, e soprassedette sui rutti rumorosi. L’altoparlante mandava canzoni sdolcinate di
sottofondo. Appena uscì, fu come se fosse passato un incubo.
Camminò fuori in strada, verso la sua meta misteriosa.
***
<< Ti posso assicurare >> disse il commissario Dale Sullivan << che ho buoni motivi di credere che
ci troviamo di fronte a un serial killer. >> scosse il capo verso il coroner.
<< E questo basta per mettere in allerta il commissario in persona? >> disse il coroner,
rammendando l’ultimo arto riconoscibile sul lettino.
<< Sul luogo del delitto c’era un vero macello >> rispose << è stata dura per gli investigatori
rimettere insieme i pezzi. Voglio vederci chiaro. >>
<< Guarda, la carne della pancia è tutta strappata, come da una forza misteriosa che è prorotta
dall’interno verso l’esterno. Mai visto niente del genere… >> indicò il coroner.
<< Ho già visto questo modus operandi. Molti anni fa, quando ero una recluta. >>
L’ostetrico ebbe la sua attenzione, bloccandosi istantaneamente.
<< Il massacro di Poundville. Sette vittime. Padre, madre. Figli. Tutti dilaniati dalla stessa forza
esplosiva. Ci sono voluti mesi per ricostruire i corpi e identificarli. Nessuno ha mai preso il
colpevole. Anche perché…cosa avrebbero dovuto cercare? Un visitor? Una tenia gigante?...non ho
mai saputo bene cosa pensare. E ora ecco che si ripresenta, dopo tanti anni, per chiedere il suo
tributo di sangue…un caso irrisolto, neo nella mia fortunata carriera… >>
Si strofinò il castelletto sotto il naso, sintomo che era sotto stress.
<< Va’ a dormire, Dale. Qui ci penso io. >>
Per una volta, il commissario Sullivan accettò il consiglio, raccolse soprabito, ombrello, e
stanchezza, per portarsi fuori nella pioggia.
***
<< Okay, qui abbiamo finito. >> disse Randolph Burningham, intascando il dischetto. Harvey Costa
annuì senza alzarsi, con un impercettibile mugugno.
Nessuno dei due disse alcunché per dieci lunghi secondi.
<< Non mi sento troppo bene…devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male…ho lo stomaco
tutto scombussolato… >> così dicendo, prese un’altra boccata del suo prezioso sigaro, sudando
copiosamente. Lardoso figlio di puttana. Randolph fece per dire qualcosa, quando vide l’anormalità
dei sommovimenti viscerali del compagno, e tremò.
<< Oh… >> Costa reclinò il capo all’indietro << buon Gesù… >> la pancia crebbe a dismisura
straziandolo, come un parto improvviso.
Come una rosa che sboccia, il suo addome si aprì con forza, facendo schizzare sangue, feci e
contenuti interni in ogni direzione, a cominciare dagli occhiali di Randolph, il quale urlò. La
creatura emersa dallo stomaco morto di Costa assunse una morfologia piuttosto robusta e alta,
cadde sul pavimento, scombussolata e ancora sporca di sangue. Si alzò come se niente fosse,
pulendosi gli occhi e fissando il corpo dal quale era uscito. Sembrò comprendere qualcosa, a
giudicare dai versi di disapprovazione che faceva, scotendo il capo.
<<…Tsk. Obesi. >> sbottò, dopodiché la sua mano destra si protese sul collo dell’impietrito
Randolph. L’essere umanoide – ma sì, umano, anche se nato in modo strano – perlustrò il corpo di
Randolph con gli occhi, individuando un dischetto.
<< Che c’è qui dentro? >>
***
<< Non ce l’ho fatta, Perry. Quel bastardo è ancora in giro. E io sono troppo vecchio. >> così esordì
Jim Prince, sfogandosi sul bancone col suo confidente. Ripose la sua fedele cannemozze su uno
sgabello vicino. Erano le quattro del mattino, fra poco avrebbe albeggiato.
<< Sei troppo duro con te stesso, Jim. >> disse il barista, pulendo un bicchiere.
<< No, cazzo. Sono un fottuto giustiziere, non devo essere leggero con nessuno, a cominciare da me
stesso. Quel figlio di troia ha massacrato la mia famiglia e s’è fatto i cadaveri. Voglio farlo soffrire,
finché non mi implorerà, e poi lo farò soffrire ancora. E’ l’unica moneta col quale posso pagarlo. >>
<< Hai una pista da battere? >>
<< Te ne ho già parlato anni fa. >>
<< Ancora quel delirio sui viaggiatori del tempo? >>
Jim sbattè il pugno sul bancone.
<< Non è un delirio! Ho scoperto tutto da uno di loro mentre stava morendo! E’ tutto vero,
dannazione! Quei bastardi vengono dal futuro e viaggiano nella carne! E quant’è vera Jerusalem, io
li beccherò, dovessi crepare facendolo! >>
<< Ammesso che tutta questa follia sia vera >> si avvicinò al suo amico << cosa ti fa credere che
beccherai quello giusto? Hai detto tu che sono in tanti. >>
<< So il suo nome, Perry. E mi basta. Inoltre posso distinguere i loro odori. Ora servimi dello
scotch, la caccia continua. >>
Il suo cuore scandì perfettamente una parola, che identificava l’oggetto del suo odio.
Papon.
***
Neanche ebbe fatto due metri che la polizia lo fermò, povero Azra. Il vagabondaggio (strano a dirsi)
è illegale. Catturato, non fece alcuna resistenza e passò la notte al fresco. Fotografie, impronte. Gli
presero tutto senza alcun risultato. Nella cella, Azra incontrò Larry Betty, essere mitologico metà
uomo e metà donna. Non fece resistenza neanche a lui.
<< Sei un tipo strano, sai. >> gli confidò il nuovo compagno/a di stanza.
Azra non rispose, si concentrò su quello che avrebbe dovuto fare una volta fuori.
La mattina seguente, prese di sorpresa l’agente addetto alla colazione, e prima di rompergli l’osso
del collo gli estorse alcune informazioni sull’epoca e la realtà dove era finito. Larry Betty fissò la
scena in un angolino, impaurito/a, senza neanche salutarlo.
Azra rubò i vestiti al poliziotto, procurandosi così la colt in dotazione. Uscì dalla galera con un
sotterfugio, e di buon passo andò fuori città.
***
Il corpo di Travis fu trovato il giorno dopo dalla sua coinquilina Kara Wilson, col torace cavo e
accanto la modella completamente squartata. Non si seppe cosa traumatizzò Kara veramente, se la
nudità sospetta della ragazza morta o tutto quel sangue rappreso sul pavimento. Optò per
quest’ultima visione, e urlò fino a ledersi le corde vocali. Poi chiamò la polizia.
Il commissario Sullivan fu sul posto alle nove.
<< Merda… >> sibilò, riconoscendo la mano dell’omicida. Ancora il Saltafuori, pensò. Era così che
lo aveva chiamato, durante gli anni di addestramento. I Saltafuori sono liberi di uccidere chi
vogliono e come vogliono. Killer perfetti, spaventosi, quasi alieni. Ma il suo istinto da detective
escludeva una mano non-umana in tutta quella oscura faccenda. Qualcosa gli faceva pensare
all’uomo, non sapeva nemmeno lui perché. Forse la fiducia ottimistica che esistesse vita realmente
intelligente nel cosmo. Lasciò il lavoro sporco a quelli della omicidi, che interrogarono la testimone
scrupolosamente con un registratore mp3 in mano, mentre i loro colleghi ricoprivano di nastro
giallo la scena del crimine. Al posto dei corpi, accuratamente trasportati, ora c’erano due sagome
disegnate col gesso a terra. Fra gli agenti, spiccò una persona che sembrava non centrare nulla con
loro: un negro con un impermeabile verde chiaro, curiosamente attratto dai disegni sul pavimento.
Gli si avvicinò il cadetto Ray Robertson, intimandogli svogliatamente di abbandonare il luogo. Il
negro sembrò annuire, ma non se ne andò, a dispetto di Robertson, Robertson, stupido figlio di
puttana hai sbagliato lavoro se pensi di esercitare autorità a quel modo.
Dannato frocetto, pensò ancora Sullivan, avvicinandosi al negro con passo deciso, eludendo persino
gli investigatori e la testimone. Se vuoi un lavoro fatto bene te lo devi fare da solo, pensò. Poi
qualcosa lo rallentò. Una strana sensazione attenuò il suo nervosismo mattutino pre-caffè. Decise
all’ultimo momento di cambiare approccio.
<< Un po’ inquietante, come hobby, il suo. >> si mise le mani in tasca, in attesa di risposta.
Il negro fece finta di non sentire, poi si girò.
<< Come, scusi? >>
<< A un civile non è permesso avvicinarsi a una scena del crimine, lo sa? >>
<< Me ne stavo giusto andando. >> sorrise, dandogli la schiena per poi allontanarsi.
<< Lei conosceva la vittima? >> lo placcò oralmente.
Il negro si bloccò, e poi si girò.
<< No, per niente. >> poi fece per andarsene.
<< Aspetti un attimo, io la conosco. >> si ricordò Dale << lei è Jim Prince, il poliziotto che mise
dentro il Mostro della Contea. >>
Sì, era decisamente lui. Le pupille dilatate glielo confermavano.
<< Ex-poliziotto. >> si limitò a correggerlo.
<< Che cosa ci fa qui? Non era andato in pensione? >>
<< Lavoro privatamente. E adesso, se non le spiace, dovrei andare. >>
<< Alla sua età lavora ancora? Che stacanovista! >>
Il negro si allontanò davvero stavolta, uscendo in strada, seguito a lunghi passi dal mastino Dale.
<< Se ne vada, mi lasci in pace. >>
<< Non se prima non mi spiega cosa ci fa un ex-agente di polizia sulla scena di un delitto, per di più
con alcune macchioline di sangue sull’impermeabile. >>
Il negro si bloccò, guardandosi l’abito in cerca delle tracce compromettenti.
<< Potrei farla sbattere dentro per accertamenti, con l’accusa di ipotesi di reato. >>
Il negro sbuffò.
<< Perdereste solo del tempo prezioso. Non sono io il vostro uomo. >>
<< Anche lei perderà il suo, ho idea che vada di fretta perché ha capito qualcosa. Bene, voglio
capirci anch’io in questo casino che dura da vent’anni. >>
<< Non possiedi le mie stesse facoltà, periresti prima di poter fare qualunque cosa. >>
<< Ci diamo del tu, adesso? Bene, Jim. Io sono Dale Sullivan… >>
<< Lo so chi sei. >>
<< E vengo con te. >>
<< Te lo puoi scordare. >>
<< Avverto il maggiore Tucker di metterti agli arresti. >> fece per prendere il cellulare dalla tasca.
<< E’ troppo pericoloso, non voglio che altra gente si faccia male… >>
<< Sono un poliziotto, è il mio mestiere. >>
<< Ma non capisci? Proprio non vuoi capire? Loro sono superiori a noi! Ci uccideranno tutti, se non
facciamo qualcosa! >>
Dale ebbe un fremito.
<< Loro? Ti riferisci ai Saltafuori per caso?... >>
In quel momento, Azra li passò accanto.
Jim strabuzzò gli occhi proprio in quel momento. Si voltò in direzione dello sbirro che era appena
passato. Annusò l’aria, raccogliendo informazioni familiari. Fin troppo familiari.
Merda…
Senza degnare Dale Sullivan di una risposta, Jim Prince trasse dall’interno dell’impermeabile un
fucile a canne mozze e lo puntò verso l’agente che si stava allontanando.
<< Oh, Cristo… >> Dale recuperò la pistola dall’interno della fondina nella giacca. Come un
animale che percepisce il pericolo, il presunto poliziotto si voltò verso i due, ormai lontano, e
lestamente sparò con la colt nella loro direzione. Dale e Jim caddero a terra, colti di sorpresa. Per
qualche secondo, si meravigliarono della scomparsa improvvisa dell’uomo. Poi lo videro al volante
di una cadillac a minacciare il guidatore, e si rialzarono a fatica tentando di raggiungerlo.
<< Ti ho visto, bastardo! Sei uno di loro! >> gridò Jim, armato di doppietta. Il primo colpo ferì le
gomme, il secondo fece esplodere il finestrino del passeggero anteriore, dove era seduto Azra. Il
traffico cittadino e il caos creato divenne ben presto una trappola per il fuggitivo.
Jim lo raggiunse in cinque secondi, puntandogli la doppietta in faccia.
<< Stavolta sei mio… >>
Azra puntò la pistola al guidatore.
<< Non ti salverai con un ostaggio… >> il negro fece per sparare, ma un’altra pistola intervenne,
armando il cane e indirizzando la canna alla tempia di Jim. Era Dale.
<< Molla quell’arma. Subito. >> gli ordinò.
<< Dale, non capisci! Se lo lasciamo andare ucciderà altra gente! >>
<< Se gli spari, lui ucciderà quell’uomo. >>
<< E’ un sacrificio necessario. Ne salveremo centinaia. >>
<< Molla il fucile. E’ l’ultimo avviso. >>
Jim fece per abbassare il fucile, quando il ciccione alla guida, unico disarmato, in un impeto di
terrore aprì il portello e scese per scappare.
<< Lasciatemi andare, pazzi! >> gridò.
Fu come una reazione a catena. Azra fece fuoco alla sua schiena. Jim gridò “no!” con tutte le forze,
sparandogli contro. A Dale partì un colpo per sbaglio, tremando sul grilletto.
Il ciccione agonizzò al suolo. Jim Prince terminò la sua corsa nel momento esatto della sparatoria.
Azra ne uscì misteriosamente illeso, e puntò la pistola a Dale, scendendo dalla macchina. Il
commissario, scioccato da quell’improvviso bagno di violenza, mollò la pistola a terra.
<< Non…non spararmi, ti prego! >> cercò di guadagnare tempo.
<< Adesso tu vieni con me. Sarai il mio nuovo ostaggio. >> gli disse Azra. Rassegnato, Dale
accettò la nuova qualifica, annuendo.
***
Con l’occhio destro mancante, il naso strappato, le mani storpiate, ma ancora vivo, Randolph
Buckingham strisciò fino all’ascensore e riuscì a chiamarlo col pulsante utilizzando le uniche tre
dita rimastegli. Nel corridoio buio, scattò l’allarme intrusi, e solo allora ricordò il motivo per cui era
lì: spionaggio industriale. Doveva trovare una via di fuga, prima che qualcuno di ben peggiore
venisse a finire il lavoro di quell’abominio che ha ucciso Costa.
Coraggio, manca poco…
Coraggio…
L’ascensore si aprì.
Un uomo vestito di nero con luminosi occhi verdi lo salutò con una mitragliatrice. La paura si
dipinse sul volto di Randolph..
<< Sei solo? >> gli chiese. Randolph scosse il capo.
<< Non uccidermi, ti prego. >> lo implorò piangendo.
<< Solo se mi dirai dov’è il tuo amico. >>
<< Di là, di là! >> indicò la stanza del supercomputer, credendo si riferisse a Harvey. L’uomo in
nero andò a controllare, e appena vide l’interno della stanza, gettò una raffica di proiettili
sull’ascensore.
Randolph si lasciò andare al panico, chinandosi a terra e raggomitolandosi in posizione fetale.
<< Te lo chiedo di nuovo >> camminò verso di lui << dov’è il tuo amico? >>
Randolph non seppe che rispondere.
<< Quello che ha ucciso Harvey se ne è andato. Non c’è nessun altro. Ti prego… >>
<< Dannazione! >> imprecò << Quanto tempo fa? >>
<< Cinque minuti… >>
<< Sapresti riconoscerlo? >>
<< Sì…sì, sì, sì! >>
<< Allora vieni con me. >> disse, prendendolo garbatamente per un braccio.
***
Rubata una macchina, Azra e Dale Sullivan si diressero fuori città. Superato il traffico e le urla di
terrore, raggiunsero una zona calma nella quale ancora nessuno conosceva le loro follie.
<< Ti prenderanno. E’ meglio se lasci perdere. >> consigliò Dale, prendendo una curva a destra.
<< Non mi importa della vita. Devo portare a termine la Missione. >> replicò Azra, che lo teneva
sotto tiro da diversi minuti.
<< Quale missione? >>
<< Non è un’informazione che ti riguardi. >>
<< Oh. Posso sapere almeno il tuo nome? >>
<< Azra. >>
<< Azra e basta? >>
<< Azra e basta. >>
<< Io sono Dale. Dale Sullivan. >>
<< Non mi interessa. >>
Spiazzato, Dale non seppe cosa dire. Non era certo un campione di buone maniere, questo
criminale.
<< Da dove vieni, Azra? >>
<< Non credo capiresti. >>
<< Dall’accento sembri nordeuropeo… >>
<< Da dove vengo io, non esistono più i continenti. >>
Ancora una volta spiazzato, Dale cercò di capire quelle parole.
<< Stai cercando di dirmi…che vieni dal futuro? >>
Il silenzio fu il miglior assenso.
Andiamo bene, pensò Dale, uno schizofrenico che si crede Marty Mcfly. Ma che bellezza.
<< Come ho detto >> disse Azra << non capiresti. >>
Dale Sullivan rimuginò su cosa dire, rallentando in prossimità di una fila semaforizzata.
<< E…per quale motivo saresti tornato indietro? >>
Stizzito ma senza calare d’attenzione, Azra scosse il capo.
<< Non puoi dirlo, eh? La Missione, certo… >> la fila si liberò, e ripresero a camminare con la
vettura << Almeno posso sapere dove stiamo andando? >>
<< Fuori città, te l’ho già detto prima, sei sordo? >>
<< Sì, fuori città dove? Ci sono migliaia di posti fuori da Tenderville… >>
<< Portami dove ci sono i fiori. Sono certo che lo troveremo lì. >>
<< Chi? >>
<< Il mio destino. >>
***
Terence Ray attraversò la strada camminando sulla zebratura con nonchalance, incurante dell’auto
che sparata si avviava verso il suo futuro cadavere.
L’impatto fu deciso, e ricordò in qualche modo l’incidente di Tom Pryce. Pezzi umani, budella e
interiora schizzarono in tutte le direzioni. L’odore di morte era vomitevole. Terence Ray uscì di
scena. Al volante dell’auto rubata c’era un uomo sporco di interiora e sangue coagulato. Sul
cruscotto, un dischetto frantumato in mille pezzi. Attivò i tergicristalli, che rimossero parte della
sozzeria rossastra sul vetro. Sui sedili posteriori, legato come un maiale e con un pezzo strappato
del proprio piede in bocca, un uomo visibilmente torturato e sconvolto ansimava nel tentativo di
urlare o respirare.
<< Sta’ buono. Ho bisogno di nutrimento, per il mio lungo viaggio. Più ti dimeni, più rendi acide le
tue preziose carni. >> così dicendo gli conficcò le unghie affilate della propria mano destra sulla
pancia. L’uomo sputò il proprio pezzo di piede e tentò di urlare, ma iniziò a sentirsi
improvvisamente debole.
<< Vorresti urlare, eh? Mi dispiace, il veleno che ti ho introdotto annebbia le facoltà cognitive. Non
sforzarti, è tutto inutile. Dai retta a me. >>
<< Mostro… >> riuscì a dire.
<< Il mio nome è Papon, non mostro. Mettitelo bene in testa mentre succhierò via il tuo midollo.
>>
Mantenne di certo la sua parola, accostando l’auto in una via deserta con qualche alberello, semiilluminata dal tramonto.
***
<< Ce la fai a vedere, con un occhio solo? >> domandò l’uomo in nero.
<< Sì, dovrei farcela… >> mentì Randolph, avvertendo la fatica sobbarcata su un solo bulbo.
L’auto sfrecciò sulla statale, mentre i due improbabili compagni di viaggio dialogavano.
<< Cos’è quell’affare? >> chiese Randolph indicando un piccolo monitor a lato del volante.
<< Un BPR. Mi serve a scovarli. >>
<< Chi? >>
<< I Bio-porter. >>
Randolph aggrottò la fronte.
<< Quello che è esploso fuori dal corpo del tuo amico era un bio-porter >> precisò l’uomo in nero
<< un essere umano geneticamente modificato in grado di viaggiare nel tessuto del Carnotempo.
Provengono tutti da un futuro lontanissimo. >>
Randolph tacque, deglutendo.
<< E…cosa vogliono da noi questi…bioporters? >>
<< Nessuno lo sa. Credo siano solo dei mostri assassini. >>
<< Ma come fanno a… >>
<< Col Turelbacterius.>> si riferì alle informazioni piratate dal supercomputer << E’ un organismo
antichissimo in grado di viaggiare nel tempo. La loro genia deve aver trovato un modo per sfruttarlo
impiantandolo nei loro corpi. In questo modo usano la materia organica come punto di riferimento
per spostarsi nel corso della storia. >>
<< Come diavolo fai a sapere tutte queste cose? >> Randolph sudò freddo.
<< Faccio anch’io spionaggio industriale come te. In teoria dovremmo essere nemici, noi due. Ma
quanto stiamo per affrontare supera le nostre divergenze contrattuali. >>
<< Santo cielo…ma perché diavolo una cosa del genere non viene resa pubblica? >>
<< Non lo immagini? Le multinazionali intenderanno appropriarsi del segreto per ottenere un
vantaggio sulle avversarie. Cambiare il corso degli eventi significa manipolare il mondo conosciuto,
essere i padroni di tutto. L’uomo non imparerà mai. >> ridacchiò l’uomo in nero.
Per qualche imbarazzante minuto, regnò il silenzio.
<< Il mio nome è Sarge Nisku >> si presentò l’uomo in nero.
<< Randolph Buckingham. >> strinse la sua mano.
<< Bene, Randolph >> disse Sarge, osservando il BPR attivarsi e lampeggiare << immagino tu
voglia fermare tutto questo orrore, non è vero? >>
<< Sì… >>
<< E saresti disposto a tutto pur di bloccare questi maniaci omicidi? >>
La domanda – si sa - esigeva un alto sacrificio.
***
Dale e Azra giunsero a Mountbates dopo circa un’ora. Azra gli comunicò a gesti di accostare nei
pressi di un prato fiorito. Lì Azra scese, incurante di lasciare il suo ostaggio incustodito. Dale si
chiese il perché di una tale svista. Era davvero uno strano criminale, ma…eccolo che si immerge nel
campo multicolore e coglie delle genziane. Che strano psicopatico…
Dale non ci pensò due volte, tolse il freno a mano, e accese la macchina. L’acceleratore ruggì, e la
cadillac corse via. Azra uscì compostamente dal campo fiorito e spiccò un balzo verso di lui. Anche
se forse chiamarlo balzo era riduttivo. Quello stava volando…anzi no, eccolo che ridiscendeva. Con
molta precisione, ruppe il vetro del parabrezza e penetrò nel veicolo in corsa, accomodandosi sul
posto passeggeri anteriore. Dale Sullivan aveva venticinque anni alle spalle di carriera. E non aveva
mai visto nulla di simile. Pulendosi dai vetri, con la colt in una mano e i fiori nell’altra, Azra puntò
l’arma nuovamente al suo ostaggio.
<< Vai di fretta? >>
Terrorizzato e frustrato, Dale preferì tacere alla provocazione.
<< Questo paese si chiama Mountbates, giusto? >> continuò Azra. Dale annuì, cercando di
mantenere il controllo, di sé stesso e del veicolo.
<< E’ qui che lui arriverà. Chissà dove saranno i miei compagni…>> riflettè ad alta voce.
<< Ce ne sono altri come te? >> azzardò Dale, sicuro di non avere una risposta. Stavolta Azra
cambiò atteggiamento, riponendo i fiori nel taschino della sua uniforme di poliziotto.
<< Già. Siamo due Caste piuttosto numerose. Faccio parte dei Teraphim di Almanova fin dai tempi
del Cronogiuramento. La nostra esistenza è volta a scongiurare il fenomeno Sarkozar, nostra casta
avversaria. >>
<< E’ questa la vostra Missione, quindi? Estinguere questi…Sarkozar? >>
<< No. La Missione non ha come priorità il loro annientamento. >>
<< Ma allora cosa stiamo andando a fare a Mountbates? >>
<< Dobbiamo battere sul tempo i Sarkozar, e fare determinate cose prima di loro. Non posso dire di
più. >>
<< Già, certo… >> Dale si sentiva ancora più confuso.
L’auto entrò in centro, e iniziò a rallentare. L’inferno stava per scatenarsi.
***
Papon finì lo spuntino verso le cinque, poi uscì dal boschetto e condusse la macchina verso la città
vicina. In poco tempo, raggiunse gli alti palazzi di quella che voleva essere una metropoli, senza
successo. Mountbates.
Gli antichi uomini avevano proprio delle manie di grandezza, anche nei piccoli aggregati urbani,
pensò Papon. Osservò la decadenza di quella che i suoi antenati chiamavano civiltà, e con malcelato
disgusto tirò dritto. Da lontano, vide una cadillac avvicinarsi pericolosamente nella sua direzione.
Odorò il vento, annusando pericolosi odori.
“Un Tera a ore dodici” pensò, virando improvvisamente a destra, in un senso vietato.
Almeno due macchine, per evitarlo, dovettero fare irruzione involontaria nelle vetrine dei negozi.
Una esplose.
Non passò certo inosservata, dai sensi acuiti di Azra, il quale senza aprire lo sportello si fiondò fuori
dall’auto in corsa, aerodinamico come un missile. Atterrato sul marciapiede, prese a correre in
direzione degli incidenti, a un isolato di distanza circa.
Dale Sullivan rimase immobile, sicuro che da un momento all’altro lo psicopatico (non aveva
creduto neanche a una parola dei suoi discorsi ) tornasse indietro come poco fa.
Ciò non accadde, ma la prudenza non è mai troppa, e Dale si pietrificò.
Papon accelerò, ben sapendo che non si sarebbe mai allontanato abbastanza dal mastino Teraphim
che già aveva alle costole. Quell’inconfondibile combinazione d’acidi aveva messo sull’allerta i
suoi seni nasali, costringendolo a sterzare appena possibile. Ora sulla sua strada, le macchine
clacsonavano impazzite, mentre lui distruggeva la loro monotonia stradale, correndo sulle novanta
all’ora sfidando la sorte e i riflessi degli automobilisti. Dal retrovisore centrale però, giungevano
brutte nuove. Il Teraphim aveva preso già a saltare, sfruttando il suo potentissimo corredo genetico.
Azra sfidò i limiti umani, facendo balzi di dieci, quindici metri per volta, atterrando e risaltando
senza prendersi una sola sosta. Doveva braccarlo, costringerlo a una mossa falsa, mettergli ansia,
confonderlo. Avrebbe dovuto improvvisare. Papon, gli avevano detto, ne sapeva una più del
diavolo. Non poteva permettersi errori. Il suo dna ibridato, proprio come quello del suo avversario,
possedeva le miscellanee più letali che la natura organica potesse mettergli a disposizione. La forza
della pulce gli consentiva salti oltre le capacità spaziali; speciali cuscinetti sulle piante e le palme
dei piedi garantivano un atterraggio senza dolori. La muscolatura robusta degli ursidi scorreva nel
suo corpo atletico. Ossa e tessuti potenziati geneticamente lo elevavano oltre la soglia della comune
resistenza umana. Fra un salto e l’altro, Azra guadagnava terreno, aiutato anche dai piloti del senso
opposto, che rallentavano la fuga del Sarkozar.
A pochi metri di distanza, Azra ruggì, sentendo l’adrenalina scorrergli nel sangue.
<< Papon! >> urlò con corde vocali più robuste della media, e sentì la sua performance sonora
ghermire e ferire i palazzi di vetro e acciaio che lo circondavano.
L’auto del capo dei Sarkozar si fermò in mezzo al traffico cittadino.
L’uomo scese, lordo di sangue, a petto nudo. Indossava pantaloni e stivali neri. La sua carne era
robusta a livelli deformi, ma non come una bestia senza cervello, quanto come un cacciatore
perfetto. Azra atterrò a cinque metri da lui.
<< Non mi impedirai di portare a termine la mia missione, Teraphim. >> lo ammonì Papon.
<< Staremo a vedere. >> così dicendo si lanciò su di lui, con un lieve balzo di due metri. Sferrò un
pugno al volo, e fu replicato non da una difesa, ma da un altro pugno di Papon, che valutò così la
forza del guerriero.
Le loro nocche si scontrarono.
Non lontano dallo scontro epico, Dale afferrò il primo poliziotto a sua disposizione.
<< Agente, arresti quei due! >> gli indicò. Lo sbirro preso alla sprovvista, notando la battaglia in
corso fuori della sua portata, si permise una degna ritirata.
“Spero stia andando a chiamare rinforzi” pensò Dale, non del tutto convinto.
***
Serge Nisku si fermò sotto una casa abitata, illuminata. Erano le sei meno un quarto, e il sole freddo
già stava tramontando. Randolph lo fissò, col cuore in gola, in attesa della sua empia proposta.
<< Hai mai letto qualcosa di Mao Zedong? >> la domanda giunse inaspettata nella corteccia
cerebrale del povero guercio.
<< Il dittatore cinese? No… >>
<< Era più che un dittatore, caro. Un grande pensatore, uomo politico, e non in ultimo, filosofo
eccelso. >>
La risposta di Randolph uscì incontrollata.
<< Qui in America arrestano i filocomunisti. >>
<< Lo so, scemo. Mi serve parlarti di lui per arrivare a un concetto fondamentale. Vedi, una delle
sue massime più note era “colpirne uno per educarne cento”… >>
<< Sì, l’ho sentita in giro. Credevo fosse un motto fascista… >
<< Non è questo il punto >> lo bloccò Serge << quanto staremo per fare stasera dipenderà molto da
questo criterio proporzionale. Noi non siamo “educatori”. Ne colpiremo uno per salvarne cento. >>
Lì il cuore di Randolph accelerò.
<< Che hai intenzione di fare? >>
<< Vedi quella valigetta sui sedili posteriori? >> gli indicò con la testa. Randolph si girò a
guardarla.
<< Cosa c’è dentro? >>
***
Un muro di mattoni si infranse senza del tutto crollare, ma solo incastrando dentro il corpo di un
bioporter. Azra avvertì dolore, cercando di divincolarsi dalla morsa della pietra, mentre Papon
riprendeva le forze e ponderava il prossimo attacco. Nessuno dei due risultava seriamente ferito,
solo contusioni e lividi. La loro pellaccia supergenetica li preservava dagli attacchi intensi. Con un
frastuono roboante, il corpo di Azra fu scagliato lontano dal palazzo, per atterrare su un altro muro.
Ma stavolta il Teraphim fu più lesto, e con una capriola spezzò il volo, lasciando che i piedi
attutissero l’urto, e piegandosi prese lo slancio per scagliarsi in avanti. Stavolta Papon non riuscì a
reagire in tempo, incassò il colpo sulla mascella e rischiò quasi di cadere a terra.
Dale non si sognò nemmeno di avvicinarsi al campo di battaglia, mentre nella confusione tutti
scappavano, tuttavia riuscì a intercettare un altro sbirro e a fregargli l’arma d’ordinanza.
“Fa’ che non mi tremi la mira, o sono morto” pregò Dale, puntando uno dei due bioporter. L’indice
tremò sul grilletto, finché non partì un colpo. Mancati.
Qualcosa non andava, un semplice revolver non poteva fare tutto quel casino…
<< Non crederai mica di fermarli con quel pistolino? >> disse una voce familiare dietro di lui. Dale
si voltò e vide il volto illeso di Jim Prince brandire il suo cannemozze con la solita aria da
giustiziere della notte.
<< Dio…sei vivo! >>
<< Già >> così dicendo, gli ruppe il naso col calcio del fucile e lo guardò sanguinare, soddisfatto <<
non grazie a te. Ora siamo pari. >>
Dale trasse dal taschino un fazzoletto per tamponare il sangue.
<< Come diavolo hai fatto a… >>
<< La prossima volta che spari un uomo >> lo interruppe << accertati di averlo colpito davvero,
non di striscio. >>
<< Io…mi dispiace. >>
<< Siamo pari, fratello. Vi ho seguiti col taxi per tutto questo tempo…Sono loro i figli di troia
autori di tutto ‘sto casino? >>
Dale Sullivan annuì.
<< Li ho di nuovo colpiti con un pallettone e non si sono fatti nulla. Quei bastardi hanno una cotta
forgiata all’inferno. >>
Dale non credette alle proprie orecchie.
<< Non li hai mancati…? >> gli mancò il fiato.
<< Non manco un colpo da trent’anni almeno. Ancora non hai capito con chi abbiamo a che fare?
>>
Evidentemente no.
<< Okay >> disse Jim, mollando a terra il suo cannemozze << abbiamo due vie per vederli morti.
Lasciare che si annientino l’un l’altro, o chiamare la polizia locale e dire che si portino dietro
l’arsenale pesante. >>
Prima che Dale potesse estrarre il cellulare, Jim sentì qualcosa che non avrebbe dovuto sentire.
Azra urlò ancora il nome del suo avversario, colpendolo in faccia.
Papon.
Papon.
L’assassino della sua famiglia.
Il negro perse la ragione, e corse verso i due.
***
Cloroformio. La donna cadde a terra. Randolph si allontanò dal campanello, col cuore a mille.
Serge Nisku la issò, portandola dentro.
<< Per fortuna è sola, in casa… >>
Randolph chiuse la porta. Serge stese la padrona di casa per terra e le strappò via i vestiti. Poi aprì la
valigetta metallica. Estrasse fuori foglietti stampati e alambicchi, iniziando a montare il materiale.
<< Sei certo di quello che stai facendo? >> Randolph aveva paura.
<< Se blocchiamo il bio-teletrasporto sul prossimo Meat salveremo centinaia di vite umane. >>
replicò Serge, con grande sicumera.
<< Meat…? >>
<< Un Meat è un organismo-ospite prescelto come piattaforma d’arrivo di un bioporter. Troppi
Meat sono morti per questa assurda guerra. >>
<< Ma su che criterio vengono scelti, questi Meat? >>
<< Discendenza generazionale. Intercettano un ramo non nocivo alla loro sopravvivenza, come una
prozia o un fratello sterile, e lo usano per incarnarsi. Per loro è solo un involucro attraverso il quale
giungere nella nostra epoca. E’ il loro avatar temporaneo. >>
<< E questa donna dunque… >>
<< E’ l’antenata di quel bioporter che ha ucciso il tuo collega, l’ho controllato seguendo l’albero
genealogico. Sempre se non ti sei sbagliato. >>
<< No, sono sicuro di quello che dico. La foto che mi hai fatto vedere sul BPR corrisponde a
perfezione. >>
<< Meglio per te. Aiutami a montare gli alambicchi. Al composto basterà un quarto d’ora per essere
pronto. >>
Randolph era nervoso. Glielo chiedo? Glielo chiedo? Glielo chiedo.
<< Cosa hai intenzione di fare per fermarlo? >>
Serge Nisku gli sorrise, come se a quel punto dovesse venire il bello.
<< Hai mai sentito parlare del Principe di San Severo? >>
***
Azra sferrò un calcio che avrebbe sradicato una quercia secolare, colpendo in pieno addome il suo
avversario. Papon non si fece impressionare, e incassò quanto ricevuto, sferrando a sua volta un
calcio all’addome di Azra. Colpiti a vicenda, caddero a terra. Azra strappò a un auto il suo paraurti,
e lo sfasciò in testa al Sarkozar con tutta la violenza di cui era capace. Papon cercò di riprendersi,
ma Azra non perse altro tempo e sollevò una panchina strappandola dal cemento. Con quella,
attaccò lo zigomo dell’avversario. Dopo il colpo, Papon intercettò con una mano una sbarra della
panchina, e la tirò verso di sé. Saggiando la presa resistente del Teraphim, spiccò un salto, tirando
un doppio calcio sul suo stomaco, poi caricando tutta l’energia nella mano destra, sferrò un pugno
fortissimo al suo volto. Azra cadde a terra con la panchina, con Papon su di lui che continuava a
tartassarlo di pugni in pieno viso e al collo.
Dale inseguì Jim cercando di fermarlo, ma il negro era già sul campo di battaglia. L’istinto di
sopravvivenza lo arrestò, come una forza misteriosa.
Jim invece si fece sui due, e interruppe così l’attacco di Papon, che aveva conquistato un vantaggio.
<< Assassino!!! >> gridò Jim, colpendolo sulla testa con un mattone. Ovviamente non sortì alcun
effetto, se non salvare Azra, il quale allontanò Papon con un calcio. Innervosito dall’intrusione, il
capo dei Sarkozar artigliò il cuore di Jim Prince, e lo strappò di netto dalla gabbia toracica. Il negro
sussultò, gli occhi fuori delle orbite, e cadde riverso a terra.
Dale rimase impietrito dinnanzi a quella scena.
<< Bastardo! >> gridò, svuotando il revolver sul bioporter. I proiettili scivolarono e si
ammaccarono sulla pelle dura di Papon. Azra approfittò del trambusto per sollevare una piccola
auto e lanciarla sul Sarkozar, seppellendolo.
Aveva vinto.
Dale non credette ai propri occhi, e sulle prime non si avvicinò. Poi infranse il tabù che si era
autoimposto, e raggiunse a passi brevi il vincitore.
<< Ce l’hai fatta... >> gli disse.
Di tutta risposta, con aria malinconica il Teraphim biondo colse dal taschino i fiori colti pocansi e li
inghiottì interi. Dale Sullivan aggrottò la fronte.
<< E ora che farai? Tornerai a casa? >>
Azra riprese fiato, lo guardò, e poi scosse il capo.
<< Nessuno torna indietro. >>
In quel momento, l’utilitaria fu scagliata via, e Papon emerse ferito, allungando la mano sul collo di
Azra. Le unghie affilate penetrarono la carne a fondo. Il volto di Azra cambiò repentinamente, gli
occhi gli si arrossarono. Dale fece un passo indietro, intimorito.
<< Muori… >> fiatò il Sarkozar.
***
Una volta iniettata la sostanza nel corpo svenuto della sciagurata, Serge e Randolph attesero
qualche istante.
<< Che Iddio ci perdoni. >> pregò Randolph.
<< Se gliene importa. >> aggiunse cinico Serge. Il composto fece effetto subitaneamente: la carne
si decompose all’istante, mentre vene e organi interni rimasero integri, subendo una metamorfosi
spaventosa, che li indurì e scurì uno ad uno.
<< Certo che nell’Ottocento le sapevano tutte. Quel dannato Principe era un fottuto genio
dell’alchimia. >>
Randolph emise un rantolo d’orrore, allontanandosi di un passo senza riuscire a distogliere lo
sguardo dalla terribile scena.
<< Cosa le stai facendo…? >> riuscì a dire.
<< E’ un processo particolare che ho ideato, basandomi sugli studi del Principe di San Severo. >>
Improvvisamente, il colorito del cadavere iniziò a cambiare sul chiaro.
<< Bene, è il momento di conciarlo. >> disse Sarge, traendo dalla valigetta una scatolina
rettangolare contenente una serie di oggetti simili a piccoli bottoni dorati. Randolph Burningham
non fece una piega, troppo sconvolto per riuscire a parlare. Serge Nisku se ne accorse.
<< Ho studiato molto i bioporters, sai. In questi anni ero afflitto da un unico interrogativo: come si
ferma qualcuno che scappa nel tempo? >> mentre discorreva, iniziò a rimodellare interiora e vene
della donna, piegandole gli arti come una contorsionista << Alla fine, trovai il metodo: rintracciare
un Meat e trasformare il suo corpo. >>
<< Trasformarlo…in cosa? >> riuscì a dire Randolph, prossimo alla crisi isterica.
Serge sorrise, asciutto. Sperava glielo chiedesse.
***
Azra aveva perso. Sentì la vita uscirgli dal corpo, mentre Papon stringeva la presa. Cercò di
sferrargli un pugno sul petto, ma era troppo indebolito. Il capo dei Sarkozar rise.
<< Sbrigati a crepare, ho una missione da compiere. >> incalzò.
<< Tu non farai…niente… >> riuscì a dire Azra, mezzo soffocato. Afferrò dalla tasca la colt in
dotazione e la sistemò in un punto preciso della pancia di Papon. Questi fissò l’arma con un
improvviso moto di terrore. Dale si chiese perché.
<< Mi hanno detto il tuo punto debole, Papon. >> disse a denti stretti << Addio! >> così dicendo,
sparò, e finalmente il bioporter fu ferito.
Azra cascò a terra, straziato. Papon caracollò, instabile. Il suo organismo sembrava seriamente
compromesso. Gridò, urlò, e poi rise sguaiatamente.
<< Razza di imbecille! Il tuo sacrificio è stato vano! >> così dicendo, iniziò a tremare, e la sua pelle
emise spontaneamente una luce crescente.
<< No…dannazione… >> riuscì a dire Azra, prima di morire. Davanti ai loro occhi vivi e morti,
Papon si contrasse su sé stesso, rimpicciolendosi e scomparendo nel nulla in una breve implosione
luminosa. Se ne era andato. Per un breve attimo, fu il silenzio. Poi arrivò la polizia, e puntando le
armi su Dale chiesero che diavolo fosse accaduto. Svogliatamente, il commissario mostrò il
distintivo, e non disse altro.
Il corpo di Azra si decompose istantaneamente, divenendo irriconoscibile.
Non si torna indietro, aveva detto.
Il tessuto del Carnotempo sussultò, e Papon si bio-teleportò nel corpo della sua ava Fiona Dreyfus.
Serge Nisku aveva finito proprio in quel momento la concia. Il corpo rigido, dorato, di Fiona era
stato metallizzato e trasformato in uno strumento musicale.
L’Androgiphon.
I tasti montati sulle vertebre rilucevano nella penombra della stanza.
Papon tentò di divincolarsi, avvertendo i propri organi diabolicamente incastrati in quella gabbia
perfetta. Era stato intrappolato, per sempre.
<< E’ fatta. >> commentò Serge, soffiando nelle labbra della scultura. Ne uscì un suono strano,
ipnotico, ammaliante, che portò il bioporter ivi imprigionato in uno stato semi-comatoso.
Il cadavere di Randolph Burningham non contemplerà mai la bellezza di quell’artefatto, assassinato
opportunamente dall’automatica implacabile di Nisku.