Miraggi nel Desertec

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Miraggi nel Desertec
GREEN NEWS
13/06/2013
Miraggi nel Desertec
L’energia solare africana
non attraverserà il mare nostrum
VERONICA ULIVIERI
Desertec è tornato, purtroppo, ad essere un sogno. Pochi anni fa, l’idea di importare in Europa
l’energia solare prodotta nei deserti dell’Africa settentrionale sembrava sul punto di realizzarsi, poi il
terremoto politico che ha investito il Maghreb e la diffusione, oltre le previsioni, delle rinnovabili nel
Vecchio continente hanno portato a una battuta d’arresto, e a un successivo cambio di rotta. Il 31
maggio scorso, Paul Van Son, CEO dell’iniziativa industriale Desertec, un network di cui fanno parte
tantissimi grandi gruppi industriali come ABB oSaint-Gobin e, tra i membri italiani, Enel Green
Power, UniCredit, Italcementi, Terna, ha annunciato la retromarcia: “Solo una piccola parte
dell'energia rinnovabile prodotta in Africa settentrionale sarà importata in Europa”, ha
spiegato, aggiungendo che “onestamente, quattro anni fa, la fornitura di energia dal Nord Africa era
l’obiettivo di Desertec. Abbiamo abbandonato questa visione unidimensionale. Ora ci stiamo
concentrando sullo sviluppo di mercati integrati in cui le energie rinnovabili porteranno interessanti
benefici. Questo è l’obiettivo principale”. Sibillino…
Il nuovo approccio sembra che si focalizzerà sulla domanda interna dei Paesi MENA (Medio oriente e
Nord Africa) prima ancora che sulle grandi reti internazionali, per adesso troppo costose e complesse.
Le analisi della crescita del fabbisogno energetico di questa area, d’altra parte, non lasciano spazio a
dubbi sulla strada da intraprendere: la domanda di elettricità dei paesi del Sud del
Mediterraneo crescerà ad un ritmo del 5% annuo per il prossimo decennio, trainata da un
parallelo aumento demografico del 6-9%, e nel 2015 la richiesta di energia dei MENA ammonterà al
42% della domanda totale del bacino (nel 2006 era solo il 29%). Mentre il loro consumo energetico per
abitante è 3,5 volte più basso che nei Paesi del Nord, la loro domanda aumenta 4 volte più rapidamente.
L’anno scorso anche le grandi aziende italiane, che già facevano parte delle numerose associazioni e
gruppi di imprese concentrati sulle prospettive del Desert Power, hanno capito che il vento stava
cambiando. In un panorama molto frammentato in tante iniziative e soggetti, bloccati dalle incertezze
politiche generate dalla Primavera araba, hanno deciso di proporsi come catalizzatori della transizione.
Così, poco più di un anno fa, CESI, Edison, Enel Green Power, GSE, Politecnico di Milano e
PricewaterhouseCoopers hanno fondato l’associazione Res4Med , che oggi conta tra i soci
anche Asja Ambiente, Terna Plus, Università Bocconi, Politecnico di Torino. Durante
l’ultimoSolarExpo, a maggio scorso, si sono riunite alla fiera di Milano iniziative come OME,
Desertec, Medgrid, Medreg, e Medrec, insieme ai rappresentanti di sei paesi della sponda Sud-Est
(Algeria, Giordania, Libia, Marocco, Tunisia e Turchia) per fare il punto sull’effettivo sviluppo delle
rinnovabili, sull’efficacia delle iniziative e per individuare priorità e prospettive per il futuro. Nel 2008,
del resto, la Commissione Europea aveva già lanciato il Piano Solare Mediterraneo , appoggiando
l’importazione di energia dal Maghreb, ma oggi, spiega il segretario generale dell’associazione Roberto
Vigotti, “quel documento va rivisto”: “Stiamo elaborando raccomandazioni concrete da sottoporre
all’incontro Interministeriale Euro-Mediterraneo di metà dicembre a Bruxelles. Vogliamo
far capire che quella non è più una priorità per adesso e che bisogna piuttosto procedere con una
politica dei piccoli passi”.
A pesare sul cambio di passo, oltre all’avvenuto raggiungimento degli obiettivi europei del
pacchetto 20-20-20 senza bisogno dell’energia dei deserti, c’è anche l’instabilità politica, che
negli ultimi due anni ha messo in fuga investitori e capitali: secondo l’OCSE, solo tra il 2010 e il 2011, gli
investimenti diretti stranieri hanno subito una riduzione del 60%. “La primavera araba ha
congelato la situazione, facendo raffreddare anche gli investitori più entusiasti, come i
tedeschi e i francesi”, riflette Vigotti. Per le aziende e i soggetti raccolti nell’associazione serve un
approccio diverso: “L’idea iniziale di Desertec appariva come una cosa calata dall’alto, eurocentrica, e
necessitava oltretutto di ingenti investimenti e infrastrutture che oggi nei Paesi MENA non ci sono. La
nostra proposta è quindi di iniziare a fare partnership e joint venture per costruire
impianti più piccoli, da 50 o 100 MW, e rimandare il progetto originale di 20 o 30 anni”,
quando l’importazione di energia rinnovabile potrebbe aiutare effettivamente l’Europa a raggiungere gli
obiettivi ancora più ambiziosi che l’Ue porrà dopo il 2020. In quel momento, si prevede, le rinnovabili si
saranno largamente diffuse anche nel Nord Africa e del Medio oriente, e quei Paesi potranno essere
coinvolti in modo più paritario.
Le aziende italiane stanno seguendo questa strategia: “Enel Green Power partecipa alle gare in
Marocco per la costruzione di nuovi impianti rinnovabili. Italgen, del gruppo Italcementi, realizza in
Maghreb pale eoliche per alimentare i propri cementifici”. E il settore delle energie sostenibili
potrebbe essere anche la via per soddisfare la richiesta di maggiore occupazione dei
cittadini nordafricani e mediorientali, emersa con la Primavera araba e destinata ad aumentare:
una persona su tre a Sud del Mediterraneo ha meno di 15 anni e il numero di questa fascia di
popolazione supera il totale dei cittadini europei; inoltre, il numero di giovani che tra pochi anni
cercherà un lavoro supera il numero di posti di lavoro attuali. “Studi dell’OECD mostrano come i
progetti di energia rinnovabile abbiano più alte intensità di lavoro per unità di capacità
installata di quelli dei tradizionali combustibili fossili: per la produzione della stessa quantità
di MWh gli impianti fotovoltaici utilizzano almeno cinque volte più forza lavoro che gli impianti
tradizionali a carbone. Per l’eolico, si tratta del doppio. Inoltre i benefici sarebbero sia per la
manodopera qualificata che per quella più generica”, spiegano Roberto Vigotti e l’analista Roberta
Lusardi di Res4Med.
C’è ancora un nodo, però, che rimane da sciogliere: quello dell’accettazione di questi progetti da parte
dei cittadini. “Bisogna informarli – conclude il segretario generale, che le rinnovabili servono a creare
posti di lavoro e a ridurre l’inquinamento, altrimenti succede che questi impianti vengono percepiti
come frutto di inciuci tra la classe dirigente e le imprese straniere. In Marocco, per esempio, un campo
solare che si sta costruendo nel deserto e che fornirà energia ai centri abitati viene paragonato alla
grande moschea di Casablanca, fatta costruire dal re completamente a spese dei cittadini”.