Venezuela: la parola ai senza voce

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Venezuela: la parola ai senza voce
Venezuela: la parola ai senza voce
Radio, musica e media comunitari nel paese della rivoluzione bolivariana
La guerra dei media
La sede di Radio Alternativa de Caracas (RAC), una radio comunitaria, è situata all’ultimo piano
di un grattacielo nel centro della città. Dalle grandi vetrate si vedono brillare le luci dei quartieri
ricchi e, sulle colline, quelle delle piccole case autocostruite dei ranchitos, le favelas
venezuelane. Caracas è una metropoli di cinque milioni di abitanti, di cui il 70% vive ammassata
nelle periferie.
Ci accoglie Leonardo, uno dei più vecchi conduttori della radio.
“La nostra emittente trasmette dal 1999” ci spiega “e riusciamo a coprire tutta la città”.
In realtà gli operatori della radio hanno una lunga esperienza di comunicazione alternativa
precedente alla nascita di RAC. Molti erano muralisti, musicisti, teatranti, poeti, attivisti…
Tra loro il percussionista Willi rivendica orgoglioso: “Io ho più di 5000 cd con i migliori brani di
musica venezuelana che non vengono trasmessi da nessun’altra radio”.
Il palinsesto di RAC comprende molte trasmissioni musicali, ma c’è spazio anche per i
programmi culturali. Vi trasmettono l’Associazione di Vicinato del Quartiere La Candelaria, Il
Consiglio dei Diritti dei Bambini e delle Bambine e altre realtà di base.
RAC cerca di coniugare il rigore scientifico con la semplicità per farsi capire da tutti.
“Abbiamo anche programmi di filosofia” afferma Leonardo.
La radio è schierata politicamente dalla parte dell’attuale governo. Nel 2002, durante un fallito
golpe, gruppi di oppositori irruppero nella sede di RAC distruggendo le apparecchiature.
“Lo sviluppo dei media indipendenti” prosegue Leonardo “è cresciuto parallelamente al
movimento popolare che oggi appoggia il governo di Chavez”.
L’origine della mobilitazione risale alla rivolta del 1989 contro l’aumento della benzina che
scatenò una dura repressione con moltissimi morti tra la popolazione.
Alcuni militari, tra cui Chavez, si rifiutarono di sparare sulla folla.
Costituendo una rete clandestina nelle forze armate, gli ufficiali ribelli tentarono un colpo di
stato. Chavez fu imprigionato. Scarcerato da un’amnistia si presentò alle elezioni alla testa di
una coalizione formata da alcuni piccoli partiti di sinistra. Stupendo tutti gli osservatori, Chavez
divenne Presidente della Repubblica. Da allora i militari ribelli hanno portato avanti un
programma di riforme, vincendo a più riprese le elezioni e articolando il “processo bolivariano”
(da Bolivar, eroe della lotta di indipendenza dalla Spagna): integrazione economico-politica per
l’America Latina, assistenza medica gratuita per tutti, programmi di alfabetizzazione, riforma
agraria …
“Il governo di Chavez è un governo abbastanza moderato nonostante lo scandalo suscitato dai
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mezzi di comunicazione in mano all’oligarchia asservita agli interessi delle multinazionali” dice
Leonardo.
E’ stata proprio la mancanza di scrupoli delle televisioni private a suggerire al governo l’idea di
potenziare le radio e le TV comunitarie.
In Venezuela lo stato controlla solo il 26% delle emissioni radiotelevisive, mentre il resto è nelle
mani di alcuni grossi imprenditori. Dei piccoli imperi mediatici sullo stile della nostra Mediaset.
L’immaginario proposto da
queste TV è quello dei ricchi venezuelani con il mito delle vacanze a Miami, delle sfilate di
moda e dei reality show.
I media privati scatenarono, dopo le elezioni che videro la vittoria di Chavez, una campagna
per screditare il governo, colpevole di rivolgersi alla popolazione dei ranchitos, da sempre
emarginata dalla cultura ufficiale.
Riuscirono a diffondere il terrore della delinquenza (che ovviamente proveniva dai quartieri
poveri) e del regime “castro- comunista”.
In un crescendo di insulti (il Presidente veniva addirittura chiamato “scimmia” per i tratti
somatici da indio) e provocazioni, le TV private giunsero addirittura ad incitare al colpo di stato.
Il potere della parola
Inizialmente la risposta mediatica del governo si è basata quasi esclusivamente sul carisma di
Chavez.
Il Presidente, oratore incredibile, riesce a parlare anche per sei ore consecutive. Le sue
apparizioni pubbliche sono delle vere e proprie performance con il gusto della battuta ad effetto.
Quando nomina il Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, si fa il segno della croce e dice:
“Che Dio ci protegga!”. Nei suoi discorsi cita episodi storici, leggende, racconti popolari,
scherza, recita poesie e attacca pesantemente i suoi avversari. Gli abitanti dei ranchitos lo
comprendono perfettamente, il Presidente parla la loro lingua infatti, non quella degli intellettuali
dei quartieri alti.
Chavez sembra incarnare una versione tropicale del rapper Chuck D: stessa passione per le
uniformi, uguale modo di parlare diretto ed esplicito, stessa volontà di riscatto per gli oppressi e
soprattutto stesso controllo della parola. Del resto, il Presidente venezuelano ama la musica ed
è lui stesso autore di testi di famose canzoni. Appassionato alle ballate epiche, accompagnate
dall’arpa, della tradizione llanera (dell’interno del paese), Chavez appare spesso sulle copertine
dei cd.
Anche il nazionalismo proposto dal Presidente venezuelano non è lontano dal nazionalismo
nero di Chuck D: entrambi fanno appello ad una nazione sradicata e composita nelle sue
influenze culturali. Forse non è un caso che tutti i maggiori intellettuali di riferimento per il
nazionalismo afroamericano negli USA (Garvey, Fanon, Aimè Cesaire) siano nativi di isole che
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distano poche miglia dalla costa del Venezuela. Trinidad, patria di figure importanti per la
cultura degli afroamericani, come C. L. R. James e George Padmore, è lontana solo 11 km
dalle spiagge del paese. Nell'isola si sviluppò negli anni ‘70, un movimento ispirato alle Black
Phanters. Nel 1990 un mussulmano nero, Iman Yasin Abu Bakr, affascinato da Gheddafi, tentò
un colpo di stato a Trinidad ottenendo un certo seguito tra gli abitanti dei quartieri più poveri.
In tutto il Venezuela permangono tradizioni tramandate dai discendenti degli schiavi neri. In
molte località, il giorno del Corpus Domini, si celebra la processione dei Diablos Danzantes, in
cui si sfoggiano maschere e si danza con ritmi di chiara origine africana. In Venezuela il
carnevale è una delle festività più importanti. Per l’occasione le scuole e gli uffici restano chiusi
un’intera settimana. Nelle cittadine della costa si svolgono sfilate di carri accompagnate da
musiche e balli. Come a Trinidad le danze di carnevale rivelano le loro antiche radici africane. A
Choroni, in un suggestivo scenario, sulla riva del mare, circondati da fitte foreste, abitate da
scimmie, puma e tapiri, gli abitanti del paese si riuniscono tutti i venerdì, dopo il tramonto, per
realizzare performance percussive.
Liberare la memoria
Il fascino esercitato da Chavez si radica nella tradizione popolare venezuelana e caraibica. Ciò
ha permesso al Presidente di diventare un simbolo di riferimento per gli operatori e gli attivisti
che da tempo lavoravano all’interno dei circuiti culturali alternativi. Di qui la nascita delle radio
comunitarie come RAC: il governo, piuttosto che limitare con misure autoritarie la libertà di
espressione dell’opposizione, ha preferito finanziare i media alternativi. Le radio a loro volta
danno spazio alle iniziative sociali del governo come le “missioni” di alfabetizzazione, di
medicina gratuita…
Così Leonardo descrive il lavoro di RAC: “Prendiamo i soldi dal governo, ma il nostro obbiettivo
è quello di essere indipendenti anche da un punto di vista economico. Se una scuola di teatro,
ad esempio, vuole avere uno spazio nel palinsesto partecipa anche con una piccola quota alle
spese della radio. Le pubblicità devono avere un significato sociale. Le decisioni le prendiamo
tutti insieme, in assemblea. Vogliamo dare la voce a chi non viene ascoltato. Facciamo parlare
le comunità di base. In campo musicale cerchiamo di valorizzare le produzioni locali, di tutti i
generi, ma venezuelane. Abbiamo dei buoni programmi di salsa. Dobbiamo opporci al
colonialismo culturale”.
Secondo molti attivisti, tra i venezuelani più poveri si sono sviluppate, proprio a causa della loro
emarginazione, delle forme di cultura alternativa di grande interesse. La loro valorizzazione è
un obbiettivo dei conduttori delle radio comunitarie.
Cantano i membri della band reggae carachena dei Jahbafana, su di un poderoso tappeto
percussivo, accompagnati da una straziante chitarra elettrica:
“Quello che racconta la cultura ufficiale/ dimentica la mia cultura orale/ questo non è un atto
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casuale/ però l’eredità della mia cultura orale/ è la grandezza della mia dignità./[…] Andiamo a
liberar la memoria”.
Una memoria di sangue, oppressione e rivolte.
Nel 1795 Josè Leonardo Chirinos, figlio di un nero e di una donna india, ispirato dalla vittoriosa
insurrezione degli schiavi di Haiti, guidò una rivolta contro le autorità spagnole. Chirinos fu
impiccato l’anno successivo nella Plaza Mayor di Caracas.
Da allora le ribellioni si sono susseguite fino ai giorni nostri.
Le culture indie, come anche quelle dei discendenti degli schiavi africani, sono oggi protette e
integrate nel movimento bolivariano. La costituzione ha riconosciuto le lingue delle popolazioni
native come lingue ufficiali. Il capo indio Carapaica, che resistette ai conquistadores alla metà
del XVI secolo, è celebrato da grandi murales, mentre gli studenti dell’Università Bolivariana
apprendono le conoscenze indigene delle piante medicinali.
Radio Alternativa de Caracas ha fornito assistenza tecnica alle comunità dell’Alto Orinoco per
installare l’emittente La Voz del Caciquiare, prima radio indígena del paese.
I media comunitari sono diventati, dunque, uno strumento diffuso in tutto il Venezuela e
comprendono attualmente 467 giornali, 9 televisioni e 38 radio.
I giovani dei ghetti
Nel quartiere di Coche, tra le case popolari e le piccole abitazioni dei ranchitos, ha sede Radio
Alì Primera. Il nome è quello del più celebre cantautore rivoluzionario del Venezuela, morto in
un incidente automobilistico negli anni ‘80. Nonostante le canzoni di Alì Primera fossero delle
semplici ballate accompagnate dalla chitarra acustica, la sua figura è tuttora molto rispettata.
Oggi la canzone di protesta trova molti interpreti, in essa si esprimono le tante anime del
movimento bolivariano. Diverse sono le canzoni dedicate alla guerriglia e al Che. I Guaraguaos
hanno composto Del Fusil y el Evangelio dove si afferma la necessità di unire fucile e Vangelo
per realizzare “l'insegnamento rivoluzionario di Cristo”. Per tutti gli artisti militanti Alì Primera, “el
Cantor del Pueblo”, è un modello a cui ispirarsi. Perfino i rappers lo ammirano per la sua
capacità di parlar chiaro e di attaccare, senza compromessi, il potere costituito.
I conduttori di Radio Alì Primera sono ragazzi giovanissimi che trasmettono programmi di rap e
di heavy metal in modo ancora abbastanza artigianale.
“Appoggiamo il governo e il processo bolivariano, ma non facciamo propaganda esplicita,
siamo una radio indipendente” dice un dj.
I ragazzi si impegnano molto, ma ancora la radio non è riuscita a conquistare gli ascoltatori più
anziani del quartiere, appassionati di salsa, musica llanera e di serie discussioni politiche. Il
risultato maggiore degli operatori della radio è stato, per ora, quello di coinvolgere i giovani del
quartiere alle prese quotidianamente con emarginazione, microcriminalità, gravidanze minorili e
tossicodipendenza.
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Tra i giovani dei ghetti urbani, da qualche anno a questa parte, si è affermato il linguaggio
esplicito del reggaeton. Questa musica è ispirata al ragga giamaicano, da cui ha ripreso la
scarna ritmica in levare aggiungendovi suoni elettronici di matrice latina. Giunto in Venezuela
dalla vicina isola di Portorico, il reggaeton ha trovato ben presto degli interpreti locali. Ai celebri
nomi delle star caraibiche, come l’ex pastore evangelico Don Omar o il duo Hector y Tito, si
affiancano quelli dei venezuelani Mr. Bryan o Doble Impacto. I testi del reggaeton sono
caratterizzati da una forte carica sensuale, tanto da meritarsi l’appellativo di “musica erotica”.
Ragazze seminude e ammiccanti sorridono dalle copertine dei cd di reggaeton, masterizzati
artigianalmente e venduti sulle bancarelle nel centro di Caracas, talvolta senza nemmeno i titoli
delle canzoni. La maggior parte del commercio di cd si realizza in strada, scavalcando ogni
pretesa delle etichette discografiche. Sono gli abitanti dei ranchitos che, per sbarcare il lunario,
si inventano ogni sorta di attività e il commercio di cd masterizzati si è rivelato un buon
business. A quanto pare in Venezuela non esistono problemi di copyright!
Visto il clima politico che si respira nel paese non manca, ovviamente, il reggaeton militante. E’
facile ascoltare infatti, su di una secca base ragga, il “saluto a tutti i rivoluzionari del Venezuela
ed al Comandante Hugo Chavez”.
Cinque secoli resistendo
Anche alcuni gruppi musicali di successo si sono schierati esplicitamente a favore del governo.
La band di salsa Grupo Madera ha inciso l’inno Uh! Ah! Chavez no se va!, che include un
riuscito intervento del giovane rapper Pablo MZ, membro della posse La Septima.
Il Grupo Madera, un’orchestra con un gran numero di fiati e percussioni, si è formato nel 1978
ed ha al suo attivo molti tour in tutta l’America Latina. La band è capitanata dal carismatico Pibo
Marquez, nato nel quartiere chiamato 23 de Enero, il cuore della resistenza popolare di
Caracas. Il quartiere, fatto di grandi casermoni dalle piccole stanze in cui si affollano famiglie
anche di quindici persone, è stato negli anni ‘60 la base operativa dei gruppi guerriglieri che
tentavano di imitare in Venezuela l’esempio della rivoluzione cubana. La polizia non osava
mettervi piede, nemmeno di giorno, se non con un grande spiegamento di forze.
Recentemente il Grupo Madera ha partecipato ad una serie di concerti di protesta sotto
l’ambasciata USA, organizzati dal Movimiento Revolucionario Tupamaro, una formazione di
guerriglia urbana rientrata nella legalità dopo l’elezione di Chavez e fortemente radicata nel 23
de enero.
“Baila y defiende”, balla e difendi, il motto che da sempre accompagna la musica salsa è
interpretato dal Grupo Madera come un impegno a “profondizar”, approfondire, il processo
bolivariano.
Un’altra band molto impegnata è quella dei Sontizon. Questo gruppo si definisce un “collettivo
di musicisti eclettici nato nell’agosto del 2000”. Tra i suoi membri ha annoverato anche l’attuale
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assessore alla cultura del Comune di Caracas, un giovane dai lunghi dread e i molti orecchini.
Il sound dei Sontizon è “tradizionale e urbano: integra salsa, bolero, timba, afrovenezolano, hip
hop, poesia… Ricercando la relazione viva e diretta con lo spettatore”. Un loro brano si intitola
Mission Robinson ed è dedicato alle missioni di alfabetizzazione organizzate dal governo.
Il gruppo è tra gli animatori del Nucleo Endogeno Cultural Tiuna el Fuerte nel quartiere
popolare di El Valle, alla periferia di Caracas. Questa associazione si propone di costituire un
Centro Sociale ispirato ai centri sociali italiani, conosciuti dai Sontizon durante un loro tour nel
2004. Naturalmente il concetto di “sviluppo culturale endogeno” non significa assolutamente
chiusura verso gli scambi con l’estero. Sono proprio i gruppi più militanti a ricercare connessioni
con i circuiti controculturali internazionali. Un brano dei Sontizon ad esempio cita le T.A.Z.,
Zone Temporaneamente Autonome, ideate dall’intellettuale underground statunitense Hakim
Bey.
I contatti internazionali sono facilitati dalla grande diffusione dei computer. Il governo ha
installato nei quartieri popolari molti Internet Point, dove si utilizzano spesso programmi open
source.
I muri di Caracas sono coperti di scritte che esortano alla solidarietà con le lotte di palestinesi,
irakeni, colombiani, baschi; oppure inneggiano a movimenti underground come quello anarcopunk.
In Venezuela, del resto, esiste una ricca scena punk hardcore e soprattutto ska. Dopo il
successo della band di Caracas Desorden Publico, formatasi alla fine degli anni ottanta, è nata
una vera e propria scuola ska venezuelana.
I Palmeras Kanibales sono una delle ska band più attive. Estremamente politicizzati, hanno
suonato anche in Chiapas durante un incontro con gli zapatisti. Nella loro musica la ritmica dello
ska è accompagnata da distorte chitarre punk e psichedeliche. I loro testi rivendicano
l’appartenenza ad una tradizione di lotta che nel tempo si è modificata senza perdere la sua
autonomia radicale dalla cultura dominante.
“Cinque secoli resistendo” cantano i Palmeras Kanibales “mantenendo sempre la nostra
essenza/ questa essenza è dentro di noi per sempre”. In questo brano i giovani musicisti ska
sono accompagnati del flauto tipico della tradizione andina del nord-ovest del Venezuela.
Spesso i Palmeras Kanibales usano strumenti sudamericani e ritmi ispirati alla salsa o alla
capoeira senza per questo abbandonare il suono aggressivo delle chitarre elettriche.
Leonardo Landi su Alias n°16 del 23 aprile ‘05
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