Alle porte del mondo primi capitoli

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Alle porte del mondo primi capitoli
Ilenia Bellezza
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Alle porte del mondo
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ALLE PORTE DEL MONDO
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Autore: Ilenia Bellezza
© 2014 - Ilenia Bellezza
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www.ileniabellezza.it
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© Tutti i diritti riservati all’Autrice.
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il
preventivo assenso dell’Autrice.
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Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi, ed eventi narrati sono il frutto della
fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.
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A Donatella, mia madre
Per avermi insegnato
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ad amare ed essere amata
Quand’è forte l’amore, anche il più lieve sospetto
è già paura; e se il timore cresce l’amore avvampa impetuoso anch’esso...
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William Shakespeare
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Sierra Leone, 1995
«Devi decidere che tipo di uomo vuoi diventare
da adulto. Non lasciare che la società scelga per
te. Aspira a qualcosa di grande, aspira a qualcosa
che ti renda migliore. Dedicati a un ideale per cui
batterti e ricorda sempre da dove vieni, perché il
mondo ha bisogno dei tuoi occhi per vedere.»
«Il mondo è troppo grande mamma.»
«Un piccolo uomo può fare grandi cose Aleksander. Ma devi tenere segreta questa parte di te.
Perché nell’ombra riesci ad arrivare alla luce senza far tuonare il cielo.»
«Il cielo qui non tuona mai.»
«Presto tuonerà… e dovrai essere pronto ad
ascoltare il suono della pioggia.»
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I
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Mi sono sempre chiesta cosa si è disposti a
fare per amore, e in questi giorni mi sono data la
risposta. Non esistono confini, regole o razionalità. Quando si ama si ama e basta, e questa totale
ammissione ti trasforma in una persona diversa.
Una persona in grado di compiere pazzie.
Io mai avrei mentito alla mia famiglia. Mai
avrei nascosto la verità a Samantha. Eppure è
quello che sto facendo.
L’ultima carta, per la salvezza, me la sono giocata quando gli ho detto che lo avrei seguito. Da lì
tutti i miei sforzi per frenare un treno in corsa
sono stati vani.
La sua vita è una giostra in continuo movimento e per scendere sono consapevole di dover
fare un salto estremo. La verità è che non ne sarei
capace. E non per la paura di farmi male, ma per
la mancanza di coraggio. Quello in grado di farti
dire “no”. Una semplice e diretta parola che ad
Aleksander Savi non riesco a dire.
Sul mio futuro ho poche certezze, ma mi basterebbe affrontare il presente e riuscire a dire a
Samantha che sto per partire, invece di continuare a vagare per il centro di Como fingendo che
vada tutto bene.
«Quindi scusami non ho capito. Dove siete
stati ieri?» mi domanda osservando una polo azzurra che vorrebbe comprare per Tommaso, il
suo fidanzato.
Lei è la mia più cara amica. Così diversa da
me con i suoi capelli ricci e mori da sembrare due
opposti, ma nell’animo siamo due gocce d’acqua.
Fino a oggi l’unica cosa a dividerci sono stati
i chilometri tra Milano e Como. Ma da quando
sono ritornata in questa città le cose sono cambiate. Per la prima volta sto cercando di nasconderle la verità, e mi pesa più farlo a lei che ai miei
genitori.
Probabilmente il fatto di averli lontani, in
vacanza per le città d’America, mi aiuta a sentir-
mi meno in colpa. Ma è un sollievo fugace quanto
il buon senso che non so più riconoscere.
«Ecco... veramente...»
«Cosa ne pensi di questa?» Si gira di colpo mostrandomi una maglietta rosa cipria.
Faccio una smorfia di disapprovazione, è terribile.
«Capito» e la posa immediatamente.
«Quindi?»
«Niente di che, siamo stati a... Como» mento.
Parlarle di Conzano e del motivo della nostra
visita in quel piccolo paese porterebbe a spiegazioni che non voglio dare. È la vita di Aleksander,
una vita segnata da troppo dolore per poterlo anche solo raccontare.
«Pensavo che ti avesse rapita. Non ti ho più
sentita. Ho provato a chiamarti e il telefono era
sempre irraggiungibile.»
«Era scarico scusa.»
«Anche prima?»
«Come?»
Una scossa lungo la schiena.
«Un paio d'ore fa ho provato a chiamarti. Volevo chiederti se ti andava di pranzare insieme ma
era staccato.»
«Ero... ecco... impegnata.»
«Per le serate di beneficenza?»
«Non ne abbiamo più fatte» ammetto a brucia
pelo. Poteva essere una buona scusa ma le parole
mi sono uscite spontanee.
Dopo che Flora, la zia di Aleksander, ha saputo
di noi, il suo atteggiamento è cambiato. Non si è
più presentata alla villa e tanto meno mi ha cercata. Cosa che, lì per lì, mi è sembrata strana visto che mi sono fermata a Como, proprio, per
darle una mano nell’organizzazione di alcune serate di beneficenza.
Quando Giorgio mi ha consegnato una busta,
da parte di Flora, con le specifiche di un conto
aperto e una carta di credito a mio nome, l'ho
chiamata all'istante. Per un attimo non sapeva
cosa dirmi. Era in difficoltà. Si è giustificata dicendo che riguardava il mio compenso per il periodo di lavoro. Un compenso che andava oltre
uno stipendio medio di un mese. Peccato che io
ho lavorato solo un paio di settimane. Le ho ripetuto più volte che non potevo accettare ma lei ha
insistito così tanto che ho tenuto la carta. Ma non
la userò mai, questo è certo.
Ho evitato di parlarne ad Aleksander, si sarebbe solo infuriato, considerando il rapporto travagliato che ha con loro. Dalla morte dei suoi genitori la convivenza con i suoi zii è andata peggiorando. Rancori, bugie e segreti hanno segnato le
vicende di questa potente e, allo stesso tempo,
fragile famiglia.
A preoccuparmi non è quello che è successo a
Jon Savi e Evelyn Rouse, i genitori di Aleksander,
ma piuttosto quello che potrebbe ancora accadere.
Quando siamo stati a trovare Jayani, una donna indiana a lui molto cara, mi sono resa conto di
quanto dolore fomenti l’animo di Aleksander.
Jayani è anziana, combattiva, ma serena. Nonostante le torture dice di aver perdonato i mandanti di quel delitto.
Il 3 febbraio 1995, è la data maledetta. Una
data che nessuno dimenticherà mai. Sopratutto
lei che ha assistito. È stata risparmiata perché il
fato ha voluto così, ma le profonde cicatrici che le
sfigurano il volto non le faranno mai dimenticare
le urla di Evelyn. Da allora ha continuato a fuggire diffidando delle persone fino a quando Aleksander non l’ha ritrovata nello scantinato di una
palazzina nella periferia di Londra. Mal nutrita e
privata di ogni dignità.
Per lei il perdono è la sola arma che abbiamo
per distruggere il dolore - e credo che non ci sia
nulla di più vero - ma non sono sicura che Aleksander condivida il suo pensiero.
«Qui non c’è nulla, andiamo a fare un giro nel
negozio accanto?» mi domanda Samantha.
«Okay» rispondo, riportando l’attenzione su di
lei. La seguo come un segugio. Sento che è il
momento giusto per parlarle ma, con la coda tra
le gambe, ritorno sui miei passi. Ha ragione Aleksander. Non troverò mai il coraggio di dirglielo.
«Posso aiutarvi?» Si avvicina una commessa.
«Diamo solo un’occhiata» risponde Samantha.
«Se avete bisogno sono qui.»
«Grazie.» Poi si gira verso di me. «Non so se
riuscirò a trovare qualcosa. Oggi è una giornata
no.»
«Come mai?» incalzo sollevata di poter cambiare discorso.
«Ho litigato con Tommaso... Bè non proprio
litigato ma ci siamo andati vicini. Da quando gioca in questa squadra di calcetto, tutti i venerdì
pretende di uscire da solo. Non che io glielo vieti,
ma mi piacerebbe, per una volta...»
Samantha continua a parlare e io mi perdo tra
le righe del suo discorso, formulando nella mente
l’inizio del mio.
«Sabrina mi hai sentita?»
«Cosa? No, sì, sì ti ho sentita.»
«Quindi? Cosa ne pensi?»
In questo momento sto pensando al modo migliore per dirti che sto per lasciare il paese e seguire l’uomo che amo in giro per il mondo. «Penso che dovremmo prenderci un gelato» esordisco.
Ho un calo di zucchero e se non mangio subito
qualcosa svengo diretta sul pavimento del negozio.
Usciamo.
«Non hai ascoltato una parola vero?»
Non esattamente, qualcosa ho sentito ma per
affrontare il discorso ho bisogno di cioccolato.
«Ti dispiace se prendiamo prima un gelato?
Non riesco a connettere altrimenti.»
«Non hai mangiato oggi a pranzo?»
«Veramente no.»
Aleksander è dovuto uscire per delle faccende e
io, rimasta sola a casa sua, non mi sono preparata
nulla. Li per lì non avevo fame, per il pensiero
dell’appuntamento con Samantha, ma ora lo
stomaco sta brontolando.
Ci avviciniamo alla gelateria. Dopo una breve
coda prendo un maxi cono tutto variegato al cioccolato. Una bomba iper calorica buona da far impazzire.
«Wow! Avevi proprio fame» commenta Samantha vedendomi già in procinto di finirlo.
Siamo sedute su una panchina dei giardini accanto al porto. La giornata è splendida anche se il
caldo di luglio inizia a farsi sentire.
«Ne vuoi un po’?»
«Gustatelo pure. Vedo che ne hai bisogno.»
Mangio il cono in completo silenzio.
«Sei diversa» mi fa notare.
«Dici? Forse è la coda di cavallo.»
«Non sto parlando dei capelli. Sto parlando del
tuo viso.»
«Ah! Ho qualche pustola per caso?»
Magari dopo il cioccolato degli ultimi giorni il
mio corpo inizia a rispondere con eruzioni vulcaniche.
«Ma no!» sorride. «Hai una luce negli occhi,
qualcosa di diverso. Forse è il sole di oggi a confondermi.»
«Probabile.» Prendo un respiro pulendomi
soddisfatta la bocca. «Bene, ora sono tutta orecchie. Quindi hai messo in croce il povero Tommaso per qualche venerdì passato con gli amici,
giusto?»
«Mi ascoltavi allora.»
«Il pezzo più importante.»
«Non l’ho messo in croce.»
«Immagino.»
Conoscendola gli avrà fatto una ramanzina da
cinema.
«Ma tu da che parte stai?»
«Dalla parte dei buoni.»
«Sicura?»
A tempo ci giriamo verso una voce alle nostre
spalle e nell’istante in cui lo vedo il mio cuore
prende a battere velocemente. In piedi, a qualche
metro di distanza con gli occhi lucenti e un sorriso dolce quanto il mio, trovo Aleksander. L’angelo dalle ali spezzate, che mi ha insegnato a sollevarmi da terra fino a volare. Ma finché lui non si
risolleverà, io preferirò sempre il freddo asfalto
alla soave morbidezza delle nuvole sopra di noi.
«Ciao» dice guardandomi dritto negli occhi,
mentre io memorizzo ogni particolare del suo
volto. I capelli castani, le labbra carnose e quell’azzurro infinito capace di attraversarmi con un
solo sguardo.
È da stamattina che non lo vedo e dopo gli ultimi giorni passati incollati l’uno all’altra mi è
sembrata un’eternità.
Mi alzo e senza indugiare gli vado incontro e lo
abbraccio. «Ciao» mormoro premendo il viso sul
suo petto baciando un angolo della pelle scoperta
dalla camicia.
Quanto mi è mancato...
Possibile che l’amore crei dipendenza? Queste
ore passate lontani sono state una tortura. Andavo cercando per la villa qualcosa che avesse il suo
profumo. Mi sono ritrovata avvinghiata al cuscino del letto, con le cuffie dell’Mp3 alle orecchie
ascoltando la canzone Not About Angels di Birdy.
Non so quante volte l’ho riascoltata.
«Stiamo dando spettacolo.» Aleksander con un
certo divertimento mi fa notare l’imbarazzo di
Samantha. Non sa più dove guardare e io mi
stacco all’istante.
«Ciao Samantha.» Garbatamente la saluta.
«Ciao Aleksander.»
«Scusate l’interruzione ma vi ho visto e ho pesato di venirvi a salutare.»
«Figurati non ti preoccupare. Hai fatto benissimo.» Si affretta lei compiaciuta per non so quale ragione.
«Tu e Tommaso siete liberi stasera?» chiede
Aleksander di colpo.
«Sì» risponde un po’ titubante e io di rimando
osservo lui.
Dove vuole arrivare?
«Mi piacerebbe avervi a cena da me. Sarà un
modo per salutarci visto che domani io e Sabrina
partiremo.»
Cosa?! Oh no Aleksander!
«Partite?»
«Sì, non te l’ha detto?» e mi lancia un’occhiata
come a dire: "Lo sapevo".
«Stavo per farlo.» Provo a spiegarmi ma ormai
il disastro è fatto.
«Davvero?» incalza lui.
Gli do una gomitata e sorride. Non soddisfatta
cerco di spostarmi e Aleksander mi avvolge tra le
braccia.
«La vuoi finire?» bisbiglio senza riuscire a nascondere a me stessa che nel suo abbraccio ci sto
davvero bene.
«Vieni qui.» Si avvicina per baciarmi e veniamo interrotti dalla voce impacciata di Samantha.
«Io allora… mmm… vado ad avvisare Tommaso. Grazie per l’invito Aleksander. Per che ora...»
«Per le 20:00?» Si precipita lui senza distogliere gli occhi da me.
«Perfetto, ci vediamo dopo.»
Samantha si allontana quasi correndo. Appena
la vedo attraversare la strada e dileguarsi do un
pizzicotto sul braccio ad Aleksander.
«Ahi!» protesta ma sono sicura che nemmeno
l’ha sentito.
«Ma che ti dice il cervello?»
«In questo momento?» domanda malizioso.
«Aleksander!»
«Sei arrabbiata?»
«Tu che dici?»
«Mi piace quando sei arrabbiata. Diventi
così…» Lo interrompo premendo una mano sulla
bocca per zittirlo.
Le persone ci stanno osservando e non so se sia
più il suo atteggiamento o le sue parole a farmi
arrossire.
«Tu non hai solo un problema, hai una marea
di problemi. Nemmeno riuscirei a contarli.»
Sorride ignorando le mie parole e appoggiando
la fronte alla mia sussurra: «Quanto mi sei mancata» la sua voce vellutata, profonda, mi da le
vertigini.
Sollevo il mento per baciarlo, lui alza una
mano accarezzandomi, ma nell’andargli incontro
noto una macchia di sangue sul polsino della camicia.
«Cosa ti sei fatto?»
«Un graffio con le chiavi della macchina» spiega con disinvoltura.
Scosto la camicia e noto un taglio più che un
graffio e capisco che le chiavi della macchina
c’entrano poco.
«Dovrebbero darti il porto d’armi anche per le
chiavi della Porsche. Guarda che taglio.»
«Sabrina è solo un graffio.»
«È sempre solo un graffio, giusto?» Lo guardo
con decisione.
«Sabrina…» mi prende il viso tra le mani. «…
andiamo a casa per favore. Mi sei mancata da
morire, voglio solo dimenticarmi di queste ultime
ore passate lontane e basta.»
«Anche tu mi sei mancato» ammetto sospirando.
«Davvero?» mi sorride. «Dimmi allora perché
hai spento il cellulare dalle 12:00 alle 15:30?»
La sua domanda improvvisa mi spiazza.
«Hai provato a chiamarmi?»
Sto valutando la sua espressione. Continua a
sorridere ma senza coinvolgere gli occhi. Due
gemme rare che dovrei temere per ragioni diverse.
«Rispondimi» mormora.
«Ero in giro e involontariamente l’ho… l’ho
spento trafficando con la borsa... si è staccata la
batteria. Ormai è da rottamare quel povero cellulare» mi sforzo di sorridere mascherando il panico che sento. Per fortuna è davvero in pessime
condizioni. Mi è già caduto tante di quelle volte
che non gli viene difficile credermi.
Il suo sguardo si addolcisce e io mi rilasso. «Mi
hai fatto preoccupare, lo sai?»
«Per così poco?»
«Sei un pensiero costante» e nel dirlo diventa
spaventosamente serio.
Lo è anche lui, il mio unico pensiero, l'unico
cui dedico tutto il mio tempo e attenzione. Stringo con una mano la borsetta a tracolla. All'interno custodisco l'agenda rossa regalatami da Flora,
il mio diario segreto. Non me ne separo mai. Ma
solo nelle ultime ore ho riversato tra le sue pagine
tutte le mie supposizioni. Il lavoro di Aleksander
continua a non essermi chiaro a partire dalla
consegna del corpetto di diamanti. Non so chi sia
il suo cliente e sopratutto non so se lo sia davvero.
La prima cosa a confondermi è stato il corriere
di questa mattina. Aleksander si è affidato a una
società esterna per spedire la valigia contenente il
gioiello. Ho osato chiedere perché non lo portasse con sé, e lui con sarcasmo ha risposto "Non lo
puoi mica nascondere nel taschino della camicia
Sabrina o limitarti ad indossarlo."
Cosa c’entrasse il taschino della camicia non
l'ho ben capito, ma me ne sono guardata dal
chiedere. Si indispettisce quando domando del
suo lavoro quindi lascio che me ne parli lui.
Non posso nascondere però una certa eccitazione, ad Aleksander diverte tenermi sulle spine e
a me piace indagare.
Il delitto della sua famiglia l’ho sempre considerato il primo tassello, la scintilla che ha scatenato l’incendio che ancora oggi lo divora. Ma non
ne sono più sicura.
Mi sono concentrata troppo su ciò che è successo dopo tralasciando l’inizio, il vero inizio e
forse l’unico che può spiegarmi qualcosa.
A tutto c’è una motivazione.
L’odio porta ad altro odio, è vero, ma fra due
fratelli prima ancora c’è l’amore, e quindi: Jon e
Victor Savi, cosa li ha portati ad allontanarsi?
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II
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Sono le 18:20 ed è da un’ora che sto aspettando
Aleksander nella mia stanza. Confinata in attesa
che si ricordi di me, e la cosa mi infastidisce profondamente. Credevo che avremmo passato del
tempo insieme, invece è stato trattenuto da una
telefonata.
L’ennesima.
Per tutto il tragitto di ritorno a Cernobbio non
ha fatto altro che rispondere a chiamate, suppongo, di lavoro.
È sempre così difficile capire con chi parla al
telefono. Sono quasi convinta che usi delle parole
in codice perché non gli ho mai sentito pronunciare la parola diamante.
Insolito visto che proprio di questo si occupa.
Ma ora sono stanca di aspettare. Ho cercato di
ammazzare il tempo iniziando a prepararmi per
la serata. Ho indossato un vestito nero senza
troppe pretese, scelto principalmente per il tessuto leggero. E adesso, con i sandali dondolanti tra
le mani, sto scendendo la grande scalinata di
marmo bianco a piedi nudi. Speranzosa vado verso la cucina, ma entrando non lo trovo. Avevo
chiaramente sentito dei rumori. Infatti il forno è
acceso anche se il piano da lavoro è perfettamente pulito.
Dove si è nascosto?
Sbircio attraverso il vetro del forno, e vedo una
capiente terrina in ceramica coperta da una carta
alluminio.
Il profumo è dolce e deliziosamente invitante.
Mi guardo attorno, infilo i sandali e decido di
rendermi utile apparecchiando la tavola.
Apro un cassetto della credenza, prendo il necessario e ritorno nel salone principale. Cenare in
questa villa con Samantha e Tommaso sarà strano, ma l’idea mi emoziona. È la prima serata ufficiale accanto ad Aleksander. Be’ ufficiale per Samantha. Alla serata di beneficenza ci siamo già
presentati come una coppia anche se tutto era
successo quello stesso pomeriggio.
Ricordo ancora la confusione che provai. In un
certo senso non mi ha mai abbandonato.
Mi avvicino al tavolo rettangolare in cristallo e
distendo una bellissima tovaglia di lino grezzo.
Poi passo ai piatti di porcellana bianchi. Prendo
le posate, i bicchieri e finisco di apparecchiare.
Mi allontano di qualche passo per valutare e
soddisfatta afferro il telecomando del lettore cd.
Ho proprio voglia di ascoltare un po’ di musica.
Alzo il braccio in direzione del mobile e...
«Miriam?» mormoro tra lo spavento e lo stupore.
«Buona sera signorina.»
«Buonasera...»
Miriam è la cameriera assunta da Aleksander
per sostituire Beatrice. Ha un viso giovane dai
tratti orientali. Rigorosamente nella sua divisa
azzurra con grembiule bianco ricamato mi osserva con le mani giunte. Mi fa tenerezza. Era da
giorni che non la vedevo e tutto un tratto me la
trovo di fronte.
«So che stasera avete ospiti e sono stata incaricata dal signor Aleksander di preparare la cena.
Ho già apparecchiato fuori signorina. Mi è stato
detto di fare così» si giustifica vedendo la mia
espressione interrogativa.
Guardo la tavola visibilmente imbarazzata.
Pensavo che Aleksander mi rendesse partecipe
almeno di queste cose, invece devo constatare
che le sue regole non sono cambiate.
«Non lo sapevo, scusami Miriam, riordino subito.»
«Lasci signorina faccio io.»
«Non c’è bisogno, davvero.»
«Insisto» dice con allarmismo.
Mi blocco. Forse ha paura di essere ripresa o
peggio licenziata come Beatrice. Meglio lasciarla
fare.
«Va bene... allora... ritorno in camera. Grazie
Miriam.»
Cos’altro potrei fare? Probabilmente Aleksander è nel bunker e non mi piace disturbarlo
quando si rifugia lì dentro.
«Scusami Miriam ma come sei arrivata qui?»
domando incuriosita. Non mi sono accorta di
nulla.
«Mi ha accompagnata Giorgio signorina. Se ha
bisogno di lui lo trova nella dependance.»
Ah! Certo Giorgio! Ormai è una figura importante, non dico sia diventato il suo braccio destro
- quel posto è riservato esclusivamente a Oliver
Padrini, il suo avvocato - ma il rapporto lavorativo è andato consolidandosi, tanto che non riesce
a fare a meno della sua presenza.
Lui non lo ammetterà mai, ma si fida di Giorgio, e la relazione extra coniugale con Flora
c’entra poco. Anzi a dirla tutta, sono convinta
non c’entri affatto. Sì, io stessa ho notato un certa
confidenza fra loro ma ho capito che è abitudine
di Giorgio dare del tu un po' a tutti. Tranne a Victor naturalmente. Quell'uomo bisogna prenderlo
con le pinzette. Oggi ti sorride domani chi lo sa, è
lunatico peggio di suo nipote. E qui ritorno alla
mia convinzione iniziale.
Aleksander ritrae il peggio di loro, ma con me
non attacca. Posso dargli ragione sui modi burberi di Victor - oltretutto somigliano molto ai suoi ma non sulla presunta infedeltà di Flora.
Mi avvio verso le scale. Le risalgo sbirciando il
mobile a specchio dell’ingresso. Quello che nasconde il passaggio che conduce al garage e a sua
volta al bunker. Mi domando se Aleksander sia lì
o nella sua camera.
Colta dalla curiosità - arrivata al piano di sopra- percorro silenziosa il lungo corridoio. La sua
stanza è l’ultima in fondo a sinistra.
Quasi a qualche metro rallento sollevando i talloni per non fare rumore. Mi fermo di fronte alla
porta, accosto l’orecchio e rimango ad ascoltare.
Passa qualche secondo e non sento nulla, poi delle voci al piano di sotto mi fanno scattare sull’attenti.
«Miriam se hai bisogno mi trovi in camera
mia» la avverte Aleksander.
Mi tolgo i sandali e mi metto a correre velocemente raggiungendo la mia camera. Apro la porta e appena in tempo la richiudo accompagnandola per non far rumore.
Quando sento i suoi passi inizio a guardarmi
attorno preoccupata, ma pochi secondi dopo capisco che sta proseguendo verso la sua stanza.
«Domani intorno alle 18:00 giusto in tempo
per la cena.» Ride. «Prepara un bel aperitivo con
le tue dolci mani, andrà bene.»
La voce di Aleksander svanisce. Apro leggermente la porta sbirciando furtiva. Il corridoio è
libero.
Lentamente mi avvicino alla sua camera e la
voce di Aleksander ritorna a farsi sentire.
Mi accosto alla porta socchiusa e rimango ad
ascoltare osservandolo ronzare per la stanza.
Quello che sto facendo è rischioso. Potrebbe in
qualsiasi momento sbucare in corridoio e io non
avrei il tempo di ritornare in camera, ma non mi
importa.
Devo capire con chi sta parlando. Il suo buonumore è un motivo più che sufficiente per rimanere nascosta.
Lo sento ridere. Alle battute ipotizzo, ma di
chi? Il sospetto mi sta torturando. “Dolci mani”
ha detto. Chi può avere delle dolci mani se non
una donna?
«Mi piacerebbe, ma non sono solo... Davvero,
non lo sono.» Continua a ridere. «Non ti sto
prendendo in giro... Ho compagnia... Sono sicuro
che troverai un passatempo migliore... Così mi
lusinghi» la sua voce provocante mi infastidisce.
«No, Svetlan l’ho beccato stamattina a Milano...
È tutto sotto controllo... Ti fidi di me?... No?!»
Ridacchia. «E fai bene.»
Scruto nervosa la stanza. Dev’essere vicino alla
libreria perché da qui non riesco a vederlo. Intravedo giusto la scrivania.
«Ci aggiorniamo domani. Fai la brava... Io
sempre... Dai buona serata. Ciao» e mette giù.
Era una donna. Sento le guance andare in
fiamme. “Fai la brava” e il suo tono era così confidenziale. Deve conoscerla bene. Poi un rumore
famigliare mi fa spostare gli occhi verso il computer. È il suono della chiamata di Skype, lo riconosco per le lunghe video chiamate con Samantha.
È il mezzo che utilizziamo di più per tenerci in
contatto quando siamo lontane.
Vedo Aleksander andare alla scrivania e appena controlla chi lo sta chiamando sospira, passandosi nervoso una mano tra i capelli.
«Che cazzo vuole adesso?» mormora sedendosi
stancamente sulla sedia. È combattuto non sa se
rispondere oppure no, ma dopo alcuni secondi si
decide. «Cosa vuoi?» Tuona la sua voce impostata.
Provo a farmi più avanti tanto da sfiorare con il
viso la porta ma non è abbastanza per vedere lo
schermo del suo iMac.
Chiunque sia non si decide a parlare. Aleksander appoggia un gomito alla scrivania trattenendosi i capelli con la mano mentre con la sinistra
maneggia una biro. È nervoso, troppo nervoso.
Sarà anche bravo a mascherare i suoi sentimenti, ma se ho imparato una cosa da lui è che la
rabbia si cela dietro a emozioni. E quando si tratta di Aleksander, non sono mai facili da comprendere.
«Te lo chiedo per l’ultima volta. Dimmi che
cazzo vuoi o metto giù.»
Aleksander continua a tenere gli occhi bassi
con un’espressione indifferente. Probabilmente
attraverso lo schermo, dove la video camera proietta solo il suo viso, potrebbe risultare distacca-
to. Ma quella mano frenetica che continua a far
roteare la biro, la dice lunga.
«Veronica!» la sua voce solleva quel nome e il
respiro mi viene a mancare.
Veronica Virto, la reincarnazione della bellezza
e delle mie paure. La ragazza che per tre anni ha
avuto una... relazione? Non so nemmeno come
definirla. A detta di Aleksander si sono solo usati,
reciprocamente, ma io alla sua spiegazione non ci
ho mai creduto fino in fondo.
«Ho bisogno di vederti» dice lei con voce carezzevole e io mi sento morire.
Mi appoggio al muro del corridoio coprendomi
la bocca con le mani.
«Mi stai vedendo. Dimmi quello che vuoi e finiamola qui.»
«Ho bisogno di parlarti, di persona.»
«Ti ho già detto di no.»
Questo vuol dire che non è la prima volta che lo
cerca. Ma mai gli è suonato il telefono come nelle
ultime ore.
«È per lei che fai così?»
Lei sarei io?
«Veronica evita di sprecare il fiato.»
«Sei ridicolo nella parte del fidanzato, fattelo
dire, ma se vuoi accompagnarti con quella ragazzina fai pure. Non so a cosa ti serva ma non mi
importa, intanto sappiamo fin troppo bene che la
stai solo prendendo in giro.» Infierisce orgogliosa
e la sua convinzione mi spinge a domandarmi se
non abbia ragione.
È così facile credere alle cattiverie. A volte ci
convinciamo che siano vere quando in realtà non
potremmo fare errore più grande.
«È tutto?» esordisce Aleksander dopo un lungo
silenzio.
«Ho bisogno di spiegarti cos’è successo.»
«Veronica se mi hai chiamato per dirmi questo
potevi risparmiarti il disturbo. Non mi interessano le tue spiegazioni, non mi sono mai interessate. Smettila di cercarmi. Mi sono spiegato?»
«Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per te» la
sua voce trema per la paura.
«Tutto quello che hai fatto l’hai fatto per te
stessa. Non diciamo cazzate! Ti sei fatta usare
come una merce di scambio, e adesso mi vieni a
dire che l'hai fatto per me?! Vai avanti per la tua
vita, perché io sto andando avanti per la mia.»
Merce di scambio?
«Ma di quale vita stai parlando? Tu non hai
una vita Aleksander. Il tuo è un inferno in cui
meriteresti di bruciare.»
«Non ti dannare Veronica, io sono nato tra le
fiamme e stai tranquilla che morirò bruciando.»
A queste parole sprezzanti inizio a camminare
senza accorgermene. Sento le loro voci alle mie
spalle svanire lentamente. I piedi, un passo dopo
l’altro, mi trascinano fino in camera. Entro e mi
getto nel letto. Il cuscino che ho trattenuto tra le
braccia è ancora qui insieme all’Mp3.
Prendo le cuffie e chiudo gli occhi mentre la
musica mi riporta nell’oblio dei miei pensieri solitari. Mi stringo il cuscino al petto e mi lascio
andare al dolore che sento divorarmi il cuore.
Non è gelosia, non è rabbia, è puro e semplice dolore per un amore tormentato quanto il nostro,
macchiato da un passato che non posso cambiare
e tanto meno cancellare.
Vorrei potermi dimenticare di Veronica e della
sue parole sprezzanti. Lui non ha una vita.
Se è così a chi sto affidando la mia?
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