il lato b di montreal
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il lato b di montreal
Canda Montreal IL LATO B DI MONTREAL Testo e foto di Silvia Alvarez Adalia Una squaw sensuale si lascia scompigliare i capelli da una brezza metropolitana. Un uomo che passa in bicicletta rimane ammaliato da questa visione e quasi va a sbattere contro la cabina del telefono. In Rue Bishop la scena si ripete decine di volte al giorno. Ma anche nei vicoli della Vieux Montreal lungo il fiume San Lorenzo, e nel “meticcio” Quartiere degli spettacoli, così come accanto al Museo di Belle arti. La chiamano street art. Sono i romantici, graffianti murales che fanno della città più popolosa del Quebec, una galleria d’arte a cielo aperto. Eppure se osservi lo skyline di Montreal dalla riva dell’Ile Notre Dame, l’isola giardino incorniciata dal circuito automobilistico in cui Gilles Villeneuve ha imparato a manovrare un volante prima di diventare un mito della Ferrari, la città sembra una metropoli americana qualunque. Palazzi in vetro, torri in cemento, senza storia né anima altra rispetto al business. Ma perdendosi nel reticolato che si dipana da Rue Sherbrooke, Rue Ste-Catherine Ouest e Boul Rene Levesque, si viene inesorabilmente “puntati”dagli sguardi dei personaggi che abitano le pareti in mattoni dei palazzi fané, vestendoli di colori vivaci. Dietro il Theatre du Nouveau Monde, al confine con Chinatown, ci sono parcheggi abbandonati in cui le pareti raccontano romanzi di fantascienza, proiettano albe visionarie illuminate dalle insegne al neon di bar vegetariani. E il faro di questa arte che si rinnova ogni mese, retaggio della cultura francese del trompe l’oil, è il Museo di arte contemporanea Accoglie i visitatori stampando un bacio con le sue labbra carnose adagiate sul tetto e poi nelle sue stanze labirintiche mostra le fotografie di Robert Polidori, le installazioni in ferro adagiate sull’erba da Spring Hurlbut, in mostra sino al settembre scorso. La vera galleria però sono le strade di Montreal. Il dedalo di vicoli nella parte bassa, più “etnica” di Rue Ste Catherine, oltre le vetrine de Les Cours Royal Ogilvy, da S. James Church sino alla stazione degli autobus che partono con destinazione New York e Philadelphia, ogni palazzo sfoggia una lato B, “back”, affrescato da questi performer notturni. Si arrampicano sulle scale in ferro battuto di sicurezza per raccontare sulle mura sbriciolate dei magazzini in disuso storie di indiani nativi derubati delle loro terre, conquistatori yankee, madonne francesi, animali del terzo millennio che si rincorrono lungo praterie metropolitane, pantagruelici pasti rock. E, ancora, benzinai che dispensano fiori dai bocchettoni del gasolio, sottomarini e marinai in bermuda che sbucano direttamente dalle fauci del San Lorenzo. E talvolta i murales esprimono anche e soprattutto la rabbia francofona verso quell’America inglese che tenta, ma soprattutto scontenta. Bisogna solo spostarsi dai caffè sparsi lungo il Main e rue San Denis per captare questa pulsione creativa rispettata dalle autorità cittadine. L’unica zona off limit per i pittori di strada è forse il Vieux-Port, dove le pietre dei palazzi emettono ancora una voce così possente da soffiare via i colori.