Export di armi dall`Italia Rivolta della società civile
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Export di armi dall`Italia Rivolta della società civile
10 P R I M O P I A N O Avvenire 19/11/2015 LA FRANCIA Copia ridotta al 52% delSOTTO formato ATTACCO originale letter della pagina La denuncia ARSENALE Il rapporto alle Camere da anni non contiene più i dati necessari per capire chi sono gli acquirenti del materiale bellico Tra i Paesi beneficiari anche chi arma i terroristi che colpiscono in Occidente «Senza risposta le domande rivolte alla Farnesina» Kalashnikov, armi da guerra, munizioni e bombe sono al centro di affari tra Occidente e Paesi mediorientali da sempre: nel nostro Paese cresce la richiesta di trasparenza sulle vendite all’estero Giovedì 19 Novembre 2015 Export di armi dall’Italia Rivolta della società civile Accuse all’esecutivo di scarsa trasparenza «Troppe opacità nella relazione al Parlamento» LUCA LIVERANI ROMA he peso ha l’industria bellica nazionale nell’infuocato quadrante mediorientale? A chi vendiamo? E cosa? Un ruolo sicuramente non secondario, quello dell’Italia, se negli ultimi cinque anni - mentre il termometro nella regione saliva - cresceva del 30% l’export verso Medio Oriente e Nord Africa. Il problema è che il quadro è sempre più difficile da ricostruire perché, nonostante l’esistenza della legge 185 del 1990 che fissa obblighi di trasparenza, i governi degli ultimi anni l’hanno notevolmente depotenziata, omettendo nei rapporti al Parlamento dati essenziali. Eclatante il caso delle bombe aeree all’Arabia Saudita, paese guida della coalizione che - senza mandato internazionale - sta bombardando in Yemen le milizie qaediste. Quella stessa Arabia Saudita che, secondo molti analisti, ospita i finanziatori della guerra del Daesh contro Assad. Con le note ripercussioni in Occidente. Senza risposta le interrogazioni parlamentari al ministro degli Esteri. L’ultimo carico, com’è noto, il 30 ottobre: il cargo 4K-SW888 Boeing 747 della compagnia aerea azera Silk Way Airlines è decollato da Cagliari carico, secondo le ong, di diverse tonnellate di bombe della RWM Italia, azienda bresciana di proprietà del gruppo tedesco Rheinmetall, con im- C pianti a Domusnovas in Sardegna. Una fornitura che prosegue da anni: circa 5mila pezzi per oltre 70 milioni di euro. «L’Italia da tempo sta vendendo bombe all’Arabia Saudita – spiega Francesco Vignarca della rete Italiana Disarmo – ormai in palese violazione Rete Italiana Disarmo, Osservatorio Opal e Amnesty: il Parlamento non riesce a controllare le vendite di armi da guerra fatte dalle nostre aziende della legge 185», la norma che vieta espressamente l’esportazione di armamenti «verso i Paesi in stato di conflitto armato». Una guerra che ha fatto oltre 4mila i morti, di cui almeno 400 bambini, e 20mila feriti, la metà tra civili. Sotto le bombe a Sa’dah, il 26 ottobre, anche un ospedale di Msf. Non solo: «È in corso anche la vendita al Kuwait – racconta Vignarca – di 28 aerei Eurofighter per 8 miliardi di euro. Il governo, al quale la 185 attribuisce il ruolo di controllore dell’export delle a- ziende italiane, in realtà è il primo a promuovere questi affari: il premier Renzi nel suo recente viaggio in Arabia Saudita è stato accompagnato dall’Ad di Finmeccanica Mauro Moretti. Parliamo di armi da guerra, non di noccioline, a paesi coinvolti nello scacchiere siriano nella lotta interna all’Islam tra Assad, al Nusrah, Daesh». Secondo un’analisi dell’Institute for economics and peace di Sidney l’80% delle vittime del terrorismo si verificano in Pakistan, Afghanistan, Irak, Siria e Nigeria. «È lì – afferma la Rete Italiana Disarmo – che si gioca questa partita: altro che guerra all’Occidente. E noi contribuiamo a portare armi in quel quadrante. Un conto sono i traffici illegali, ma che lo facciano i governi occidentali... Ci conviene davvero incassare quei soldi?». «La comunità internazionale si muove in maniera incoerente – dice il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury – rispetto al tema delle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita. Da un lato si mobilita contro il rischio che venga messo a morte un attivista minorenne e premia un blogger dissidente. Dall’altro, tace sui crimini di guerra commessi in Yemen e, anzi, li alimenta con trasferimenti irresponsabili di armi». «L’Italia vende sempre di più in Medio Oriente e Nord Africa, ma noi sappiamo sempre di meno di queste esportazioni», sostiene Giorgio Beretta dell’Osservatorio Opal Brescia. «La legge 185 è stata fortemente depotenziata, svuotata e un parla- mentare non può più controllare nulla». Nell’ultimo quinquennio le autorizzazioni all’export di armi da guerra a paesi non Ue né Nato sono salite al 62,9% e tra i primi 20 destinatari solo 7 sono «democrazie complete» secondo la classifica del Democracy Index stilato dall’Economist. Cinque sono regimi autoritari, due sono ibridi. In testa Algeria e Arabia Saudita. Ma i dati sono sempre meno intellegibili. Dal 2009, col governo Berlusconi IV, le tabelle del Rapporto al Parlamento si sono svuotate: «Ora nelle autorizzazioni si parla di "velivoli" – spiega Giorgio Beretta – senza specificare se sono elicotteri per la ricerca di dispersi o Mangusta da attacco. Il Parlamento può controllare ben poco. Non sappiamo che banca gestisce le transazioni tra RWM e Arabia Saudita. Al sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova – aggiunge l’esperto – abbiamo chiesto di reintrodurre i destinatari e il dettaglio delle operazioni bancarie, sparite nell’ultima relazione del governo Renzi, nonostante le 1281 pagine. Rimpiangiamo la trasparenza del governo Andreotti che riportava tutte le informazioni necessarie a un controllo parlamentare». © RIPRODUZIONE RISERVATA in cifre Gli affari? Volano verso il Medio Oriente 2,6 miliardi Al primo posto ci sono Algeria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti GIRO D’AFFARI DELLE ARMI ITALIANE VENDUTE IN ALGERIA E ARABIA SAUDITA 35,5% QUOTA DI ARMAMENTI DIRETTI IN MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA 170 CARABINE DI PRECISIONE, DESTINATE ALLA LIBIA, SEQUESTRATE AL PORTO DI GENOVA I numeri del business Le autorizzazioni si sono spostate dall’Europa alle aree in conflitto Secondo il Sipri, il mercato globale dei “sistemi di difesa” è cresciuto del 16 per cento. Aumentano anche i sequestri di carichi sospetti, soprattutto verso la Libia NELLO SCAVO e guerre del Medio Oriente e l’instabilità nel Maghreb e in Africa stanno facendo la fortuna dei produttori di tutto il mondo. E l’Italia non sta a guardare. Stando all’elaborazione di Giorgio Beretta, dell’Osservatorio permanente sulle armi (Opal), dal 1990 ad oggi le principali autorizzazioni all’export di armamenti “Made in Italy” sono suddivise per aree geopolitiche: Unione Europea (35,9% del totale), Medio Oriente - Nord Africa (23,2%) e Asia (15,4%). Il quadro sensibilmente cambia nel quinquennio 2010-2014. Scendono le autorizzazioni verso Paesi Ue (24,5%) e aumentano quelle dirette in Medio L ALLO STUDIO Commissione Ue, giro di vite sui kalashnikov Entro 3 mesi il regolamento sulle semiautomatiche Giro di vite sulle armi da fuoco. La Commissione europea ha proposto le prime misure dopo gli attentati di Parigi per rafforzare il controllo sulle armi da fuoco, come i kalashnikov utilizzati dai terroristi. L’esecutivo Ue ha presentato un regolamento, che entrerà in vigore entro tre mesi, volto ad assicurare che tutti gli Stati membri seguano la stessa procedura per bandire l’uso di armi da fuoco semiautomatiche, da cui il possesso non sarà più autorizzato a titolo privato anche nel caso in cui siano disattivate. La direttiva, che deve ancora essere approvata dal Consiglio dell’Unione europea e dal Parlamento europeo, mira a cambiare la categoria che comprende, ad esempio, i fucili kalashnikov come armi militari, mentre ora appartengono a quella delle armi semiautomatiche. Questo cambiamento ostacolerà il suo acquisto da parte di persone che hanno le licenze di caccia, che ora possono acquistare facilmente tutte le armi semiautomatiche. Bruxelles sta già lavorando su altre norme per coordinare le misure a livello europeo e prevede di organizzare nel prossimo 3 dicembre una conferenza con le principali aziende web come Google, per combatterne la radicalizzazione su Internet. Inoltre la Commissione sta lavorando su misure per migliorare la tracciabilità delle armi, per favorire lo scambio di informazioni tra gli Stati membri avendo un registro nazionale interconnesso. In parallelo, l’esecutivo Ue sta preparando un piano d’azione contro il traffico illecito, oggi di competenza dei governi nazionali. © RIPRODUZIONE RISERVATA Copyright © Avvenire Oriente e Nord Africa, (35,5%). Al primo posto, da quanto è possibile apprendere dalle fonti pubbliche, vi è l’Algeria (1,4 miliardi di euro), seguita a da Arabia Saudita (1,2 miliardi di euro), dagli Usa e dagli Emirati Arabi Uniti. Lo Stockholm international peace research institute (Sipri) in uno studio basato sui dati delle sole esportazioni legali, dunque autorizzate dai governi, dimostra che il mercato globale dei “sistemi di difesa” sta conoscendo una nuova stagione dell’oro: +16%. Non c’è altro comparto economico che riesce a fare meglio. Lo conferma la cronaca delle ultime settimane. Il 23 ottobre si è appreso che alcuni carri armati di fabbricazione tedesca sono stati esportati in Qatar. Non è stata la prima volta, non sarà l’ultima. Sei giorni dopo si è scoperto che l’azienda “Heckler & Koch” ha denunciato il governo di Berlino per non aver fornito l’autorizzazione all’invio di componenti del fucile G36 all’Arabia Saudita, che da alcuni anni può costruire mitra d’assalto G36 su licenza tedesca, ma per assemblarli necessita di componenti che sono fabbricati in Germania. Qatar e Arabia Saudita sono i Paesi che con gli Emirati Arabi Uniti stanno bombardando nello Yemen il movimento ribelle sciita Houthi, vicino a Teheran. Le migliaia di vittime civili (si parla di almeno 4mila solo nello Yemen) vengono derubricate a «effetti collaterali». Incidenti di percorso compensati da munifici contratti. Il ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel aveva annunciato di voler ridurre le autorizzazioni per esportazioni di armi leggere, ma evidentemente medesima prudenza non riguarda i panzer e le micidiali bombe aria-terra. I bombardieri arabi, infatti, possono contare su cospicui rifornimenti di ordigni prodotti, come documentato da Avvenire nei giorni scorsi, nello stabilimento italiano della multinazionale tedesca “Rwm”. Di pari passo crescono i traffici illeciti. Solo pochi giorni fa si è scoperto, per stare solo alle più recenti notizie di casa nostra, che un carico di bombe da Cagliari era destinato a una base militare degli Emirati e che uno di munizioni e carabine è stato bloccato nel porto di Genova. Erano destinate a non meglio precisati importatori in Libia, Paese che non può ricevere neanche un petardo a causa dell’embargo che non è mai stato cancellato. Nel container, intercettato a luglio, fra palloni da calcio e bambole c’erano 170 carabine di precisione e 200mila pallini. Armi sofisticate di produzione tedesca stivate in fondo al contenitore di giocattoli destinato al porto di Misurata. I fucili erano catalogati come “giocattolo”. In realtà vantano una potenza di fuoco superiore di tre volte a quella consentita per il tiro sportivo: un pallino può uccidere un uomo fino a cento metri di distanza, risultando adatto agli scontri ravvicinati in ambiente urbano. La spedizione, in un modo o nell’altro, coinvolge la coalizione saudita, interessata anche a un proprio ruolo nella difficile transizione libica e sospettata di avere armato gruppi ribelli che si sono uniti all’Is. Le bolle d’accompagnamento dei balocchi mortali erano state preparate da spedizionieri degli Emirati Arabi rimasti nell’ombra e che gli investigatori italiani non riescono a individuare, anche per la scarsa collaborazione delle autorità di Abu Dhabi. A insospettire gli inquirenti era stato il cambio dei documenti di viaggio del bastimento, prima destinato in Turchia e poi a Misurata. Sempre nello scalo genovese a giugno erano stati bloccati 3mila teaser destinate al porto di Tripoli. Si tratta di pistole che rilasciano scariche elettriche in grado di immobilizzare una persona e che in diversi Paesi vengono segnalate come strumenti di tortura. Neanche quelle, per via del divieto di esportazioni, possono essere recapitate in Libia. Ma i trafficanti evidentemente se ne infischiano. © RIPRODUZIONE RISERVATA Novembre 19, 2015 9:38 am (GMT -1:00) / Powered by TECNAVIA