Cosenza lì 09/03/2007 - Ordine degli Avvocati di Cosenza
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Cosenza lì 09/03/2007 - Ordine degli Avvocati di Cosenza
Materiale didattico fornito dal dott. Marco Rossetti in occasione del Seminario del 28 aprile 2012 dal titolo: “ Le voci di danno e il loro computo nella materia contrattuale, extracontrattuale e lavoristica. ” Il danno biologico Scheda di inquadramento e criteri di calcolo 1. Nozione. Il danno alla salute nel nostro ordinamento non trova apparentemente una definizione unitaria. Esistono sì norme di legge che ne forniscono la definizione e dettano i criteri di risarcimento, ma tali norme hanno un ambito di applicazione limitato: essi riguardano soltanto i danni alla salute derivati da alcuni tipi di condotte illecite, in particolare i sinistri stradali e gli infortuni sul lavoro. Per i danni alla salute derivati da condotte illecite diverse da quelle previste dalla legge non esistono né una definizione normativa, né criteri legali per la sua liquidazione. Sarebbe tuttavia erroneo ritenere che nel nostro ordinamento esistano tre “tipi” diversi di danno alla salute: quello derivante da infortuni sul lavoro, quello derivante da sinistri stradali ed infine tutti gli altri. Le definizioni dettate dalla legge sono infatti sostanzialmente coincidenti con quelle elaborate dalla giurisprudenza, ed anzi proprio i princìpi elaborati da quest’ultima sono stati recepiti dal legislatore nel delineare la nozione di danno alla salute. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 1 di 72 Quanto alle definizioni di volta in volta adottate dalla giurisprudenza, alla varietà di forme sintattiche corrisponde una sostanziale uniformità di contenuti, come meglio si vedrà nei §§ seguenti. Pertanto, sebbene diverse siano le definizioni di danno alla salute e le fonti di esse, tale nozione è identica in tutti gli ambiti del diritto civile, e solo sul piano della aestimatio del danno la diversità di disciplina può portare, come vedremo, a diversità di liquidazione. 2. Le definizioni normative. La legge disciplina espressamente il danno biologico, dandone la definizione, in due ipotesi: (a) se il danno in questione è causato da un infortunio sul lavoro indennizzabile dall’Inail, la definizione di esso è contenuta nell’art. 13 d. lgs. 23.2.2000 n. 38 (“Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell'articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144”), secondo cui il danno biologico è “la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”; (b) se il danno alla salute è derivato da un sinistro stradale, causato da veicoli soggetti all’obbligo dell’assicurazione della r.c.a., la definizione di esso è contenuta negli artt. artt. 138, comma 2, lettera (a), e 139, comma 2, d. lgs. 7.9.2005 n. 209 (“Codice delle assicurazioni”), secondo i quali per danno biologico si intende “la lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 2 di 72 attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. Le due definizioni normative differiscono sotto due profili: (a) l’art. 13 d. lgs. 38/2000 (infortuni sul lavoro) definisce “danno biologico” quello suscettibile di valutazione medico legale, mentre gli artt. 138 e 139 cod. ass. (sinistri stradali) definisco “danno biologico” quello suscettibile di accertamento medico legale; (b) solo gli artt. 138 e 139 cod. ass. precisano che il danno biologico deve esplicare “un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”, mentre tale previsione non compare nel d. lgs. 38/2000. Né l’una, né l’altra di tali divergenze consentono però di affermare il danno biologico indennizzato dall’Inail sia pregiudizio diverso da quello risarcito dall’assicuratore della r.c.a.. Quanto alla differenza sub (a), è certamente vero che l’espressione “suscettibile di valutazione” non è equivalente all’altra, “suscettibile di accertamento”. In teoria, infatti, potrebbe essere valutato in termini percentuali anche un danno insuscettibile di accertamento. Così, ad esempio, una persistente e cronica cefalea costituisce una compromissione dell’integrità psicofisica suscettibile di valutazione, ma non di accertamento, e lo stesso può dirsi di tutte le patologie non accompagnate da sintomi strumentalmente rilevabili. Tuttavia è altresì vero che nessun tipo di danno potrebbe mai essere liquidato, da privati o da assicuratori sociali, se non ne sia stata debitamente e previamente dimostrata l’esistenza. E’, pertanto, impossibile interpretare l’art. 13 d. lgs. 38/2000 come se consentisse la liquidazione del danno biologico anche a prescindere dall’effettivo accertamento della sua esistenza in corpore. Tale norma va invece interpretata come se dicesse che il danno biologico è quello del quale, essendone stata dimostrata l’esistenza, è possibile una valutazione medico legale. Così intesa, la disposizione in esame è perfettamente sovrapponibile agli artt. 138 e 139 cod. ass.. Quanto alla differenza sub (b), essa è solo apparente, in quanto l’art. 13 d. lgs. 38/2000, dopo avere definito il danno biologico, precisa che “le menomazioni conseguenti alle lesioni dell'integrità psicofisica (…) sono valutate in base a specifica "tabella delle menomazioni", comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali”. Anche in questo caso, pertanto, vi è perfetta coincidenza tra il codice delle assicurazioni e la legislazione conto gli infortuni sul lavoro. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 3 di 72 2.1. Le definizioni giurisprudenziali. Quando il danno biologico derivi da cause diverse da quelle indicate al § precedente sub (b) e (c), non vi è alcuna norma di legge che ne detti la definizione e ne disciplini il risarcimento, i quali restano perciò affidati all’elaborazione della giurisprudenza. Il giudice di legittimità ha adottato nel corso degli anni varie formule per definire il danno biologico. Tali formule sono raggruppabili in varie tipologie. Talora la definizione fa leva sulla accertabilità medico legale della lesione, per distinguere il danno biologico da altri pregiudizi non patrimoniali. Questo viene perciò definito come la “lesione dell'integrità psicofisica accertabile in sede medico-legale (Cass., sez. lav., 22-03-2007, n. 7049, inedita; Cass., sez. III, 12-06-2006, n. 13546, in Danno e resp., 2006, 843; Cass., sez. lav., 12-052006, n. 11039, in Foro it. Rep. 2006, Danni civili, n. 286). Altre volte si pone l’accento sugli effetti della lesione biologica, ed il danno in questione viene perciò identificato con le “ripercussioni negative - di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica - della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto leso, per l'intera durata della sua vita residua, nel caso di invalidità permanente, oppure, nel caso di invalidità temporanea, finché la malattia risulti ancora in atto” (Cass., sez. lav., 23-04-2004, n. 7730, in Foro it. Rep. 2004, Danni civili, n. 186; Cass., sez. III, 24-02-2003, n. 2775, in Danno e resp., 2003, 1081). Una formula molto risalente, e che ha avuto molto successo, è quella che definisce il danno biologico come “la menomazione dell’integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, che non si esaurisce nell’attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica” [Cass., sez. lav., 29-01-2002, n. 1114, in Dir. ed economia assicuraz., 2003, 223 (in motivazione); Cass., sez. III, 09-12-1994, n. 10539, in Foro it. Rep. 1994, Danni civili, n. 170 (in motivazione); Cass., sez. lav., 08-07-1992, n. 8325, in Foro it., 1992, I, 2965 (in motivazione); Cass., 06-07-1990, n. 7101, in Notiziario giurisprudenza lav., 1990, 653; Cass., 24-01-1990, n. 411, in Foro it. Rep. 1990, Danni civili, n. 95; Cass., 26-11-1984, n. 6134, in Riv. giur. lav., 1985, II, 689]. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 4 di 72 Altre definizioni sottolineano l’irrilevanza dei riflessi patrimoniali della lesione, definendo il danno biologico come la “menomazione dell'integrità psico-fisica della persona in sé considerata, a prescindere da ogni possibile rilevanza o conseguenza patrimoniale della lesione” (ex multis, Cass. 6.6.2008 n. 15054, inedita; Cass. 26.3.2008 n. 7872, inedita; Cass., sez. lav., 07-11-2007, n. 23162, inedita; Cass., sez. lav., 08-05-2007, n. 10441, in Foro it., 2007, I, 2701; Cass., sez. lav., 24-022006, n. 4184, inedita; Cass. 19.8.2005 n. 17044, inedita), od ancora come “menomazione della salute in senso lato a prescindere dalla perdita o riduzione della capacità di guadagno” (Cass. 17.3.2006 n. 5919, inedita). Vi sono poi di quelle definizioni che adottano formule assai ampie, a sottolineare la omnicomprensività di questo tipo di pregiudizio, definito come “danno alla persona nella sua globalità e quindi come menomazione dell'integrità psicofisica del soggetto, [che] si ripercuote su tutte le sue attività” (Cass. 13.5.2008 n. 11940, inedita. Non meno varie, almeno formalmente, sono state le formule adottate dai giudici di merito. Ecco una silloge delle definizioni più diffuse, dalle quali risulta che il danno biologico è stato definito di volta in volta come: (-) “una disfunzione peggiorativa della complessiva integrità psicofisica dell'individuo, suscettibile di accertamento e valutazione medico legale. Esso presuppone una lesione della mente o del corpo, dalla quale derivino dei postumi permanenti o transeunti, i quali a loro volta comportino un peggioramento della complessiva qualità della vita della vittima” (Trib. Roma 7.7.2007, Z.O. c. Villa Salaria, e Trib. Roma 27.12.2006, C.V. c. Università Cattolica del Sacro Cuore, ambedue in www.dejure.it); (-) “la menomazione psicofisica della persona, implicante la compromissione delle attività in cui si esplica la personalità del soggetto, oltre ed al di là degli eventuali danni patrimoniali e morali prodotti dal fatto lesivo, [in quanto] nell’attuale contesto sociale e giuridico, (...) il ‘valore di una persona come essere umano non è in alcun modo correlato alla consistenza patrimoniale da lui vantata (e ciò a differenza di quanto è accaduto in altre epoche storiche, dove il riconoscimento di situazioni soggettive favorevoli è stato in tutto o in parte riconnesso a ‘titoli o al ‘censo o ad altri ‘status’” (Trib. Roma 23.3.1996, in Riv. giur. circolaz. trasp. 1996, 765); ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 5 di 72 (-) [la] “compromissione del complesso delle funzioni naturali, presenti e future, del soggetto nell’ambiente in cui si esplicano, indipendentemente da un’eventuale incidenza sulla capacità di guadagno” (Trib. Roma 12.1.1994, Mariani c. SAI, inedita); (-) “la menomazione psicofisica della persona, in sé e per sé considerata, [è] risarcibile sempre e comunque a tutti i soggetti indipendentemente dal fatto che la lesione abbia ripercussioni sulla capacità di produrre reddito” (Trib. Piacenza, 22-5-1993, in Arch. circolaz., 1993, 705); (-) “la menomazione psico-fisica in sé e per sé considerata, estrinsecatesi non solo sul piano economico, ma anche su quello biologico e sociale” (Trib. Como, 2-3-93, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1994, 376); (-) [la] menomazione della persona in sé considerata, non si esaurisce nella sola diminuita attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui egli vive” (Trib. Pescara, 5-3-92, in PQM, 1992, 73); (-) [la] menomazione dell'integrità psicofisica del soggetto in senso dinamico, (...) il [cui] risarcimento riguarda esclusivamente le conseguenze negative che ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, vale a dire le molteplici funzioni individuali e sociali dell'uomo” (Trib. Pavia, 3-1-1992, in Giur. merito, 1994, 82); (-) “la menomazione dell'integrità fisio-psichica in sé considerata, a prescindere dalla sua incidenza sul reddito, assorbe in sé il danno alla vita di relazione, il danno estetico, nonché quello meramente psichico ed alla vita sessuale” (Trib. Ravenna, 13-03-1990, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1991, 853); (-) [il danno] derivante da illecito lesivo dell’integrità psicofisica della persona che, a prescindere dal danno correlato alla capacità di produzione del reddito, si estende a tutti gli effetti negativi incidenti sul bene primario della salute, in sé considerato, quale diritto inviolabile dell’uomo alla pienezza della vita ed all’esplicazione della propria personalità, morale, intellettuale, culturale” (Trib. Milano 12.12.1988, in Arch. circolaz., 1989, 405); (-) [l’]alterazione dell’integrità ed efficienza fisiopsichica del soggetto che gli impedisca di godere la vita nella stessa misura in cui era possibile prima dell’insorgenza del fatto lesivo, indipendentemente da qualsiasi riferimento alla capacità lavorativa e di guadagno” (Trib. Pisa 16.1.1985, in Giur. it., 1986, I, 2, 192). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 6 di 72 Al lettore accorto non sarà sfuggito che tutte le definizioni che precedono (sia quelle adottate dal giudice di legittimità, sia quelle adottate dai giudici di merito) presentano difformità di sintassi ma uniformità di sostanza. Tutte infatti, sia pure con forme e termini diversi, mettono in evidenza le seguenti caratteristiche del danno biologico: (a) presuppone una lesione dell’integrità psicofisica; (b) non coincide con tale lesione, ma consiste nel peggioramento del modo di essere e della qualità della vita della vittima, nessun aspetto escluso; (c) prescinde dalle ripercussioni patrimoniali della lesione. Dunque le più comuni definizioni elaborate dalla giurisprudenza concordano nell’individuazione di quelli che, come vedremo tra breve, costituiscono gli elementi essenziali del danno alla salute. Prima di esaminarli in dettaglio, però, è necessario a questo punto - dopo avere delineato la definizione del danno biologico - soffermarsi sul fondamento normativo del relativo diritto al risarcimento. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 7 di 72 3. Il fondamento normativo della risarcibilità. La risarcibilità del danno biologico si fonda su norme diverse. Talora la legge prevede espressamente la risarcibilità di questo tipo di danni, come nei casi già ricordati dei danni alla salute derivanti da infortuni sul lavoro o sinistri stradali (art. 13 d. lgs. 38/2000; artt. 138 e 139 cod. ass.). In altri casi la legge non prevede espressamente la risarcibilità del danno biologico, ma consente comunque il risarcimento dei danni non patrimoniali, tra i quali rientra ovviamente il danno in esame (ad es., art. 185 c.p.). In un terzo gruppo di ipotesi, infine, la risarcibilità non si fonda su una previsione normativa espressa, ma sull’interpretazione costituzionalmente orientata che della legge ha dato la giurisprudenza (Cass. sez. un. 11.11.2008 n. 26972). All’esame di queste tre ipotesi saranno dedicati i §§ che seguono. 3.1. Danni alla salute la cui risarcibilità è espressamente prevista dalla legge. Quando il danno alla salute è stato causato da un sinistro stradale o da un infortunio sul lavoro vi è una norma ad hoc che ne prevede - rispettivamente - l’indennizzabilità o la risarcibilità1. In queste ipotesi dunque il danno in questione è sempre risarcibile, quale che ne sia l’entità, ovviamente nei limiti ed alle condizioni stabilite dalla legge stessa2. 3.2. Illeciti costituenti reato. Se la lesione dell’integrità psicofisica di una persona discende da fatti previsti dalla legge come reato (solitamente lesioni colpose o dolose, ma anche violenza privata, violenza carnale, strage, disastro colposo, epidemia, diffusione di sostanze o farmaci avariate o scaduti, e via dicendo 3) il fondamento della risarcibilità del danno alla salute non pone problemi di sorta. 1 Per i danni derivanti da infortuni sul lavoro si tratta del già ricordato art. 13 d. lgs. 38/2000; per i danni derivanti da sinistri stradali si tratta degli artt. 138 e 139 cod. ass.. 2 L’INAIL, ad esempio, non indennizza il danno biologico da invalidità temporanea, né quello da invalidità permanente se abbia comportato postumi inferiori al 6% (art. 13, comma 2, lettera (a), d. lgs. 23.2.2000 n. 38). Naturalmente resta ferma per la vittima la possibilità di chiedere al responsabile del danno il ristoro di tali pregiudizi. 3 Secondo la Corte di cassazione, la responsabilità civile del reo sussiste “non soltanto in relazione all'offesa del bene oggetto della specifica tutela penale, ma anche in relazione ad ogni altro interesse patrimoniale o non patrimoniale ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 8 di 72 Il danno biologico è infatti un danno non patrimoniale4, e la risarcibilità dei danni (patrimoniali e non) causati da reato è consentita senza limite alcuno dall’art. 185, comma secondo, c.p.5. Pertanto il danno alla salute sarà sempre integralmente risarcibile, quale che ne sia la natura (fisico o psichico, temporaneo o permanente) e l’entità (anche se lieve o lievissimo, purché ovviamente produttivo di conseguenze oggettivamente apprezzabili), quando la condotta dell’offensore sia penalmente rilevante. La posizione delle vittime di reati è stata poi agevolata dalla giurisprudenza, la quale ritiene che per la configurabilità del reato (e quindi per la risarcibilità integrale del danno alla salute) non è necessario: (-) né che il fatto reato sia stato accertato dal giudice penale, potendo a tanto provvedere anche quello civile, salvi ovviamente i vincoli di giudicato previsti dagli artt. 651 e 652 c.p.p.6; (-) né che la colpa del reo (nel caso di reato colposo) non sia stata accertata in concreto, ma sia stata ritenuta sussistente dal giudice civile in base ad una presunzione di legge (ad es., ex art. 1218 c.c. oppure ex art. 2054, comma 1, c.c.)7; riconducibile nell'ambito della condotta delittuosa in virtù di un nesso di derivazione eziologico”. Ciò vuol dire che se - ad es. - da un delitto contro il patrimonio, contro la pubblica amministrazione, contro la pubblica fede, derivi con nesso eziologico immediato e diretto una lesione della salute (ad es., prodotta dal terrore o dallo stress provocato dal delitto), anche di tale pregiudizio il reo dovrà rispondere ex art. 185 c.p. (Cass. pen., sez. VI, 04-11-2004 (dep. 24.2.2005, n. 7259), imp. Caprini, in Foro it. Rep. 2005, Parte civile, n. 10 (inedita nella motivazione qui trascritta). 4 Che il danno alla salute abbia natura non patrimoniale è affermazione divenuta pacifica solo in epoca relativamente recente in giurisprudenza (in tal senso, la sentenza capostipite è Cass., sez. III, 31-05-2003, n. 8827, in Foro it., 2003, I, 2273). In passato, invece, giudici e dottori si erano accapigliati a lungo sulla natura del pregiudizio in esame, ritenuto da taluni patrimoniale, da altri non patrimoniale, e da altri persino un tertium genus. Tale questione è oggi definitivamente superata, e sarebbe ultroneo darne conto in questa sede; per una ricostruzione del relativo dibattito sia consentito il rinvio a Rossetti, Il danno da lesione della salute - Biologico, patrimoniale, morale, Padova, 2001, ***. 5 Secondo cui “ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”. 6 Cass., sez. I, 15-03-2001, n. 3747, in Foro it. Rep. 2001, Danni civili, n. 133; Cass., sez. III, 24-03-2000, n. 3536, in Foro it. Rep. 2000, Danni civili, n. 185; Cass., sez. III, 14-02-2000, n. 1643, in Foro it. Rep. 2000, Responsabilità civile, n. 255. 7 Cass., sez. lav., 10-01-2007, n. 238, in Notiziario giurisprudenza lav., 2007, 47; Cass., sez. III, 16-01-2006, n. 720, in Foro it. Rep. 2006, Danni civili, n. 196; Cass., sez. III, 15-07-2005, n. 15044, in Foro it. Rep. 2005, Danni civili, n. 206; Cass., sez. III, 27-10-2004, n. 20814, in Dir. e giustizia, 2004, fasc. 44, 24; Cass., sez. III, 01-06-2004, n. 10489, in Foro it. Rep. 2004, Danni civili, n. 197; Cass., sez. III, 10-03-2004, n. 4906, in Arch. circolaz., 2004, 869; Cass., sez. III, 06-08-2004, n. 15179, in Foro it. Rep. 2004, Danni civili, n. 219; Cass., sez. III, 03-03-2004, n. 4359, in Arch. circolaz., 2004, 729; Cass., sez. III, 01-04-2004, n. 6383, in Arch. civ., 2004, 871; Cass., sez. III, 12-05- ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 9 di 72 (-) né, infine, che il reo sia imputabile (ad es., perché minore degli anni quattordici)8. 3.3. La lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti. Può accadere, infine, che il danno alla salute non sia derivato né da un sinistro stradale, né da un infortunio sul lavoro, né da un fatto astrattamente configurabile come reato, né da una delle altre fattispecie tipiche previste dalle norme ricordate al § precedente. Tale ipotesi ricorre ad es. nei casi in cui la responsabilità dell’offensore sia stata affermata non sulla base di un accertamento positivo della colpa, né di una presunzione legale di colpa, ma sulla base di una norma che preveda un’ipotesi di responsabilità oggettiva (ad es., ex art. 2051 c.c.) 9. In questi casi, essendo mancato l’accertamento concreto dell’elemento soggettivo del reato (dolo o colpa), in teoria non è configurabile alcun reato, e la vittima non potrebbe invocare il risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 185 c.p.. Anche in questi casi tuttavia il danno alla salute sarà sempre risarcibile: non però sulla base di una espressa previsione di legge, sibbene sulla scorta di una interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’art. 2059 c.c. adottata dalla Corte di cassazione. Secondo quest’interpretazione, tra i “casi previsti dalla legge” che, ai sensi della norma ora ricordata, consentono il risarcimento del danno non patrimoniale rientrano tutte le ipotesi in cui il fatto illecito abbia leso un diritto della persona costituzionalmente garantito. Ciò per due ragioni: sia perché la tutela risarcitoria è quella minima, e di essa non possono pertanto non beneficiare i diritti 2003, n. 7283, in Foro it., 2003, I, 2273; Cass., sez. III, 12-05-2003, n. 7282, in Resp. civ., 2003, 676; Cass., sez. III, 12-05-2003, n. 7281, in Foro it., 2003, I, 2274. Tale principio è stato ribadito anche da Corte cost., 11-07-2003, n. 233, in Foro it., 2003, I, 2201. 8 Cass., 20-11-1990, n. 11198, in Foro it. Rep. 1990, Danni civili, n. 82; Cass., 18-06-1985, n. 3664, in Giur. it., 1986, I, 1, 1525; Cass., 30-01-1985, n. 565, in in Foro it. Rep. 1985, Danni civili, n. 53. La sentenza “capostipite” di tale orientamento è Cass. sez. un., 06-12-1982, n. 6651, in Foro it., 1983, I, 1630. 9 Cass., sez. III, 27-10-2004, n. 20814, in Dir. e giustizia, 2004, fasc. 44, 24. Contra, però, si veda Trib. Biella, 01-06-2005, in Giur. it., 2007, 88, secondo cui per effetto dell’adesione dell’Italia alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), il danno non patrimoniale da lesione della salute deve essere risarcito anche quando la legge attribuisca ad un soggetto l’obbligo risarcitorio in base ad una regola di responsabilità oggettiva. Quella del tribunale piemontese è comunque tesi in aperto contrasto non solo con la giurisprudenza di legittimità, ma anche con quella della Corte costituzionale, secondo cui la norme della CEDU non hanno efficacia pari a quella delle norme costituzionali, e sono prive di efficacia diretta nei rapporti tra privati, essendo rivolte unicamente agli Stati aderenti alla Convenzione. Pertanto, ove il giudice di merito ritenga che una norma interna sia in contrasto con la CEDU, non può disapplicarla, ma deve sollevare dinanzi alla Corte costituzionale la relativa questione, con riferimento al parametro di cui all’art. 117 cost. (Corte cost., ***). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 10 di 72 fondamentali riconosciuti dalla Costituzione; sia perché la “legge” alla quale fa riferimento l’art. 2059 c.c. è non solo quella ordinaria, ma anche la costituzione stessa, e dunque per casi “previsti dalla legge” debbono intendersi anche i “casi previsti dalla costituzione” (Cass. 26.11.26972, in ***; nello stesso senso Cass., sez. III, 31-05-2003, n. 8827, in Danno e resp., 2003, 819, e Cass., sez. III, 31-05-2003, n. 8828, in Danno e resp., 2003, 816). Tuttavia, quando la lesione della salute deriva da un fatto non costituente reato la sua risarcibilità non è illimitata, ma è subordinata alla sussistenza di tre presupposti, stabiliti dalle Sezioni Unite della S.C. nella decisione con la quale è stato risolto, dopo aspri contrasti, il problema della risarcibilità dei danni consistiti nella lesione di diritti fondamentali, ma non derivanti da reato. Tali presupposti sono: (a) che la lesione sia grave, cioè eccedente la soglia della normale tollerabilità; (b) che il pregiudizio patito dalla vittima non sia futile; (c) che l’interesse leso, e non le conseguenze che ne sono derivate, abbia copertura costituzionale10. Ciascuna di queste tre affermazioni pone, con riferimento al danno biologico, delicati problemi all’interprete, che occorre qui brevemente esaminare. Gravità della lesione significa che essa deve eccedere la soglia della normale tollerabilità: pertanto, al di fuori delle ipotesi di reato o degli altri casi previsti dalla legge (ad es., danni causati dalla circolazione di veicoli soggetti all’obbligo di assicurazione), la lesione della salute sarà risarcibile solo se oggettivamente apprezzabile. Non saranno tali, e dunque non potranno essere considerate “gravi” e per ciò risarcibili, ad esempio, la perdita di un capello, ovvero una lieve contusione senza ecchimosi, od ancora la modestissima abrasione dell’epidermide11. 10 11 Cass. sez. un. 11.11.2008 n. 26972, in ***. Non a caso, nella già ricordata sentenza delle Sezioni Unite 11.11.2008 n. 26972, la Corte di cassazione per illustrare il concetto di “non gravità” della lesione ricorre all’esempio del graffio superficiale dell’epidermide. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 11 di 72 4. Le caratteristiche del danno biologico. Le caratteristiche del danno biologico consistono: (a) nell’esistenza d’una lesione all’integrità psicofisica; (b) nella possibilità di valutare l’esistenza e la gravità della lesione secondo regole e barémes medico legali; (c) nell’irrilevanza del reddito del danneggiato ai fini della liquidazione del risarcimento. Il danno alla salute può dunque essere definito in termini generali come la temporanea o definitiva compromissione della complessiva integrità psicofisica dell’individuo, suscettibile di essere positivamente accertata sotto il profilo medico-legale, dalla quale sia derivato un peggioramento della salute della vittima, intesa quale complessivo stato di benessere ed efficienza psicofisica godute dalla vittima prima dell’infortunio12. Il danno in esame consiste in una perdita: per l’esattezza, nella riduzione o nella soppressione della qualità della vita del danneggiato, riduzione o soppressione che debbono essere causate da una compromissione dello stato di salute goduto prima del verificarsi del danno, e debbono essere valutate a prescindere da qualsiasi conseguenza patrimoniale sfavorevole. Quello biologico costituisce un danno in senso tecnico, in quanto rappresenta una perdita di utilità. L’utilità perduta è costituita dal godimento della vita nella sua pienezza, e quindi dall’interesse alla completa esplicazione della propria personalità morale, intellettuale, culturale. Sussiste perciò un danno biologico ogni qual volta il danneggiato, dopo il fatto lesivo, non può continuare ad essere, apparire, comportarsi, vivere, come era, appariva, si comportava, viveva prima del prodursi del danno. Perché possa parlarsi di danno biologico in senso proprio, è tuttavia necessario che la perdita di cui si è detto sia prodotta non quomodolibet, ma in conseguenza di una illecita lesione della 12 La migliore dottrina condivide questi assunti. Così, secondo Alpa, Bessone e Zeno Zencovich, I fatti illeciti, in Tratt. dir. civ. diretto da Rescigno, vol. VI, Torino, 1995, 427, “le caratteristiche del danno biologico sono (...) la unitarietà (in quanto in esso rientra il danno alla vita di relazione (...); il danno estetico (...); la capacità lavorativa generica come già nel 1974 proposto dal tribunale di Genova), la autonomia (in quanto si tratta di una voce di danno a tutti riconosciuta e in quanto distinta dal danno alla potenzialità di reddito e alla capacità lavorativa specifica, così come dal danno morale), la a-redditualità (in quanto tale danno va risarcito a tutti, percettori o produttori di reddito e non). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 12 di 72 complessiva integrità fisica e psichica dell’individuo, cioè attraverso una menomazione del corpo o della mente. Definito in questi termini, il danno biologico è un danno che presenta i seguenti caratteri: (a) è un danno a fondamento medico legale, in quanto presuppone necessariamente la sussistenza d’una lesione fisica o psichica, clinicamente accertabile; (b) è un danno disfunzionale, in quanto consiste in un peggioramento della qualità della vita, causalmente collegata ad una lesione dell’integrità psicofisica; (c) è un danno omnicomprensivo, in quanto nella liquidazione di esso deve tenersi conto di tutte le ripercussioni sfavorevoli che la lesione ha avuto sulla vita del soggetto danneggiato, con esclusione soltanto di quelle patrimoniali; (d) è un danno areddituale, in quanto sussiste a prescindere da ogni e qualsivoglia conseguenza patrimoniale che le lesioni della salute possano avere prodotto, e va di conseguenza valutato in modo del tutto indipendente da eventuali contrazioni del reddito del danneggiato; (e) è un danno primario, in quanto va risarcito in anteparte, anche con pregiudizio - in caso di incapienza del patrimonio del debitore - del diritto di surrogazione degli assicuratori sociali che abbiano pagato alla vittima indennizzi a titolo di ristoro di pregiudizi di tipo diverso dal danno biologico13. All’esame di ciascuna di queste caratteristiche saranno dedicati i §§ che seguono. 5. (a) La necessaria sussistenza d’una lesione psichica o fisica. Perché possa ritenersi sussistente un danno alla salute è presupposto necessario ed indefettibile l’esistenza d’una lesione in corpore, e cioè una compromissione dell’integrità fisica o psichica della vittima. Beninteso, il danno alla salute è pur sempre un danno non patrimoniale, e la sofferenza da esso causata non è qualitativamente diversa da quella che potrebbe scaturire - poniamo - da insuccessi 13 Alcuni degli elementi caratterizzanti sopra elencati sono condivisi dalla generalità della dottrina: ad esempio, si ammette unanimemente che il danno biologico presupponga una lesione dell’integrità psicofisica, e che esso vada liquidato a prescindere da ogni ripercussione sul reddito (Franzoni, Fatti illeciti, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1993, 997; Bianca, Diritto civile, V, Milano 1994, 176; Alpa, Bessone e Zeno ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 13 di 72 scolastici o lavorativi, perdite patrimoniali, delusioni amorose, lutti, calunnie. Qualsiasi evento suscettibile di gettare l’uomo in uno stato di prostrazione, impedendone o limitandone l’espressione delle potenzialità fisiopsichiche, se causato da una condotta illecita altrui, può essere fonte di danno non patrimoniale. Quando però la sofferenza è generata da una lesione della salute fisica o psichica, solo allora possono trovare applicazione i peculiari criteri di accertamento, liquidazione e personalizzazione del danno biologico. La sofferenza causata dall’ingiuria o dalla privazione della libertà sono anch’esse ovviamente risarcibili, ma nella aestimatio del rispettivo danno non patrimoniale non sarà necessario accertare l’esistenza della lesione, quantificarne l’incidenza sulla complessiva validità dell’individuo, e convertire in denaro tale incidenza. Il danno in esame, insomma, non consiste nella minore godibilità della vita, ma nella minore godibilità della vita causata da una lesione fisica o psichica. Ha affermato, a tal riguardo, la S.C. che “il danno alla salute, per quanto normalmente si risolva in un peggioramento della qualità della vita, presuppone pur sempre una lesione dell'integrità psicofisica, di cui, quel peggioramento è solo la conseguenza. Non, dunque, la minore godibilità della vita è in sé risarcibile a tale titolo, ma solo la lesione della salute, costituente il bene giuridicamente tutelato dall'art. 32 della Costituzione. Ne discende che, in difetto di prova di una lesione della integrità psicofisica del soggetto (…), non è configurabile un danno biologico”14. Nel medesimo senso si sono pronunciati anche numerosi giudici di merito, i quali ad esempio hanno ripetutamente escluso, in assenza della prova d’una effettiva lesione della salute fisica o psichica, la configurabilità d’un danno biologico nel caso di attività rumorosa eccedente la normale tollerabilità15, ovvero nel caso di morte di un prossimo congiunto16. Zencovich, op. ult. cit., 426; Giannini e Pogliani, Il danno da illecito civile, Milano, 1997, 170; Salvi, La responsabilità civile, Milano 1998, 69). 14 Cass., sez. III, 17-11-1999, n. 12756, in Assicurazioni, 2000, II, 2, 196. Va rimarcato che il grassetto è nell’originale del provvedimento. 15 Trib. Roma (ord.) 27.12.1997, in Giurispr. romana 1998, ***; Trib. Savona 31.1.1990, in Giur. it. 1991, I, 2, 606; Trib. Verona 13.10.1989, in Giur. it. 1991, I, 2, 606; Trib. Biella 22.4.1989, in Foro it. 1989, I, 3303; Trib. Monza 26.1.1982, in Giur. it. 1983, I, 2, 398. 16 Trib. Cagliari, 12-02-2000, in Riv. giur. sarda, 2002, 643; Trib. Napoli, 24-12-1999, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2000, 765. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 14 di 72 Ovviamente l’esistenza della lesione, presupposto per la risarcibilità del danno biologico, deve essere accertata in modo certo e rigoroso: ma poiché tale accertamento esige di norma il ricorso all’ausilio di un esperto medico legale, si dirà meglio allorché tratteremo della consulenza tecnica. 6. (b) Il peggioramento della qualità della vita. La sussistenza d’una lesione dell’integrità psicofisica è presupposto necessario, ma non sufficiente per potere pretendere il risarcimento del danno alla salute. Quest’ultimo infatti non consiste nel mero fatto di avere patito una compromissione dell’integrità psichica o fisica, ma consiste nelle ripercussioni negative che quella lesione ha avuto, per sempre oppure per un periodo di tempo limitato, sulla vita concreta della vittima. Se la lesione, per le particolari condizioni del soggetto su cui ha inciso, non ha sortito alcun effetto negativo (permanente o temporaneo) sull’esistenza di quest’ultimo, non vi sarà alcun danno da risarcire. Dunque non l’ecchimosi, l’anchilosi, la frattura, la cicatrice costituiscono il danno biologico da risarcire, ma l’impossibilità di muoversi, giocare, lavorare, relazionarsi agli altri, necessariamente prodotte da quelle lesioni. Così, ad esempio, il distacco traumatico della retina è senz’altro una compromissione dell’integrità psicofisica dell’individuo, ma se è patito da una persona già cieca prima del sinistro esso non ha inciso in alcun modo sulla vita della vittima, e non costituisce perciò un danno biologico risarcibile. I principi appena esposti non sempre sono stati unanimi in giurisprudenza, né in dottrina. Ad avviso di taluni, infatti, il danno biologico risarcibile sussisterebbe in re ipsa in tutti i casi in cui è stata compromessa l’integrità psicofisica di una persona, anche se da ciò non siano derivate ulteriori conseguenze. Secondo un orientamento molto risalente il “danno alla salute” coinciderebbe con la mera compromissione dell’integrità psicofisica, a prescindere da qualsiasi accertamento concreto sulle ripercussioni concrete che tale pregiudizio potrà avere sulla vita della vittima. Basterebbe, dunque, la mera dimostrazione di un’alterazione biologica del corpo o della psiche per acquisire il diritto al risarcimento: anche se chi l’ha patita non ne ha risentito pregiudizio. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 15 di 72 Sulla base di tali assunti, l’orientamento in esame distingue tra il danno biologico “statico”, rappresentato dalla lesione della salute in sé e per sé considerata, ed il danno biologico “dinamico”, rappresentato dalle conseguenze pregiudizievoli della lesione17. Il primo sarebbe un danno in re ipsa, che non richiederebbe altra prova che quella dell’esistenza della lesione; il secondo sarebbe invece un danno da accertare e provare caso per caso, sia pure attraverso ampio ricorso al fatto notorio (art. 115 c.p.c.) ed alle presunzioni semplici (art. 2727 c.c.). La distinzione tra aspetto statico ed aspetto dinamico del danno alla salute ebbe inizialmente larga diffusione tra i giudici di merito18, e finì per essere accolta in una (sola) occasione sinanche dalla Corte costituzionale. Oggi tuttavia la concezione del danno biologico come danno in re ipsa, e la connessa distinzione tra danno biologico “statico” e “dinamico”, è stata abbandonata dalla Corte di cassazione e dalla quasi totalità dei giudici di merito19. 17 Un autorevole giudice del tribunale di Genova, estensore delle prime decisioni che proclamarono l’autonoma risarcibilità del danno alla salute, scrisse tra l’altro: “[deve] essere chiaro che il danno biologico, quale evento naturalistico, ha due aspetti del tutto indissolubili: da un lato, diciamo sotto il profilo statico, è costituito dalla menomazione stessa dell’integrità fisiopsichica (ad esempio la perdita di un arto, la lesione di un organo, ecc.) e dall’altro, cioè sotto il profilo dinamico, dalla corrispondente riduzione della validità del soggetto leso, intesa quale sua preesistente potenzialità e funzionalità fisica e psichica (...). Col termine “invalidità” non ci si deve riferire alla concreta attitudine a svolgere le quotidiane attività precedentemente svolte dal soggetto leso, bensì alla sua astratta preesistente potenzialità di svolgere qualsiasi attività. Sarebbe infatti del tutto illegittimo valutare differentemente, in termini di riduzione della validità, le menomazione dell’integrità fisiopsichica di un soggetto che svolge scarse attività, rispetto a quella di un soggetto particolarmente attivo” (Barone, ***, in ***, 1990, 106). 18 Così Trib. Verona 4.3.1986, in Nuova giurispr. civ. comm., 1986, 525. Sostanzialmente nello stesso senso, sia pure talora attraverso l’adozione di motivazioni piuttosto concise, si vedano App. Roma 2.7.1986, in Giur. merito, 1988, 328; Trib. Reggio Calabria 22.12.1988 n. 425, Princi c. Cotroneo, inedita; Trib. Messina 8.6.1988 n. 548, inedita; Trib. Pescara 3.2.1988 n. 46, in PQM, 1989, 45; Trib. Genova 17.2.1989, in Assicurazioni, 1989, 121; Trib. Genova 9.3.1989, in Giur. it. 1989, 938; Trib. Busto Arsizio 15.2.1990 n. 90, in Arch. circolaz., 1990, 598; Trib. Ravenna 13.3.1990, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1991, 853; Trib. Treviso 24.5.1990 n. 1283, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1990, 796; Trib. Novara 21.6.1990, in Arch. circolaz. 1991, 481; Trib. Reggio Calabria 1.2.1991, Altomonte c. Amodeo, inedita; Trib. Milano 16.7.1992 in Resp. civ., 1993, 348; Trib. Torino 8.8.1992 n. 6511, in Arch. circolaz., 1993, 545; Trib. Milano 4-6-1990, in Giur. merito 1992, 369; Trib. Pescara, 5-3-1992, in PQM, 1992, 73; Trib. Como 2.3.1993, in Riv. giur. circolaz. trasp. 1994, 376; Giud. Pace Pordenone 6.5.1996, in Arch. circolaz. 1996, 825. 19 Continuano a distinguere tra danno statico e dinamico Trib. Perugia-Foligno, 31-01-2001, in Rass. giur. umbra, 2002, 46; Trib. Lecce, 09-10-2000, in Corti Bari, Lecce e Potenza, 2001, I, 387; Giudice di pace Pordenone, 09-05-1996, in Arch. circolaz., 1996, 825. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 16 di 72 Alla tesi secondo cui la lesione della salute costituisce un danno in sé (c.d. danno biologico statico), anche quando non ne siano derivate conseguenze pregiudizievoli, vennero infatti mosse varie obiezioni. La prima obiezione investì la matrice culturale della tesi del danno in re ipsa. Questa, come si ricorderà, si fondava sulla distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza (il danno è la lesione stessa del diritto, il danno-evento, anche quando non ne siano derivate conseguenze pregiudizievoli). La dottrina avversa a tale distinzione ritenne di ravvisarne il germe in una vecchia tesi di Francesco Carnelutti, la quale identificava il danno con la lesione dell’interesse, e non con la perdita di un’utilità20. A quella tesi si obiettò che essa aveva ragione di esistere nel campo del diritto penale, ove effettivamente la violazione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice può costituire un “danno” per la collettività21. Nel campo del diritto civile, invece, non vi sono reati da sanzionare, ma perdite da compensare. La responsabilità civile non ha una funzione sanzionatoria, ma eminentemente “compensativa”, con la conseguenza che ciò che deve essere valutabile economicamente, ai fini del risarcimento, non è il danno in sé, ma le conseguenze sfavorevoli di esso22. La seconda obiezione mossa alla tesi del danno biologico come pregiudizio in re ipsa si fonda sulla inaccettabilità delle conseguenze cui essa condurrebbe. Se si risarcisse la mera lesione dell’integrità psicofisica in modo uguale a parità di lesione, e prescindendo dalle conseguenze concrete che la lesione ha avuto sulla vita del danneggiato, il 20 Carnelutti, Il danno e il reato, Padova 1926, passim, ma specialmente 17 e ss.. Secondo questa tesi, poiché quello alla salute è un interesse giuridicamente protetto dall’art. 32 cost., la semplice lesione dell’integrità psicofisica obbligherebbe l’autore dell’illecito al risarcimento del danno. L’opinione secondo cui la Consulta, con la distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, si sarebbe rifatta al Carnelutti, è di Busnelli, Il danno risarcibile: problemi e prospettive, in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Atti dell’Incontro di studio per i magistrati, Trevi 30 giugno - 1 luglio 1989, Quaderni del CSM, Roma, 1990, 33. 21 Mastropaolo, Il danno biologico tra meriti e miti, in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Atti dell’Incontro di studio per i magistrati, Trevi 30 giugno - 1 luglio 1989, Quaderni del CSM, Roma, 1990, 212, ed ivi gli ulteriori riferimenti alla dottrina penalista. 22 Così già Scognamiglio, Risarcimento del danno, in Novissimo Dig., XVI, Torino, 1969, 464; nonché, con riferimento al danno biologico, Busnelli, Il danno risarcibile: problemi e prospettive, in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Atti dell’Incontro di studio per i magistrati, Trevi 30 giugno - 1 luglio 1989, Quaderni del CSM, Roma, 1990, 34-35. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 17 di 72 risarcimento perderebbe ogni funzione compensativa, per trasformarsi in una vera e propria sanzione privata, imposta all’offensore ed a vantaggio dell’offeso. E’ stato osservato a questo riguardo che “se si identificasse lesione con danno, otterremmo conseguenze assurde. Supponiamo che un uomo in coma o, meglio, in stato vegetativo persistente, perda un centimetro quadrato di pelle, perché ustionato dall’incauto uso di uno strumento cauterizzante da parte di un infermiere. Vi è un danno che dia diritto al risarcimento in favore di quest’uomo in coma? (...). Ma (...) l’ustione sul centimetro quadrato di pelle (...) costituisce (...) danno biologico? Potrebbe dire sì solo chi identifichi quest’ultimo in qualsiasi alterazione materiale dello stato anteriore del corpo umano: anche un pelo strappato, anche un’unghia spezzata sarebbero allora danno biologico”23. La terza obiezione mossa alla tesi del danno biologico come danno in re ipsa si incentra sulla nozione di danno, e contesta che questo possa sussistere anche in assenza di una perdita, di tipo patrimoniale o non. Il concetto di danno, si è affermato a tal riguardo, implica necessariamente l’idea della “perdita”. Non basta, cioè, che sia leso un interesse perché possa ritenersi sussistente un danno in senso proprio: è necessario, invece, che dalla lesione dell’interesse sia conseguita una perdita patrimoniale o di altro tipo. Pertanto, se si facesse coincidere il danno biologico con la mera lesione dell’integrità psicofisica, anche se essa non ha avuto conseguenze peggiorative della vita del soggetto, si risarcirebbe un “danno” che non ha causato perdite. In questo senso la tesi del danno biologico come danno strutturale è stata definita, senza mezzi termini, un “errore”24. La quarta obiezione che si può muovere alla tesi del danno biologico come danno in re ipsa è di natura medico legale. Si è già accennato al fatto che il danno biologico ha fondamento medico legale, nel senso che presuppone necessariamente l’esistenza d’una lesione fisica o psichica. Ebbene, per la medicina legale il danno alla persona giuridicamente rilevante non è qualsiasi lesione dell’integrità psicofisica, ma soltanto quella lesione la quale abbia causato una disfunzione in uno qualsiasi dei molteplici aspetti della vita del danneggiato. Per il medico legale quindi lesione dell’integrità psicofisica e conseguenze derivatene sono concetti che vanno tenuti distinti, tanto è vero che la gravità della lesione non è affatto proporzionale alla 23 Mastropaolo, op. ult. cit., 212-213. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 18 di 72 gravità delle conseguenze. Il distacco della retina in un soggetto non vedente costituisce una lesione grave dalle conseguenze minime se non nulle; al contrario l’abbassamento di 1/10 del visus in un soggetto monocolo costituisce una lesione lieve, ma dalle rilevanti conseguenze. Le obiezioni alla tesi del danno biologico in re ipsa, di cui si è detto sin qui, sono state fatte proprie - in vario modo - sia dalla Corte costituzionale, sia dalla Corte di cassazione, ambedue contrarie a ritenere che la sola lesione della salute costituisca di per sé un danno, ove non ne siano derivate conseguenze pregiudizievoli. Il giudice delle leggi, che come si vide nel 1986 aveva ravvisato nella lesione della salute un danno in re ipsa, nel 1994 cambiò clamorosamente idea. In quell’anno la Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c. nella parte in cui non consentiva la risarcibilità agli eredi del c.d. “danno biologico da morte”, ha negato che basti la prova della lesione psicofisica per pretendere il risarcimento. “La prova della lesione - si legge nella sentenza - è, in re ipsa, prova dell'esistenza del danno (atteso che da una seria lesione dell'integrità fisio-psichica difficilmente si può guarire in modo perfetto), [ma] ai fini del risarcimento è sempre necessaria la prova ulteriore dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato”25. La Corte costituzionale non sarebbe potuta essere più esplicita nell’affermare che la dimostrazione della lesione dell’integrità psicofisica non è sufficiente ad ottenere il risarcimento: quest’ultimo infatti sarà dovuto solo se dimostrata “la diminuzione o privazione di un bene personale”. È ovvio che, nella stragrande maggioranza dei casi, questa dimostrazione potrà agevolmente essere fornita col ricorso alla prova presuntiva (art. 2727 c.c.), in quanto l’esistenza d’una lesione, di norma, consente di affermare che la vita di chi l’ha patita ne sarà negativamente influenzata. A livello teorico, tuttavia, la precisazione della Corte costituzionale assume un rilievo fondamentale per 24 25 Busnelli, Tre “punti esclamativi”, tre “punti interrogativi”, un “punto e a capo”, in Giust. civ., 1994, I, 3037. Corte cost. 27.10.1994 n. 372, in Giust. civ., 1994, I, 3029. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 19 di 72 potere definire il danno biologico come un danno disfunzionale: esso, cioè, sussiste ove sia dimostrato un peggioramento nella qualità della vita del soggetto leso. Anche la Corte di cassazione, in una nutritissima serie di decisioni, ha mostrato in modo chiaro di non condividere la tesi del danno biologico come danno in re ipsa. Sin dalle prime due “storiche” sentenze con le quali venne ammessa la piena risarcibilità della lesione della salute in quanto tale, la Corte ha fatto riferimento al danno biologico non come lesione dell’integrità psicofisica, ma come “perdita delle funzioni” naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica26. Secondo la Corte, dunque, la lesione fisica o psichica è soltanto il “substrato” del danno biologico, ma non si identifica affatto con esso. Il danno in questione consiste invece nelle rinunce cui la lesione ha costretto il danneggiato, ovvero con la perdita di funzioni esistenziali sofferta dal leso. Per il giudice di legittimità la quidditas del danno biologico non va dunque individuata nell’esistenza d’una lesione dell’integrità psicofisica. Questa ne rappresenta il presupposto necessario (il “substrato”, come affermato da Cass. 10.12.1991 n. 13292, in Resp. civ., 1992, 222), 26 Cass. 6.6.1981 n. 3675, in Foro it., I, 1884, e Cass. 6.4.1983 n. 2396, in Giur. it., 1984, I, 1, 537. Il richiamo alle “funzioni” perdute, alle “perdite funzionali”, alla “funzionalità” dell’individuo negli anni ’90 divenne quasi una clausola di stile nella giurisprudenza della Corte: si legge ad esempio nella motivazione di Cass. 6.12.1994 n. 10454, in Foro it. Rep., 1994, Danni civili, 169, che “per danno biologico deve intendersi la menomazione della integrità psico-fisica in sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si ricollega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica, e si estende quindi a tutti gli effetti negativi incidenti sul bene primario della salute, quale diritto inviolabile alla pienezza della vita ed all'esplicazione della propria personalità morale, intellettuale, culturale (...). Nella liquidazione il giudice deve considerare anche l'eventuale invalidità permanente, non già come menomata capacità di guadagno, ma come menomazione della salute fisiopsichica dello stesso", "prescindendo quindi dai riflessi sulla capacità di reddito del soggetto danneggiato" (...), e tutti i possibili profili di incidenza della menomazione del bene salute” (l’enfasi è aggiunta). Nello stesso senso, si vedano anche Cass., 14-4-1984, n. 2422, in Resp. civ., 1984, 333; Cass. 20.8.1984, n. 4661, in Resp. civ., 1985, 211; Cass. 26.11.1984, n. 6134, in Riv. giur. lav., 1985, II, 689; Cass. 6.5.1988 n. 3367, in Foro it. Rep. 1988, Danni civili, 69; Cass. 5.9.1988, n. 5033, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1989, 589; Cass. 4.12.1992, n. 12911, in Riv. critica dir. lav., 1993, 577; Cass. 14.10.1993, n. 10153, in Arch. circolaz., 1994, 17; Cass. 5.11.1994, n. 9170, in Foro it. Rep., 1994, Danni civili, 121; Cass. 10.3.1995, n. 4255, in Resp. civ., 1995, 519. In altri casi, in modo ancora più esplicito, la Corte ha distinto la “pura lesione dell’integrità psicofisica (o danno fisiologico)”, dal vero e proprio danno biologico (Cass. 10.12.1991 n. 13292, in Resp. civ., 1992, 222). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 20 di 72 ma l’essenza del danno risiede nel “valore umano” perduto, ovvero nelle conseguenze negative che la lesione ha prodotto sulla vita del danneggiato27. Va infine ricordato che la definizione del danno biologico come danno disfunzionale, piuttosto che come mera lesione dell’integrità psicofisica, è condivisa dalla grande maggioranza dei giudici di merito, i quali considerano il danno in questione come fatto che limita le possibilità vitali del danneggiato, impedendogli di vivere lo stesso tipo e qualità di vita che avrebbe vissuto se non fosse stato attinto dalla lesione. Le formule adottate al riguardo dai giudici di merito sono piuttosto varie nella sintassi, ma sostanzialmente analoghe dal punto di vista semantico. Così, il danno biologico viene definito di volta in volta come fatto che preclude al danneggiato di avvalersi delle proprie energie vitali nella stessa misura possibile prima della lesione; lesione delle manifestazioni o espressioni quotidiane del bene salute, riguardanti sia attività lavorative che extralavorative; lesione del valore uomo in tutta la sua dimensione concreta; lesione del diritto alla pienezza della vita; lesione delle funzioni naturali del soggetto; lesione della personalità del soggetto con riferimento alla somma delle funzioni naturali che afferiscono al soggetto stesso nell’ambito dell’ambiente in cui vive. Varietà lessicale, dunque, ma sostanziale uniformità di concezione, che è quella secondo cui il danno biologico consiste in una perdita di qualità della vita28. 27 Per la qualificazione del danno biologico in termini di “valore umano” perduto si vedano ex permultis Cass. 25.6.1997 n. 5675, in Dir. econ. ass., 1997, 1056; Cass. 24.6.1997 n. 5635, in Foro it. Rep., 1997, Danni civili, 224; Cass. 14.5.1997 n. 4236, in Foro it. Rep., 1997, Danni civili, 225; Cass. 15.11.1996 n. 10015, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1997, 86; Cass. 11.11.1996 n. 9835, in Foro it. Rep. 1996, Danni civili, 188; Cass. 18.9.1996 n. 8344, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1996, 945; Cass. 30.5.1996 n. 5005, inedita con riferimento al principio che qui interessa. 28 La giurisprudenza al riguardo è sterminata. Tra le tante decisioni si vedano Trib. Pisa 16.1.1985, in Riv. it. med. leg., 1987, 630; Trib. Roma 9.3.1987 n. 3014, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1987, 670; Pret. Piedimonte Matese 1.8.1987, in Arch. circolaz., 1988, 842; Trib. Milano 12.12.1988 n. 1173, in Arch. circolaz., 1989, 405; App. Perugia 18.3.1989, in Arch. civ., 1990, 46; Trib. Macerata 20.12.1989, in Arch. circolaz., 1990, 398; App. L’Aquila 21.3.1990, in PQM, 1990, 26; Trib. Napoli 13.7.1990, in Arch. civ., 1991, 61; Trib. Pescara 5.3.1992, in Arch. circolaz., 1992, 1016; Trib. Firenze 30.6.1992, in Arch. circolaz., 1992, 1013; Trib. Milano 10.12.1992, in Resp. civ., 1993, 995; Trib. L’Aquila 2.11.1993, in Giur. merito, 1994, 852; Trib. Ancona 11.4.1994, in Arch. circolaz., 1994, 855 (quest’ultima sentenza si segnala per chiarezza sintattica ed esaustività della motivazione); Trib. Roma 14.4.1994, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1994, 656; Trib. Firenze 7.6.1994, in Arch. circolaz., 1994, 1070; Giud. Pace Pordenone 9.5.1996, in Arch. circolaz., 1996, 825. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 21 di 72 7. (c) La natura omnicomprensiva. La terza caratteristica del danno alla salute è la omnicomprensività. Omnicomprensività del danno vuol dire che, nella liquidazione del risarcimento, occorre tenere conto di tutti i pregiudizi derivati dalla lesione, nessuno escluso. Così, costituisce danno risarcibile la perduta (per sempre o per un certo tempo) possibilità di camminare, di leggere, di fare sport, ma anche la perduta possibilità di raccogliere funghi, tenere comizi, far volare aquiloni, e via dicendo. Tutte le attività dell’esistenza divenute impossibili (in tutto o in parte) in seguito alla lesione sono suscettibili di essere valutate nella liquidazione del danno. Questo principio conosce un solo limite: non è risarcibile la perduta possibilità di svolgere attività illecite (ad es., rubare o truffare) od immorali (ad es., prostituirsi). La natura omnicomprensiva del danno alla salute è unanimemente proclamata dal giudice delle leggi, da quello di legittimità e dai giudici di merito. Il primo ha stabilito che il danno biologico, ai fini del risarcimento, deve essere preso in considerazione “in relazione alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità, e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana”29. Tale opinione, da tempo condivisa dalla giurisprudenza assolutamente unanime della Corte di cassazione30, è stata confermata dall’autorità delle Sezioni Unite, ad avviso delle quali “il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie”, e che di conseguenza costituisce componente intrinseca del danno biologico “ogni sofferenza, fisica o psichica”31. In applicazione di questo 29 30 Corte costit. 18-7-1991 n. 356, in Assicurazioni, 1991, II, 2, 109. Ex plurimis, Cass., sez. III, 03-08-2005, n. 16225, in Foro it. Rep. 2005, Danni civili, n. 306; Cass. 14.3.1995 n. 2932, in Foro it. Rep. 1995, Danni civili, 145; Cass. 18.4.1996 n. 3686, in Riv. giur. lav. 1996, II, 33; Cass. 19.4.1996, n. 3727, in Foro it. Rep. 1996, Danni civili, 114; Cass., 11.6.1997, n. 5251, in Foro it. Rep. 1997, Danni civili, 158. 31 Cass. sez. un. 11.11.2008 n. 26972, in ***. In dottrina, tale opinione è condivisa da Busnelli, Tre “punti esclamativi”, tre “punti interrogativi”, un “punto e a capo”, in Giust. civ., 1994, I, 3035; e da Monateri, La responsabilità civile, Torino 1998, 484. Quest’ultimo autore, peraltro, non senza contraddizione dopo avere affermato la natura omnicomprensiva del danno biologico, ha sostenuto la diversità rispetto ad esso dei ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 22 di 72 principio, si è ritenuto corretto corretto l'operato del giudice di merito che liquidi il risarcimento del danno biologico in una somma omnicomprensiva, “posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, e sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici (Cass. 9.12.2010 n. 24864). La natura omnicomprensiva del danno alla salute risulta, infine, condivisa dalla prevalente giurisprudenza di merito, nella quale è frequente il richiamo al danno biologico come figura assorbente del danno alla vita sessuale, di quello alla vita di relazione, di quello estetico, di quello alla capacità lavorativa generica, e via dicendo, figure tutte divenute perciò non più autonomamente risarcibili (ex plurimis, App. Ancona 28.2.1996, Procaccini c. Intercontinentale, inedita; Trib. Piacenza 22.5.1993, in Arch. circolaz., 1993, 705; Trib. L’Aquila 26.1.1991, in PQM, 1991, 67; Trib. Napoli 5.8.1990, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1991, 228; Trib. Ravenna 13.3.1990, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1991, 853; Trib. Milano 25.1.1990, in Arch. circolaz., 1990, 398; Trib. Como, 21-06-1989, in Arch. circolaz., 1989, 917; Trib. Spoleto 10.8.1987, in Arch. circolaz., 1988, 328; App. Roma 9.3.1987, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1987, 670; App. Cagliari 15.2.1985, in Giur. it., 1985, I, 2, 1180). Questa opinione assolutamente dominante è stata tuttavia disattesa da una isolata decisione della S.C., nella quale si sostiene che nonostante il principio dell'unitarietà del danno non patrimoniale, quale categoria omnicomprensiva che include anche il danno biologico ed il danno da reato, il giudice deve comunque procedere ad una “valutazione ponderale analitica” delle varie tipologie di danno non patrimoniale (Cass. 11.6.2009 n. 13530). Nelle maggioranza delle decisioni di merito è frequente il richiamo al contenuto del danno biologico in termini di limitata esplicazione della personalità morale, intellettuale, culturale, sociale, sportiva, estetica, del danneggiato (App. Torino 25.11.1985, in Arch. circolaz., 1986, 379). Anzi, è proprio nella giurisprudenza di merito che si rinvengono al riguardo gli spunti di maggiore pregiudizi esistenziali (Monateri, Alle soglie di una nuova categoria risarcitoria: il danno esistenziale, in Danno e ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 23 di 72 interesse, al di là delle formule stereotipe che la S.C., in adempimento del proprio ruolo nomofilattico, è necessitata ad adottare. Così, ad esempio secondo App. Milano 17.1.1989, Norditalia c. Sarno, inedita, nella liquidazione del risarcimento occorre tenere conto anche delle aspettative e dei bisogni del leso, sorti in seguito all’invalidità. App. Perugia 16.5.1985, Pignotti c. Ist. riun., inedita, ha fatto invece riferimento alla incidenza negativa delle lesioni sul tempo libero del danneggiato. Tra le conseguenze esistenziali negative, di cui tenere conto nelle liquidazione, per Pret. Livorno 27.2.1992 rientrano poi le conseguenze dei postumi sui rapporti del leso con il coniuge, i figli, e con tutta la famiglia e la società in genere. Trib. Verona 20.3.95, in Riv. dir. sport., 1996, 94, ha ritenuto che la sopravvenuta incapacità di svolgere uno sport non remunerativo vada valutata nella liquidazione del danno alla salute. Infine, Trib. Spoleto 10.8.1987, in Giust. civ., 1988, I, 2992, ha affermato che nella liquidazione vanno “tenute presenti” la ricchezza della vita di relazione del danneggiato, i suoi studi, e le gratificanti attività collaterali da questi esercitate (nello stesso senso si veda anche Giud. pace Pordenone 9.5.1996, in Arch. circolaz., 1996, 825). Assai frequente, infine, è l’affermazione secondo cui nella liquidazione del danno biologico occorre tenere conto anche delle ripercussioni negative che esso ha avuto sullo svolgimento dell’attività lavorativa, in termini di maggior affaticamento o usura, a prescindere da eventuali contrazioni reddituali (Trib. Roma 16.2.2002, Abalos c. Bayerische, inedita; si tratta del c.d. pregiudizio alla cenestesi lavorativa). L’emersione del concetto di danno biologico, e l’affermazione della sua natura omnicomprensiva, hanno fatto diventare del tutto inutili varie categorie di danni, create dalla giurisprudenza allorché non si ammetteva la risarcibilità del danno alla salute in sé e per sé considerato. In quell’epoca la lesione della salute veniva risarcita solo a titolo di danno morale (che però poteva essere irrisarcibile, in assenza di reato), ovvero di danno patrimoniale: ma poiché non sempre la vittima era percettore di reddito, dottrina e giurisprudenza avevano elaborato una serie di fictiones iuris, alle quali ricorrere nei casi in cui il danneggiato, non avendo redditi, non avrebbe a rigore potuto pretendere alcun risarcimento. Queste categorie (l’incapacità lavorativa generica, il danno alla vita sessuale, il danno alla serenità familiare, il danno estetico, il danno alla vita di relazione) resp., 1999, 5). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 24 di 72 venivano concepite per lo più come ipotesi di danno patrimoniale indiretto. Si presumeva cioè che il danno, pur nona vendo inciso su alcun reddito in atto, avrebbe potuto incidere su redditi meramente futuri o potenziali della vittima. Ora, se si conviene sul fatto che queste categorie di danno non avevano alcun referente oggettivo, ma costituivano soltanto finzioni introdotte dalla prassi al fine di apprestare tutela a casi di danneggiati senza reddito, deve di conseguenza convenirsi sul fatto che l’utilità di tali nozioni, con l’apparizione del danno biologico, è del tutto venuta meno. La nozione di danno biologico, come sin qui delineata, permette infatti di risarcire la lesione della salute subìta da qualsiasi soggetto, sia egli ricchissimo o poverissimo, iperattivo o infingardo. Oggi quindi non è più possibile che esistano “uomini senza valore”, e di conseguenza non è più necessario ricorrere a fictiones iuris per immaginare improbabili ripercussioni sul reddito di danni che nulla, col reddito, avevano a che fare. 8. (d) La natura areddituale. La quarta caratteristica del danno alla salute è che esso va accertato e liquidato a prescindere da qualsiasi incidenza che la lesione della salute possa avere avuto sul patrimonio e sui redditi della vittima. Ciò significa che sussiste una assoluta autonomia tra il risarcimento del danno patrimoniale ed il risarcimento del danno alla salute: l’uno non implica, né presuppone l’altro. Il danno alla salute andrà perciò sempre liquidato, anche quando il danneggiato non abbia ancora, o abbia perduta, o non abbia mai avuto attitudine a svolgere attività produttiva di reddito. Il risarcimento del danno biologico spetta a tutti coloro che abbiano patito una lesione della salute, che siano o meno percettori o produttori di reddito32. Questo principio, da sempre tenuto fermo dalla giurisprudenza33, è stato elevato a dignità normativa dagli artt. 138 e 139 cod. ass., nonché dall’art. 13 d. lgs. 38/2000, i quali nel definire il 32 Sterminati i riferimenti dottrinari: per tutti, si veda Alpa, Vecchi e nuovi problemi concernenti il danno biologico, in Giust. civ., 1993, 2103. 33 Ex permultis, nel senso che il risarcimento del danno biologico deve prescindere dalle conseguenze patrimoniali della lesione, si vedano Cass., sez. III, 20-04-2007, n. 9510, in Resp. civ., 2007, 1553; Cass., sez. III, 09-11-2006, n. 23918, in Foro it., 2007, I, 71; Cass., sez. III, 28-07-2005, n. 15822, in Foro it. Rep. 2005, Danni civili, n. 198; Cass., sez. III, 11-08-2000, n. 10725, in Foro it. Rep. 2000, Danni civili, n. 237; Cass. 30-10-1998 n. 10897, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 250; Cass. 25-5-1998 n. 5195, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 235; Cass. 22-519-98 n. 5134, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 238; Cass. 22-4-1998 n. 4071, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 246; ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 25 di 72 danno biologico espressamente stabiliscono che esso va valutato a prescindere dalle ripercussioni sul reddito. Dalla natura areddituale del danno biologico discendono due conseguenze: (a) la prima è che a parità di età, sesso, lesione e postumi patiti dalla vittima, il risarcimento del danno in esame sarà tendenzialmente uguale per il miliardario e per il nullatenente; (b) la seconda è che il danno alla salute non può essere liquidato con alcun criterio che ponga a base della liquidazione il reddito del danneggiato34. 9. (e) L’intangibilità del risarcimento. L’ultima caratteristica essenziale del danno biologico è l’intangibilità, a certe condizioni e da parte di determinati soggetti, delle somme dovute alla vittima a titolo di risarcimento. Si tratta di una intangibilità relativa, opponibile soltanto agli assicuratori sociali che, una volta indennizzata la vittima di lesioni, intendano agire in surrogazione nei confronti del responsabile del danno. Ricorrendo tale ipotesi, il responsabile non può rifiutare o limitare il risarcimento del danno alla salute, per il solo fatto di avere già accolto la richiesta di surrogazione avanzata dagli assicuratori sociali, i quali abbiano indennizzato alla vittima pregiudizi diversi da quello biologico35. 10. Danno biologico e danno morale. Per lungo tempo ha costituito una prassi giurisprudenziale assolutamente uniforme la liquidazione congiuntsa del danno biologico e del danno morale, definito come il “patema d’animo transeunte”. La tradizionale identificazione del danno definito “morale” col solo pregiudizio psichico venne abbandonata per prima in tema di risarcimento del danno patito da persone giuridiche. Rispetto a queste ultime non era infatti concepibile alcuna “sofferenza psichica”; sicché a tenere ferma la Cass. 24-2-1998 n. 1975, in Giust. civ., 1998, I, 2618; Cass. 25-8-1997 n. 7977, in Foro it. Rep., 1997, Danni civili, 223; Cass. 2-7-1997 n. 5949, in Foro it. Rep., 1997, Danni civili, 220; Cass. 24-6-1997 n. 5635, in Foro it. Rep., 1997, Danni civili, 224; Cass. 15-4-1996 n. 3539, in Foro it. Rep., 1996, Danni civili, 125; Cass., sez. III, 16-091995, n. 9772, in Foro it. Rep. 1995, Danni civili, n. 150Cass. 13-5-1995 n. 5271, in Arch. circolaz., 1996, 20. 34 Ex multis, Cass., sez. III, 16-11-2000, n. 14874, in Foro it. Rep. 2000, Danni civili, n. 243; Cass., sez. III, 12-05-2000, n. 6117, in Foro it. Rep. 2000, Danni civili, n. 244; Cass., sez. III, 08-01-1999, n. 101, in Danno e resp., 1999, 665; Cass., sez. III, 30-10-1998, n. 10897, in Foro it. Rep. 1998, Danni civili, n. 250. 35 Art. 1916 c.c., nel testo risultante dalla pronuncia di Corte cost., 18 luglio 1991, n. 356, in Assicurazioni, 1991, II, 2, 109; si veda anche l’art. 142 cod. ass.. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 26 di 72 tradizionale impostazione si sarebbe dovuto negare il risarcimento del danno non patrimoniale alle persone giuridiche vittime di reato. Così la S.C. cominciò a negare, sia pure in questo settore particolare, l’identificazione del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. col solo patema d’animo soggettivo e transeunte. La sentenza capostipite in tal senso è Cass. 10 luglio 1991 n. 7642, in Giust. civ., 1991, I, 1955, la quale ritenne il danno non patrimoniale comprensivo “di qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria basata su criteri di mercato, non possa essere oggetto di tecnico risarcimento, sibbene di riparazione”36. Un altro fiero colpo all’impostazione tradizionale, che identificava il danno morale con la sola sofferenza transeunte, fu assestato (inconsapevolmente) dalle due coeve decisioni con le quali la S.C. interpretò in senso costituzionalmente orientato l’art. 2059 c.c., chiarendo che il risarcimento del danno non patrimoniale è consentito non solo nei casi previsti dalla legge, ma anche in tutte le ipotesi in cui l’illecito leda un diritto della persona costituzionalmente garantito (Cass., sez. III, 3105-2003, n. 8827 e Cass., sez. III, 31-05-2003, n. 8828, ambedue in Danno e resp., 2003, 816 e ss.). Con queste decisioni infatti la S.C. stabilì che: (a) tutti i danni si dividono in patrimoniali e non patrimoniali, e non esistono tertia genera; (b) il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. ha natura omnicomprensiva; (c) anche quando l’illecito non integri gli estremi di un reato, il danno non patrimoniale è sempre risarcibile nel caso di offesa a diritti della persona di rilievo costituzionale. Così interpretato l’art. 2059 c.c., veniva meno sia il presupposto teorico, sia lo scopo pratico, della distinzione tra danno morale e danno non patrimoniale. Il presupposto, infatti, era rappresentato dall’assunto che l’art. 2059 c.c. riguardasse solo una aliquota di tutti i danni non patrimoniali, là dove la S.C. affermò invece nelle sentenze appena ricordate l’esatto opposto, e cioè che l’art. 2059 c.c. disciplina tutte le ipotesi di danno non patrimoniale. 36 Successivamente, nello stesso senso, Cass. 5 dicembre 1992 n. 12951, in Foro it., 1994, I, 561; Cass. 3 marzo 2000 n. 2367, in Danno e resp., 2000, 490; Cass. 16 luglio 2004 n. 13163, in Giust. civ., 2005, I, 1579; Cass. 4 giugno 2007 n. 12929, in Danno e resp., 2007, 1236. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 27 di 72 Lo scopo pratico della distinzione tra danno morale e danno non patrimoniale era quello di sottrarre il danno biologico al limite risarcitorio previsto dall’art. 2059 c.c., ed anche questa necessità venne meno allorché si stabilì che, reato o non reato, la lesione della salute è sempre risarcibile, perché incidente su un diritto della persona garantito dall’art. 32 cost.37. Il colpo di grazia alla ormai anacronistica distinzione tra danno morale e danno biologico venne infine inferto dalle Sezioni Unite38. Queste ultime, riprendendo e sviluppando i princìpi già affermati dalle sentenze del 2003 sopra ricordate, ha affermato ore rotundo che la “tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poiché né l'art. 2059 c.c. né l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (…) . Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”39. Da questa affermazione di principio discende che rientra nel concetto di danno biologico ogni sofferenza fisica o psichica provata dalla vittima, che di quel danno “per sua natura intrinseca costituisce componente”, e che “determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale (…), sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno 37 Nell’immediatezza, però, la stessa S.C. non trasse le debite conseguenze da queste affermazioni di principio: ed infatti nelle stesse sentenze 8827/03 ed 8828/03, citate nel testo, si continua a considerare il danno morale e quello biologico come entità “ontologicamente” diverse. 38 Cass. sez. un. 11.11.2008 n. 26972, in ***. 39 Cass. 26972/08, cit., § 2.10 dei “Motivi della decisione”. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 28 di 72 biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”40. Ciò non vuol dire che la sofferenza morale causata dalle lesioni non debba più essere risarcita. La sofferenza resta un danno, e come tale è risarcibile se derivante da una lesione della salute o comunque da un fatto reato. Quel che deve escludersi è che il medesimo pregiudizio (la sofferenza) possa essere liquidato due volte, dapprima a titolo di danno biologico e quindi a titolo di danno morale. Delle particolari sofferenze causate dall’infortunio il giudice dovrà quindi tenere conto non liquidando una posta di danno aggiuntiva rispetto al danno biologico, ma adeguatamente personalizzando la liquidazione di quest’ultimo (così Cass. 24.2.2010 n. 4484; Cass. 13.5.2011 n. 10527). Va tuttavia precisato che il nuovo orientamento non è stato accolto senza resistenze (spesso anche inconsapevoli), e così ancora a distanza di molti mesi dall’intervento delle Sezioni Unite ancora si regostrano decisioni - sia di legittimità che di merito - le quali ancora contoinuano a distinguere concettualmente tra danno morale e danno biologico (Cass. 24.5.2010 n. 12593). 11. Invalidità permanente ed invalidità temporanea. Ad ogni lesione dell’integrità psicofisica consegue, di norma, un certo periodo di malattia, che può essere più o meno lungo e più o meno impeditivo delle ordinarie attività dell’esistenza; in esito a questo periodo si colloca la guarigione, che può avvenire con o senza postumi permanenti. Sia il periodo di malattia e convalescenza, sia la guarigione con postumi, costituiscono ipotesi di danno alla salute. Il primo è danno perché, costringendo il leso ad una totale o parziale inattività, gli impedisce lo svolgimento delle ordinarie attività vitali; il secondo è danno perché, in ragione dell’efficacia invalidante dei postumi, riduce proporzionalmente la possibilità del leso di attendere alle proprie ordinarie attività. Questi due tipi di danno, pur appartenendo allo stesso genere, vengono nella prassi tenuti distinti. Il periodo di malattia e di convalescenza viene designato come invalidità temporanea (da taluno, 40 Cass. 26972/08, cit., § 4.8 dei “Motivi della decisione”. Contra, tuttavia, si è in seguito pronunciata cass. 19.1.2010 n. 702, la quale ha ammesso che il danno morfale possa essere liqudiato in una frazione del danno biologico. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 29 di 72 meno esattamente definita “inabilità”41); la guarigione con postumi viene designata come invalidità permanente. Sia l’una che l’altra possono essere assolute o parziali, a seconda che le ordinarie attività dell’esistenza del leso siano impedite in tutto (momentaneamente o temporaneamente), ovvero soltanto in parte (momentaneamente o temporaneamente). La distinzione è stata suggerita dalla medicina legale e dalla prassi, ed ha l’obiettiva utilità di favorire liquidazioni che tengano conto il più possibile delle peculiarità dei casi concreti, tenendo conto ad esempio della durata della malattia, e dell’effetto invalidante di essa. La Corte di cassazione ha ritenuto ammissibile la liquidazione del danno alla salute tenendo distinto il risarcimento dell’invalidità permanente da quello dell’invalidità temporanea, ferma restando la natura unitaria del danno biologico, e sempre che il complessivo ammontare del risarcimento sia commisurato alla reale entità del danno42. Ciò vuol dire, in particolare, che l’invalidità permanente va valutata soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno43. Così, per fare un esempio: se a causa della frattura dell’olecrano Tizio perde la possibilità di giocare a tennis, attività cui era dedito prima dell’infortunio, e nella liquidazione dell’invalidità permanente il giudice tiene conto di tale perdita opportunamente personalizzando il risarcimento, non potrà poi nella liquidazione del danno biologico da invalidità temporanea tenere conto una seconda volta del fatto che, durante la degenza ospedaliera, la vittima ha dovuto rinunciare a praticare la suddetta attività Nella giurisprudenza di merito l’orientamento larghissimamente maggioritario è quello di liquidare separatamente il danno da invalidità temporanea e quello da invalidità permanente, ed a tal fine 41 Per la medicina legale, infatti, il lemma “inabilità” dovrebbe designare le conseguenze della menomazione su una attività di lavoro. 42 Cass., sez. III, 19-07-2005, n. 15223, in Foro it. Rep. 2005, Danni civili, n. 305; Cass., sez. lav., 30-07-2003, n. 11704, in Foro it. Rep. 2003, Danni civili, n. 343; Cass. 17.3.1999 n. 2425, in Foro it. Rep. 1999, Danni civili, n. 248; Cass. 8.1.1999 n. 101, in Danno e resp., 1999, 665; Cass. 15-9-1995 n. 9725, in Foro it. Rep., 1995, Danni civili, 245. 43 Cass., sez. III, 25-02-2004, n. 3806, in Arch. circolaz., 2004, 752. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 30 di 72 viene appositamente domandato al c.t.u. medico legale sia di determinare il grado di invalidità permanente, sia di indicare la durata della malattia e della convalescenza44. Si vedrà in seguito (Capitolo ***) attraverso quali criteri viene convertito in denaro sia il danno da invalidità permanente, sia quello da invalidità temporanea. E’ però opportuno ribadire sin d’ora che queste ultime costituiscono tutte e due un danno alla salute, e vengono valutate separatamente soltanto per convenzione. Appare pertanto scorretta quella prassi, che talora si riscontra nelle aule giudiziarie, secondo la quale se il leso è un minorenne non in età da lavoro, non gli viene riconosciuto alcun periodo di invalidità temporanea. Questa prassi confonde inammissibilmente il danno alla salute col danno da lucro cessante. Infatti, se è ammissibile che il minore non possa avere subito alcun danno da lucro cessante durante il periodo di malattia, è vero assolutamente il contrario per il danno alla salute. Anche il minore, rinunciando alle proprie ordinarie attività esistenziali (quali che esse siano) durante il periodo di malattia, subisce un danno biologico, che deve essere adeguatamente ristorato in termini di invalidità temporanea. 12. Danno alla vita sessuale, danno estetico, danno alla vita di relazione, danno da incapacità lavorativa generica. Come accennato, l’affermazione della risarcibilità del danno alla salute in se e per sé (cioè a prescindere dalle sue conseguenze patrimoniali), e l’affermazione della natura omnicomprensiva del danno alla salute (cioè la necessità di valutare, a fini risarcitori, la compromissione di qualsiasi funzione vitale compromessa), hanno reso del tutto inutili alcune categorie di danni create dalla giurisprudenza nel passato, allorché la lesione della salute veniva risarcita solo attraverso la fictio juris della lesione del reddito (ipotizzandosi cioè che ad ogni limitazione percentuale della validità corrispondesse una uguale contrazione del reddito). Quando la lesione della salute veniva valutata soltanto sotto il profilo delle sue conseguenze patrimoniali, dottrina e giurisprudenza avevano elaborato una serie di categorie concettuali, alle 44 Tuttavia occorre dare atto dell’esistenza di alcune isolate decisioni di merito, le quali hanno negato la possibilità di liquidazioni distinte per invalidità temporanea ed invalidità permanente, sulla base del rilievo secondo cui uno è il bene “salute”, e pertanto una deve essere la liquidazione (App. Milano 25.1.1994, in Assicurazioni, 1994, II, 2, 169; Trib. Crema 22.9.1994, in Resp. civ., 1995, 351). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 31 di 72 quali ricorrere nei casi in cui il danneggiato, non avendo redditi, non avrebbe a rigore potuto pretendere alcun risarcimento. Queste categorie (l’incapacità lavorativa generica, il danno alla vita sessuale, il danno alla serenità familiare, il danno estetico, il danno alla vita di relazione) venivano concepite per lo più come ipotesi di danno patrimoniale indiretto. Tuttavia oggi la nozione di danno biologico, come elaborata dalla giurisprudenza, permette di risarcire la lesione della salute subìta da qualsiasi soggetto, sia egli ricchissimo o poverissimo, iperattivo o infingardo. Oggi, quindi, non è più possibile che esistano “uomini senza valore”, e di conseguenza non è più necessario ricorrere a fictiones iuris per immaginare improbabili ripercussioni sul reddito di danni che nulla, col reddito, avevano a che fare. Alla luce di queste considerazioni, deve concludersi che le vecchie figure di danno sono state assorbite nella nozione di danno biologico. Ed infatti: (a) per quanto attiene il danno da lesione della c.d. capacità lavorativa generica, la S.C. afferma costantemente che la riduzione o perdita della capacità lavorativa generica è “inerente al valore dell’uomo come persona e deve essere valutata all’interno della liquidazione del danno biologico” (Cass. 25.5.2007 n. 12247; Cass. 2.2.2007 n. 2311; Cass., sez. III, 22-02-2002, n. 2589, in Foro it., 2002, I, 2074; Cass., sez. III, 24-05-2001, n. 7084, in Foro it. Rep. 2001, Danni civili, n. 127; Cass., sez. III, 12-09-2000, n. 12022, in Danno e resp., 2001, 949; Cass., sez. III, 11-08-2000, n. 10725, in Danno e resp., 2001, 946); (b) per quanto attiene il danno alla vita di relazione, anche in questo caso (sebbene con maggiori tentennamenti) la S.C. è pervenuta infine ad ammettere che esso costituisca un aspetto, o componente, del danno biologico (Cass. 25.5.2007 n. 12247; Cass. 20.4.2007 n. 9510; Cass., sez. III, 24-04-2001, n. 6023, in Dir. e giustizia, 2001, fasc. 20, 71; Cass., sez. III, 15-12-2000, n. 15859, in Foro it. Rep. 2000, Danni civili, n. 156; Cass., sez. III, 17-11-1999, n. 12741, in Foro it. Rep. 1999, Danni civili, n. 179); (c) per quanto attiene il danno estetico, è pacifico che il danno estetico, ovvero la compromissione dell’integrità fisionomica della persona, costituisce necessariamente un danno biologico (anche se, ovviamente, può causare anche un danno patrimoniale, ove la perduta integrità estetica causi una comprovata riduzione del reddito: così Cass. 8.6.2007 n. 13391; Cass. 27.3.2007 n. 7492; Cass., sez. III, 29-09-1999, n. 10762, in Danno e resp., 2000, 647; cfr. altresì Cass. 1.4.2004 n. 6383; ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 32 di 72 Cass., sez. III, 15-12-2000, n. 15859, in Foro it. Rep. 2000, Danni civili, n. 156; Cass., sez. III, 2105-2001, n. 6895, in Foro it. Rep. 2001, Danni civili, n. 124); (d) per quanto, infine, attiene al danno alla vita sessuale, anche in questo caso la giurisprudenza non dubita che di esso, se causato da una lesione fisica o psichica derivata dall’altrui atto illecito, si debba tenere conto nella liquidazione del danno biologico, in quanto in quest’ultimo necessariamente ricompreso (Cass., sez. lav., 18-04-1996, n. 3686, in Riv. giur. lav., 1996, II, 33; Cass., sez. III, 14-10-1993, n. 10153, in Arch. circolaz., 1994, 17; Cass., sez. III, 30-03-1992, n. 3867, in Foro it., 1993, I, 1959). 13. Accertamento. L’accertamento del danno alla salute pone due ordini di problemi, uno di ordine teorico (ma con rilevantissime ricadute pratiche), l’altro di ordine pratico. Il primo problema è quello di stabilire se il danno biologico sia un danno in re ipsa, ovvero richieda l’accertamento di un quid pluris rispetto alla lesione dell’integrità psichica o fisica. Il secondo problema è quello di stabilire se l’accertamento del danno richieda necessariamente, ed entro quali limiti, l’ausilio d’un medico legale. Al primo problema, per lungo tempo, giudici di merito, giudici di legittimità e parte della dottrina hanno dato risposta affermativa sulla scorta dell’insegnamento della Corte costituzionale. Quest’ultima, con la già citata sentenza 14-07-1986, n. 184, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1986, 1007, al fine di dimostrare la differenza strutturale tra danno biologico e danno morale (nell’intento di sottrarre il danno biologico al limite risarcitorio posto, per il danno morale, dall’art. 2059 c.c.), affermò che ogni atto illecito ha una struttura tripartita: condotta umana; evento di danno; nesso causale tra condotta ed evento. L’evento di danno, cioè il risultato della condotta dell’uomo, costituisce un elemento materiale, naturalistico, che va tenuto distinto dalle ulteriori conseguenze che da esso possono derivare. Nel caso di danno biologico, l’evento materiale di danno (la lesione dell’altrui salute) è elemento costitutivo dell’illecito. Questo evento materialistico, o danno-evento, a sua volta, può poi porsi quale causa di ulteriori conseguenze dannose (ad esempio, la perdita di un affare vantaggioso), o danni-conseguenza, le ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 33 di 72 quali sono legate alla originaria condotta tenuta dall’autore dell’illecito da un ulteriore nesso di causalità. Pertanto, poiché il danno biologico è un “danno-evento”, cioè un danno che si identifica con l’evento materiale, basta provare la lesione di quest’ultimo perché possa pretendersene il risarcimento. Si tratta, in definitiva, di un danno in re ipsa. Questa impostazione, tuttavia, è stata abbandonata pochi anni dopo dalla stessa Corte costituzionale, con una clamorosa marcia indietro. Con la sentenza 372/94, infatti, la Corte osservò: “là dove qualifica come «presunto» [il danno alla salute], identificandolo col fatto (illecito) lesivo della salute, [la sentenza n. 184/86] intende dire che la prova della lesione è, in re ipsa, prova dell'esistenza del danno (atteso che da una seria lesione dell'integrità fisio-psichica difficilmente si può guarire in modo perfetto), non già che questa prova sia sufficiente ai fini del risarcimento. E' sempre necessaria la prova ulteriore dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato” (Corte cost. 27.10.1994 n. 372, in Giust. civ., 1994, I, 3029). Pertanto, mentre nella sentenza n. 184/86 la Consulta aveva articolato il seguente sillogismo: (a) il diritto alla salute è situazione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta; (b) la lesione di una situazione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta fa sorgere l’obbligo di risarcire il danno; (c) ergo, la lesione della salute, da sola, costituisce un’ipotesi di danno risarcibile, con la conseguenza che basta provare l’esistenza della lesione, per avere diritto al risarcimento; al contrario con la sentenza 372/94 la prospettiva viene completamente ribaltata, distinguendosi tra “esistenza del danno” ed “entità del danno”. L’esistenza della lesione è prova, da sola, dell’esistenza del danno, e solo in questo senso il danno biologico può ritenersi “presunto”: ovvero nel senso che, provata l’esistenza della lesione, è automaticamente provata anche l’esistenza del danno. Provata tuttavia l’esistenza della lesione in corpore, non sorge per ciò solo il diritto al risarcimento: è necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno: la prova, cioè, che a causa della lesione ed in ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 34 di 72 conseguenza di essa il soggetto danneggiato ha subìto la “diminuzione o privazione di un valore personale non patrimoniale”. Principio, quest’ultimo, che sembra essere stato condiviso dalla S.C., la quale ha espressamente affermato che, in tema di danno biologico, “non vale la regola che, verificatosi l'evento, vi sia senz'altro un danno da risarcire. Il risarcimento del danno vi sarà se vi sarà perdita di quelle utilità che fanno capo all'individuo nel modo preesistente al fatto dannoso e che debbono essere compensate con utilità economiche equivalenti. In caso contrario il cosiddetto danno biologico non può essere configurato” (Cass. 29.5.1996 n. 4991, in Foro it., 1996, I, 3107). Negli ultimi anni, poi, la Corte di cassazione ha dapprima manifestato serie perplessità - sia pure obiter dictum - su tutta la costruzione teorica che distingue tra danno-evento e danno-conseguenza (cfr. in tal senso, Cass., sez. un., 21-02-2002, n. 2515, in Danno e resp., 2002, 499, in motivazione), e quindi - come già detto - definitivamente abbandonato l'artificiosa ricostruzione della Corte costituzionale, espressamente affermando che il danno non si identifica con la lesione dell'interesse; ma da quest'ultima possono scaturire conseguenze dannose, che il danno sempre allegate e provate (Cass. 31.5.2003 n. 8827, in Assicurazioni, 2003, II, 2, 111). In conclusione, quindi, può affermarsi che l’accertamento del danno biologico richiede necessariamente, quale indefettibile presupposto, l’accertamento di una lesione della salute psichica o fisica. Questa, però, non è sufficiente, in quanto occorre altresì accertare che da tale lesione siano derivate conseguenze peggiorative, vuoi permanenti, vuoi temporanee, per la concreta esistenza della vittima. E’ stato osservato da parte della dottrina che tali conclusioni sembrerebbero essere in contrasto con la definizione normativa di danno biologico, contenuta negli artt. 5 l. 57/01, e 13 d. lgs. 38/00, di cui si è detto supra. Secondo tali norme, infatti, il danno biologico è la “lesione all'integrità psicofisica della persona”, il che potrebbe lasciar intendere che, per il legislatore, quel che si risarcisce è la lesione in sé, e non le sue conseguenze. Tale conclusione tuttavia appare affrettata. Si consideri, infatti, che il successivo comma 5 dello stesso art. 5 l. 57/01 stabilisce che il risarcimento può essere aumentato dal giudice fino al 20%, “con equo e motivato apprezzamento delle condizioni ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 35 di 72 soggettive del danneggiato”: dal che si desume che quel che rileva, ai fini della personalizzazione del risarcimento, non è l’entità delle lesioni, ma l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. La seconda peculiarità dell’accertamento del danno biologico, come già accennato, consiste nel fatto che questo tipo di danno, per essere valutato nella sua eziologia e apprezzato nelle sue conseguenze lesive, richiede normalmente l’ausilio di un medico legale (cfr. altresì l’art. 5 l. 57/01, ove il danno biologico è definito come la lesione “suscettibile di accertamento medico-legale”). Da ciò derivano importanti conseguenze, ed in particolare che danno biologico risarcibile è soltanto quello derivante dall’accertata esistenza di una patologia, permanente o transeunte, della quale soffra od abbia sofferto il corpo o la psiche. Il danno biologico è dunque soltanto quello corpore corpori illatum (ovviamente comprendendo nel concetto di “corpus” anche la salute mentale). Questa conclusione è stata fatta propria dal giudice di legittimità, il quale ha escluso che il danno biologico possa prescindere dall’accertata esistenza d’una lesione fisica o psichica, accertabile da un medico legale. Tale danno, secondo la S.C., per quanto normalmente si risolva in un peggioramento della qualità della vita, presuppone pur sempre una lesione dell'integrità psicofisica, di cui, quel peggioramento è solo la conseguenza. “Non, dunque, la minore godibilità della vita è in sé risarcibile a tale titolo, ma solo la lesione della salute, costituente il bene giuridicamente tutelato dall'art. 32 della Costituzione”. La conseguenza è che, in difetto di prova di una lesione della integrità psicofisica della pretesa vittima, non è configurabile un danno biologico (Cass. 17.11.1999 n. 12756, in Riv. giur. circolaz. trasp., 2000, 308; nello stesso senso, Cass. 18.1.2006 n. 828). Da ultimo, va ricordato che, con limitato riferimento all’accertamento dei danni con esiti micropermanenti, il legislatore ha introdotto una specifica sanzione aggiuntiva a carico dei sanitari quale che ne sia la veste: c.t.u., c.t.p., ecc. - i quali dovessero attestare falsamente uno stato di microinvalidità conseguente ad incidente stradale, da cui derivi il risarcimento del danno connesso a carico della società assicuratrice. Ha stabilito, in particolare, l’art. 10 bis d.l. 31.5.2010 n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30.7.2010 n. 122, che in tal caso il sanitario e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. Sugli aspetti sostanziali e processuali della consulenza tecnica d’ufficio in generale, nel giudizio di responsabilità, si veda la scheda ad hoc. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 36 di 72 14. Liquidazione. I criteri di liquidazione del danno biologico possono variare a seconda: (a) dell’eziologia del danno, in quanto i danni causati da sinistri stradali sono disciplianti dagli artt. 138 e 139 cod. ass., mentre gli altri sono liquidati equitativamente ex art. 1226 c.c.; (b) del sistema di tutela nel quale il risarcimento si inserisce, in quanto il danno biologico subìto dal lavoratore assicurato dall’Inail è liquidato ai sensi dell’art. 13 d. lgs. 38/2000; mentre quando il sinistro non è avvenuto in occasione di lavoro, o comunque la vittima non è assicurata dall’Inail il risarcimento avviene equitativamente, ex art. 1226 c.c., ovvero ai sensi degli artt. 138-139 cod. ass.. I criteri elaborati dalla giurisprudenza per la liquidazione del danno alla salute (i quali, ovviamente, trovano applicazione nei casi ai quali non si applicano le previsioni normative, più volte citate, di cui agli artt. 138-139 cod. ass. e 13 d. lgs. 38/2000), possono essere raggruppati in quattro tipologie: (a) il criterio equitativo puro; (b) il criterio tabellare, o “genovese”; (c) il criterio a punto elastico, o “pisano”; (d) il criterio a punto variabile, o “milanese ”. Si è parlato di “tipologie”, e non di criteri risarcitori tout court, in quanto ciascuna delle suddette categorie, pur nella unicità del principio informatore, conosce molteplici varianti applicative. (A) Il criterio equitativo puro consiste nella liquidazione del danno al di fuori di qualsiasi richiamo a parametri predeterminati od oggettivi, e tenendo conto unicamente delle circostanze del singolo caso. Il criterio equitativo puro, oggi scarsamente utilizzato, presenta due grossi inconvenienti: da un lato, non consente una adeguata uniformità di trattamento; dall’altro, non permette alcuna prevedibilità delle decisioni giudiziarie, e quindi non può avere ha alcuna efficacia deflattiva del contenzioso. Nonostante questi inconvenienti, il criterio equitativo puro è stato ritenuto legittimo in qualche sentenza di legittimità (Cass., 28-11-1995, n. 12301, in Arch. circolaz., 1996, 444, ma ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 37 di 72 l’affermazione costituisce un obiter), a condizione che il giudice motivi in modo adeguato le ragioni della propria scelta. (B) Il criterio tabellare, o “genovese”, non ha nulla a che vedere con le c.d. tabelle utilizzate da molti uffici giudiziari per la liquidazione del danno alla salute. Esso consiste nel moltiplicare una rendita (reale o fittizia) per un coefficiente di capitalizzazione, ragguagliato all’età del danneggiato, e quindi proporzionale alla presumibile durata della vita residua del danneggiato stesso. Il prodotto della rendita per il coefficiente dà un capitale, che rappresenta l’importo del risarcimento. Questo metodo può essere sinteticamente indicato con la formula D=k*R dove D è il danno da liquidare; k è il coefficiente di capitalizzazione; R è la rendita (ovvero il reddito con carattere di continuità) da porre a base del risarcimento. Naturalmente, sia il moltiplicando (il reddito fittizio) che il moltiplicatore (il coefficiente di capitalizzazione) della formula che precede possono essere scelti equitativamente dal giudice. In giurisprudenza, gli uffici giudiziari che hanno adottato il metodo tabellare hanno scelto quale base di calcolo o il reddito medio nazionale (in tal senso Trib. La Spezia, 30-12-1991, in Dir. prat. ass., 1992, 234; Trib. Alessandria, 7-1-1983, in Assicurazioni, 1983, II, 2, 186; Trib. Roma, 11-101979, in Foro it., 1981, I, 1885), oppure un multiplo (normalmente, il triplo), della pensione sociale (T. Roma, 14-9-1994, in Riv. giur. circ. trasp., 1994, 859). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 38 di 72 La Corte di legittimità, che in passato aveva ritenuto ammissibile il ricorso al metodo tabellare fondato sul triplo della pensione sociale (Cass., 3-6-1994, n. 5380, in Corriere giur., 1994, 1360; Cass., 4-12-1992 n. 12911, in Foro it. Rep., 1992, Danni civili, 129; Cass., 11-5-1989 n. 2150, in Giur. it., 1989, I, 1, 1832; NGCC, 1989, I, 769; in Foro it., 1990, I, 634; Cass., 16-1-1985, n. 102, in Riv. giur. circ. trasp., 1985, 521), in prosieguo di tempo ha mutato avviso, ed è ormai costante nell’escludere che il criterio in esame potesse essere utilizzato per liquidare il danno alla salute, neppure nell’ambito dei poteri equitativi del giudice (ex plurimis, Cass., 18-5-1999, n. 4801, in Danno e resp., 1999, 1101; Cass., 8-1-1999, n. 101, in Danno e resp., 1999, 665; Cass., 4-12-1998, n. 12312, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 247; Cass., 25-11-1998, n. 11974, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 248; Cass., 16-11-1998, n. 11532, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 249; Cass., 30-10-1998, n. 10897, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 250; Cass., 27-10-1998, n. 10693, in Danno e resp., 1999, 665; Cass., 3-9-1998 n. 8769, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 252; Cass., 24-2-1998, n. 1975, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 254; Cass., 23-1-1998, n. 668, in Giur. it., 1998, 2039). Va comunque segnalato che, nonostante il contrario avviso della S.C., molti giudici di merito hanno continuato ad utilizzare il metodo tabellare fondato sul triplo della pensione sociale (Trib. Catania, 3-11-1997, in Arch. circolaz., 1998, 53; Giud. pace Foligno, 4-4-1996, in Arch. circolaz., 1996, 384; Trib. Ancona, 7-3-1995, Baroni c. Messersì, inedita; A. Bologna, 16-2-1994, in Arch. circolaz., 1994, 743; Trib. L'Aquila, 25-11-1993, GM, 1994, 852; Trib. Genova, 5-7-1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 1048; Trib. Reggio Emilia, 16-6-1993, in Arch. circolaz., 1993, 1071; Trib. S. Maria ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 39 di 72 Capua Vetere, 1-9-1992, in Arch. circolaz., 1993, 440; Trib. Palermo, 17-10-1991, in Arch. circolaz., 1992, 42). (C) Il criterio a punto elastico, o “pisano”, si fonda sull’idea secondo cui, dal momento che l’invalidità permanente si misura in punti percentuali, per liquidare il danno basta individuare un valore monetario che corrisponda ad ogni singolo punto di invalidità: il risarcimento del danno da invalidità permanente sarà dato dal prodotto del valore del punto per il numero di punti, mentre il risarcimento del danno da invalidità temporanea sarà dato dal prodotto della somma giornaliera (equitativamente stabilita) per il numero dei giorni di invalidità. La flessibilità del sistema è assicurata dal riconosciuto potere del giudice di aumentare o diminuire il valore del punto (o il risarcimento giornaliero per l’invalidità temporanea) sino alla metà, per adattare il risarcimento alle concrete caratteristiche del caso concreto (T. Pisa, 19-5-1982, in Giur. it., 1984, I, 2, 427, ma specialmente 440; nello stesso senso, Trib. Pisa, 28-6-1984, in Arch. circolaz., 1985, 542; Trib. Pisa, 16-1-1985, in Arch. circolaz., 1985, 543). Il punto nodale di questo criterio di liquidazione consiste nella determinazione del valore del punto di invalidità, che il tribunale di Pisa ricavò dalla media dei precedenti giudiziari di quell’ufficio giudiziario, limitatamente ai casi di liquidazione di danni consistenti in invalidità inferiori al 10%. Il metodo pisano a punto è stato utilizzato da moltissimi giudici di merito: ex plurimis, Giud. pace Bari, 28-6-1996, in Arch. circolaz., 1997, 54; Giud. pace Ancona, 5-6-1996, in Arch. circolaz., 1997, 261; Trib. Firenze, 26-1-1996, in Resp. civ. prev., 1996, 589; A. Ancona, 2-3-1993, Saltamarini c. A.I.C., inedita; Trib. Busto Arsizio, 13-11-1993, in Arch. circolaz., 1994, 131; Trib. Ravenna, 4-6-1992, in Arch. circolaz., 1993, 1075; Trib. Rieti, 22-2-1992, in Arch. circolaz., 1993, 890; Trib. Reggio Calabria, 1-2-1991, Altomonte c. Amodeo, inedita; Trib. Milano, 30-1-1991, in Resp. civ. prev., 1993, 640; Trib. Ravenna, 13-3-1990, in Riv. giur. circ. trasp., 1991, 853; Trib. Brescia, 28-2-1990, Terna c. Ratti, inedita; Trib. Reggio Calabria, 22-12-1988, Princi c. Cotroneo, ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 40 di 72 inedita; Trib. Como, 8-6-1988, in Arch. circolaz., 1989, 787; Trib. Crema, 18-12-1987, in Resp. civ. prev., 1988, 214; Trib. Torino, 26-6-1987, in Resp. civ. prev., 1988, 70; A. Roma, 2-7-1986, in Foro it., 1987, I, 235, GM, 1988, 328; A. Perugia, 16-5-1985, Pignotti c. Istituti Riuniti, inedita; Trib. Lucca, 6-4-1984, RIML, 1986, 206; in Foro pad., 1985, 121. Il metodo pisano “a punto” è stato ritenuto pienamente ammissibile anche dalla Corte di cassazione, ma a certe condizioni. In particolare, per l’utilizzabilità del criterio in esame è necessario, secondo la S.C.: (a) che il valore del punto sia ricavato dalla media dei precedenti giudiziari; (b) che il giudice non si limiti ad indicare il valore numerico del punto e la sua maggiorazione; ma precisi per quali ragioni concrete nel caso di specie abbia ritenuto di adottare quel valore, e di applicare quella maggiorazione (Cass., 17-3-1999 n. 2425, in Foro it. Rep., 1999, Danni civili, n. 248, inedita con riferimento al principio qui in esame; Cass., 16-11-1998, n. 11532, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 249; Cass., 20-10-1998, n. 10405, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 242; Cass., 13-4-1995, n. 4255, in Resp. civ. prev., 1995, 519). (D) Il criterio cui più spesso gli uffici giudiziari fanno ricorso è quello c.d. del punto variabile (altrimenti chiamato “metodo milanese”, in quanto adottato per primo dal tribunale di Milano nel 1995). Questo sistema, sorto dal tentativo di eliminare, od almeno attenuare, i principali difetti sia del sistema “a punto”, sia del sistema tabellare, condivide con il criterio pisano il principio per cui ad ogni punto di invalidità deve corrispondere un valore monetario. Se ne discosta, però, perché la variazione del valore del punto non è lasciata alla discrezionalità equitativa del giudice, ma è predeterminata secondo una precisa funzione matematica. Il valore del punto, cioè, cresce in modo ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 41 di 72 matematicamente predeterminato, in funzione crescente rispetto al crescere dell’invalidità, ed in funzione decrescente rispetto all’età della vittima. Per l’esattezza, secondo questo criterio il valore del punto cresce geometricamente col crescere dell’invalidità (sicché ad invalidità doppie corrisponderanno risarcimenti più che doppi), mentre cresce in modo aritmetico rispetto all’età del danneggiato. In questo modo, viene assicurata la tendenziale corrispondenza tra gravità delle lesioni ed entità del risarcimento, in ossequio al principio medico legale secondo cui la sofferenza ed i disagi causati da una invalidità crescono in modo progressivo rispetto al crescere dell’invalidità stessa. Naturalmente, resta sempre salva la possibilità per il giudice di adattare equitativamente il risarcimento (con aumenti o riduzioni rispetto all’importo risultante dall’applicazione “pura” del criterio ora descritto), al fine di tenere debito conto di tutte le circostanze del caso concreto. Gli elementi essenziali del criterio del punto variabile, da stabilire ex ante, sono: (a) il valore monetario “iniziale” del singolo punto d’invalidità: vale a dire la somma che, in teoria, deve essere liquidata per una invalidità dell’1% in un soggetto di 1 anno; (b) la funzione di crescita del valore del punto. Il valore iniziale del punto può essere stabilito o attraverso la media dei precedenti giudiziari del medesimo o di altri uffici, ovvero attraverso la fissazione di una somma equitativamente scelta dal giudice (il primo criterio è senz’altro da preferire, perché pur sempre meno arbitrario rispetto al secondo). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 42 di 72 La funzione di crescita del valore del punto, che deve rispondere a criteri di scientificità, non può essere fissata dal giudice, ma deve essere demandata all’analisi di medici legali ed esperti statistici. In base al criterio del punto variabile d’invalidità, una volta stabilito il valore monetario iniziale del singolo punto, e la funzione matematica di crescita, è possibile sviluppare una sorta di “prontuario”, usualmente detta “tabella”, nella quale indicare l’ammontare complessivo del risarcimento dovuto per ogni grado di invalidità e per ogni fascia di età del danneggiato. La c.d. “tabella” costituisce quindi lo sviluppo del metodo del punto variabile o “milanese”, attraverso un quadro sinottico in cui sia già indicato il risultato delle operazioni di moltiplicazione da compiere per ogni misura di invalidità e per ogni fascia di età. La tabella non ha quindi nulla a che vedere con il “metodo tabellare”, con il quale non va confusa. La prima rappresenta l’espressione grafica di un metodo liquidativo “a punto”, la cui filosofia è antitetica rispetto al metodo tabellare: il primo si fonda sul valore monetario del punto di invalidità; il secondo sulla capitalizzazione di una rendita pari ad un reddito fittizio o figurato. La “tabella”, di cui moltissimi uffici giudiziari si sono dotati negli ultimi anni, è dunque un parametro di riferimento per la liquidazione del danno da lesione della salute (Rossetti, Contributo iconoclastico al culto delle tabelle, in Dir. econ. ass., 1997, 471). Il criterio “milanese” del punto variabile era stato già in passato ritenuto non solo valido, ma addirittura utile dalla Corte di cassazione, la quale gli ha riconosciuto evidenti pregi: evitare disparità di trattamento, dare un contenuto oggettivo al giudizio di equità, consentire la prevedibilità delle decisioni giudiziarie: purché, naturalmente, si tratti di un “vero” criterio del punto variabile, cioè fondato su una precisa funzione matematica di crescita del valore del punto, il quale a sua volta sia stato ricavato dalla media dei precedenti giudiziari (Cass., 24-1-2000, n. 748). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 43 di 72 Più di recente la Corte di cassazione è andata ancora più oltre, stabilendo che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito (Cass. 7.6.2011 n. 12408). Per effetto di tale decisione, pertanto, quando la liquidazione del danno alla salute non sia disciplinata da norme di legge l’unico criterio cosnentito è rappresentato dalla tabelle elaborate dal tribunale milanese, a pena di violaizone dell’art. 1226 c.c.. Deve comunque segnalarsi che dopo tale decisione non tutta la giurisprudenza di merito vi si è uniformata: il Tribunale di Roma, ad esempio, si è posto in m otivato dissenso con la Corte dic assaizone, continuando ad applicare la propria tabella (Trib. Roma 9.1.2012 n. 210). Si ricordi comunque che il ricorso al metodo a punto non può mai servire a sollevare il giudice da due precisi munera: da un lato, adeguare in ogni caso il risarcimento al caso concreto, senza limitarsi a convertire automaticamente in denaro il grado di invalidità permanente fornito dal c.t.u.; dall’altro, fornire adeguata motivazione della liquidazione operata, indicando i fattori che hanno consigliato nel caso di specie la misura ed il tipo di personalizzazione del risarcimento (Cass. 11.1.2007 n. 392; Cass. 1.6.2006 n. 13130; Cass. 12.5.2006 n. 11039; Cass. 20.10.2005 n. 20323; Cass. 23.5.2003 n. 8169; Cass., 19-5-1999, n. 4852, in Danno e resp., 1999, 1104; Cass., 17-3-1999, n. 2425, inedita). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 44 di 72 Ciò vuol dire che, anche quando la liquidazione del danno biologico avviene col criterio del punto variabile, essa si articola concettualmente in due fasi: (a) una prima fase di scelta ed applicazione del parametro standard, cioè quello uguale per tutti a parità di postumi; (b) una seconda fase di personalizzazione del risarcimento, vale a dire di adeguamento della somma risultante dall’applicazione del parametro standard al caso concreto (con maggiorazioni o riduzioni). Quando il giudice adotta il criterio del punto variabile, egli è di fatto sollevato dall’onere di motivare tale scelta, con riferimento alla prima fase della liquidazione. Basterà, al riguardo la mera indicazione che il parametro standard sia stato desunto dalla tabella uniforme adottata dall’ufficio giudiziario, e ricavata dalla media dei precedenti. L’obbligo di motivazione permane invece con riferimento alla seconda fase (concettuale) della liquidazione, cioè la personalizzazione del risarcimento: in questo permane per il giudice l’obbligo di motivare sull’an e sul quomodo abbia ritenuto di adattare i valori della tabella al caso concreto (Cass., 19-5-1999, n. 4852, in Danno e resp., 1999, 1104; Cass., 25-5-2000, n. 6873; Cass., 22-5-2000, n. 6616). Inoltre, poiche' l'adozione delle cosiddette "tabelle" costituisce di per se' espressione del potere equitativo del giudice, questi non e' vincolato all'adozione della tabella adottata presso il proprio ufficio giudiziario e ben puo' adottare "tabelle" in uso presso altri uffici. Tuttavia, poiche' il fondamento della "tabella" e' la media dei precedenti giudiziari in un dato ambito territoriale e la finalita' e' quella di uniformare i criteridi liquidazione del danno, il giudice deve congruamente motivare le ragionidella sua scelta (Cass. 20.10.2005 n. 20323). In applciazione di questo principio, ad es., è stata ritenuta applicabile la tabella dell’ufficio giudiziario del l uogo dove era avvenuto il sinistro, in un caso di “forum shopping”, e cioè di radicamento del giudizio dinanzi ad un tribunale incompetente per territorio, che però non potè dichiarare la propria incompetenza a per non essere stata la relativa ecezione sollevata da tutti i convenuti, litisconsorti necessari (Trib. Roma 18.6.2005, Vidali c. Polo). Tuttavia, la parte la quale in sede di legittimita' si dolga dell'incongrua applicazione delle tabelle non puo' limitarsi a una generica denuncia del vizio relativamente al valore del punto preso in considerazione, ma deve dare conto delle tabelle invocate, indicando in quale atto sono state ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 45 di 72 prodotte e in che senso sono state disapplicate o incongruamente applicate dal giudice di merito (Cass. 26.10.2004 n. 20742). 14.1. I criteri di liquidazione di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass.. Si è già accennato al fatto che, nel caso di danni derivanti da sinistri stradali, il risarcimento del danno biologico è sottratto alla valutazione equitativa del giudice, ed è determinato nel suo valore base dalla legge. Attualmente la legge prevede due criteri di liqudiazione diversi, a seocnda che i postumni causati dalle lesioni siano pari o superiori (art. 138 cod. ass.), od inferiori (art. 139 cod. ass.) al 10%. Nel caso di postumi pari o superiori al 10%, l’art. 138 cod. ass. prevede l’adozione di un criterio “a punto”, consistente cioè nella moltiplciazione di una somma di denaro stabilita dalla legge per il numero dei punti di invalidità. Tale criterio è tuttavia ancora inapplciabile, in quanto non è stato emanato il regolamento ministeriale contenente gli importi del valore di ogni singolo punto di invalidità (la bozza di decreto è stata tuttavia approvata dal consiglio dei ministri il 3 agosto 2011). Anche nel caso di postumi inferiori al 10% l’art. 139 cod. ass. prescrive l’adozione del criterio “a punto”, ma in questo caso la legge è immediatamente applicabile, in quanto è già stato emanato sia il regolamento ministeriale che ha approvato il baréme medico legale in base al quale determinare il grado di invalidità (d.m. 3.7.2003), sia il regolamento ministeriale contenente l’indicazione del valore del punto di invalidità. Nel caso di danni con esiti micropermaneti (art. 139 cod. ass.), il risarcimento si ottiene: (a) moltiplicando il valore monetario del singolo punto d’invalidità, per il grado di invalidità permanente; (b) moltiplicando il prodotto risultante dall’operazione sub (a) per un coefficiente stabilito dalla legge, proporzionale al grado di invalidità permanente; (c) riducendo, infine, il prodotto sub (b) in funzione dell’età del danneggiato; tale riduzione si ottiene applicando al prodotto delle operazioni precedenti per un c.d. demoltiplicatore (cioè una riduzione percentuale proporzionale all’età della vittima). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 46 di 72 Il valore base del punto deve essere aggiornato ogni anno, con decreto del ministro dell’industria, in misura pari alla variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall’ISTAT (art. 139, comma 5, cod. ass.). Data la previsione espressa della legge, deve ritenersi che l’aggiornamento non sia consentito al giudice chiamato a liquidare il danno, quand’anche il ministro non abbia provveduto ad emanare il decreto di aggiornamento. L’ultimo aggiornamento è stato disposto con d.m. 27.5.2010, ed ha portato il valore base del punto a € 739,81, mentre il risarcimento base per ogni giorno d’invalidità temporanea è stato elevato a € 43,16 [vedi scheda]. La disciplina del risarcimento del danno alla salute di lieve entità è completata dalla previsione secondo cui l'ammontare del danno biologico può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato (art. 139, comma 3, cod. ass.). La norma pone all’interprete una questione particolarmente delicata, e cioè quali siano le “condizioni soggettive” del danneggiato, di cui tenere conto ai fini della personalizzazione del risarcimento. Tuttavia, come già rilevato, che quel che rileva ai fini della personalizzazione del risarcimento siano le concrete attività svolte dalla vittima, e precluse dai postumi. Da taluni autori si è anche dubitato della conformità a costituzione di tale norma, nella parte in cui pone un tetto massime al ristoro del danno biologico. Tali dubbi però appaiono non del tutto fondati, ove si considerino due circostanze: (a) l’art. 139 cod. ass. disciplina unicamente i danni micropermanenti, rispetto ai quali assai raramente può porsi un vero e proprio problema di personalizzazione, non foss’altro perché assai raramente le vittime possono allegare e dimostrare che il proprio danno, a parità di invalidità, è “differenziato” e maggiorato rispetto agli altri consimili; ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 47 di 72 (b) la Corte costituzionale, sia pure in materia tutt’affatto diversa, è stata già chiamata ad esprimersi sulla conformità a costituzione di una norma la quale fissi un limite massimo al risarcimento del danno, ed ha precisato al riguardo (in motivazione) che il legislatore, in casi eccezionali, può ritenere equa e conveniente una limitazione del risarcimento del danno, attuabile sia nel campo della responsabilità contrattuale, sia in materia di responsabilità extracontrattuale (Corte cost., 0211-1996, n. 369, in Foro it., 1997, I, 2400). Va, infine, ricordato, che secondo la S.C. i criteri di liquidazione del danno biologico previsti dall'art. 139 cod. ass., per il caso di danni derivanti da sinistri stradali, costituiscono oggetto di una previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica nel caso di danni non derivanti da sinistri stradali (Cass. 7.6.2011 n. 12408). 14.1. bis. Alcuni rilievi critici sui criteri di liquidazione previsti dal nuovo codice delle assicurazioni. Con d. lgs. 7.9.2005 n. 209 (in Gazz. uff. 13.10.2005 n. 239, suppl. ord. n. 163) è stato promulgato il nuovo codice delle assicurazioni private, un testo unico che raccoglie le norme in tema di impresa assicuratrice, intermediari e r.c.a.. Il nuovo testo normativo contiene anche diverse norme in tema di risarcimento del danno biologico, non tutte riproduttive di disposizioni previgenti. Iniziamo col dire che il legislatore usa con una certa disinvoltura i lemmi “invalidità” ed “inabilità”: e se ciò poteva in qualche modo ammettersi all’epoca della l. 990/69, nella quale non si concepiva l’autonoma risarcibilità del danno alla salute, oggi altrettale approssimazione genera qualche sconcerto. Ricordiamo, allora, quali siano le convenzioni lessicali ormai pressoché unanimemente condivise nelle società scientifiche di medici legali e nella giuripsrudenza. La coppia “abilità/inabilità” viene utilizzata per designare il possesso o meno dell’attitudine al lavoro, cioè della capacità di applicare energie industri ad una attività produttiva di reddito. L’inabilità è dunque nozione che rileva nell’ambito del danno patrimoniale; anzi l’inabilità è essa stessa un danno patrimoniale. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 48 di 72 La coppia “validità/invalidità”, invece, designa l’integrità biologica dell’individuo, e rileva nell’ambito del danno (non patrimoniale) da lesione della salute o danno biologico. L’inabilità al lavoro, ovviamente, di norma deriva da una invalidità biologica, ma i due concetti sono ben distinti. Nel codice delle assicurazioni, invece, vengono impiegati in modo promiscuo: così, ad es., nell’art. 137, comma 1, si parla indifferentemente di conseguenze della “inabilità temporanea” e della “invalidità permanente” per quanto attiene il danno patrimoniale; mentre nell’art. 138, comma 2, lettera (e), il lemma “inabilità” viene impiegato per designare la compromissione temporanea della salute. Si potrebbe pensare, esaminando gli artt. 137 e 138 cod. ass., che il legislatore abbia inteso designare con il lemma “inabilità” la compromissione temporanea della salute, e con quello “invalidità” la compromissione permanente della salute: sarebbe un uso inappropriato dei termini, ma almeno renderebbe ragione della ratio delle norme appena citate. Invece, a complicare le cose, si mette il disposto dell’art. 283, comma 3, ove si afferma che per i sinistri indennizzati dal Fondo di garanzia la percentuale di “inabilità permanente” si determina in base al baréme allegato al d.p.r. 1124/65. Perciò se volessimo seguire ad litteram il legislatore dovremmo preoccuparci di definire ben tre concetti: l’invalidità, che può essere solo permanente; l’inabilità permanente e l’inabilità temporanea. Pertanto, a meno di non volere far ripiombare la materia in questione in incertezze ed ambiguità ormai da tempo superate, occorre riconoscere che quelle usate dal legislatore sono più o meno “parole in libertà”, e che spetta all’interprete recuperare senso e logica alle disposizioni sopra citate. Ciò è possibile intendendo il lemma “inabilità”, che appare negli artt. 137, 138, comma 2, lettera (e), e 283 cod. ass., come sinonimo di “invalidità biologica”, e quindi come danno biologico: temporaneo, nelle previsioni di cui agli artt. 137 e 138, e permanente, nella previsione di cui all’art. 283 cord. ass.. Il danno biologico è disciplinato dagli artt. 138-139 cod. ass.. Tali norme, come accennato, riproducono solo in parte il contenuto dei previgenti artt. 5 l. 57/2001 e 23, comma 4, l. 12.12.2002 n. 273. Le nuove norme presentano anche in questo caso molteplici imperfezioni tecniche, non sempre agevolmente superabili dall’interprete. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 49 di 72 Iniziamo col rilevare che mentre l’art. 139 delimita il proprio ambito di applciazione (“il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato secondo i criteri e le misure seguenti”), nessuna disposizione analoga è contenuta nell’art. 138 cod. ass., così come del resto nella norma che ne rappresenta l’antecedente (art. 23 l. 273/02). Certo, l’inteprete è aiutato dalla circostanza che la norma sia inserita nel Titolo X (rubricato “Assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e dei natanti) di un “codice delle assicurazioni”, e ciò induce a ritenere senz’altro applicabile la disposizione in tutti i casi di danni derivanti da sinsitri causati da veicoli per i quali vi sia obbligo di assicurazione. Restano però seri dubbi sull’applciabilità delle disposizioni di cui all’art. 138 cod. ass. nel caso di sinistri caudsati da veicoli per i quali non vi sia obbligo di assicurazione, e ciò a dispetto di quanto previsto dal successivo art. 139 in tema di micropermanenti, il quale non fa riferimento alcuno all’obbligo di assicurazione, e quindi si applica indifferentemente a tutti i sinistri stradali. In secondo luogo, non si comprende la ragione per la quale è stata divisa in due diverse disposizioni la disciplina del risarcimento del danno a seconda dell’entità delle lesioni. I criteri per liquidare le lesioni piccole e quelle medie sono infatti sostanzialmente analoghi, eccezion fatta per la circostanza che il giudice dispone di un maggior potere di “personalizzazione” con riferimento alle seconde. Identica è anche la nozione di danno biologico contenuta nelle due disposizioni, definito come “la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. La definizione differisce da quella in precedenza contenuta nell’art. 5 l. 57/2001, in quanto ad essa è stato aggiunto l’inciso “che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”. L’ambigua formula degli aspetti “dinamico-relazionali” ha tre precedenti: essa compare: ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 50 di 72 - nell’Allegato I al ricordato d.m. 3.7.2003, contenenti i “criteri applicativi” del baréme medico legale per la determinaizone del grado di invalidità permanente sino al 9%, derivante da sinistri stradali; - nell’art. 13 d. lg. 23.2.2000 n. 38, contenente la delega al governo per la redazione della tabella di valutazione delle menomazioni biologiche indennizzate dall’Inail; - nell’art. 95 l. 23.12.2000 n. 388 (legge finanziaria 2001), il quale consente alle regioni di stipulare convenzioni con l’Inail per il compiuto recupero della integrità psico-fisica degli infortunati sul lavoro, “comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali”. In tutti questi testi regolamentari o legislativi l’espressione “dinamico-relazionali” viene usata, secondo l’uinica interpretazione consentita dalla ratio della norma e dai lavori preparatori, quale sinonimo di “pregiudizio alla concreta esistenza della vittima, riguardata non solo in sé, ma anche con riferimento alle relazioni interpersonali”. Questa formula, se riferita al danno biologico, più che ambigua è inutile. La S.C. infatti, abbandonando precedenti orientamenti che non mette conto qui ricordare, è ormai costante nell’affermare che la lesione dell’integrità psicofisica, in sé per sé considerata, non costituisce il “danno” da risarcire. Per l’esistenza del danno alla salute non è infatti sufficiente una qualsiasi compromissione dell’integrità psicofisica, ma è necessario che da tale compromissione siano conseguite, per sempre oppure per un certo periodo di tempo, ripercussioni negative per l’esistenza del leso (ex multis, Cass., sez. lav., 03-07-2001, n. 9009, in Lavoro e prev. oggi, 2001, 1396, ove si legge che “il danno biologico non è presunto, siccome identificabile col fatto illecito lesivo della salute, giacché, se è indiscutibile che la prova della lesione è in re ipsa, e in re ipsa è anche prova dell’esistenza del danno, è pur sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere commisurato”). Il danno biologico dunque è necessariamente un pregiudizio “dinamico-relazionale”, altrimenti non esisterebbe nemmeno. Così, per fare un esempio, la frattura femorale con accorciamento dell’arto, che normalmente causa zoppia e quindi danno biologico permanente, tale non è ove occorra a persona che già prima del sinistro era priva dell’uso delle gambe. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 51 di 72 Non riterrei perciò che dalla nuova definizione contenuta negli artt. 138-139 cod. ass. possano trarsi conseguenze sul piano dei contenuti concreti della nozione di danno biologico, come consegnataci dal diritto vivente. Sicché il riferimento all’ “incidenza negativa sugli aspetti dinamico-relazionali” non fa che ribadire e precisare un dato ormai acquisito, vale a dire che l’esistenza del danno e la misura del risarcimento non sono in re ipsa, ma dipenderanno dal modo in cui la vita della vittima è peggiorata dopo il sinistro. Per quanto attiene più in dettaglio ai criteri di liquidazione, il legislatore ha adottato per tutti e due i “gruppi” di danno (lesioni non lievi e lesioni lievi) un criterio analogo, cioè quello c.d. “a punto”, consistente nel moltiplicare il valore monetario del singolo punto di invalidità per la percentuale di invalidità permanente. Il criterio di liquidazione del danno biologico “a punto”, come noto, esige la previa fissazione di due parametri: un baréme medico legale in base al quale determinare il grado di invalidità permanente, ed un valore monetario del singolo punto di invalidità, che cresca secondo una precisa funzione matematica. Il codice delle assicurazioni dà indicazioni sia per l’uno che per l’altro di tali parametri, ma non del tutto perspicue. (A) Iniziando l’analisi dalla tabella delle menomazioni, il codice delega il governo ad emanare due barémes medico legali: uno per le invalidità dal 10 al 100% (art. 138, comma 1, lettera (a), cod. ass.), l’altro per le invalidità dall’1 al 9% (art. 139, comma 4, cod. ass.). Queste due disposizioni sorprendono sotto due profili; da un lato, non si comprende perché mai delegare l’esecutivo ad emanare due distitne tabelle, invece che una soltanto comprensiva di tutte le ipotesi di invalidità (0100%); dall’altro lato la delega alla redazione della tabella delle microinvalidità sembra dimenticare che questa tabella già esiste (d.m. 3-7-2003, contenente “Tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità”, in G.U. 11-09-2003, n. 211). Non è chiaro dunque se il legislatore del 2005 sia incorso in una svista, ovvero abbia inteso attribuire una delega all’esecutivo (cioè a se stesso) per rivedere anche la Tabella delle micropermanenti. (B) Anche per quanto attiene al valore monetario del punto di invalidità la legge distingue tra micro- e macropermanenti. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 52 di 72 Per le prime, l’art. 139 cod. ass. ripete puntualmente i criteri ed i valori già oggi vigenti, come risultanti dall’art. 5 l. 57/2001 e dai successivi decreti ministeriali di aggiornamento del valore monetario del punto. Per le seconde, invece, l’art. 138, comma 1, lettera (b), cod. ass. demanda al consiglio dei ministri la “predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica (...) del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso”. Seguono, al comma due, i criteri cui il governo si dovrà attenere nella preparazione di questa tabella. Le indicazioni contenute in queste disposizioni brillano per lo scarso tecnicismo delle espressioni adottate, e possono dar luogo a qualche incertezza. Lart. 138, comma 2, lettera (a), cod. ass. stabilisce che la tabella dei valori di punto deve fondarsi “sul sistema a punto variabile in funzione dell’età e del grado di invalidità”: è bene dunque premettere qualche cenno su tale criterio di liqudiazione del danno alla salute. Questo sistema si fonda sull’idea che ad ogni punto di invalidità deve corrispondere un valore monetario crescente (ad esempio, se l’invalidità è 1%, 100 euro a punto; se è 2%, 110 a punto; se è 3%, 120 a punto, e così via). La crescita del valore del punto rispetto al grado di invalidità permanente secondo questo criterio deve essere predeterminata secondo una precisa funzione matematica. Il valore del punto, cioè, deve variare in modo matematicamente prestabilito, in funzione crescente rispetto al crescere dell’invalidità, ed in funzione decrescente rispetto all’età della vittima. Per l’esattezza, secondo questo criterio il valore del punto cresce geometricamente col crescere dell’invalidità (sicché ad invalidità doppie corrisponderanno risarcimenti più che doppi), mentre decresce in modo aritmetico rispetto all’età del danneggiato (sicché, a parità di invalidità, il risarcimento sarà tanto minore quanto maggiore è l’età della vittima). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 53 di 72 In applicazione di tale criterio, la misura del risarcimento sarà pari al prodotto del valore di punto corrispondente al grado di invalidità permanente, per il numero di punti di invalidità permanente, per il coefficiente di demoltiplicazione rapportato all’età. Dunque il riferimento contenuto nell’art. 138, comm 1, cod. ass. alla tabella “comprensiva” dei coefficienti di variazione deve essere inteso nel senso che il governo dovrà stabilire sia il valore monetario del singolo punto di invalidità, sia il demoltiplicatore in base al quale ridurre il risarcimento in funzione dell’età. Analogamente, del resto, a quanto l’art. 139, comma 6, cod. ass. per i danni derivanti da lesioni micropermanenti. L’art. 138, comma 2, lettera (c), cod. ass., precisa tuttavia che “il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi”. E’ prevedibile che questa previsione susciterà non poche discussioni. La norma è scindibile in due proposzioni: la prima parte stabilisce come deve variare il valore del punto, e cioè deve crescere al crescere del grado di invalidità permanente. La seconda parte stabilisce invece quanto debba crescere il valroe del punto, e cioè in misura più che proporzionale rispetto al grado di invalidità permanente. Se il soggetto delle due disposizioni fosse il medesimo, la norma non farebbe che ricalcare i criteri già adottati e largamente invalisi nel diritto vivente. Ma così non è, perché mentre la prima parte della norma stabilisce che è “il valore economico del punto” a dover crescere con l’aumentare dell’invalidità, la seconda parte afferma che è solo “l’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali” a dovere aumentare in misura più che proprzionale. Questa infelice formulazione della norma pone all’interprete tre gravi problemi. Il primo problema è che la norma in esame sembra riproporre la distinzione, un tempo prospettata in dottrina, ma oggi definitivamente abbandonmata, della distinzione tra danno bioloigico “statico” (inteso quale lesione dell’integrità psicofisica in se e per sé considerata, a prescidnere dalle conseguenze che essa ha prodotto sulla vita della vittima), e danno biologico “dinamico” (inteso quale differneza peggiorativa tra la bitudini di vita della vittima prima e dopo il sinistro. Questa distinzione, come già visto, è stata da tempo superata dalla S.C., la quale non concepisce la ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 54 di 72 risarcibilità di un danno alla salute che non abbia incidenza effettiva e concreta nella vita della vittima. Il secondo problema è che la lettera (c) del comma 2 dell’art. 138 si pone in contrasto con la definizione di “danno biologico” contenuta nella lettera (a). In quest’ultima, infatti, l’incidenza sui cc.dd. “aspetti dinamico-relazionali” della persona lesa costituisce un elemento indefettibile della fattispecie “danno biologico”: ove mancasse, quest’ultimo non sarebbe configurabile. Nella lettera (c), invece, si afferma che la suddetta incidenza costituisce solo un fattore di variazione del valore del punto, come se in astratto potesse ammettersi un danno biologico che non incida sugli aspetti “dinamico-relazionali". Il terzo problema posto dalla disposizione in esame è di natura tecnica. Per realizzare concretamente la tabella delle invalidità secondo le indciazioni dell’art. 138 cod. ass., occorrerebe frazionare il valore del singolo punto di invalidità un due componenti (una relativa alla lesione in sé, l’altra agli aspetti dinamico-relazionali di essa). Ammesso che ciò fosse possibile da un punto di vista concettuale, occorrerebbe poi prevedere due diverse funzioni di variazione di tali valori: il primo non si saprebbe in che misura dovrebbe variare col variare dell’invalidità (e quindi in teoria potrebbe anche restare invariato); il secondo invece dovrebbe aumantare in misura più che proporzionale. Così, per fare un esempio, ad applicare ad litteram il precetto normativo, si dovrebbe: (a) stabilire - poniamo - che il valore del punto di invalidità per una menomazione dell’1% in un soggetto di 1 anno sia 100, e che di questi 100 solo 40 ristorino la lesione in sé, mentre i restanti 60 ristorino le conseguenze “dinamico-relazionali” di essa; (b) stabilire non solo “come”, ma anche “se” debba crescere la prima frazione del valore di punto; (c) far crescere in misura più che proporzionale la seconda frazione del valore di punto. Il governo potrebbe dunque adottare, sulla base della legge delega, le soluzioni più diverse: far crescere la fraizone statica meno di quella dinamica, farla crescere in modo identico, farla restare invariat. Gli esiti concreti sul piano del quantum potrebbero essere diversissimi, con scarti anche del 25% tra l’una e l’altra ipotesi, come risulta dalla sinmulazione che segue. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 55 di 72 Grado di invalidità permanente 1% 2% 5% Fraz. Fraz. Fraz. Fraz. Fraz. Fraz. Static Dina Total Static Dina Total Static Dina Total a mica e a mica e a mica e Ipotesi 1 Frazione statica e dinamica crescono in modo identico Ipotesi 2 La frazione statica resta invariata, la dinamica cresce Ipotesi 3 La frazione statica cresce meno che la frazione dinamica 40 60 100 90 130 220 385 485 870 40 60 100 80 130 210 200 485 685 40 60 100 85 130 215 220 485 705 La evidente assurdità di una simile conclusione induce forzare per via interpretativa il testo normativo, e ritenere che l’art. 138, comma 2, lettera (c), cod. ass. vada inteso nel senso che il valore del punto di invalidità non debba e non possa essere scisso in due “frazioni”, ma debba crescere in modo uniforme col variare del grado di invalidità. Alla lettera (d) del citato art. 138, la legge stabilisce che “il valore economico del punto è funzione decrescente dell’età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale”: e qui le mie gote non si soffondono di rossore nell’affermare che l’ignoto concierge governativo che ha vergato tali righe evidentemente non sapeva nemmeno di cosa stesse parlando. Inizoiamo col rilevare che la previsione è inutile, dal momento che già il comma 1 dello stesso articolo prevedeva che il valore del punto dovesse variare in funzione dell’età della vittima. Non è poi chiaro cosa c’entrino le statistiche mortuarie col valore del punto di invalidità. Ricordiamolo brevemente: il coefficiente demoltiplicatore consiste in un numero decimale per ogni anno di età della vittima al momento del sinistro. Così, se il coefficiente è 0,5 per anno, il coefficiente di abbattimento sarà pari al 20% per un quarantenne, quale che sia la durata della vita media. Che le ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 56 di 72 speranze di vita della vittima fossero di 100 oppure di 1 anno, l’entità del coefficiente di abbattimento non cambia. Dunque l’unico senso che potebbe avere la previsione normativa è che non già il criterio di variazione del valore di punto, ma la misura di esso debba essere desunta dalle statistiche mortuarie: così, ad es., il governo potrebbe stabilire che il valore del punto di invalidità debba ridursi in misura dello 0,2, piuttosto che dello 0,5, per ogni anno di età della vittima. Ma se così è, la previsione è come se non ci fosse, giacché non pone nessun serio vincolo al legislatore delegato. Dire che il coefficiente di variazione deve variare “sulla base” delle tavole di mortalità equivale a dire che esso deve variare tout court, giacché non si stabilisce la misura minima e massima di tale variazione, la quale costituiva l’unico vero dato rielvante che si sarebbe dovuto imporre per legge. Così, ad es., per un novantacinquenne potrebbe essere previsto un abbattimento del 95% del risarcimento, oppure del 20 o del 5%, e ciascuna di tali previsioni sarebbe astrattamente conforme al dettato di cui all’art. 138 lettera (d) cod. ass.. Non meno sorprendente è la previsione secondo cui il valore economico del punto è “funzione decrescente dell’età della vittima (...) al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale”. Iniziamo col rilevare che un coefficiente non si rivaluta né può essere soggetto a rivalutazione, né tampoco si può rivalutare una funzione matematica. Ma a parte ciò, si ha la netta impressione che qui il legislatore abbia confuso il c.d. coefficiente di riduzione con i coefficienti per la costituzione delle rendite immediate. Ricordiamo brevemente concetti che dovrebbero essere noti a chi pretende di legiferare in materia. Il coefficiente di riduzione del valore di punto in funzione dell’età è un mero moltiplicatore: cioè un valore che restituisce il valore del risarcimento rapportato alla speranza di vita futura della vittima. Esso non restituisce un valore futuro che occorre attualizzare; il valore monetario del punto di invalidità è già espresso in moneta attuale, e tale valore non viene certo determinato attraverso operazioni statistico-attuariali. La necessità di stabilire un saggio di interesse potrebbe in teoria sussistere solo per la costruzione di una tabella di “coefficienti per la costituzione di rendite vitalizie”, cioè di valori i quali restituiscono il valore attuale di una rendita di n euro pagabile per tutta la vita del beneficiario. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 57 di 72 Ma, come già detto, la determinazione del valore del punto di invalidità non è una operazione di capitalizzazione, e comunque men che meno costituisce una capitalizzazione la riduzione del risarcimento in funzione dell’età. Sicché, concludendo: - la determinazione del demoltilpicatore del valore di punto in funzione dell’età non è un’operaizone di capitalizzazione, né di attualizzazione; - la determinazione del demoltilpicatore del valore di punto in funzione dell’età non richiede nessuna opera di rivalutazione; - di conseguenza, essa non richiede la fissazione di alcun saggio di interesse. Ove si condividano le premnesse e le conlcusioni che precedono, non appare azzardato concludere che l’art. 138, comma 2, lettera (d) cod. ass. costituisce poco più che parole in libertà. In ogni caso, ammesso che menti illuminate riescano ad intravedere un senso nella disposizione in esame, resta ancora da considerare che: (a) il saggio legale varia con cadenza quasi annuale, e non è dato comprendere perché mai l’entità del risarcimento debba variare in funzione del momento in cui si è verificato il sinistro, a parità di lesioni e di età della vittima; (b) non è dato comprendere perché mai l’agganciamento del demoltiplicatore alle tavole di mortalità non debba valere per le lesioni micropermanenti. Comune, infine, sia alle lesioni micro- che macropermanenti è la previsione della possibilità per il giudice di aumentare il valore monetario del singolo punto di invalidità, m in misura diversa: non più del 20% per le miropermanenti, non più del 30% per le macropermanenti. Si badi che l’unica variazione ammessa è in aumento, sicché il valore di punto previsto dalla legge dovrà ritenersi uno standard minimo al di sotto del quale in nessun caso sarà possibile scendere. 15. Legittimazione attiva. Legittimato a domandare il risarcimento del danno biologico è, ovviamente, il danneggiato, cioè la vittima della lesione fisica o psichica. Ontologicamente impossibile, altrettanto ovviamente, è ogni ipotesi di solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 58 di 72 Qualora il titolare del diritto al risarcimento sia un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni, il credito risarcitorio non cade in comunione, in virtù dell’espressa esclusione disposta dall’art. 179, comma primo, lettera e, c.c.. L’esclusione, in considerazione della ampia formula legislativa, deve ritenersi sussistente per le somme spettanti a titolo di risarcimento sia del danno patito direttamente, sia del danno alla salute subìto in conseguenza della morte o di gravi lesioni personali subìte dal partner (su quest’ultima ipotesi si veda anche il § seguente). La legittimazione attiva di alcune categorie di danneggiati ha dato luogo a qualche incertezza, che occorre brevemente esaminare: (A) Nascituri. Nel nostro ordinamento, il nascituro (intendendosi per tale il soggetto né nato, né concepito) ed il concepito (intendendosi per tale il soggetto non nato, ma concepito) sono privi di personalità giuridica, mentre solo a limitati effetti sono considerati titolari di una aspettativa, peraltro sempre subordinata all’evento della nascita. Tuttavia sia la dottrina prevalente, sia la giurisprudenza, hanno ammesso la risarcibilità del danno subìto durante la vita intrauterina, od addirittura immanente nel concepimento stesso: il risarcimento dell’uno e dell’altro, tuttavia, resta pur sempre subordinato all’evento della nascita. Il danno alla salute del concepito può essere arrecato sia dai genitori, sia da terzi. Il danno arrecato dai genitori può essere consustanziale all’atto del concepimento, come ad esempio nel caso dei genitori (o di uno di essi) che, pur sapendo di essere portatori di una grave malattia ereditaria, non si astengano dall’unione, ovvero non impediscano la procreazione; oppure può essere successivo al concepimento, come nel caso in cui il feto, sano al momento del concepimento, venga successivamente contagiato dalla madre la quale, pur sapendo che il suo partner è affetto da una malattia trasmissibile per via sessuale, non si astenga dall’unione con questi. Il danno è risarcibile - subordinatamente all’evento della nascita in tutti e due i casi sopra descritti, a nulla rilevando che la condotta illecita sia anteriore alla venuta ad esistenza del danneggiato. Unico requisito necessario è la colpa dei genitori, ravvisabile nel fatto di non essersi astenuti dal rapporto sessuale, sebbene sapessero con certezza che il frutto dell’unione sarebbe stato un essere malato. In giurisprudenza, la responsabilità del genitore per contagio eredoluetico è stata affermata da Trib. Piacenza 31.7.1950, in Foro it., 1951, I, 987. Anche il danno alla salute arrecato dai terzi al concepito è sempre risarcibile, quali che siano le modalità della condotta illecita: risponderà pertanto di tale danno sia chi - ad esempio - usi violenza alla donna in stato interessante, pur sapendo di essere portatore di una malattia trasmissibile per ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 59 di 72 contagio attraverso l’atto sessuale; sia il medico che per imperizia o negligenza cagioni un danno al feto durante la gestazione od al momento della nascita (Cass., sez. III, 09-05-2000, n. 5881, in Danno e resp., 2001, 169; Cass., sez. III, 22-11-1993, n. 11503, in Corriere giur., 1994, 479; Trib. Monza 8-5-1998, in Danno e resp., 1998, 927; Trib. Nocera Inferiore 7-3-1996, in Giur. mer., 1997, 521; Trib. Verona 31-1-1994, in Foro it., 1994, I, 2532; Trib. Milano 19-10-1989, in Resp. civ., 1990, 628). La risarcibilità del danno alla salute cagionato al concepito durante la vita intrauterina viene solitamente fondata dalla giurisprudenza di merito sulla base di tre rilievi: (a) l’art. 1 c.c. non esclude che il nascituro sia titolare di una aspettativa; (b) il nascituro deve considerarsi titolare di un diritto “a nascere sano”; (c) la lesione di tale diritto costituisce un atto ingiusto. A conclusioni diverse deve invece pervenirsi nel caso in cui le eventuali malformazioni o malattie del feto, poi effettivamente nato, non siano dovute all’atto illecito del terzo o ad una condotta colposa dei genitori, ma siano congenite. Il fatto di venire ad esistenza non può infatti essere considerato un danno in sé, quale che sia la qualità dell’esistenza. Di conseguenza, è stato negato che i genitori del bimbo venuto alla luce con gravi malformazioni congenite, non rilevate per imperizia dei medici, possano agire in giudizio, in rappresentanza di lui, per chiedere il risarcimento del danno alla salute subìto dal proprio figlio (Trib. Roma 13.12.1994, in Dir. famiglia, 1995, 662). (B) Minori ed interdetti. Il danneggiato, che è sempre titolare unico del diritto al risarcimento, non sempre è anche legittimato all’esercizio di esso. Come noto, la legittimazione consiste nel potere di disposizione di una determinata situazione giuridica, e nel rapporto obbligatorio scaturente dall’illecito essa si sostanzia nel potere di sollecitare il debitore, interrompere la prescrizione, incassare il pagamento, azionare il diritto, transigere la lite. La legittimazione personale del danneggiato non può sussistere in tutti i casi in cui il medesimo è privo della capacità di agire: e quindi nelle ipotesi di minore età e di interdizione. Si ricordi che, in questi casi, il pagamento effettuato nelle mani dell’incapace è inefficace (art. 1190 c.c.), a meno che il danneggiante non dimostri che il pagamento è stato effettivamente destinato a pro dell’incapace. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 60 di 72 Quando il danneggiato sia un minore, la riscossione del risarcimento (o l’esercizio della relativa azione giudiziale) spetta a ciascuno dei genitori esercenti la potestà genitoria, anche disgiuntamente. La giurisprudenza ritiene infatti che l'azione di risarcimento del danno subìto da un minore rientri negli atti di ordinaria amministrazione, e quindi da un lato può essere esercitata disgiuntamente anche da uno solo dei genitori (art. 320 c.c.; Trib. Cagliari 8-8-1989, in Riv. giur. sarda, 1995, 53); dall’altro non richiede l'autorizzazione del giudice tutelare (Cass. 13.1.1981 n. 194, in Foro it., 1981, I, 1325; Cass. 11-1-1989 n. 59, in Foro it. Rep., 1989, Minore civile, 12; Cass. 15-12-1980 n. 6503, in Giur. it., 1981, I, 1, 1453; Trib. Napoli 7.6.1976, in Arch. circolaz., 1976, 977; Trib. Milano 11.6.1971, in Dir. prat. ass., 1971, 626). Se uno solo dei genitori sia titolare della potestà genitoria, soltanto questi sarà legittimato a domandare il risarcimento del danno alla salute subìto dal figlio minore. La legittimazione dei genitori viene meno ove sussista tra questi ed il figlio un conflitto di interessi, anche soltanto potenziale. Ipotesi, quest’ultima, abbastanza frequente in tema di sinistri stradali, allorché il genitore sia il responsabile del danno. In questi casi, ovviamente, non potendo il genitore nella qualità di rappresentante ex art. 320 c.c. convenire in giudizio se stesso quale responsabile del danno, unico legittimato ad agire sarà l’altro genitore o, in mancanza, un curatore ad hoc nominato ex art. 78 c.p.c.. In applicazione di questo principio, è stato ritenuto non legittimato a chiedere il risarcimento del danno subìto dai propri figli minori, per l’esistenza d’un conflitto di interessi, il genitore proprietario del veicolo sul quale viaggiavano i minori al momento del danno, in quanto corresponsabile ex art. 2054 c.c. (Trib. Roma 5-3-1996, in Foro it., 1996, I, 3222, RGCT, 1996, 348, in motivazione). La Corte di cassazione adotta comunque criteri molto ampi nel valutare la sussistenza del conflitto di interessi. Il giudice di legittimità è infatti costante nell’affermare che il conflitto sussiste soltanto quando il genitore abbia chiesto, giudizialmente, un provvedimento favorevole per sé e sfavorevole per il figlio, e non quando il genitore chieda un provvedimento vantaggioso per il figlio, come appunto una pronuncia di risarcimento dei danni (Cass. 15-9-1983 n. 5582, in Foro it. Rep., 1983, Procedimento civile, 36; Cass. 13-1-1981 n. 281, in Foro it. Rep., 1981, Procedimento civile, 29). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 61 di 72 (C) Falliti. Si è discusso se il diritto al risarcimento del danno alla salute possa essere esercitato dal fallito, ovvero se il relativo credito debba essere acquisito all’attivo fallimentare. A tale quesito, in passato, la giurisprudenza aveva dato soluzione negativa, osservando che con la sentenza (ovvero con la transazione) e la conseguente liquidazione del danno, il diritto (personale) alla integrità fisica si trasforma in un diritto (patrimoniale) sulla somma dovuta dal danneggiante. Pertanto, quando il fallimento interviene successivamente alla sentenza di condanna al risarcimento (ovvero successivamente alla transazione), il credito risarcitorio è già entrato a far parte del patrimonio del fallito, anche se il pagamento non è stato ancora riscosso, e di conseguenza quel credito deve entrare a far parte della massa fallimentare (Cass. 4-2-1992 n. 1210, in Fallimento, 1992, 681). Questo orientamento ingenerava però varie anomalie. Ammettendosi l’acquisizione del credito risarcitorio all’attivo del fallimento soltanto quando il credito stesso si era “patrimonializzato”, per effetto di sentenza o di transazione, ne discendeva - incoerentemente - che il curatore fallimentare non poteva agire per ottenere il risarcimento, mentre poteva intervenire nel giudizio promosso dal fallito quando era in bonis. Consapevole forse di questa e di altre incongruenze, più di recente il giudice di legittimità ha mutato avviso, distinguendo, nel caso di lesioni personali, le somme dovute a titolo di risarcimento del danno alla persona da quelle dovute a titolo di risarcimento del danno patrimoniale. Per le seconde, rimane tuttora valido l’antico principio, secondo cui esse debbono essere acquisite all’attivo della massa fallimentare. Per il credito di risarcimento del danno alla salute, invece, la S.C. ha ritenuto che esso non possa essere “espropriato” al danneggiato e assegnato alla massa fallimentare, in quanto il diritto al risarcimento del danno biologico costituisce un diritto di natura strettamente personale, e come tale non compreso nel fallimento ai sensi dell’art. 46, comma primo, n. 1, l. fall. (Cass. 20-6-1997 n. 5539, in Fallimento, 1998, 363; Cass. 13.6.2000, n. 8022, in Fallimento, 2001, 57). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 62 di 72 (D) Creditori del danneggiato. E’ dubbio se il diritto al risarcimento del danno alla salute possa essere esercitato dai creditori del soggetto leso, ai sensi dell’art. 2900 c.c. (il quale esige, per l’esercizio dell’azione ivi prevista, da un lato l’inerzia del debitore, e dall’altro che i diritti e le azioni da esercitare in via surrogatoria abbiano contenuto patrimoniale e non siano, per legge o per loro natura, riservati al solo titolare). A tale quesito la dottrina meno recente ha dato soluzione negativa, osservando che il diritto al risarcimento del danno, quando sorge dalla lesione di un interesse non patrimoniale, deve considerarsi personale, e come tale esercitabile soltanto dal titolare, cioè dal danneggiato. Altra parte della dottrina, invece, è di contrario avviso, e ritiene che l’azione surrogatoria possa avere ad oggetto un diritto di credito (patrimoniale) sorto dalla lesione di un interesse non patrimoniale. 16. Il c.d. danno biologico da morte. Può ritenersi ormai pacificato in giurisprudenza il problema della trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno biologico. Secondo l’orientamento consolidato della Corte di legittimità, occorre distinguere due ipotesi. (A) Nel caso di morte immediata della persona lesa, non è neppure ipotizzabile l’acquisto in capo a quest’ultima del diritto al risarcimento del danno alla salute, in quanto: (a) il diritto al risarcimento presuppone l’esistenza in vita di colui che ne è titolare; (b) il danno biologico non consiste nella mera lesione dell’integrità psicofisica, ma nella “perdita” (in termini di invalidità) da quella causata. Di conseguenza, la morte immediata della vittima non produce alcun danno biologico in senso stretto, perché non causa alcuna forma di invalidità, né temporanea, né permanente (la sentenza capostipite è rappresentata da Cass. 2-3-1995 n. 2450, in Foro it. Rep., 1995, Danni civili, 120; nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 19.11.2009 n. 24432; Cass. 17.1.2008 n. 870; Cass. 25.5.2007 ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 63 di 72 n. 12253; Cass. 22.3.2007 n. 6946; Cass. 19.2.2007 n. 3760; Cass. 13.1.2006 n. 517; Cass. 25.2.2000 n. 2134; Cass. 14.2.2000 n. 1633; Cass. 29.11.1999 n. 13336; Cass. 17.11.1999 n. 12756; Cass. 10.2.1999 n. 1131; Cass. 20-1-1999 n. 491; Cass. 28-11-1998 n. 12083, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 166; Cass. 12-10-1998 n. 10085; Cass. 10-9-1998 n. 8970, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 951; Cass. 30-6-1998 n. 6404, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 168; Cass. 22-5-1998 n. 5136, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 170; Cass. 7-4-1998 n. 3561, in Arch. circolaz., 1998, 777; Cass. 18-11-1997 n. 11439, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 58). Tuttavia, anche quando la sopravvivenza sia stata molto breve, è configurabile l’acquisto in capo alla vittima del diritto al risarcimento (non del danno biologico, ma) del danno morale, in tutti i casi in cui essa sia stata consapevole della morte imminente (Cass. 12.2.2010 n. 3357). (B) A conclusioni diverse la S.C. perviene invece nell’ipotesi in cui la morte della vittima di lesioni non sia immediata, ma sopraggiunga dopo un certo periodo di tempo (c.d. sopravvivenza quodam tempore). In questo caso, infatti, secondo il giudice di legittimità la vittima subisce una effettiva lesione della salute, giuridicamente rilevante, nell’arco di tempo che va dall’infortunio alla morte. Il diritto al risarcimento di tale lesione, di conseguenza, viene acquisito dalla vittima e trasmesso agli eredi, poiché questo caso il leso è ben in grado di avvertire la “perdita” (biologica) subita, e quindi patisce un danno sussumibile nella nuova e più ampia concezione di “danno non patrimoniale”, di cui si è detto nella relativa scheda (v.) (Cass. 7.6.2010 n. 13672; Cass. 28.4.2006 n. 9959; Cass. 10.8.2004 n. 15408; Cass. 27-12-1994 n. 11169, in Foro it., 1995, I, 1852; Cass. 10.2.1999 n. 1131; Cass. 109-1998 n. 8970, in Riv. giur. circ. e trasp. 1998, pag. 951; Cass. 24-4-1997 n. 3592, in Arch. circolaz., 1997, 899; Cass. 29-5-1996 n. 4991, in Foro it., 1996, I, 3107; in Arch. circolaz., 1996, 726; in Giust. civ., 1996, I, 2889; Cass. 29-9-1995 n. 10271, in Arch. circolaz., 1996, 292). 16.1. Liquidazione. La giurisprudenza di merito è stata per lungo tempo divisa sul delicato punto della liquidazione del danno biologico patito dalla vittima sopravvissuta quodam tempore, e da questa trasmesso ai propri eredi. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 64 di 72 Così, alcuni giudici avevano ritenuto di liquidare il danno biologico in misura corrispondente ad una invalidità del 100% (Pret. Jesi 12.4.1995, Di Giuseppe c. Anniballi, inedita); altri ancora in misura pari ad una frazione del risarcimento che si sarebbe liquidato per una invalidità del 100% (Trib. Vibo Valentia, 28-05-2001, in Foro it., 2001, I, 3198; Trib. Parma, 19-05-1998, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1999, 774); altri avevano ritenuto di liquidare soltanto il danno da invalidità temporanea (Trib. Roma, 27-05-1997, in Nuova giur. civ., 1998, I, 787; Trib. Firenze, 11-11-1998, in Foro toscano, 1999, 7); altri ancora avevano seguito “criteri equitativi”, la quale è spesso formula elegante per indicare improvvisate intuizioni. La Corte di cassazione ha dato soluzione al problema in esame, distinguendo l'ipotesi della morte non causata dalle lesioni, da quella della morte causata dalle lesioni (A) Morte non causata dalle lesioni. Se la vittima di lesioni personali, prima o dopo la guarigione, muore per cause diverse, si trasferisce nel patrimonio degli eredi (legittimi o testamentari), pro quota, il diritto al risarcimento del danno biologico acquisito dal de cuius In questo caso tuttavia la liquidazione del danno da invalidità permanente ubbidisce a regole particolari. Infatti, quasi tutti i criteri adottati dalla giurisprudenza per la liquidazione del danno alla salute tengono conto dell’età del leso, e ciò in quanto il danno è tanto maggiore, quanto minore è l’età della vittima: altro è infatti convivere con una invalidità per pochi anni, altro è tollerarla per la maggior parte della vita. Quando però il danneggiato muore (ripetesi, per cause indipendenti dalle lesioni), la durata della vita è nota: essa non costituisce più un dato presunto (sulla base della mortalità media della popolazione), ma un dato reale; è possibile quindi sapere per quanto tempo il danneggiato ha dovuto convivere con la sua menomazione. Nella aestimatio del danno, pertanto, il giudice deve tenere conto non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta (Cass. 31.1.2011 n. 2297; Cass. 24.10.2007 n. 22338; Cass. 25.2.2004 n. 3806; Cass. 3.10.2003 n. 14767; Cass. 29-5-1998 n. 5366, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 283; Cass. 20.1.1999 n. 489, in Foro it. Rep., 1999, Danni civili, n. 241; nonché, in dottrina, Iannarelli, Danno da morte e danno biologico “da rimbalzo” tra Corte costituzionale e cassazione, in Corriere giur., 1999, 872). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 65 di 72 Per tenere debito conto della durata effettiva della vita del danneggiato, il giudice del merito può scegliere il criterio che ritiene più opportuno, purché ne dia adeguata motivazione. In particolare, è stato ritenuto valido il criterio costituente nella riduzione del valore monetario standard del punto d’invalidità, cioè di quel valore che sarebbe risultato dall’applicazione pura e semplice delle “tabelle” o degli altri criteri predisposti dall’ufficio giudiziario procedente (cfr. Cass. 29-5-1998 n. 5366, cit.; Cass. 7-4-1998 n. 3561, in Arch. circolaz., 1998, 777; Cass. 29-5-96 n. 4991, in Foro it., 1996, I, 3107; per la giurisprudenza di merito, sempre nello stesso senso, Trib. Roma 13.10.99, in Giurispr. romana, 2000, 156). Su tali princìpi, tuttavia, si registra qualche contrasto in seno alla Corte di legittimità. Mentre, infatti, la Terza Sezione ha affermato i princìpi appena esposti, la Sezione Lavoro seconda è andata in contrario avviso (deve ritenersi inconsapevolmente, posto che nella motivazione non si fa alcun riferimento alla contraria opinione), affermando che nel caso di lesioni seguite quodam tempore dalla morte della vittima, la valutazione del danno biologico va commisurata alla speranza di vita futura, e quindi alla durata della vita media, “restando priva di rilievo la durata effettiva della vita, in quanto il rilievo accordato a tale ultima circostanza si porrebbe in contrasto, sotto il profilo logico-giuridico, col carattere non patrimoniale del danno di cui si trattasi, consistente nel "quantum" di menomazione dell'integrità psico-fisica, giacché è solo la perdita patrimoniale che va calcolata in relazione alla incidenza sulla capacità di produrre reddito in futuro” (Cass. 23.5.2003 n. 8204). (B) Morte causata dalle lesioni. Nel caso, invece, in cui il decesso sia stato causato proprio dalle lesioni partite dalla vittima, zzz pare sussistere qualche contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Per lungo tempo la corte di cassazione aveva ritenuto che nell’ipotesi in esame la vittima acquista e trasmette agli eredi il diritto al risarcimento del danno biologico, ma soltanto di quello da invalidità temporanea: ed infatti, se la malattia causata dalle lesioni non guarisce, ma conduce la vittima alla morte, non è concepibile lo stabilizzarsi dei postumi, e di conseguenza non è configurabile alcun danno da invalidità permanente. Secondo questo orientamento la nozione medico legale di "invalidità permanente" presuppone che la malattia sia cessata, e che l'organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma pur sempre stabile. Pertanto, nell'ipotesi di morte causata dalle lesioni, non è configurabile alcuna invalidità permanente in senso medico legale, poiché la malattia in questo caso non si è risolta con esiti permanenti, ma ha determinato la morte dell'individuo (Cass. 28.4.2006 n. 9959; Cass. 23.2.2004 n. 3549; Cass. 16.5.2003 n. 7632, in Assicurazioni, 2000, 94; nello stesso senso, in dottrina, Rossetti, Il danno da lesione della salute, Padova 2001, 824 e ss.). La Corte ha tuttavia ha aggiunto che nel caso di morte causata dalle lesioni, è consigliabile liquidare il danno biologico temporaneo patito dalla vittima, ed il cui diritto al risarcimento è stato da questa trasmesso agli eredi, attraverso una adeguata personalizzazione, che tenga conto della particolare ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 66 di 72 intensità del danno consistente nella invalidità che precede la morte (Cass. 28.8.2007 n. 18163; Cass. 28.4.2006 n. 9959; Cass. 30.1.2006 n. 1877; Cass. 14.7.2003 n. 11003). In prosieguo di tempo tuttavia la S.C., muovendo da un obiter dictum contenuto in una decisione delle Sezioni Unite (Cass. sez. un. 11.11.2008 n. 26972) ha iniziato a qualificare il danno consistente nella sofferenza patita dalla vittima di lesioni, che sia rimasta lucida durante l'agonia, in consapevole attesa della fine, non più come danno biologico, ma come danno morale (ovvero “non patrimoniale” in senso ampio) (Cass. 7.6.2010 n. 13672). (C) Morte seguita ad uno stato di incoscienza. Le conclusioni appena esposte mutano nel caso di sopravvivenza quodam tempore della vittima in stato di incoscienza. Secondo la S.C., infatti, in questo caso l’incoscienza della vittima rende inconcepibile rispetto ad essa il patimento di un danno alla salute. In tale ipotesi pertanto il danneggiato può acquistare (e trasmettere agli eredi) il diritto al risarcimento del solo danno morale (Cass. 24.3.2011 n. 6754; Cass. sez. un. 11.11.2008 n. 26972). In precedenza, invece, la S.C. riteneva che se la morte è stata causata dalle lesioni, per quanto già esposto), in quanto il danno biologico è risarcibile sol che sia dimostrata l’esistenza della lesione biopsichica, a prescindere dalla percezione che la vittima ne abbia avuto (Cass. 19.10.2007 n. 21976; Cass. 1.12.2003 n. 18305). Non era di questo avviso, tuttavia, parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale quel che rileva, ai fini della risarcibilità del danno biologico agli eredi della vittima, nel caso di sopravvivenza quodam tempore di quest’ultima, non è se la sopravvivenza sia stata lunga o breve, ma se la vittima, nel tempo intercorso tra le lesioni e la morte, abbia patito un danno biologico: abbia, cioè, avuto la possibilità di percepire se stessa e la propria esistenza irrimediabilmente vulnerate e compromesse. Se, infatti, l’essenza del danno biologico va ravvisata in una perdita di tipo esistenziale, cioè nella perduta possibilità, per la vittima, di godere delle ordinarie occupazioni cui attendeva prima del sinistro, tale danno non può essere ravvisato allorché l’infortunio sia stato ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 67 di 72 di entità tale da sopprimere le facoltà neurosensoriali della vittima, sì da ridurla in uno stato vegetativo. Pertanto, secondo questo orientamento, il danno biologico può sussistere anche se la sopravvivenza è stata brevissima, quando la vittima sia restata vigile e cosciente; mentre può mancare, anche nel caso di sopravvivenza prolungata, quando le facoltà intellettive dell’infortunato siano state del tutto soppresse dalle lesioni seguite al trauma. Di conseguenza, nel caso di sopravvivemza quodam tempore in stato di incoscienza, iniziata immediatamente dopo le lesioni, la vittima non acquisterebbe e non trasmetterebbe agli eredi alcun diritto al risarcimento del danno biologico (Trib. Roma 7.3.2002, in Giurispr. romana, 2002, 160). Il quadro dei danni risarcibili spettante agli eredi della vittima iure haereditario è dunque riassumibile nel seguente quadro sinottico: Causata dalle lesioni Non causata dalle lesioni Morte immediata nulla spetta *** Morte non immediata spetta agli eredi il danno morale patito dal de cuius (contrasto) spetta agli eredi il danno morale, quello biologico da invalidità temporanea e quello da invalidità permanente patiti dal de cuius 16.2. Il c.d. “danno biologico da morte iure proprio”. Si suole parlare di danno biologico da morte (in questo caso definito “iure proprio”) anche per designare il danno alla salute, subito dai congiunti di persona deceduta in conseguenza dell’altrui atto illecito. Così, ad esempio, costituisce un danno biologico da morte iure proprio l’apoplessia, o la sindrome depressiva acuta, da cui una madre viene colpita dopo avere appreso della tragica scomparsa del figlio in un sinistro stradale. Il danno biologico da morte c.d. iure proprio costituisce una ordinaria ipotesi di danno alla salute, la cui unica particolarità è che di non essere corpore corpori illatum. Il danno in esame, sia per il giudice di legittimità, sia per quelli di merito, è pacificamente risarcibile. Alle medesime conclusioni è pervenuta altresì la Corte costituzionale, la quale tuttavia ha fondatola risarcibilità di questa pretesa sul disposto dell'articolo 2059 cod. civ. (Corte costit. 27-10-1994 n. 372, in Foro it., 1994, I, 3297), con una tesi oggi avallata anche dalla Corte di cassazione (Cass. 8827/03, cit. supra, § 1.1). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 68 di 72 Vale comunque la pena ricordare, al riguardo, che il danno da perdita del congiunto (o “da lutto”), in quanto danno biologico, presuppone sempre l’esistenza d’una malattia psichica o fisica, che va accertata in concreto, e non può mai essere presunta (Cass. 25.2.2000 n. 2134). Non sono mancati, però, giudici di merito che hanno ritenuto di liquidare (o meglio, che hanno ritenuto di ravvisare comunque) il danno biologico subìto dai parenti della vittima anche in assenza non solo di accertamenti medico legali, ma anche di documentazione clinica. In questi casi, solitamente, i giudici motivano la decisione attraverso il ricorso allo strumento della presunzione semplice (art. 2727 c.c.), ovvero del fatto notorio (art. 115 c.p.c.), ma in realtà pervengono ad una autentica duplicazione risarcitoria. Si vedano in tal senso: (-) Trib. Latina 1.8.1994, in Giur. it., 1995, I, 2, 426, secondo il quale per la liquidazione del danno biologico subìto dai congiunti della vittima sarebbe sufficiente anche la prova presuntiva (nella specie, però, la domanda venne rigettata per difetto di prova); (-) Trib. Alba 21.1.1992, in Giur. merito, 1994, 82, ove si afferma che per la liquidazione del danno biologico ai congiunti della vittima è sufficiente la dimostrazione che questi abbiano subìto un danno alla vita di relazione, consistente in una difficoltà di inserimento nella vita sociale; (-) Trib. Milano 1.2.93, in Foro it., 1994, I, 1954, ove si afferma che il danno biologico subìto dai parenti della vittima rientra nel fatto notorio; (-) e soprattutto Trib. Milano 2.9.93, in Dir. famiglia, 1994, I, 657, il quale ha liquidato ai genitori di una sedicenne tragicamente perita in un incidente stradale, a titolo di danno biologico, la somma di £ 60.000.000 ciascuno, sulla base della seguente motivazione: “si ritiene che (…) che la morte della figlia abbia inciso sulla personalità degli attori, e la personalità altro non è se non una espressione della psiche dell’individuo. Pertanto, in ultima analisi, l’evento dannoso ha certamente intaccato l’integrità psichica e quindi il bene salute degli attori”. 16.3. Il c.d. “danno da perdita della vita". Più di un autore, negli ultimi anni, aveva ritenuto che anche la perdita della vita costituisse una danno risarcibile per... il defunto, adottando l’argomento dell’a fortiori: se è risarcibile il danno da lesione della salute, a fortiori dovrà essere risarcibile il danno da lesione della vita, essendo evidente che quest'ultima è un bene di valore superiore a quello della salute (per tutti, in tal senso, si vedano Monateri-Bona-Oliva, Il nuovo danno alla persona, Milano 1999, 134-135). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 69 di 72 Questa tesi era stata condivisa da alcuni giudici di merito, i quali avevano ritenuto che se l’ordinamento appresta tutela risarcitoria alla lesione della salute, a fortiori dovrà essere tutelata sul piano risarcitorio la lesione della vita, che è bene maggiore rispetto alla salute (Trib. Massa Carrara 16-12-1997, in Riv. giur. circ. trasp., 2000, 122, in Arch. circolaz., 1998, 165, ove si parla espressamente di “espropriazione del bene-vita” nel caso di lesioni mortali; Trib. Civitavecchia 26.2.96, in Riv. giur. circ. trasp.,1996, 958, ove si afferma che “il diritto alla vita viene a costituire, in base al combinato disposto dell'articolo 32 cost. e 2043 cod. civ., non oggetto di un riferimento programmatico a copertura costituzionale, ma posizione soggettiva perfetta tutelata nell'ambito dei rapporti interprivati, che impone il risarcimento nella ipotesi di sua violazione”). La S.C. ha ritenuto non condivisibile la tesi in esame, confutando tutti gli argomenti sui quali veniva fondata, e più esattamente: (a) non è vero che l’irrisarcibilità della “lesione del diritto alla vita” creerebbe una disparità di trattamento rispetto all'ipotesi lesione della salute, perché vita e salute sono beni diversi, la cui lesione genera conseguenze diverse; (b) non è vero che la irrisarcibilità del preteso danno da lesione del diritto alla vita sia in contrasto con la convenzione europea dei diritti dell'uomo e con la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, perché la soppressione dell'altrui vita è tutelata dall'ordinamento attraverso la sanzione penale, ben più afflittiva rispetto alla "sanzione" del risarcimento del danno (Cass. 24.3.2011 n. 6754; Cass. 16.6.2003 n. 9620; Cass. 14.2.2000 n. 1646, in Arch. circolaz., 2000, 487; Cass. 14.2.2000 n. 1633, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2000, 927; Cass. 29.11.1999 n. 13336, in Assicurazioni, 2000, II, 2, 198, e soprattutto Cass. 25-2-1997 n. 1704, in Resp. civ. prev., 1997, 432). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 70 di 72 16.4. La perdita delle chances di sopravvivenza. Con una recente decisione, la S.C. ha vieppiù slargato la nozione di danno alla salute, ricomprendendo in esso anche un pregiudizio definibile come perdita delle chances di sopravvivenza. La fattispecie, in verità, non è nuova: si tratta dell’ipotesi in cui l’errore del medico impedisce al paziente di conoscere in tempo di essere affetto da una certa patologia, e quindi di adottare cure che sarebbero efficaci solo se tempestive; oppure aggravi una patologia preesistente, riducendo le possibilità di guarigione. In questi casi, l’errore del medico compromette la speranza di vita futura del paziente, e gli causa un danno definito appunto come “perdita delle chances di sopravvivenza”. Secondo l’impostazione tradizionale, trattasi di un ordinaria ipotesi di danno biologico, per la cui liquidazione occorre distinguere due ipotesi. Se la vittima muore prima della liquidazione del danno, si tratta di accertare l’esistenza d’un valido nesso causale tra l’errore del medico e la morte del paziente: accertare, cioè, se in assenza dell’errore il paziente sarebbe sopravvissuto più a lungo. Se, invece, la vittima è ancora in vita al momento della liquidazione del danno, il problema diventa quello di quantificare un danno (il rischio di morte anticipata) che è futuro e probabile, ma non certo. Nella prima ipotesi (vittima deceduta prima della liquidazione del danno), ove possa ragionevolmente affermarsi che, senza l’intervento del medico, il danneggiato sarebbe vissuto più a lungo, l’autore dell’illecito sarà tenuto a risarcire sia il danno morale subìto dagli eredi per la morte del proprio congiunto (sussistendo in questo caso un valido nesso causale tra atto illecito e morte); sia il danno morale sofferto dalla vittima stessa, per la dolorosa consapevolezza di avere perduto delle possibilità di sopravvivenza. Agli eredi, infine, spetta il risarcimento del danno biologico patito dalla vittima, per avere vissuto meno e peggio di quanto il destino gli riservava (Trib. Monza 30.1.1998, in Resp. civ. prev., 1999, 701). Di recente, come si accennava, la S.C. ha invece affermato che costituisce un danno risarcibile in favore del paziente (o dei suoi eredi) non solo la perduta possibilità, in conseguenza dell’omissione colposa da parte del medico, di una guarigione certa, ma anche la perduta possibilità di una ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 71 di 72 guarigione eventuale; quest’ultimo danno, consistente nella perdita delle chances di sopravvivenza, è ontologicamente diverso dal danno consistente nella perdita del risultato sperato, e va liquidato equitativamente in misura inferiore rispetto a quello (Cass. 4.3.2004 n. 4400). In tal modo, la S.C. sembra aderire all’orientamento maggioritario, che considera la perdita di chance una ipotesi di danno emergente e non già di lucro cessante (ex multis, Cass. 1-4-1987 n. 3139, in Foro it., 1987, I, 2073; Cass. 29.4.93 n. 5026, in Giur. it., 1993, I, 1, 234; Cass. 7.3.1991 n. 2368, in Foro it., 1991, I, 1793; Cass. 12-10-1988 n. 5494, in Foro it., 1989, I, 1330; Cass. 24-11992 n. 781, in Foro it. Rep., 1992, Lavoro (rapporto), 836; Cass. 19.12.1985, in Foro it., 1986, I, 383). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 72 di 72