Mercoledì 16 Maggio 2012

Transcript

Mercoledì 16 Maggio 2012
Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi
via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136
e-mail: [email protected]
sito web: www.fiba.it
Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale
RASSEGNA STAMPA
Mercoledì 16 Maggio 2012

U
Unn aaffooriissm
maa aall ggiioorrnnoo............................................................................................................................. 22
 Banche sotto tiro, affondano le Borse ............................................................. 3
 Milano paga le tensioni sull’euro .................................................................... 4
 Abi all’attacco di Moody’s: «Un’aggressione all’Italia» ...................................... 5
 Banche, conti aperti su mattone e derivati ..................................................... 6
 JP Morgan, l’Fbi apre un’inchiesta .................................................................. 8
 Utile Intesa oltre le attese ............................................................................... 9
 FonSai prova ad alzare il prezzo con Unipol ................................................... 10
 Il Banco non teme gli obiettivi Ue ................................................................... 11
 Bce studia nuovi interventi sul fronte debiti
 Patto per la crescita, primo sì della Ue
.................................................. 12
L’Ecofin trova l’accordo sulle banche ........................................................... 13
 Mutui, Titoli: che succede se si lascia l’Euro ................................................... 14
 I dieci signori d’oro dei mercati mondiali ....................................................... 15
 Banche bocciate, Consob convoca Moody’s ..................................................... 17
 Più profitti per Intesa Cucchiani: dividendo anche nel 2012 ........................... 18
 Montepaschi rifà i conti sul capitale ............................................................... 19
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
1
 Banche contro Moody’s: aggressione all’Italia ................................................ 20
 Nel nuovo Isee più peso ai titoli di Stato ......................................................... 21
 Intesa guadagna grazie al trading Mps cambia il piano per la crisi ................ 22
 Fonsai-Unipol, ancora una fumata nera sui concambi .................................... 23
UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“È sempre per le piccole cose
che ci si perde!!!
”
((F
Fëëd
doorr M
Miicch
haajjlloovviičč D
Doossttooeevvsskkiijj ))
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
2
,
*il Sole 24ORE*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Luca Davi
[email protected]
Banche sotto tiro, affondano le Borse
Piazza Affari (-2,56%) la peggiore in Europa - In forte calo anche Atene (-3,6%) e Madrid (1,6%)
La Grecia decide di andare al voto. E l'Europa traballa. O meglio, i paesi periferici
traballano: lo spread di BTp e Bonos prende il largo (per poi rientrare lievemente nel caso
dei titoli italiani); le borse di Atene, Madrid e Milano arretrano; l'euro s'indebolisce.
Tutto succede nel primo pomeriggio di ieri. Sono le 15 (ora italiana), quando le agenzie di stampa battono la
notizia che le trattative tra i partiti ellenici tese a formare un governo tecnico sono saltate. L'annuncio di nuove
elezioni viene tradotto dagli operatori nella maniera più scontata: Atene è pronta ad abbandonare la moneta
unica. Per i già delicati equilibri dei mercati dell'Eurozona è una bomba. I rendimenti dei BTp italiani schizzano
oltre il livello simbolico del 6% mentre l'euro sfonda il pavimento di 1,28 dollari e atterra a quota 1,2735 contro
il biglietto verde. Nello stesso tempo, i flussi degli investitori si concentrano sui Bund tedeschi, sinonimo
globale di protezione, tanto che i rendimenti sulla scadenza decennale cadono di cinque punti base. Sono
movimenti frenetici, istantanei, che fanno temere per alcuni minuti la riproposizione di scenari di panico visti la
scorsa estate. Ma nel giro di un'ora le cose si riassestano, almeno in parte. Non che accada qualcosa di
particolare. Eppure le vendite rientrano lievemente. Effetto finale: le borse cedono terreno ma meno di quanto
temuto, i rendimenti dei Bund tornano al livello visto in apertura, a quota 1,46%. Milano, dopo aver visto un
calo del 2,91%, chiude in frenata del 2,56%, portandosi sotto il livello del settembre scorso e poco lontano dai
minimi del marzo 2009. In ribasso si confermano anche Madrid, che frena dell'1,60%, e il piccolo listino
portoghese (-1,86%). La performance peggiore è però ancora una volta quella di Atene, che dopo il -4,56% di
lunedì, si assottiglia di un ulteriore 3,62%. Molto più contenute invece le ripercussioni sulle borse più
importanti: Francoforte lascia sul terreno solo lo 0,79%, Parigi lo 0,61%, Londra lo 0,51%. Performance che
sono state aiutate anche dai risultati economici del Pil dell'Eurozona migliori delle attese: è la Germania, in
particolare, a tenere alto l'umore degli investitori, alla luce di un aumento del Pil dello 0,5% nel primo
trimestre, che segue il meno 0,2 per cento degli ultimi tre mesi del 2011.
Insomma, gli investitori scelgono di fare distinzione tra la sponda mediterranea dell'Europa e i paesi più solidi
dell'area. Del resto, più che il crack della Grecia in sè, a preoccupare davvero i mercati è l'eventuale effetto
domino creato dall'ipotetica uscita di Atene dall'Euro. Un ritorno alla dracma potrebbe ingenerare panico tra i
risparmiatori, spingendoli a ritirare i soldi dalle banche, provocando così un collasso del sistema finanziario
soprattutto nei paesi più fragili dell'Eurozona, dalla Spagna all'Irlanda. Ipotesi estrema, va detto, e allo stato
attuale eccessivamente pessimistica, soprattutto perché non mette in conto l'attivazione di tutti i possibili
correttivi, da parte della Bce o dell'Ue, per bilanciare eventuali deragliamenti dei mercati in fasi di emergenza.
Sta di fatto che per ora l'umore degli investitori inizia a scontare questo scenario. Ecco perché regna la strategia
del "risk-off". Tradotto: nei portafogli entrano Bund e Treasury ed escono agli asset ritenuti più rischiosi. E tra
questi ci sono le già martoriate azioni bancarie di Italia e Spagna. Se i titoli del credito in Europa hanno perso
l'1,8%, nei mercati periferici è andata peggio.
I principali gruppi bancari tricolori hanno accusato perdite medie del 5,5%. UniCredit e Intesa hanno perso
rispettivamente il 5,53% e il 5,47%, Ubi il 5,35%, Mps il 7,4%. Collassi che contribuiscono a spingere il
comparto bancario ai minimi da oltre due decenni. Non molto meglio va a Madrid. Santander è scesa del
2,54%, Bbva del 2,46%, Banco Popular del 2,5%. Ma un collasso greco sarebbe indigesto anche a diversi
istituti del Nord Europa. Non è un caso che Credit Agricole, SocGen e Commerzbank, tre tra le banche più
esposte alla Grecia, ieri abbiano perso tra il 5 e il 7%. Come dire: nessuno in Europa può dirsi estraneo al
destino di Atene.
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
3
LA GERMANIA
La crescita del Pil tedesco ha limitato la flessione del listino di Francoforte, dove però hanno
sofferto gli istituti di credito come Commerz
*il Sole 24ORE*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Andrea Franceschi
Il listino. Brusca ondata di ribassi all'annuncio di elezioni anticipate in Grecia
Milano paga le tensioni sull’euro
Titoli italiani sotto pressione, forti ribassi su quelli del credito. Il copione, rivisto più volte negli ultimi mesi, si
è ripetuto anche nella giornata di ieri che, per l'indice Ftse Mib di Piazza Affari, si è conclusa con un nuovo
pesante ribasso (-2,56%). Una performance che vale il poco lusinghiero titolo di secondo peggior listino
d'Europa secondo solo alla disastrata Borsa di Atene (-3,62%). La seduta a Piazza Affari si era peraltro aperta
all'insegna del rimbalzo dopo il forte calo registrato lunedì. In avvio di seduta gli operatori avevano mostrato di
dare più peso alla positiva trimestrale di Intesa Sanpaolo (si veda articolo a pag. 31) che all'ondata di
declassamenti sulle banche italiane annunciata da Moody's nella tarda serata di lunedì.
Poi però il clima è volto nettamente al peggio all'annuncio delle elezioni anticipate in Grecia. La notizia, uscita
intorno alle 15, ha avuto un impatto immediato sullo spread Bund-BTp che nel giro di pochi minuti è passato da
440 a 455 punti. Contemporaneamente sono scattate violente vendite sui titoli delle banche italiane, le più
esposte in BoT e BTp. L'indice Ftse Mib in pochi istanti è così sceso da 13.650 a 13.400 punti per poi
incrementare il calo nelle due ore successive arrivando ai 13.311 punti della chiusura (- 2,56% rispetto a
lunedì). Un forte ribasso dovuto soprattutto alla performance del settore bancario, il cui peso sulla
capitalizzazione del listino milanese è preponderante. A fine seduta il Ftse Italia Banks segna un calo del 5,47%
decisamente peggio dell'indice Stoxx 600 di settore (-1,79%). Da metà marzo, periodo in cui è iniziata la
correzione dei listini dopo il rally di inizio anno, l'indice del settore creditizio mostra un ribasso del 37%
mentre, da inizio anno, la performance è negativa per 26 punti percentuali.
I titoli del settore che registrano i cali più marcati sono Bper (-8,79%) e Banca Mps (-7,4%), seguite da
Mediolanum (-5,68%), UniCredit (-5,53%) e Intesa Sanpaolo (-5,47%). Le incertezze sulla crisi greca rovinano
la festa dopo una serie di risultati trimestrali decisamente migliori delle attese per le banche italiane. La scorsa
settimana UniCredit ha comunicato un utile trimestrale di 914 milioni di euro, ben oltre le previsioni degli
analisti. Ieri è stata la volta dell'altra "big" Intesa Sanpaolo che ha chiuso il primo trimestre con un utile di 804
milioni di euro (in crescita del 21,6%).
Con risultati come questi ci si aspettava che le bassissime quotazioni a cui vengono scambiate le azioni delle
banche italiane potessero rialzarsi. Questo non è avvenuto perché evidentemente le preoccupazioni su una
possibile uscita della Grecia dall'euro, con il rischio di un effetto domino ad altri paesi periferici come l'Italia,
pesano di più. Diversi analisti poi fanno notare come, più che a un effettivo miglioramento della redditività, il
balzo degli utili delle banche italiane sia dovuto all'effetto della liquidità immessa sul mercato dalla Bce con le
aste Ltro. Fondi che hanno favorito il risveglio dei mercati e dato alle banche la liquidità per riacquistare il
proprio debito a prezzi scontati.
Le banche italiane tuttavia devono fare i conti con un nemico che si chiama recessione, certificata proprio ieri
dalla frenata del Pil del nostro Paese, calato dello 0,8% nel primo trimestre.
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
4
I CONTI NON BASTANO
Nonostante le trimestrali dei big del credito come UniCredit e Intesa siano migliori delle
attese le quotazioni sono ai minimi
*il Sole 24ORE*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Rossella Bocciarelli
CREDITO E RATING
Abi all’attacco di Moody’s:
«Un’aggressione all'Italia»
In campo la Consob - Vertice anti-rating delle banche Ue
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
5
ROMA
«Irresponsabile, incomprensibile, ingiustificabile». È una vera ribellione quella esternata ieri dall'Abi con una
nota alla decisione di Moody's di tagliare il rating di 26 banche italiane. Le banche non accettano non solo il
solito tempismo sospetto nella confezione delle pagelle negative rilasciate con la minaccia di ulteriori
declassamenti, ma anche le motivazioni adottate: «Ancora una volta – afferma l'Abi – le agenzie di rating si
confermano come un elemento di destabilizzazione dei mercati con giudizi parziali e contradditori. Per
abbassare il rating questa volta si tirano addirittura in ballo le misure di austerità varate dal Governo Monti
("riducono la domanda economica di breve termine") che una volta le stesse agenzie invocavano allorché
disegnavano l'outlook negativo delle imprese bancarie». La decisione di Moody's, dunque, secondo i banchieri
«è un'aggressione all'Italia, alle sue imprese, alle sue famiglie, ai suoi cittadini. Ma non è solo l'Abi a criticare le
agenzie. Oggi – scrive il Financial Times – una ventina delle maggiori banche europee avanzerà la proposta di
ridurre le informazioni da inviare a S&P's, Moodys, e Fitch, nel tentativo di limitarne il "potere". Il tema verrà
discusso a Francoforte in una riunione del Cfo Network, l'associazione dei direttori finanziari delle maggiori
banche continentali.
Nel condividere le critiche sollevate ieri dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas, Abi reitera la richiesta
alle Autorità europee e alla Banca Centrale affinché tali giudizi non siano passivamente recepiti nella
regolamentazione, nelle procedure e nei modelli di valutazione e venga finalmente varata una severa disciplina
di controllo nei confronti di questi soggetti». La nota diramata da Palazzo Altieri, infine, si conclude
sottolineando che proprio le modalità per "sterilizzare" l'impatto su regole e produrre del credito dei verdetti
delle agenzie di rating nonchè le azioni da adottare per tutelare i legittimi interessi dell'economia italiana
saranno l'argomento all'ordine del giorno dell'esecutivo dell'associazione che si tiene quest'oggi a Milano. Una
riunione durante la quale, peraltro, sarà esaminata anche la proposta del comitato dei saggi al comitato
esecutivo dell'Abi per la nomina del nuovo presidente che verrà votata dall'assemblea l'11 luglio. Secondo le
attese, dovrebbe essere confermato Mussari. La Consob di Vegas, nel frattempo, alle parole preoccupate sul
ruolo delle agenzie di rating espresse durante l'incontro annuale con il mercato ha fatto seguire i fatti,
convocando i rappresentanti dell'agenzia di rating Moody's in Italia, per avere chiarimenti sul downgrade. Le
scelte delle agenzie del resto , non sono certo indolori: con un rating peggiorato le banche italiane non solo
dovranno sostenere costi maggiori per finanziarsi sui mercati, ma potrebbero dover fornire garanzie più costose
all'Eurotower in cambio della liquidità ottenuta. Per questo Mussari è tornato anche nel pomeriggio a chiedere
che la Bce e le istituzioni europee non tengano conto di questi giudizi, altrimenti diventa un corto
circuito».Anche la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha commentato il taglio dei rating come
una scelta davvero inopinata: «Siamo di fronte a una situazione molto delicata che sta penalizzando fortemente
il nostro paese, le banche, le imprese, i cittadini– ha detto ieri Marcegaglia «Questi giudizi dovrebbero essere
dati con più attenzione. C'è un attacco continuo che preoccupa». Fa quadrato anche il mondo della politica, con
il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini che evoca un «disegno criminale» delle agenzie di rating. Tra i politici
che criticano le streghe del rating c'è anche Pierluigi Bersani («bisogna regolare queste benedette agenzie che si
permettono di intervenire in un modo che farebbe sorridere se non facesse piangere») ma anche il presidente del
deputati Pdl, Fabrizio Cicchitto: «È la goccia che fa traboccare il vaso».
*il Sole 24ORE*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Morya Longo
[email protected]
Francia e Spagna più esposte alla crisi immobiliare - Germania, Svizzera e Gb sui titoli
tossici
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
pagina
Se si guardano i crediti in sofferenza attualmente in bilancio, le banche italiane mostrano tutto il loro affanno.
Se però si cerca di guardare al futuro, e di stimare l'effetto del possibile calo dei prezzi immobiliari, allora in
panne ci finiscono gli istituti francesi e inglesi. Se si prendono in esame i titoli di Stato nei bilanci, sono le
banche spagnole e italiane a soffrire di più. Ma se invece si guardano i titoli un tempo chiamati "tossici", allora
nei guai maggiori ci finiscono le banche tedesche, inglesi o svizzere.
Insomma: a seconda di quale angolo degli immensi bilanci bancari si guardi, si scopre che ogni sistema
creditizio del Vecchio continente è vulnerabile. Chi soffre per gli immobili, chi per la congiuntura. Chi per i
vecchi fasti della finanza, chi per le nuove speculazioni. Chi per la crisi del proprio Stato, chi per quella degli
altri. È vero che gli istituti italiani oggi soffrono particolarmente e sono più vulnerabili, come sostiene Moody's,
ma a ben guardare il problema è ben più vasto: il male bancario è comune a tutta Europa. Il virus della crisi ha
colpito, o potrebbe colpire presto, tutti. Soprattutto ora che la Grecia minaccia di uscire dall'euro.
Il peso dei crediti dubbi
Se si guardano gli effetti dell'economia sui bilanci bancari, allora l'Italia è effettivamente tra i Paesi più
inguaiati. A guardare i dati attuali sui crediti deteriorati, quelli che nei bilanci bancari vengono catalogati come
«non performing», la situazione dell'Italia appare infatti la più pesante tra i principali Paesi. Peggiore persino di
quella spagnola. Secondo i dati Bankitalia, aggiornati a dicembre 2011, i crediti di difficile recupero
ammontano infatti al 10,8% del totale impieghi. Cifra che supera anche il 7,6% delle banche spagnole (a
dicembre 2011). L'Italia, secondo le stime del Fondo Monetario, ha anche effettuato minori accantonamenti
rispetto agli altri Paesi: questo significa che, oltre ad avere più crediti dubbi in rapporto al totale, ha "messo da
parte" minori fondi per far fronte alle perdite. Brutto segno: significa che altre perdite potrebbero presto
emergere da questo fronte.
Infatti il team bancario di AlixPartners (che sta preparando uno studio su questo tema intitolato «Bankaround»)
raggiunge proprio questa conclusione: se le banche italiane portassero a «fair value» i loro crediti deteriorati
(cioè se li portassero a un valore equo di mercato) registrerebbero d'un colpo 23 miliardi di euro di perdite. Per
le spagnole, invece, il buco sarebbe limitato a 6 miliardi ulteriori, mentre le tedesche "brucerebbero" 12
miliardi. Per «fair value» AlixPartners considera la media tra il valore dei crediti non performing in bilancio e i
prezzi che gli investitori sono disposti ad offrire per comprarli.
Se però si guarda anche all'effetto del mercato immobiliare sui crediti in sofferenza, allora cambia tutto.
Considerando il calo dei prezzi delle case già avvenuto dal 2007 ad oggi, e dunque le ulteriori sofferenze che
presto potrebbero emergere proprio per lo scoppio della bolla del mattone, sono Spagna e Gran Bretagna a
tremare di più: presto nei bilanci delle loro banche potrebbero arrivare 44 e 82 miliardi di nuovi crediti in
sofferenza. Più al riparo – questa volta – le banche italiane. «Gli accantonamenti addizionali necessari per
tenere conto della discesa dei valori immobiliari avvenuta dal 2007 sono valutabili in ulteriori 65 miliardi di
euro complessivi», calcola Claudio Scardovi, managing director responsabile per l'offerta alle banche europee
di AlixPartners.
E la classifica delle vulnerabilità cambia ulteriormente se si calcola (prendendo le stime dell'Economist) quanto
potrebbe deprezzarsi il mercato immobiliare nei prossimi anni. Qui siamo nel campo delle proiezioni, ma se si
verificassero – secondo AlixPartners – il verdetto sarebbe completamente ribaltato: uscirebbero con le ossa
rotte le banche francesi (che registrerebbero perdite fino a 140 miliardi) e inglesi (110 miliardi). Le banche
italiane, invece, in questo scenario futuribile avrebbero problemi limitati. Per un motivo semplice: il mercato
immobiliare nella Penisola è meno sopravvalutato che altrove.
La zavorra dei titoli «tossici»
6
Banche, conti aperti
su mattone e derivati
Le banche italiane, insieme alle spagnole, sono invece più vulnerabili a causa degli investimenti in titoli di
Stato dei loro Paesi. Secondo i dati della Bce, aggiornati a marzo 2012, gli istituti di credito nel nostro Paese
hanno in pancia 323,9 miliardi di euro di titoli di Stato (principalmente italiani): si tratta del 7,78% del totale
attivi. Solo le banche spagnole, con titoli di Stato in bilancio pari al 7,06% degli attivi, sono altrettanto
zavorrate. Tutte le altre hanno meno titoli di Stato, pari al 3-4% degli attivi. Per di più gli istituti italiani e
spagnoli sono esposti sui titoli di Stato che più di tutti rischiano di deprezzarsi: i BTp e i Bonos. Questo le
espone a potenziali perdite, legate alla crisi del loro stesso Paese.
Se però si guardano altri titoli, quelli che fino a poco tempo fa chiamavamo «tossici», allora la classifica dei
buoni e dei cattivi cambia radicalmente. Secondo le ultime analisti di R&S Mediobanca (aggiornate a giugno
2001 quindi ormai un po' vecchie) gli istituti che ancora devono smaltire quelle obbligazioni illiquide legate a
mutui o quant'altro sono quelli inglesi, tedeschi e svizzeri. Credit Suisse a giugno aveva 37miliardi di euro di
titoli "tossici": è vero che si tratta di poca roba rispetto agli 81 miliardi di dicembre 2008, ma ugualmente questi
titoli ammontano al 111% del patrimonio netto e al 93% del patrimonio di vigilanza. Abbastanza esposta anche
la tedesca Deutsche Bank: sebbene oggi abbia la metà dei titoli "tossici" del 2008, ne ha in bilancio comunque
45 miliardi. Cifra pari all'88% del patrimonio netto. Le banche italiane e spagnole, invece, hanno cifre risibili:
Intesa il 4,8% del patrimonio e UniCredit il 15%.
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
7
ITALIANE VULNERABILI
Gli istituti della Penisola sono più deboli per la congiuntura e per i titoli di Stato, ma non
hanno bond tossici
*il Sole 24ORE*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Marco Valsania
LA TEMPESTA SUL CREDITO STATUNITENSE
JP Morgan, l’Fbi apre un’inchiesta
Le indagini delle autorità federali affiancano le mosse degli ispettori della Sec
NEW YORK
Le autorità federali americane stringono d'assedio JP Morgan. Il Dipartimento della Giustizia ha aperto una
nuova indagine sulle perdite della banca, guidata dagli agenti dell'Fbi di New York. L'inchiesta marcerà in
parallelo a quella già avviata dalla Securities and Exchange Commission, ma è potenzialmente più seria: i
procuratori del Dipartimento possono decidere di perseguire reati, mentre la Sec si concentra su violazioni e
sanzioni amministrative.
L'offensiva per far luce sul grave passo falso di JP Morgan è ancora agli inizi: resta incerta quale sia la pista
seguita dall'Fbi, ma è probabile che parta dalle pratiche contabili e dalla trasparenza e tempestività nella
comunicazione delle perdite agli investitori. La Sec si sta inizialmente concentrando a sua volta su simili
aspetti. Al setaccio verranno passate sia la documentazione finanziaria che prese di posizione dei top manager.
Potrebbero essere esaminate, tra l'altro, recenti modifiche nei criteri per calcolare il «Value at risk», misura
delle potenziali perdite quotidiane, qualora abbiano mascherato i rischi sui derivati.
La banca, nel clima di accese polemiche, ha fatto ieri quadrato attorno ai vertici capitanati da Jamie Dimon.
L'assemblea annuale dell'istituto, svoltasi a Tampa in Florida, ha respinto richieste di separare le cariche di
chairman e chief executive, togliendo la presidenza a Dimon. La mozione, presentata dal sindacato prima dei
recenti eventi, ha raccolto il 41% dei consensi, non molto di più del 34% ottenuto da una simile proposta nel
2010. L'assemblea, organizzata lontano da New York per evitare proteste contro l'alta finanza, si è svolta in un
centro uffici tra forti misure di sicurezza e si è conclusa in soli cinquanta minuti. L'esito ha aiutato il titolo a
recuperare in Borsa oltre il 2 per cento.
Dimon ha offerto un nuovo mea culpa e promesse di riforme interne. L'errore nelle scommesse sui derivati
«non avrebbe mai dovuto accadere», ha detto, e saranno prese «misure correttive». Ha poi denunciato le
disastrose operazioni di hedging come «violazioni dei nostri stessi principi», nonostante nei giorni scorsi siano
venuti alla luce ordini dal'alto di effettuare hedge aggressivi. E ha ricordato le svolte già avvenute: l'arrivo di
nuovi manager nella divisione delle perdite, il Chief investment office, dove è uscita di scena la responsabile
Ina Drew. Dimon ha anche ipotizzato che per i dirigenti coinvolti nella vicenda potrebbero scattare
provvedimenti di «clawback», di restituzione di compensi. E ha aggiunto di sperare che le perdite non abbiano
un impatto sul dividendo della banca.
Il momento più delicato è arrivato quando la union dei dipendenti pubblici Afscme ha pubblicamente difeso la
proposta di separare le cariche di Dimon, affermando che altrimenti il chief executive dovrebbe controllare se
stesso. A favore si sono schiarate grandi società di difesa dei diritti degli azionisti quali ISS e Glass Lewsi. Ma
la banca ha fatto sapere che il 56enne Dimon è il candidato più qualificato per entrambe le posizioni e ha
ottenuto la fiducia. Prima ancora del voto, comunque consultivo, fonti vicine a JP Morgan avevano oltretutto
indicato che anche in caso di vittoria della mozione Dimon non si sarebbe tirato indietro da alcun incarico.
Sono stati eletti senza ulteriori difficoltà il board, con almeno l'86% dei voti, e approvate le politiche di
compensi, con il 91,5 per cento.
Dimon ha dovuto incassare qualche altra stoccata. Un investitore ha attaccato come cattivo esempio di
governance il ruolo di Dimon in un board consultivo della Fed di New York, incaricata di supervisione
bancaria. Un altro socio ha invitato la banca a ritirare le obiezioni alle riforme finanziarie, con Dimon che ha
replicato di essere a favore del 70-80% della legge Dodd-Frank. Ma il dibattito si è fermato a questo. Non, però,
le ripercussioni di perdite forse fino a 4 miliardi: le indagini delle autorità sono appena cominciate.
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
8
L’ASSEMBLEA DEI SOCI
La mozione per separare la carica di ceo da quella di presidente ha raccolto il 41% dei voti ed
è stata respinta
*il Sole 24ORE*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Marco Ferrando
Banche. Nei primi tre mesi del 2012 saldo di 804 milioni (+21,6%) - Cucchiani: «Puntiamo a
fare meglio del mercato»
Utile Intesa oltre le attese
Accantonati 970 milioni a copertura dei rischi creditizi
MILANO
Più utili per Intesa Sanpaolo, che approfitta della buona trimestrale approvata ieri per elevare le difese patrimoniali
contro il rischio del credito. «Siamo ben posizionati per poter affrontare le sfide di uno scenario economico che resta
critico, per sostenere lo sviluppo del sistema industriale del Paese e le necessità dei risparmiatori», ha sottolineato
ieri il ceo, Enrico Cucchiani, fiducioso sul fatto che Intesa nel 2012 «possa far meglio del mercato» e confermare i
dividendi erogati nel 2011.
I dati della trimestrale approvata ieri dal Consiglio di gestione parlano di proventi operativi netti in crescita sul 2011
del 14,5% a 4,8 miliardi e di un risultato netto pari a 804 milioni, in miglioramento del 21,6% sull'anno scorso e al di
sopra delle attese degli analisti, che si fermavano a quota 776. Sui conti del trimestre hanno inciso positivamente i
274 milioni di plusvalenze derivanti dal riacquisto effettuato nel periodo di propri titoli Tier 1, così come – sul fronte
opposto – l'impairment per 27 milioni dei titoli greci in portafoglio: al netto delle partite straordinarie, l'utile
normalizzato del trimestre è di 746 milioni, sostanzialmente in linea con quello dello stesso periodo 2011 (762
milioni).
«In uno scenario caratterizzato da un'estrema volatilità, grande incertezza e indicatori economici che continuano a
segnalare criticità a livello europeo e nazionale – ha detto ancora Cucchiani – Intesa ha chiuso il primo trimestre con
ricavi in espansione, grazie alle masse incrementate sia nella raccolta che nel credito erogato a sostegno
dell'economia reale». Segnali di stabilità, dunque, che autorizzano a un (cauto) ottimismo sul resto dell'anno, anche
sul fronte della redditività: «Il risultato netto del primo trimestre già equivale al payout dello scorso esercizio», ha
dichiarato Cucchiani nel corso della call conference con gli analisti, aggiungendo che il taglio del rating imposto
lunedì notte da Moody's su 26 istituti italiani, tra cui la stessa Cà de Sass, «non ha impatti significativi».
Certo il clima resta cupo – basta guarda alla Borsa, dove ieri il titolo ha perso il 5,47% in una seduta negativa per
tutti – ma «il mio primo obiettivo è quello di raggiungere una performance superiore al mercato. Non mi
preoccuperei troppo delle fluttuazioni di breve periodo, noi lavoriamo sul lungo periodo e sono sicuro che daremo
soddisfazioni agli investitori», ha detto ancora Cucchiani agli analisti, aggiungendo che «abbiamo usato circa 40
miliardi di fondi del Ltro per l'acquisto di titoli di Stato a breve e aumentare il portafoglio bond». «Siamo in una
situazione di liquidità molto buona – ha evidenziato il ceo –, se ne avremo in eccesso potremmo aumentare il nostro
portafoglio di titoli di Stato».
Rafforzata la patrimonializzazione, con un Core Tier 1 salito dal 10,1 al 10,5%, Intesa ha approfittato del buon
trimestre per accelerare negli stanziamenti a fronte dei rischi creditizi: tra gennaio e marzo Intesa ha stanziato 973
milioni, il 43% in più rispetto allo stesso periodo del 2011. Il motivo è nella qualità del credito, che sta rapidamente
peggiorando: al 31 marzo, infatti, sui 378 miliardi di esposizione verso la clientela (+0,3%), i crediti deteriorati sono
saliti dell'8,6% a quota 24,6 miliardi. Il livello di copertura dei crediti deteriorati è cresciuto al 45,5% ma il tema
resta caldo, tanto è vero che la banca si è dotata di una task force di 330 persone dedicata al «rafforzamento della
gestione del credito problematico».
Guardando alle singole aree, la divisione retail, rappresentata dalla Banca dei territori, ha chiuso il primo trimestre
con ricavi in crescita del 4,6% a 2,5 miliardi (il 52% di quelli consolidati dal gruppo), ma con un utile che scende a
215 milioni (255 mln un anno fa), mentre il corporate ha chiuso il trimestre con ricavi per 1,18 miliardi (+17,9%) e
utile in crescita da 438 a 465 milioni.
Per quanto riguarda invece Banca Fideuram, nella trimestrale approvata l'altroieri figura un utile netto consolidato di
67,9 milioni (da 69,7 milioni); le masse amministrate sono cresciute a 74,7 miliardi dai 70,9 miliardi di fine 2011 a
fronte di una raccolta netta positiva di 269 milioni (496 milioni un anno prima); in calo le spese di funzionamento,
scese a 78 milioni (da 81,1 milioni).
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
9
LE CIFRE
Per Ca’ de Sass 274 milioni di plusvalenze dal buy back di titoli propri Tier 1 Il ceo: «Il
nostro obiettivo è confermare la cedola 2011»
*il Sole 24ORE*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Laura Galvagni
Assicurazioni. Sospeso il board: richiesta di migliorare il concambio - Ma da Bologna
nessun rilancio
FonSai prova ad alzare
il prezzo con Unipol
Quello che doveva essere il consiglio decisivo per il riassetto di Fondiaria Sai si è trasformato in un cda fiume
che ha rimandato ogni decisione a un nuovo summit messo in agenda per domani. Complice il nuovo
"mandato" che il comitato degli indipendenti avrebbe dato al management del gruppo, ossia cercare di strappare
a Unipol condizioni migliorative sui rapporti di concambio. Così facendo il consiglio di FonSai non ha
deliberato sull'opportunità di approfondire l'offerta concorrente di Sator e Palladio pur avendola esaminata
velocemente e, almeno formalmente, non avrebbe neppure richiesto un'eventuale proroga. La proposta di
Matteo Arpe e Roberto Meneguzzo potrebbe dunque scadere oggi, la durata era di sette giorni dal ricevimento
dell'offerta, ossia dallo scorso 9 maggio. Salvo che, appurato l'interesse di Fondiaria a mantenere in vita
l'alternativa, non si decida di prolungarla di altre 24 ore. Un lasso di tempo durante il quale le prime linee della
società cercheranno comunque una nuova mediazione con le Coop. Con l'obiettivo, potenzialmente, di portare
al consiglio di giovedì una proposta che sia più vicina alla forchetta di concambio indicata dagli advisor del
gruppo. Risulta, infatti, che sia già stato sollecitato un summit con il vertice di Unipol. Il gruppo di Bologna
non sembra però intenzionato a prestarsi a un nuovo confronto. «Non è programmato e non si terrà alcun
incontro con i vertici di FonSai», ha precisato un portavoce della compagnia delle Coop. E questo per diverse
ragioni: perché non è accettabile che a dettare le condizioni sia il gruppo che deve essere salvato e perché
Unipol ha già compiuto un passo importante verso FonSai quando ha deciso di ridurre dal 66,7% al 61,75% la
quota di partecipazione che Ugf avrà a valle dell'integrazione tra Fondiaria, Milano Assicurazioni, Premafin e
Unipol Assicurazioni. Eppure, arrivati a questo punto, la distanza sui concambi è davvero minima. Nei giorni
scorsi l'amministratore delegato di Fondiaria, Emanuele Erbetta, e quello di Unipol, Carlo Cimbri, hanno
individuato nel 61,75% un valore congruo. La percentuale, tuttavia, per un soffio non rientra nel range
individuato dai consulenti della compagnia milanese, ossia 54-61% del capitale votante. Proprio questo gap è
stata la ragione che ha spinto il consiglio di FonSai a non assumersi la responsabilità di prendere decisioni
diverse rispetto alle indicazioni degli advisor, soprattutto a fronte dei dubbi sollevati dagli indipendenti. La
stessa famiglia Ligresti avrebbe adottato la linea di condotta della maggioranza, ossia tentare una nuova intesa
per provare a spuntare un valore più vicino alla forchetta. Non a caso Premafin ha comunicato che la holding
«sta proseguendo nelle varie attività funzionali all'esecuzione del progetto di integrazione» con Unipol
«compresa la negoziazione e la finalizzazione degli accordi di ristrutturazione del proprio indebitamento con il
ceto bancario, nonché la negoziazione dei valori economici della fusione». Se nelle prossime ore, come appare
chiaro dal messaggio lanciato da Unipol, Fondiaria non riuscirà a ottenere un ulteriore revisione dei concambi,
il consiglio dovrà riesaminare l'offerta Unipol sul 61,75% e, se ci sarà la proroga, la proposta di Sator e
Palladio. I due fondi offrono di ricapitalizzare la holding con 800 milioni di euro, di cui fino a 400 milioni
garantiti da loro. Matteo Arpe e Roberto Meneguzzo ritengono di poter risanare la società ricapitalizzandola e
rilanciandola con un nuovo top management, evitando la fusione con Premafin, che verrebbe ridotta al ruolo di
azionista di minoranza.
Ieri intanto la Consob, come preannunciato dal presidente Giuseppe Vegas, ha preso tempo sul quesito
presentato da Unipol per ottenere l'esenzione dall'Opa obbligatoria sia su FonSai che su Milano Assicurazioni.
Il verdetto è atteso per la prossima settimana e gli occhi sono tutti puntati sulla Milano.
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
10
I CONCORRENTI
L’offerta di Sator e Palladio scade oggi, è giallo su una possibile proroga, ma è presumibile
che venga mantenuta in vita
*il Sole 24ORE*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
Saviotti: «Non serve convertire il bond da un miliardo»
Il Banco non teme gli obiettivi Ue
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
11
MILANO
Il Banco Popolare, grazie alle iniziative già messe in atto e «con l'applicazione dei metodi advanced sui rischi di
mercato e di credito», sarà «in grado di rispettare i requisiti chiesti dall'Eba senza ricorrere a nessuna
conversione» del bond da un miliardo. Lo ha assicurato ieri l'amministratore delegato del Banco Popolare
Pierfrancesco Saviotti nel corso della conference call di presentazione dei conti trimestrali. «Di aumento di
capitale – ha ribadito Saviotti – non si parla neanche lontanamente». Saviotti ha poi sottolineato che «le banche
saltano a causa della liquidità e noi siamo in una situazione di liquidità eccellente». Per questo, secondo il
banchiere, «essere all'8,8 o al 9%» sul Core tier 1 «non cambia nulla». In ogni caso, ha concluso il banchiere,
«abbiamo un obiettivo che è il 9% e vedrete che al 9% ci arriveremo: le previsioni sono positive e non ho
nessuna intenzione di convertire il bond soft mandatory».
Il Banco Popolare ha chiuso il primo trimestre del 2012 con una perdita netta contabile di 109 milioni. Sul
risultato pesa l'impatto negativo da 212 milioni relativo alla variazione in positivo del merito creditizio
dell'istituto. Al netto di questa componente, il trimestre si chiude con un utile di 103 milioni, in calo del 25,4%
rispetto al dato omogeneo dello stesso periodo del 2011. I proventi operativi sono scesi dell'8,6% a 790 milioni,
con margine di interesse in crescita del 5,5% a 471 milioni e commissioni nette a 336,6 milioni (+0,7%).
Proseguendo nell'analisi del conto economico, gli accantonamenti ai fondi rischi e oneri sono balzati a 72,2
milioni dai 5,4 del primo trimestre 2011: a pesare, spiega il Banco, é «un accantonamento specifico di 77,2
milioni finalizzato a fronteggiare i rischi gravanti sull'investimento partecipativo in Agos Ducato, società
controllata dal Crédit Agricole».
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Federico Fubini
twitter @federicofubini
Bce studia nuovi interventi
sul fronte debiti
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
12
Diventano ogni giorno più schiaccianti le forze che spingono la Bce esattamente dove non vorrebbe andare. La
Banca centrale europea era nata nel 1998 sulla promessa solenne che non avrebbe mai dovuto risolvere i
problemi di debito degli altri, imprese o governi che fossero.
Quattordici anni più tardi, rischia di non poterne fare a meno. Il peso del ghiacciaio di debiti che si è
accumulato durante questo periodo su alcuni Paesi europei lascia poche alternative ai banchieri centrali di
Francoforte. Secondo le stime di Bridgewater, l’esposizione totale della cosiddetta «periferia» dell’euro è di
circa diecimila miliardi di euro, sommando i debiti del settore pubblico a quelli privati. Di questi, circa 3.500
miliardi sono prestiti a suo tempo offerti a Italia, Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo dall’estero; gli investitori
stranieri servirebbero dunque a finanziare il funzionamento di questi cinque Paesi, invece continuano a liberarsi
dei loro crediti cercando di venderli non appena possono. Una fonte di finanziamento vitale per l’Europa del
Sud sta venendo meno. Bridgewater calcola che, dall’inizio della crisi, la riduzione del credito privato all’Italia
(meno 19%) o alla Spagna (meno 15%) è stata minore di quella subita dalla Grecia, dall’Irlanda e dal
Portogallo (meno 50%).
Ma anche così il buco nelle esigenze di raccolta di prestiti per le imprese, le famiglie e i governi, in Italia e in
Spagna, è molto grande: ai ritmi attuali solo nei prossimi sei mesi rischiano di mancare all’appello 330 miliardi.
Solo la Bce può sostituire ciò che gli investitori privati non vogliono più non vogliono più concedere. Ha già
iniziato a farlo quest’inverno quando, a condizioni privilegiate, ha concesso alle banche mille miliardi in
cambio di garanzie (a volte) piuttosto deboli.
Fra gli interventi della Bce e i salvataggi a favore di autorità pubbliche in Atene, Lisbona e Dublino, ora le
autorità pubbliche in Europa sono già creditrici per 1.400 dei diecimila miliardi di euro di debiti della
«periferia». Ma proprio perché gli investitori privati esteri non si fidano più e non è possibile ridurre in fretta
una simile massa di debito, questa cifra di crediti pubblici è destinata a salire ancora. Ciò significa una sola
cosa: la Bce dovrà continuare a concedere prestiti straordinari anche nei prossimi mesi, oppure il sistema rischia
di cedere. Ma per l’Eurotower non è semplice decidere di farlo, né sul piano tecnico né su quello politico.
Quando quest’inverno lanciò le due maxi aste di liquidità, per esempio, lo fece solo al termine di un lungo
negoziato: la Germania ottenne le nuove regole di bilancio del «fiscal compact» e la promessa che l’Italia
avrebbe fatto sul serio sulle riforme; in cambio, non si oppose ai prestiti straordinari della Bce. Ora qualcosa del
genere dovrà accadere di nuovo. La Bce aspetta che in giugno emerga un nuovo equilibrio fra Francia e
Germania e che l’esito della Grecia diventi, se non altro, meno insondabile. Poi l’Irlanda dovrà votare sul
«fiscal compact». A quel punto l’Eurotower potrà iniziare a chiedersi che fare: con i prestiti facili che ha
lanciato a febbraio, molte banche hanno comprato titoli di Stato di Roma o di Madrid ma ora sono già in perdita
sul loro investimento. Non sarà facile indurle a ripeterle il gioco. Ma le alternative, per ora, non sono né molte
né, soprattutto, facili politicamente.
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
DAL NOSTRO INVIATO Ivo Caizzi
Patto per la crescita, primo sì della Ue
L’Ecofin trova l’accordo sulle banche
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
13
BRUXELLES — L'Ecofin dei 27 ministri finanziari dell'Ue ha messo le basi per integrare con un patto per la
crescita, detto growth compact, quello noto come fiscal compact, approvato per imporre misure di austerità ai
Paesi membri con i conti pubblici fuori controllo. I capi di Stato e di governo discuteranno su questa iniziativa
di sviluppo nel Consiglio Ue straordinario a Bruxelles del 23 maggio prossimo. L'obiettivo è concretizzare un
accordo nel summit di giugno, conclusivo del semestre di presidenza danese dell'Ue. «Ho la speranza che siamo
pronti per un growth compact, che sostenga il fiscal compact, entro la fine della presidenza danese dell'Ue», ha
confermato il presidente di turno del Consiglio Ue e premier danese Helle Thorning-Schmidt. La vittoria del
socialista François Hollande, nelle elezioni presidenziali in Francia, è stata indicata dalla socialdemocratica
Thorning-Schmidt come in grado di avviare l'Europa verso una stagione di rilancio della crescita, dopo quella
dell'asse di centrodestra tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy
generatrice del fiscal compact con misure di austerità.
L'Ecofin a Bruxelles ha trovato il compromesso sui requisiti di capitale prudenziale delle banche, in
applicazione del regolamento Basilea III. Il Regno Unito, per difendere gli interessi della City di Londra, ha
ottenuto di attribuire ai singoli Stati un po' di flessibilità per aumentare il parametro base del 7%. In questo
modo banche inglesi potrebbero dichiararsi più solide e attirare clientela da altri Paesi. L'Italia, rappresentata
all'Ecofin dal premier e responsabile dell'Economia Mario Monti, insieme al viceministro Vittorio Grilli, ha
approvato il compromesso con qualche riserva. Grilli ha ammonito a «maneggiarlo con cura» perché «il limite
fra i regolamenti prudenziali necessari e andare a toccare le rotelle del mercato interno è sottile» e
nell'applicazione non «bisogna mettere a repentaglio il mercato unico». Ora si passa al negoziato con
l'Europarlamento per far entrare in vigore di Basilea III a partire dal 2013. Molti eurodeputati puntano a
introdurre alleggerimenti dei requisiti di capitale per favorire i finanziamenti alle piccole e medie imprese: pur
rispettando l'urgenza di rafforzare l'affidabilità finanziaria del sistema bancario, su cui nelle riunioni dei ministri
finanziari trapelano da tempo indiscrezioni preoccupanti. La Spagna ha dovuto smentire le voci di richiesta di
salvataggio per gli esborsi nel sistema bancario, garantendo entro due mesi un rapporto sulle perdite reali negli
istituti di credito nazionali. La Grecia, dopo le rassicurazioni dell'Eurogruppo di lunedì scorso, ha scontato le
notizie sull'instabilità politica ad Atene subendo altri richiami della Germania e della Svezia ad applicare le
misure di austerità.
Il solito ostruzionismo del minuscolo Lussemburgo e dell'Austria ha fatto saltare l'attribuzione alla
Commissione europea del mandato a negoziare più stringenti accordi con la Svizzera e altri paradisi fiscali (San
Marino, Montecarlo, Liechtenstein, Andorra) sugli evasori delle tasse europei che nascondono capitali
all'estero. I ministri austriaco e del Granducato di fatto difendono l'uso nei loro Paesi del segreto bancario e
delle attività offshore da paradiso fiscale. Appoggiano anche la strategia della Svizzera, che propone accordi
bilaterali ai Paesi Ue per far saltare l'azione comune dell'Europa, potenzialmente molto più incisiva e orientata a
imporre scambi di informazioni sugli evasori. Da Berna fanno forti pressioni per un accordo bilaterale anche
con il governo Monti, che sostiene la linea Ue. Il commissario Ue alla Fiscalità, il lituano Algirdas Semeta, ha
accusato apertamente l'asse austro-lussemburghese: «Contrastare l'evasione delle tasse è un modo favorevole
alla crescita per incrementare i bilanci nazionali — ha detto —. Come può qualsiasi Paese membro giustificare
il blocco di progressi in questa area?». L'irritazione della presidente di turno dell'Ecofin, la danese Margrethe
Vestager, e di altri ministri ha convinto a passare il dossier anti Svizzera e paradisi fiscali al vertice dei capi di
governo.
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Giuditta Marvelli - Gino Pagliuca
Approfondimenti
Mutui, Titoli:
che succede se si lascia l’Euro
La svalutazione della moneta nazionale e l'aumento dei tassi d'interesse
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
14
La finanza fatta con i «se» è inattendibile. Quasi come la fantascienza. Eppure le ipotesi, a volte, sono l'unica
chiave a disposizione per cercare di capire meglio la realtà.
Che cosa succederebbe ai cittadini, greci ed europei, se davvero Atene decidesse di abbandonare l'euro? La
verità è che nessuno lo sa. Perché l'Unione monetaria ha solo porte per entrare e nessuna finestra giuridica per
uscire. E quindi la crisi aperta da un singolo abbandono non trova paragoni storici a cui fare riferimento. Alcuni
meccanismi che potrebbero mettersi in moto — la svalutazione, la sorte dei tassi di interesse e dei titoli di Stato
— sono però assimilabili ad altre situazioni di grande tensione che i mercati, in maniera molto meno
interconnessa, hanno vissuto anche in passato.
Per gli italiani, per esempio, l'idea della svalutazione (a cui la dracma andrebbe incontro immediatamente dopo
il divorzio) chiama subito il ricordo del 1992, quando il nostro Paese venne costretto ad abbandonare lo Sme, il
sistema monetario europeo, dopo un furioso attacco speculativo. Il dopo è storia, non finanza fatta con i «se».
Tra maggio e ottobre la lira perse il 25% rispetto al marco tedesco. Nel periodo successivo i Bot andarono al
17%, l'inflazione schizzò e i titolari di un mutuo in Ecu — il paniere che rappresentava le divise europee — o in
altre monete straniere maledissero la scelta extra valutaria. Perché la lira perse terreno rispetto a tutte le monete
forti.
Più o meno quello che potrebbe succedere ai greci. I meccanismi sono gli stessi, ma il contesto è davvero molto
diverso. Lo Sme era solo un sistema di cambi, i destini dell'Unione monetaria non erano ancora legati come lo
sono ora. Che cosa succederebbe? Nella speranza che il «se» rimanga tale e che non si debba passare
all'indicativo, qui abbiamo cercato di spiegare solo i primi passi di un'eventuale crisi da distacco dal punto di
vista di un piccolo risparmiatore.
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Giuliana Ferraino
twitter: @16febbraio
I dieci signori d’oro
dei mercati mondiali
Dal re dei ribassi Paulson al protagonista dello scandalo SocGen Kerviel. Miti & truffatori.
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
15
MILANO — Ray Dalio, fondatore e numero uno del più grande hedge fund del mondo con 120 miliardi di
dollari in gestione, racconta che il suo fondo Bridgewater Associates è riuscito a predire la crisi del debito
europeo grazie allo studio della storia dell'economia che ha mostrato come le istituzioni finanziarie stessero per
avviare un'enorme operazione di riduzione dell'indebitamento (deleveraging). Quell'informazione ha guidato la
macro strategia di investimento che ha permesso al suo fondo di mantenere profitti stabili anche durante la crisi
finanziaria. Come? Puntando sui titoli del Tesoro Usa e altri bond sovrani senza rischio di credito come i Bund
tedeschi o i gilt britannici, su valute come lo yen giapponese e il franco svizzero, ma anche su titoli azionari, ha
spiegato il manager in un'intervista sull'ultimo numero del Nikkei Weekly.
Quello che Dalio non dice è che, ogni volta che i suoi fondi puntano su un asset, hanno «muscoli» così possenti,
spesso più robusti di quelli di un Paese di medie dimensioni, da poter «muovere» il mercato. E che le decisioni
di investimento sono in grado di cambiare il segno agli indici e, talvolta, di affondare uno Stato (come nel caso
degli attacchi sul debito sovrano), una valuta (come fece George Soros contro la sterlina e la lira nell'92) o una
banca.
La potenza di fuoco di Ray Dalio? Secondo Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve e «padre» della
cosiddetta Volcker Rule, la regola di cui si discute oggi per vietare alle banche commerciali di fare investimenti
speculativi in conto proprio usando i depositi dei clienti, Bridgewater Associates ha più personale e produce
statistiche e analisi più rilevanti della Fed. Non sorprende perciò che a fine febbraio Dalio sia stato incoronato
re degli hedge fund: ha fatto guadagnare ai suoi clienti più di qualsiasi altro concorrente.
Con 35,8 miliardi incassati dal '75 a oggi attraverso Pure Alpha, uno di fondi di Bridgewater, ha surclassato
così George Soros, che l'anno scorso è uscito dal gioco, congelando i profitti netti del suo Quantum Fund a 31,2
miliardi di dollari dalla nascita nel '73. E ha superato anche John Paulson, che ha ricavato fama e fortuna nel
2008, quando tutti perdevano, puntando contro i Cdo, i prodotti strutturati costruiti sui mutui subprime. Nel
2011 le munizioni di Paulson ammontavano a 35 miliardi, ma per lui non è stato un anno altrettanto fortunato e
alla fine si è chiuso con perdite del 36% per Advantage Fund, il suo fondo vetrina, contro un utile di 4,9
miliardi nel 2010, tanto da non figurare neppure nella classifica dei 25 hedge fund più ricchi del pianeta.
Le altre facce vincenti degli hedge fund oggi sono quelle di Carl Icahn e James Simon. Il primo, alla guida di
Icahn Capital, ha guadagnato 2,5 miliardi in un annus horribilis come il 2011; il secondo, ex professore di
matematica e fondatore di Renaissance Technologies, 2,1 miliardi, pur avendo deciso di fare un passo indietro
per ricoprire il ruolo di presidente.
Se gli hedge fund sono i bersagli più visibili, ad agitare i mercati contribuiscono i fondi di private equity, come
Blackstone co-fondato dall'ex banchiere di investimento oggi miliardario Stephen Schwarzman. Così come i
grossi fondi di investimento, molto spesso controllati dai maggiori istituti di credito. La prova? Chiedete sul
mercato, vi risponderanno che oggi gli hot shots nel trading si chiamano JPMorgan, Goldman Sachs, Morgan
Stanley, Barclays, Crédit Suisse, Ubs, Societé Générale, Paribas, Nomura, Jeffries. Tutti nomi noti dalle spalle
robuste. Insieme ad altri nomi meno noti al grande pubblico, più piccoli e focalizzati.
Non è un caso che gli ultimi scandali che hanno scosso la finanza siano nati proprio all'intero di grandi banche
famose: SocGen, Goldman Sachs, Ubs e Jp Morgan. Con una singolare coincidenza. In tre casi su quattro
l'autore degli investimenti spericolati è un giovane broker francese, che quasi sempre opera da un ufficio
londinese.
Jérôme Kérviel, 31 anni, specialista nei contratti future, nel gennaio 2008 provoca un buco da 4,9 miliardi di
euro nel bilancio di Société Générale. E subisce una condanna a cinque anni oltre all'onere di risarcire la banca.
Nell'aprile del 2010 Fabrice Tourre, 31 anni, vice president di Goldman Sachs, viene accusato di frode insieme
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
16
alla banca d'affari dalla Sec. Secondo la denuncia della Sec, Tourre, che dall'ottobre 2007 opera nella filiale
londinese di Goldman, è il principale responsabile della creazione, all'inizio del 2007, di Abacus 2007-Ac1. E
Abacus è lo strumento strutturato che ha contribuito alla peggiore crisi finanziaria del dopoguerra, ingigantendo
le perdite associate al collasso del mercato immobiliare americano.
Lo scorso settembre i riflettori si accendono su Kweku Adoboli, 31 anni, cittadino ghanese, arrestato dalla City
Police per «frode generata abusando delle propria posizione», «colpevole» di aver mandato in fumo 2 miliardi
di dollari della più grande banca svizzera (il suo bilancio è quattro volte il Pil della repubblica elvetica).
Anche Bruno Michel Iksil, che con il suo hedging finora ha fatto perdere 2 miliardi a JPMorgan Chase, è nato
in Francia e opera da Londra, negli uffici di Canary Wharf che la banca americana ha comprato da Lehman
Brothers dopo il suo fallimento per 495 milioni di sterline, circa 622 milioni di euro al cambio attuale. Iksil, per
la verità, aveva già attirato l'attenzione su di sé per la entità delle sue scommesse sui derivati, tanto che sul
mercato alcune controparti dei suoi investimenti lo soprannominano Voldemort, come il cattivo di Harry Potter.
Ufficialmente il compito principale di Iksil consiste nel coprire i rischi e investire il denaro in eccesso, di fatto
le transazioni sono abbastanza grandi da muovere gli indici e assomigliare molto a scommesse per conto della
banca. E lo stesso Iksil sceglie per sé il nomignolo di Balena di Londra, lo stesso (@LondonWhale) che usa per
il suo account su Twitter, ora sospeso.
Sull'operato del trader il Dipartimento di Giustizia americano ha aperto un'indagine preliminare, guidata
dall'ufficio newyorchese dell'Fbi, sebbene per ora non sia ancora chiaro quali sarebbero le violazioni
commesse. Anche la settimana scorsa la Sec ha avviato un accertamento sulle perdite della banca, che ha visto
in pochi giorni diminuire la sua capitalizzazione di 18 miliardi di dollari.
In attesa dei risultati delle inchieste, lo scandalo solleva di nuovo la questione del controllo e dell'adeguatezza
dei modelli di valutazione dei rischi negli istituti di credito. Perché questo ultimo caso dimostra ancora una
volta che la tendenza alla JPMorgan come in tanti altri istituti, da Citigroup a SocGen, sembra essere il non
controllare con troppa attenzione finché le transazioni, per quanto spregiudicate e più o meno autorizzate,
generano ricchi profitti. Salvo accendere un faro, quando ci si accorge che qualcosa è sfuggito di mano oppure
non ha funzionato, all'indomani di una forte perdita inattesa.
In termini assoluti, il buco di Iksil, se resterà tale, non è un disastro per un ufficio con un bilancio da 350
miliardi di dollari, meno della metà della perdita subita da SocGen a causa delle operazioni spericolate di
Kerviel. Il problema, piuttosto è d'immagine (per Jamie Dimon) e politico. Wall Street dimostra ancora una
volta che nessuno è al riparo, nemmeno la banca più affidabile degli Stati Uniti. E forse l'unico argine a difesa
del risparmio, come ieri ha ripetuto anche il segretario del Tesoro Tim Geithner, sono regole più rigide.
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Stefania Tamburello
Banche bocciate,
Consob convoca Moody’s
L’Abi attacca l’agenzia di rating: i giudizi? Sono un’aggressione all’Italia
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
17
ROMA — La Consob ha convocato i rappresentanti di Moody's in Italia. Vuole sapere come è nato l'ennesimo
downgrade delle banche italiane, 26, tra cui tutte le maggiori. Vuole chiarimenti, insomma. Anche perché quel
declassamento, diviso in quattro gruppi, annunciato lunedì sera al termine di una giornata buia per i mercati, ha
provocato una debacle dei titoli bancari in Borsa. Piazza Affari ieri è risultato il peggior listino europeo. Colpa
della crisi greca e del Pil del primo trimestre dell'anno, che si è contratto di più del previsto, ma anche della
bastonata ricevuta dalle banche: Intesa Sanpaolo ha perso il 5,47% nonostante i buoni risultati dei conti del
primo trimestre. UBI ha ceduto il 5,35% dopo una mattina in positivo anch'essa per buoni risultati. Monte
Paschi ha perso oltre il 7%, nonostante l'accordo della Fondazione con i creditori per un allungamento delle
scadenze del debito.
E se la Commissione guidata da Giuseppe Vegas cerca di chiarire i sospetti, le banche insorgono. L'iniziativa di
Moody's è una decisione «irresponsabile, incomprensibile, ingiustificabile» ha detto l'Abi che oggi, al comitato
esecutivo convocato a Milano, discuterà «le azioni da adottare» per contrastare il giudizio della società di rating
che ha abbassato il voto sulla solvibilità di 26 istituti di credito (ieri è intervenuto anche sulle controllate
straniere di Unicredit e Intesa) tagliandolo, in alcuni casi, di ben quattro gradini. E se Unicredit e Intesa
Sanpaolo si fermano ad "A3", istituti come Montepaschi e Banco Popolare (BAA3) sono a un passo dal livello
speculativo. Secondo alcuni analisti Moody's, la cui decisione era attesa, sarebbe stata persino più clemente di
quanto si temesse. Ma i mercati, come si è detto, non la pensano così. Anche perché gli effetti non mancano
soprattutto se si guarda all'attività — e ai costi — del funding delle aziende di credito. In particolare ogni banca
centrale nazionale è responsabile per l'aggiornamento della lista dei titoli che possono essere dati a garanzia
delle operazioni dell'eurosistema e una delle caratteristiche richieste è avere un rating da parte di una delle 4
agenzie riconosciute (Moody's, S&P, Fitch e Dominion) pari almeno a "BBB-". E così il presidente
dell'Associazione, Giuseppe Mussari ha chiesto «con forza» alla «Bce e alle autorità europee di non tener conto
dei giudizi di Moody's».
Ma non è solo il mondo bancario a protestare contro gli analisti dell'agenzia. Si è detta «completamente
d'accordo» con Mussari la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: «Questi giudizi dovrebbero essere
dati con più attenzione, la situazione è delicata e c'è un attacco continuo che preoccupa». E poi c'è il mondo
politico con l'ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, che parla di una decisione «di una gravità
inaudita» ed evoca «un disegno criminale», e con il segretario del Pd Pierluigi Bersani che chiede di «regolare
queste benedette agenzie che si permettono di intervenire in un modo che farebbe sorridere, se non facesse
piangere».
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Federico De Rosa
Più profitti per Intesa
Cucchiani: dividendo anche nel 2012
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
18
MILANO — Trimestre da record per Intesa Sanpaolo che archivia i conti al 31 marzo con profitti in crescita
del 21% e ricavi a +14,5%. Un «inizio positivo nonostante il contesto difficile» ha commentato il consigliere
delegato, Enrico Cucchiani, che ha preferito non dare stime per l'intero anno, limitandosi a notare che «il
risultato netto del primo trimestre già equivale al payout dello scorso esercizio». E così ha confermato che ci
sarà il dividendo anche nel 2012.
La crescita trimestrale dell'utile, pari a 804 milioni, è la settima consecutiva per Intesa Sanpaolo che ha visto
salire a 4,8 miliardi i ricavi, di cui 2,5 miliardi di interessi netti e 1,3 miliardi di commissioni nette. Il risultato
della gestione operativa è stata invece pari a 2,6 miliardi, in crescita del 37,2%. Nel trimestre sono stati fatti
anche nuovi accantonamenti per circa 1 miliardo viste le incertezze sul rischio creditizio. Tutte le divisioni
hanno dato un contributo positivo e in particolare la «Banca dei Territori», che ha ripreso a crescere mostrando
un aumento dei ricavi del 4,6% a 2,5 miliardi di euro, pari al 52% di quelli consolidati dal gruppo, ma l'utile è
sceso a 251 milioni dai 255 milioni del primo trimestre dell'anno scorso. Per quanto riguarda i coefficienti
patrimoniali a fine marzo il Core Tier 1 di Intesa Sanpaolo era del 10,5% e il Tier 1 dell'11,5%.
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: Fabrizio Massaro
[email protected]
Montepaschi rifà i conti sul capitale
Nel trimestre torna in utile per 54 milioni, il nodo della Fondazione
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
19
MILANO — Nel giorno in cui il Montepaschi ha affrontato in Borsa il calo peggiore tra i grandi istituti, -7,40%
a 0,225 euro, dopo la bocciatura da parte di Moody's dell'intero sistema bancario italiano, l'istituto senese è
tornato all'utile, ma ha avanzato dubbi sul piano di reperimento dei 3,26 miliardi di capitale richiesti
dall'autorità bancaria europea (Eba) entro giugno.
Nel periodo gennaio-marzo 2012, primo trimestre firmato dall'amministratore delegato Fabrizio Viola, il
risultato è stato di 54,5 milioni, una ripresa basata anche sul contenimento dei costi (-1,2%) dopo la perdita da
oltre 450 milioni del quarto trimestre 2011 ma comunque un calo del 61,2% rispetto a un anno fa. I ricavi sono
stati 1,503 miliardi (+1,4% sul 2011), con margine di interesse stabile a 893,5 milioni e commissioni nette in
rialzo del 6%. A causa dell'andamento dell'economia, ormai dichiaratamente in recessione secondo l'analisi
della banca, i crediti deteriorati sono saliti a 15,2 miliardi, con un rapporto del 4,56% sugli impieghi.
Oltre alla crisi che ha impattato sui conti, Mps ha dovuto anche contrastare le difficoltà nella raccolta delle fonti
di finanziamento «stabilizzando l'approvvigionamento dal mercato e contenendo il costo». In questo contesto
Viola ha annunciato ieri nel comunicato che accompagna i conti una «revisione del piano industriale» per
adeguarlo alla nuova situazione determinata dalla crisi. Inoltre ha anche aggiornato sugli interventi in cantiere
per rafforzare i requisiti patrimoniali: la conversione dei bond fresh da 1 miliardo di euro, il passaggio ai
modelli avanzati di Basilea2 e le cessioni di asset (Biverbanca, Consum.it). I primi due sono stati raggiunti,
recuperando oltre 1,6 miliardi: sulle cessioni sono in corso negoziati ma se non si concludesse entro giugno o se
ci fosse ancora un ammanco di capitale «banca Mps valuterà iniziative di rafforzamento patrimoniale
alternative e, se praticabili, di natura temporanea».
Si capirà forse meglio oggi con la presentazione dei conti agli analisti quali misure Viola e il presidente
Alessandro Profumo abbiano in mente. I timori sulle difficoltà relative a capitale e liquidità sono stati i motivi
per i quali Moody's ha abbassato ieri di due gradini a Bba3 (al pari di Bpm e Banco Popolare) il rating di Mps,
ultimo prima del livello «spazzatura».
Intanto ieri la Fondazione Mps ha confermato le indiscrezioni dei giorni scorsi sull'accordo con le banche
creditrici per il debito da 1 miliardo: l'ente presieduto da Gabriello Mancini procederà a un rimborso parziale da
664 milioni e alla rinegoziazione del residuo debito da 350 milioni al 2017 (con facoltà per l'ente di prorogare
al 2018). Lo standstill, ovvero il congelamento delle clausole dei contratti per evitare l'escussione dei pegni, è
stato prorogato fino agli inizi di giugno per consentire la firma da parte delle banche (il pool di JPMorgan con
altre 11 banche per 600 milioni circa, e poi Credit Suisse e Mediobanca per 490 milioni). Per recuperare la
liquidità necessaria, la Fondazione ha dovuto vendere circa il 12% della banca (il 4% alla famiglia Aleotti) e
altre partecipazioni minori tra cui F2I e Cdp.
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: BARBARA ARDÙ
Dopo il downgrading di 26 istituti l’Abi minaccia azioni legali e la Consob convoca l’agenzia di rating
Banche contro Moody’s:
aggressione all’Italia
Casini: “Disegno criminale” Bersani: “L’Europa intervenga con nuove regole”
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
20
ROMA - I banchieri italiani dichiarano guerra aperta alle agenzie di rating. Sono i primi a sferrare il colpo di
prima mattina, dopo che l´americana Moody´s, ha tagliato il rating e dunque l´affidabilità di 26 banche italiane.
Giudizio «irresponsabile, incomprensibile, ingiustificabile», attacca l´Abi, che rappresenta «un´aggressione
all´Italia, alle sue imprese, alle sue famiglie, ai suoi cittadini». Non basta. Le quattro sorelle americane,
aggiunge, sono elementi di «destabilizzazione dei mercati», tant´è che la Consob in serata convoca i
rappresentanti di Moody´s in Italia per avere chiarimenti su come sia stato costruito il giudizio. È un ultimo
appello quello dell´Abi, che chiede l´intervento di Bce e Istituzioni europee, minaccia azioni legali e trova
consenso unanime nel Paese. Perché i giudizi di Moody´s, questa è la lettura, sono sferrati al Paese nel suo
insieme. È quel richiamo di Moody´s al «ritorno dell´Italia in recessione e alle misure di austerità del governo»
a scatenare l´ira dei banchieri. Giuseppe Mussari, presidente dell´Abi è chiarissimo: «Nell´ultimo giudizio
negativo, il tema è che il Paese non assumeva le giuste politica di stabilità di bilancio». Ora, la critica è che il
rigore «determina nel breve periodo una riduzione della domanda. È buona la prima o la seconda?», si chiede
retoricamente il presidente dell´associazione bancaria.
E il Paese reagisce, compatto. Nel giro di una manciata di ore vanno all´attacco Confindustria e i partiti.
«Siamo di fronte a una situazione che penalizza il Paese, le banche, le imprese, i cittadini», dichiara Emma
Marcegaglia, leader uscente degli industriali. Casini, Udc, parla di «disegno criminale delle agenzie di rating
contro l´Italia e l´Europa». Dal salotto di Porta a Porta il segretario del Pd Bersani chiede che «l´Europa faccia
sentire la propria voce» ridimensionando l´impatto delle agenzie di rating sulle economie nazionali e
introducendo «nuove regole». Per Cicchitto (Pdl) quella di Moody´s è la «goccia che fa traboccare il vaso».
Certo è un brutto colpo quello di Moody´s, che ha abbassato il giudizio sulla solvibilità tagliando, in alcuni casi,
di ben quattro gradini. Unicredit e Intesa SanPaolo si fermano ad A3, ma istituti come Montepaschi e Banco
popolare passano a Baa3, o sono a un passo dal livello speculativo o spazzatura. Per le banche cadute sotto
la scure sarà più caro finanziarsi sui mercati e accedere alla liquidità dell´Eurotower. Senza contare i "costi"
che le banche dovranno affrontare con Basilea 3, che prevede un rafforzamento patrimoniale degli istituti di
credito per renderli più solidi in caso di rischi sistemici. Il compromesso raggiunto accontenta in parte la Gran
Bretagna, che chiedeva di ampliare il margine di discrezionalità degli Stati. Via libera a una maggiore
discrezionalità, ma l´ultima parola rimane alla Vigilanza europea. La partita passa ora a Commissione e
Parlamento Ue.
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: ROBERTO PETRINI
Pd e sindacati contro nuovi tagli al welfare. L’esecutivo: attenzione alle famiglie con tre figli e
a quelle con disabili
Nel nuovo Isee più peso
ai titoli di Stato
Gli otto articoli della bozza alzano la soglia per garantire i meno abbienti
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
21
ROMA - Altolà dei sindacati al governo sulle modifiche al Welfare assistenziale. «No al tentativo di operare
nuovi tagli attraverso la revisione dell´Isee», ha detto ieri Vera Lamonica della Cgil. «No a tagli Isee, più
risorse alle famiglie bisognose», ha detto Pietro Cerrito della Cisl. Anche il Pd è intervento con decisione: «E´
un capitolo molto delicato, discutiamone, ma nessuno può pensare che si possano praticare nuovi tagli al
sistema del Welfare», ha osservato Margherita Miotto della Commissione Affari sociali.
Ieri il governo ha confermato, con una nota ufficiale, il vertice tra il sottosegretario al Welfare Maria Cecilia
Guerra, Cgil-Cisl-Uil e le sigle dei pensionati di lunedì. Il testo della bozza di Dpcm, in attuazione della delega
del decreto Salva Italia, circolato tra i partecipanti prevede una profonda revisione dell´Isee, la dichiarazione
«sociale» delle condizioni economiche che serve per accedere alle prestazioni del Welfare e che contiene,
oltre al reddito, anche la disponibilità dei patrimoni mobiliari e immobiliari. Il governo conferma che l´obiettivo è
quello di dare una definizione di reddito «più vicina» a quello effettivamente disponibile e che per questo
avranno «maggior peso» le componenti patrimoniali. «Si dovrà prestare infine - aggiunge la nota - particolare
attenzione alle famiglie con almeno tre figli e a quelle in cui sono presenti persone con disabilità».
In sostanza gli otto articoli della bozza alzano la soglia dell´Isee e hanno l´obiettivo finale di ridistribuire le
prestazioni a vantaggio dei meno abbienti e farle pagare di più a coloro che hanno maggiori possibilità. Le
rendite finanziarie avranno un peso maggiore in quanto ai fini Isee non saranno considerati i soli interessi ma
un interesse «figurativo» pari al rendimento dei titoli di Stato decennali; la rendita catastale delle case di
proprietà dovrà essere rivalutata del 5 per cento; nel computo entreranno anche i redditi esenti dall´Irpef.
Inoltre gli abbattimenti ai fini Isee della casa di proprietà e dell´affitto sostenuto saranno ridotti.
«Stiamo lavorando su molti versanti», ha confermato il ministro per il Welfare Fornero a chi le chiedeva notizie
sulle intenzioni del governo sull´Isee. A chi insisteva ha replicato: «Vedremo». Il governo non ha invece
toccato il tasto dei nuovi «campi di applicazione» dell´Isee che potrebbero coinvolgere anche gli assegni di
accompagnamento per gli invalidi che sarebbero salvi solo sotto i 15 mila euro. Nonostante la preoccupata
reazione delle associazioni degli invalidi ieri il governo non ha fatto cenno alla questione. Del resto fonti
accreditate osservano che la questione della revisione dei «campi di applicazione» dell´Isee è uno dei compiti
delle delega: di conseguenza non si può escludere un intervento in tal senso anche se oggetto di un altro
provvedimento, da varare entro il 31 maggio. Di fatto il governo non esclude che i «campi di applicazione»
possano allargarsi.
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: ANDREA GRECO
Intesa guadagna grazie al trading
Mps cambia il piano per la crisi
Banco popolare in rosso per i Cds sul proprio rating L´utile della Sondrio sale a 80 milioni
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
22
MILANO - Profitti lauti solo dal trading di governativi, nuovi crediti col lumicino e peggioramento della qualità
dei vecchi. Le banche italiane archiviano un primo trimestre strabico rispetto alle ambasce attuali, baciato dalla
ripresa di valore dei Btp (mentre lo spread crollava) e delle Borse. Il presente è ben più avaro, come attestano
gli andamenti dei titoli: Mps -7,4%, Intesa Sanpaolo -5,47%, Ubi banca -5,35%, Banco popolare -6,77%,
Popolare di Sondrio -3,57%. Il mercato sa che la recessione in Italia e la nuova impennata dello spread si
rimangerà l´avvio.
Intesa Sanpaolo guadagna a marzo 804 milioni, record da sette trimestri grazie a 274 milioni di plusvalenze da
riacquisto di propri bond, e altri 442 milioni di trading (in maggior parte negoziando i titoli del Tesoro). La
banca, parando anche colpi futuri, medica i crediti difficili: gli accantonamenti salgono a 1,07 miliardi (più dei
713 milioni di marzo 2011 e più delle attese), molto più dei crediti totali (+0,3% a 378 miliardi). «L´utile netto
del trimestre già equivale al payout del 2011 - ha detto l´ad Enrico Cucchiani, che ha confermato un dividendo
«almeno pari al 2011», e s´è impegnato «a battere i concorrenti, anche se non voglio vendere ottimismo
perché vedo un certo numero di nubi all´orizzonte». Il patrimonio migliora ed è espresso da un Core tier 1 al
10,5%, già in linea coi criteri Eba.
«Se non avessi tra i piedi l´Eba farei più impieghi e i risultati sarebbero migliori», polemizza Pier Francesco
Saviotti, ad del Banco popolare. «In ogni caso raggiungeremo gli obiettivi patrimoniali anche senza convertire
il bond». Il Core tier 1 di fine marzo è salito dal 7,1% al 7,4%. Il conto economico veronese però è in rosso, per
109 milioni, per le perdite (212 milioni) di polizze Cds legate al merito di credito del gruppo. Migliorato il rating,
persi i soldi, così va la finanza.
Mps nel trimestre ha un utile netto di 54 milioni (-61%), dopo ricavi a 1,5 miliardi (+1,4%) e patrimonio Tier 1
salito all´11,3%. Il margine di interesse cala del 4% e le commissioni risalgono, ma la voce grossa anche qui,
la fa il trading, positivo per 140 milioni. La banca, che a gennaio aveva redatto un piano di riassetto (anche per
adempiere alle richieste Eba) ha «in corso una revisione del piano industriale, in relazione al mutato scenario
strategico». Il piano è atteso a giugno.
Ubi banca nel trimestre guadagna 105 milioni, +63% da un anno prima. Ma ci sono 15 milioni di plusvalenze
da bond, e 94 milioni di trading, mentre gli impieghi flettono a 97 miliardi e il costo del credito sale da 41 a 54
punti base. La Popolare di Sondrio, infine, nei tre mesi guadagna 80 milioni, +68,6% da marzo 2011, con un
+29% di ricavi e un +13% di margine di interesse.
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 16 MAGGIO 2012
di: VITTORIA PULEDDA
Fonsai-Unipol, ancora
una fumata nera sui concambi
Cda di sette ore, sul tavolo anche l’offerta Sator-Palladio. Oggi nuove riunioni
Ma la compagnia bolognese nega vertici tra manager Forse proroga del piano alternativo
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
23
MILANO - Sette ore di consiglio, una maratona defatigante che ha inchiodato i membri del cda Fonsai fino allo
sfinimento, ma alla fine la fumata bianca non c´è stata: non c´è stata una decisione né in un senso né in un
altro. Il cda tornerà a riunirsi domani e nel frattempo ha dato mandato al management della società (dunque a
Emanuele Erbetta e a Piergiorgio Peluso) di trattare ancora con i vertici bolognesi, alla ricerca di un
concambio in vista della fusione che penalizzi meno le compagnie del gruppo Ligresti a vantaggio di Unipol. Il
consiglio di amministrazione peraltro ha analizzato anche la proposta alternativa, di Sator e Palladio, e ci
sarebbe un atteggiamento di apertura; non è escluso che si possa arrivare ad una proroga della proposta
medesima, che scade oggi.
Per quanto riguarda le trattative con i vertici Unipol, però, ieri a giroposta rispetto alle indiscrezioni di stampa
circolate sono arrivate le precisazioni da parte di Unipol medesima: «Non è programmato e non si terrà alcun
incontro con i vertici di Fonsai», ha detto un portavoce della compagnia bolognese. Se non è una posizione
seccata, quantomeno è secca, non ammette repliche. E parrebbe indicare che i margini di mediazione, da
parte di Unipol, almeno a questo momento sono inesistenti.
Si vedrà, in qualsiasi negoziato niente è scritto sulla pietra. Per il momento intanto è andato in onda il lungo - e
vivace, aggiunge chi era vicino ai lavori - confronto tra i consiglieri di Fonsai. In particolare da parte degli
indipendenti, che si erano peraltro riuniti in mattinata, prima del consiglio di amministrazione, aggiornando a
loro volta la riunione della notte prima (terminata senza che si riuscisse a mettere un punto definitivo). A
quanto risulta, i consiglieri indipendenti sarebbero rimasti legati alla forchetta prospettata dagli advisor, che
parlano di un possibile rapporto di concambio con Unipol tra 55 e 60% e ieri non hanno ritenuto adeguato un
concambio peggiorativo. Formalmente, l´unica proposta avanzata dal cda, di Unipol, è per un concambio di
66,7%; i negoziati tra i vertici dei due gruppi avevano portato, una settimana fa, le posizioni a convergere
intorno ad un valore di 61,8%, che non era mai stato confermato e nemmeno smentito dalle parti. Adesso
sembra si sia giunti ad un irrigidimento.
Per quanto riguarda Premafin, la holding ha a sua volta riunito il cda e ha reso noto che «sta proseguendo
nelle varie attività funzionali all´esecuzione del progetto di integrazione» con Unipol «compresa la
negoziazione e la finalizzazione degli accordi di ristrutturazione del proprio indebitamento con il ceto bancario,
nonché la negoziazione dei valori economici della fusione». A proposito della rinegoziazione del debito, uno
dei debitori - General Electric - ha dato il suo assenso solo al punto A della potenziale intesa, quella che vede
l´allungamento dei termini di pagamento, mentre non è disponibile a convertire il credito in azioni in quanto
non intende avallare l´operazione di fusione con Unipol; non perché contraria, ma perché ritiene che la
valutazione e la decisione sul futuro assetto azionario non rientrino nei propri ambiti decisionali.
La Fiba-Cisl
Vi augura di
trascorrere
una giornata serena
A
Arrrriivveeddeerrccii aa
domani 17 Maggio
pagina
Rassegna Stampa del giorno 16 Maggio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
24
ppeerr uunnaa nnuuoovvaa
rraasssseeggnnaa ssttaam
mppaa!!