Rischio di confusione

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Rischio di confusione
Alicante 2007 – Irena Pelikanova, Tribunale di primo grado delle Comunità europee
Impedimenti
relativi
alla
registrazione:
profili
giurisprudenziali
- Rischio di confusione
Valutazione globale
Sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T-162/01, GIORGIO BEVERLY HILLS,
punti 29-33.
Sentenza del Tribunale 22 giugno 2004, causa T-185/02, PICARO, punti 49-50.
1. Pubblico pertinente nel caso in cui i prodotti siano farmaci
prescrivibili
Sentenza del Tribunale 13 febbraio 2007, causa T-256/04, Mundipharma:
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Per quanto riguarda i prodotti per quali il marchio anteriore si considera
registrato, risulta dagli scritti delle parti nonché dalle loro risposte ai quesiti posti nel
corso dell’udienza che fra i prodotti terapeutici per le vie respiratorie alcuni sono forniti
unicamente dietro ricetta medica, mentre altri sono disponibili in vendita libera.
Pertanto, dato che alcuni fra questi prodotti possono essere acquistati dai pazienti senza
prescrizione medica, occorre ritenere che il pubblico a cui essi sono diretti includa, oltre
ai professionisti della medicina, i consumatori finali.
(…)
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Si deve dunque pervenire alla conclusione che il pubblico interessato è
composto, da un lato, dai professionisti della medicina tedeschi e, dall’altro lato,
dai pazienti tedeschi affetti da malattie delle vie respiratorie, dato che questi ultimi
manifestano generalmente un grado di attenzione superiore alla media.
Sentenza della Corte 26 aprile 2007, causa C-412/05 P Alcon (TRAVATAN):
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Infatti, avendo rilevato, al punto 49 della sentenza impugnata, nel contesto
della propria valutazione sovrana dei fatti, che i prodotti in oggetto sono venduti in
farmacia ai consumatori finali, il Tribunale ha potuto correttamente dedurne che,
ancorché la scelta di tali prodotti sia influenzata o determinata da intermediari, un
rischio di confusione per i consumatori sussiste comunque, dal momento che
essi ben possono trovarsi a confronto con tali prodotti, quand’anche le operazioni
di acquisto di ciascuno di essi si verifichino in momenti differenti.
1
2. Somiglianza
a) Valutazione della somiglianza dei prodotti
Sentenza del Tribunale 15 febbraio 2007, causa T-501/04 Bodegas Franco-Españolas, SA
(ROYAL - ROYAL FEITORIA)/UAMI,
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I prodotti in questione, benché appartengano alla medesima
categoria, quella delle bevande alcoliche, e condividano gli stessi canali di
distribuzione e gli stessi luoghi di vendita, non sono identici e si distinguono
chiaramente per la loro provenienza, la loro natura, la loro destinazione e il loro
uso diversi.
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Il vino di La Rioja viene generalmente bevuto a pasto, mentre il vino di
Porto viene bevuto come aperitivo o digestivo, a seconda delle abitudini.
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Il vino di Porto, avente una gradazione alcolica dal 19 al 22%, è noto da
secoli ed è prodotto nella regione delimitata dalla valle del Douro, in Portogallo. È
caratterizzato da una fermentazione breve e dall’aggiunta di alcole di vino. Il vino di La
Rioja, avente una gradazione alcolica meno elevata, anch’esso molto noto, è prodotto
nella regione spagnola di La Rioja e appartiene alla categoria dei vini a fermentazione
completa senza aggiunta di alcole di vino.
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I due tipi di vini in questione non sono pertanto prodotti sostituibili e, per un
consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e accorto, vanno
considerati, non solo in Portogallo, ma anche nel resto della Comunità, poco somiglianti.
(…)
53
Inoltre, la netta differenza tra i prodotti interessati, sommata all’assenza di
carattere dominante dell’elemento comune ai due segni, impedisce, contrariamente a
quanto ritenuto dalla commissione di ricorso, che il consumatore percepisca i due
marchi in questione come appartenenti ad una stessa famiglia o una stessa gamma il
cui termine “royal” permetterebbe l’identificazione e, quindi, esclude un qualsivoglia
effetto di associazione tra i suddetti marchi.
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La commissione di ricorso ha avuto quindi torto nel ritenere che i segni in
conflitto presentassero un rischio di confusione a norma dell’articolo 8, paragrafo 1,
lettera b), del regolamento n. 40/94. È dunque necessario accogliere il mezzo unico,
desunto dalla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94
e annullare la decisione impugnata”.
b) Complementarità dei prodotti
a) Esame della somiglianza dei prodotti, rapporto con il principio di specialità,
- uso di un prodotto, che deve essere necessario (utile e usuale?) o importante per l’uso di
un altro,
- destinazione dei prodotti.
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Sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon Kabushiki/MetroGoldwyn-Mayer, punto 23 – complementarità citata in quanto criterio di somiglianza dei
prodotti
23.
Per valutare la somiglianza tra i prodotti o i servizi in questione, si deve tener
conto, come hanno ricordato i governi francese e del Regno Unito nonché la
Commissione, di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra i prodotti
o i servizi. Tali fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione,
il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarità.
Sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T-388/00, Institut für
Lehrsysteme/UAMI (ILS), punti 55 e 56 – criterio di complementarità utilizzato, tra l’altro, a
conferma della somiglianza tra organizzazione di corsi e libri di testo; criterio di destinazione
L’uso comune non è necessario, ma solamente “utile e usuale”.
55 Si deve constatare che, per assicurare i servizi di “sviluppo ed organizzazione di corsi per
corrispondenza”, è utile e usuale impiegare “libri di testo e materiali stampati, ovvero libri di esercizi
per studenti, cataloghi, manuali didattici, materiale stampato per l'insegnamento e schede e libretti per
studenti che desiderano imparare l'inglese come seconda lingua”. Le imprese che offrono corsi di ogni
genere danno infatti spesso agli studenti, come materiale pedagogico sussidiario, i citati prodotti.
56 Di conseguenza, considerato lo stretto nesso relativo alla destinazione tra i prodotti e servizi
di cui trattasi nonché la complementarità dei prodotti rispetto ai servizi, la commissione di
ricorso ha giustamente ritenuto che tali prodotti e servizi siano simili.
Sentenza del Tribunale 4 novembre 2003, causa T-85/02, Pedro Díaz/UAMI
(CASTILLO), punto 36 – nell’ambito della stessa famiglia, i prodotti appartenenti a un’unica
gamma generale di prodotti devono ritenersi complementari (latte condensato/formaggio) –
impostazione opinabile; tale circostanza sembra piuttosto indicativa dell’esistenza dei medesimi
canali di distribuzione o di un’origine commerciale comune, usuale.
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Tuttavia, né le considerazioni esposte al precedente punto 34, né gli argomenti
della ricorrente, secondo i quali il latte ed il formaggio sono consumati in modi
diversi, escludono che i detti prodotti possano essere simili. Tali differenze
nel consumo dei prodotti in questione confermano, semplicemente, che si tratta di
prodotti distinti, la cui sostituibilità è particolarmente limitata dal punto di vista
alimentare e dal punto di vista del sapore. Di conseguenza, i prodotti in questione
non sono in concorrenza.
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Per contro, i detti prodotti sono complementari in quanto, agli occhi del
pubblico destinatario, appartengono alla medesima categoria di prodotti e
possono essere facilmente presi in considerazione come elementi di una
generica gamma di prodotti derivati dal latte che possono avere un'origine
commerciale comune.
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Sentenza del Tribunale 1° marzo 2003, causa T-169/03, Sergio
Rossi/UAMI (SISSI ROSSI), punti da 59 a 64 – distinzione tra complementarità
funzionale e complementarità estetica;
- il fattore della complementarità estetica deve necessariamente raggiungere “il livello di
una vera e propria ‘esigenza’ estetica, nel senso che i consumatori considererebbero inusuale o
scioccante” che un prodotto non fosse abbinato all’altro (borsa/scarpe);
- si è presenza di complementarità solo quando “i consumatori reputino abituale il fatto
che tali prodotti siano venduti con lo stesso marchio, il che, di solito, implica che un’ampia parte
dei rispettivi produttori o distributori coincidano”. Conclusione opinabile che neutralizza il
fattore della complementarità subordinandolo alla presenza di un altro fattore di somiglianza, vale
a dire l’origine commerciale comune usuale.
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La ricorrente, inoltre, afferma che le “scarpe da donna” e le “borse da donna”
sono prodotti complementari e, pertanto, simili.
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In base alla definizione dell’UAMI di cui alle direttive sull’opposizione, parte 2,
capitolo 2, punto 2.6.1, citate al precedente punto 35, sono complementari quei
prodotti tra i quali esiste una stretta correlazione, nel senso che l’uno è
indispensabile o importante per l’uso dell’altro, di modo che i consumatori
possano supporre che la produzione di entrambi i prodotti sia riconducibile
a una stessa impresa.
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Nella fattispecie, la ricorrente non ha provato l’esistenza di un tale rapporto di
complementarietà funzionale tra i prodotti in questione. Come emerge dal punto
2.6.2 della parte 2, capitolo 2, delle direttive citate al precedente punto 35,
l’UAMI, da parte sua, ammette una complementarietà estetica e quindi
soggettiva, determinata dalle abitudini o dalle preferenze dei consumatori
quali risultanti dagli sforzi di marketing delle imprese produttrici, ossia da semplici
fenomeni della moda.
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Tuttavia, occorre rilevare che, nel corso del procedimento dinanzi agli organi
dell’UAMI o anche al Tribunale, la ricorrente non ha provato che tale
complementarietà estetica o soggettiva abbia raggiunto il livello di una vera e
propria “esigenza” estetica, nel senso che i consumatori considererebbero
inusuale o scioccante indossare una borsa non perfettamente abbinata alle
loro scarpe. Il Tribunale afferma, innanzi tutto, che la ricerca di un certa
armonia estetica nell’abbigliamento costituisce un tratto comune a tutto il
settore della moda e dell’abbigliamento e rappresenta un fattore troppo
generale per poter giustificare, di per sé, la conclusione che tutti i prodotti
considerati siano complementari e, pertanto, simili. Inoltre, il Tribunale
ricorda che i fatti e le prove che la ricorrente ha presentato, per la prima volta,
dinanzi al Tribunale non possono, nella fattispecie, rimettere in discussione la
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legittimità della decisione impugnata, come emerge dai precedenti punti 19 e
seguenti.
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Per di più, non basta che i consumatori considerino un prodotto
complementare o accessorio ad un altro per poter ritenere che questi
prodotti abbiano la stessa origine commerciale. Perché ciò avvenga
occorre anche che i consumatori reputino abituale il fatto che tali prodotti
siano venduti con lo stesso marchio, il che, di solito, implica che un’ampia
parte dei rispettivi produttori o distributori coincidano.
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La commissione di ricorso non ha esaminato la questione se, in linea generale, i
produttori di scarpe da donna fabbrichino anche borse da donna. Tuttavia, la
ricorrente, nell’ambito del procedimento dinanzi all’UAMI, non ha presentato fatti
circostanziati o avallati da prove che permettano di concludere che, nella
percezione del pubblico di riferimento, i produttori di scarpe e di borse sono di
solito gli stessi. Essa si è limitata ad affermare, in via generale, che i produttori
che commerciano tali prodotti possono coincidere. Inoltre, sia le direttive
sull’opposizione che le due decisioni della divisione di opposizione citate al
precedente punto 37 riconoscono che, tradizionalmente, non è comune che le
borse e le scarpe siano distribuite dalle stesse imprese produttrici o da imprese
collegate. In tale contesto, tale aspetto non può mettere in discussione il risultato
della valutazione complessiva circa il rischio di confusione effettuata dalla
commissione di ricorso.
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Per quanto riguarda, poi, i canali distributivi, la commissione di ricorso ha
opportunamente rilevato che i prodotti in questione erano talvolta, ma non
sempre e non necessariamente, venduti negli stessi negozi. Essa ha anche
riconosciuto che, benché tale circostanza rappresentasse effettivamente un
elemento di somiglianza tra i prodotti in questione, essa non era sufficiente a far
venire meno le differenze esistenti tra i prodotti.
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La ricorrente non ha dimostrato che i prodotti di cui trattasi siano normalmente
venduti negli stessi luoghi, né che i consumatori si aspettino necessariamente di
trovare, nei negozi di scarpe, non soltanto queste ultime, ma anche un vasto
assortimento di borse da donna e viceversa. Essa non ha nemmeno dimostrato
che, solitamente, i consumatori si aspettino che i produttori di scarpe commercino
anche borse contrassegnate dallo stesso marchio, e viceversa.
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In tale contesto, la conclusione della commissione di ricorso secondo cui gli
elementi di differenza tra i prodotti prevalgono sugli elementi di somiglianza deve
essere accolta.
Sentenza del Tribunale 12 giugno 2007, causa T-105/05, Assembled
Investments/UAMI (WATERFORD), punto 34 – il vino non è complementare ai bicchieri da
vino, alle caraffe e ai decanter.
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Occorre infine constatare che sussiste un certo livello di
complementarità tra taluni articoli in vetro, e segnatamente, da un lato, bicchieri
da vino, caraffe e decantatori e, dall’altro, il vino, dato che il primo gruppo di
prodotti è destinato a essere impiegato per bere vino. Nondimeno, considerato il
fatto che il vino può essere bevuto in altri recipienti e che gli articoli in vetro di cui
sopra possono essere impiegati per altri fini, tale complementarità non è tanto
accentuata da consentire di ammettere l’esistenza, nella mente del consumatore,
di una somiglianza tra i prodotti in questione a norma dell’articolo 8, paragrafo 1,
lettera b), del regolamento n. 40/94.
Sentenza del Tribunale 22 marzo 2007, causa T-364/05, Saint-Gobain Pam/UAMI
(PAM PLUVIAL), punto 94 – i tubi e i raccordi per tubi sono complementari ai materiali edili.
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È parimenti corretta la conclusione della decisione impugnata secondo la quale i prodotti
oggetto dei marchi in conflitto sono complementari. A tale proposito, occorre rammentare
che sono complementari quei prodotti tra i quali esiste una stretta correlazione, nel senso
che l’uno è indispensabile o importante per l’uso dell’altro, di modo che i consumatori
possano supporre che la produzione di entrambi i prodotti sia riconducibile ad una stessa
impresa [sentenza del Tribunale 1° marzo 2005, causa T-169/03, Sergio Rossi/UAMI –
Sissi Rossi (SISSI ROSSI) (Racc. pag. II-685, punto 60), confermata a seguito di
impugnazione con sentenza della Corte 18 luglio 2006, causa C-214/05 P, Rossi/UAMI
(Racc. pag. I-7057)]. Nella fattispecie, come ha giustamente osservato l’UAMI, non è
possibile utilizzare, nella costruzione dei sistemi richiamati al punto precedente, i tubi e i
raccordi per tubi oggetto del marchio richiesto senza l’uso dei materiali da costruzione
oggetto del marchio anteriore.
Sentenze del Tribunale 11 luglio 2007, cause T-263/03, T-28/04, T-150/04,
Muelhens/UAMI (Toska, Toska Leather, Toska Blu),:
- riprendono l’impostazione tracciata nella sentenza SISSI ROSSI in merito alla
complementarità estetica.
Sentenza del Tribunale 11 luglio 2007, causa T-443/05, El Corte Inglés/UAMI Bolaños Sabri (PiraÑAM diseño original Juan Bolaños) (ES), (Marchio comunitario – Marchio figurativo "PiraÑAM
diseño original Juan Bolaños" – Opposizione del titolare dei marchi testuali nazionali "PIRANHA" – Rifiuto
dell’opposizione da parte della commissione di ricorso) Legale, Wiszniewska-Białecka, Vadapalas, Moavero
Milanesi, Wahl
Scarpe e borse
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Secondo la regola 2, n. 4, del regolamento (CE) della Commissione 13
dicembre 1995, n. 2868, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94
del Consiglio sul marchio comunitario (GU L 303, pag. 1), la classificazione dei
prodotti e servizi definita nell’Accordo di Nizza serve esclusivamente a fini
amministrativi. I prodotti non possono quindi essere considerati dissimili solo
perché figurano in classi differenti.
(...)
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Si deve sottolineare che la commissione di ricorso ha sostenuto che non vi
fosse alcun rischio di confusione per il pubblico pertinente sul solo fondamento di un
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confronto tra i prodotti in questione. Tuttavia, una somiglianza, anche tenue, tra i
prodotti in causa avrebbe imposto alla commissione di ricorso di verificare se un
eventuale elevato grado di somiglianza tra i segni non fosse idoneo a far sorgere,
nel consumatore, un rischio di confusione in merito all’origine dei prodotti.
(...)
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Quanto all’eventuale complementarietà degli articoli di abbigliamento,
delle scarpe e della cappelleria, rientranti nella classe 25, e i prodotti in “cuoio e
sue imitazioni non compresi in altre classi”, appartenenti alla classe 18, occorre
ricordare che, secondo la giurisprudenza, i prodotti complementari sono quelli tra i quali
esiste un nesso stretto nel senso che l’uno è indispensabile o importante per l’uso
dell’altro, dimodoché i consumatori possono essere indotti a credere che la
responsabilità della fabbricazione di tali prodotti incombe sulla stessa impresa
(sentenza SISSI ROSSI, cit. supra al punto 42, punto 60).
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Orbene, i prodotti quali scarpe, abbigliamento, copricapi o borse a mano
possono soddisfare, al di là della loro funzione principale, una funzione estetica
comune contribuendo, insieme, all’immagine esteriore del consumatore interessato.
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La percezione dei nessi che li accomunano deve essere pertanto
valutata tenendo conto dell’eventuale ricerca di un coordinamento nella
presentazione di questa immagine esteriore, che implica un coordinamento tra le
sue varie componenti in occasione della loro creazione o del loro acquisto. Questo
coordinamento può sussistere in particolare tra gli articoli di abbigliamento, le scarpe e
la cappelleria, compresi nella classe 25, e i diversi accessori del vestiario che li
completano, come le borse a mano, rientranti nella classe 18. Tale eventuale
coordinamento dipende dal consumatore interessato, dal tipo di attività per la quale è
costituita questa immagine esteriore (in particolare, lavoro, sport o tempo libero) o dagli
sforzi di marketing degli attori economici del settore. Inoltre, la circostanza secondo la
quale tali prodotti sono spesso commercializzati nei medesimi punti vendita
specializzati è idonea a facilitare la percezione, da parte del consumatore
interessato, delle strette connessioni tra essi esistenti e ad avvalorare
l’impressione che la responsabilità della loro fabbricazione incomba sulla stessa
impresa.
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Ne consegue che taluni consumatori percepiscono l’esistenza di uno stretto
nesso tra gli articoli di abbigliamento, le scarpe e la cappelleria appartenenti alla
classe 25, e gli accessori del vestiario corrispondenti a certi prodotti in “cuoio e sue
imitazioni non compresi in altre classi”, appartenenti alla classe 18, e possono quindi
essere indotti a ritenere che la responsabilità della fabbricazione incomba sulla stessa
impresa. Pertanto, i prodotti designati dal marchio di cui è chiesta la registrazione,
inclusi nella classe 25, presentano un grado di somiglianza, che non può essere
qualificato come debole, con gli accessori del vestiario inclusi nella classe 18,
relativa ai prodotti in “cuoio e sue imitazioni non compresi in altre classi”.
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La commissione di ricorso ha dunque erroneamente ritenuto che nel caso
di specie non esistesse rischio di confusione senza aver proceduto all’esame
preliminare dell’eventuale somiglianza dei segni.
c) Rapporto tra carattere distintivo e somiglianza dei marchi
Sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon.
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24.
In considerazione di quanto precede, la prima parte della questione pregiudiziale
dev'essere risolta come segue: l'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva dev'essere interpretato
nel senso che il carattere distintivo del marchio anteriore, in particolare la sua
notorietà, va preso in considerazione per valutare se la somiglianza tra i prodotti o
i servizi contraddistinti dai due marchi sia sufficiente per provocare un rischio di
confusione.
Sentenza della Corte 15 marzo 2007, causa C 171/06 P
- T.I.M.E. Art/UAMI
(QUANTUM, Quantième)
d) Elemento dominante
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In ogni caso, si deve scartare l’argomentazione di T.I.M.E. ART secondo
cui, nella fattispecie, il Tribunale ha violato l’articolo 8, paragrafo 1, letta b), del
regolamento n. 40/94 poiché non ha attribuito un valore predominante al fatto che il
marchio nazionale anteriore ha soltanto un carattere scarsamente distintivo.
Infatti, la tesi difesa in proposito da T.I.M.E. ART avrebbe l’effetto di neutralizzare il
fatto desunto dalla somiglianza dei marchi a vantaggio di quello basato sul
carattere distintivo del marchio anteriore al quale sarebbe attribuita un’importanza
eccessiva. Ne risulterebbe che, poiché il marchio nazionale anteriore ha soltanto
un carattere distintivo limitato, esisterebbe un rischio di confusione unicamente
in caso di sua perfetta riproduzione da parte del marchio di cui si richiede la
registrazione, ciò prescindendo dal livello di somiglianza tra i segni in questione (si
veda, sempre in tal senso, l’ordinanza 27 aprile 2006, L’Oréal/UAMI, C-235/05 P, non
pubblicato nella Raccolta, punto 45). Un siffatto risultato, tuttavia, non sarebbe conforme
alla natura stessa della valutazione globale che le autorità competenti sono incaricate di
intraprendere in virtù dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94.
Sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T-6/01, Matratzen Concord/UAMI – Hukla
Germany (MATRATZEN), Racc. pag. II-4335, punti 33 e 35.
3. Coesistenza dei marchi
Sentenza del Tribunale 11 maggio 2005, causa T-31/03, Grupo Sada/UAMI (GRUPO
SADA), Racc. pag. II-1667, punto 86 – marchi identici.
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- Tutela di un marchio in concorrenza con denominazione di
origine controllata (DOC)
Sentenza del Tribunale 12 giugno 2007, cause riunite T-57/04 e T- 71/04, Budějovický
Budvar, národní podnik e Anheuser-Busch/UAMI.
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