IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
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IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE Sergio E. Rossi* IL SISTEMA TRADIZIONALE DI FINANZIAMENTO – IL – LA RIALLOCAZIONE DEI FLUSSI DI RISPARMIO- – LA BORSA VALORI – I MERCATI DI BORSA PER LE PMI – IL SETTORE DEL PRIVATE EQUITY – LE DEBOLEZZE DAL LATO DELLA DOMANDA – IL CIRCOLO VIZIOSO – NOTE CONCLUSIVE – BIBLIOGRAFIA INVESTIMENTO SISTEMA FINANZIARIO DELL’ITALIA SETTENTRIONALE ITALIANA IL SISTEMA TRADIZIONALE DI FINANZIAMENTO Il miracolo economico italiano, concentrato in larga misura nelle regioni dell’Italia del Nord, è stato sostenuto da un contesto macroeconomico, in particolare fiscale e monetario, che seppure con notevoli storture si è rivelato funzionale al modello di sviluppo del nostro paese. Nel corso degli anni Sessanta e Settanta lo sviluppo del sistema imprenditoriale del Nord Italia è stato oggettivamente agevolato dalle politiche economiche adottate in quegli anni, un ibrido non bello, ma efficace di politiche di stampo keynesiano accompagnate da una politica fiscale blanda. Il mix di credito a buon mercato, incentivi pubblici all’industria e bassa fiscalità con ampi margini di elusione ed evasione hanno favorito lo sviluppo tumultuoso di un sistema imprenditoriale diffuso e dinamico. L’abbandono delle politiche keynesiane nel corso degli anni Ottanta, se pure ha imposto una ridefinizione delle condizioni di contesto a causa degli elevati tassi di interesse reali sperimentati in quegli anni, non ha inciso in misura radicale sulla capacità di accumulazione del sistema produttivo. Gli ampi margini di evasione fiscale e gli elevati rendimenti offerti dalle attività finanziarie hanno comunque consentito la creazione di profitti in buona misura reinvestiti nel sistema produttivo locale. ANNI OTTANTA: UN SISTEMA BANK ORIENTED CON FORTI CONNOTAZIONI LOCALISTICHE Nonostante l’effetto di spiazzamento, causato dalla crescita abnorme dei rendimenti e dei volumi dei titoli del debito pubblico, i profitti delle imprese e i risparmi delle famiglie hanno continuato a trovare una collocazione prevalentemente locale, sia attraverso forme di investimento immobiliare, sia attraverso le dinamiche di intermediazione largamente sostenute dal sistema finanziario. Si trattava di un sistema fortemente bank-oriented in cui la stessa fiscalità, e non solo l’organizzazione istituzionale, ha favorito il ricorso al credito bancario penalizzando altre forme e strumenti di reperimento di risorse finanziarie per lo sviluppo. Esso era per di più incentrato su un sistema bancario frammentato, diffuso sul territorio, con rilevanti influenze politiche che se da un lato aveva numerosi elementi di inefficienza allocativa, dall’altro presentava degli indubbi vantaggi per il sistema produttivo. Ha garantito un impiego locale del risparmio e, talvolta, l’adozione di metodologie di valutazione del merito del credito che – seppure non ortodosse – hanno consentito il superamento di situazioni di crisi o il consolidamento e la crescita di alcune iniziative imprenditoriali. Lo sviluppo di questo sistema fortemente bank oriented con forti connotazioni localistiche è risultato in ultima analisi funzionale sia alle dinamiche dei * Cesdi srl, Torino 167 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE grandi gruppi industriali, che in molti casi hanno potuto esercitare una forte pressione sulle scelte di credito di istituti bancari (non sempre con buoni risultati), sia allo sviluppo di un sistema produttivo minore fortemente caratterizzato da una proprietà di tipo familiare. In questo caso il ricorso a forme di finanziamento improprie, come la pratica del multiaffidamento o del rinnovo dei fidi a breve termine ha consentito, infatti, di sostenere lo sviluppo dell’azienda anche distogliendo a vantaggio del patrimonio familiare potenziali risorse utili alla capitalizzazione dell’impresa. Il funzionamento di questo modello di finanziamento dello sviluppo imprenditoriale era fortemente legato alla dimensione nazionale del mercato. Ha potuto, cioè, funzionare in modo efficace fintanto che barriere normative e valutarie hanno impedito, o quantomeno rallentato, sia gli effetti della competizione globale sul sistema delle imprese, sia gli effetti della globalizzazione finanziaria sui flussi di risparmio. Con l’accelerazione dei processi di integrazione valutaria e l’approfondirsi delle dinamiche di globalizzazione dei mercati i punti deboli del sistema hanno cominciato a cedere e il modello è entrato strutturalmente in crisi. LA RIALLOCAZIONE DEI FLUSSI DI RISPARMIOINVESTIMENTO Alla fine degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta l’efficacia delle tradizionali dinamiche di risparmio-investimento è stata messa in crisi dall’approfondirsi del processo di globalizzazione del sistema economico e dalla creazione del mercato domestico europeo. Questi due fattori hanno, infatti, modificato profondamente i comportamenti dei tre attori economici: Stato, famiglie e imprese. LA CRISI DELLE TRADIZIONALI DINAMICHE DI RISPARMIO E INVESTIMENTO La crisi fiscale dello Stato e gli impegni assunti in chiave europea, hanno portato ad una politica fiscale vieppiù restrittiva, con conseguente aumento del livello di tassazione e una forte contrazione delle politiche di sostegno finanziario all’attività imprenditoriale. Questi due fenomeni, particolarmente rilevanti (si veda la scheda sul risparmio), nelle regioni del Nord Italia hanno avuto effetti importanti sul sistema imprenditoriale, poiché hanno limitato in misura consistente il ricorso agli incentivi finanziari ed aumentato in modo sostanziale la pressione fiscale, se pure non ridotto l’area dell’evasione. Nello stesso periodo le famiglie, il cui risparmio è stato eroso dalla stessa politica di rigore fiscale che ha interessato il sistema delle imprese, hanno sostanzialmente modificato la composizione del loro portafogli impieghi. Dal 1990 al 1998 la quota di depositi bancari detenuta dalle famiglie è passata dal 28 al 16% mentre i fondi comuni sono cresciuti dal 2 all’11%. Si è registrata, di fatto, una sottrazione del risparmio dai tradizionali centri di allocazione, le banche, a vantaggio di gestori professionali che investono il denaro raccolto in una dimensione non più locale, ma internazionale. 168 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE Tab. 1 – Impieghi del risparmio delle famiglie italiane (consistenze % sul totale). IMPIEGHI ‘89 ‘90 ‘91 ‘92 ‘93 ‘94 ‘95 ‘96 ‘97 ‘98 Biglietti e Monete 2,7 2,5 2,7 2,8 2,5 2,8 2,7 2,5 2,4 Depositi bancari 28,7 29,3 28,4 27,3 24,9 25,4 24,6 22,7 18,4 Depositi postali 5,1 5,2 5,1 5,0 4,7 5,6 6,0 4,3 4,2 Titoli di Stato 27,4 28,1 27,5 25,7 23,1 24,9 26,0 22,8 17,7 Obbligazioni 3,0 3,2 4,4 4,3 4,8 5,8 5,9 7,3 9,5 Pronti/Termine 3,2 2,6 2,2 3,1 2,5 2,3 Azioni/partecipazioni 21,8 20,5 20,6 20,1 25,5 19,2 17,2 21,8 25,3 Fondi comuni 2,3 2,2 2,2 2,2 3,3 4,1 3,8 5,3 8,9 Attività previdenziali 8,2 8,4 8,6 8,9 8,2 9,4 10,2 10,2 10,5 Altre attività 0,8 0,6 0,4 0,4 0,5 0,5 0,5 0,6 0,8 Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 Attività finanzia166,7 168,1 175,6 182,4 207,6 190,8 188,8 194,9 208,3 rie/PIL (%) 2,2 16,6 3,9 14,9 9,1 1,9 29,3 11,3 9,9 0,8 100 - Fonte: Investimenti finanziari su dati Banca d’Italia. IMPRESE PIÙ PICCOLE IN UN MERCATO PIÙ GRANDE L’effetto combinato globalizzazione/Euro sul sistema delle imprese è stato più complesso ed articolato, interessando in modo strutturale le stesse dinamiche competitive e il modo di fare ed essere impresa in un nuovo mercato. Il processo di globalizzazione dell’economia e l’integrazione monetaria europea hanno determinato “improvvisamente” una diminuzione della dimensione relativa delle imprese italiane. Queste, per poter competere, hanno avviato strategie di crescita e di riorganizzazione produttiva che hanno determinato un effetto duplice sul sistema delle imprese, sia dal lato della domanda, sia dal lato dell’offerta di capitali. Dal lato della domanda, le strategie di riorganizzazione tecnologica, produttiva e dimensionale richieste dal nuovo contesto competitivo necessitano di nuove e più articolate forme di finanziamento, non più limitate al ricorso al credito bancario, nonché di strutture consulenziali in grado di assistere sia le grandi, sia le piccole imprese in progetti di ingegneria finanziaria. Dal lato dell’offerta, i processi di internazionalizzazione richiesti dal nuovo contesto competitivo impongono un allargamento territoriale degli investimenti che non sono limitati né al territorio circostante né all’ambito nazionale. Il recente dato rimarcato dalla Banca d’Italia circa gli “eccessivi” investimenti esteri delle imprese italiane va dunque letto come uno degli effetti della tanto auspicata internazionalizzazione attiva delle imprese italiane. È tuttavia indubbio che un effetto “sostituzione” non possa che avere effetti depressivi sulla dinamica del sistema produttivo dell’Italia settentrionale. È noto, infatti, che molte nuove imprese nascevano e altre si sviluppavano su sollecitazione e partecipazione, diretta ed indiretta, di imprese della filiera. Il quadro che si evince da un’analisi seppur sintetica del nuovo scenario è che il cambiamento nelle scelte di investimento delle famiglie e delle imprese italiane ha allentato il tradizionale controllo bancario degli impieghi, mentre il sistema imprenditoriale manifesta l’esigenza di nuove forme di finanziamento in grado di supportare l’attivazione di nuove e più complesse strategie competitive. Quanto la rottura delle barriere nazionali comporterà il rischio di una fuoriuscita del risparmio dell’Italia settentrionale verso altre occasioni di investimento dipende e dipenderà dalla capacità della piazza finanziaria milanese di offrire opportunità di investimento attrattive sia per il risparmio “nazionale”, 169 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE sia per il risparmio europeo. Dipende e dipenderà anche dalla misura in cui la business community dell’Italia settentrionale sarà realmente in grado di organizzare un mercato nel quale domanda e offerta di finanza si incontrino attraverso nuove forme e strumentazioni operative in grado di soddisfare le esigenze degli investitori e le necessità del sistema imprenditoriale. IL SISTEMA FINANZIARIO DELL’ITALIA SETTENTRIONALE C’È UN POTENZIALE DI CRESCITA MA OCCORRE UNA PIAZZA FINANZIARIA AVANZATA LA DEBOLEZZA STRUTTURALE DELLA PIAZZA FINANZIARIA MILANESE In linea teorica l’Italia settentrionale dispone di alcune delle premesse di base per lo sviluppo di un efficiente ed efficace mercato finanziario: nonostante il calo fatto registrare in questi ultimi anni possiede un’ingente massa di risparmio e vanta uno dei maggiori bacini europei di imprenditorialità. Un’offerta e una domanda che potenzialmente potrebbero favorire, nel corso dei prossimi anni, la nascita e lo sviluppo di un dinamico mercato finanziario rivolto in particolare alle imprese di piccola e media dimensione. Gli spazi di crescita dovrebbero essere garantiti anche dal fatto che, come osservato dallo stesso amministratore delegato di Borsa Spa, “il tessuto industriale non ha ancora scoperto la borsa pur avendo società leader di settore a livello europeo, mentre da uno studio della Consob, risulta che sono almeno 500 le società italiane, di cui la maggior parte del Nord Italia, che hanno i requisiti e le caratteristiche ideali per accedere al listino e per accrescere la quota di capitale di rischio". Per far sì che dalle premesse si possa passare alla realizzazione di un nuovo “circolo virtuoso” è indispensabile l’esistenza di una piazza finanziaria, fatta di mercati, intermediari, strumenti che agiscano da volano allo sviluppo di un nuovo sistema finanziario in grado di supportare lo sviluppo del sistema imprenditoriale. In questo senso per “piazza finanziaria” si intendono, quindi, tutte le funzioni collegate al mercato, non solo l’intermediazione e la negoziazione, ma anche l’accesso ad un ampia gamma di servizi, che vanno dalla corporate finance alle diverse forme di finanziamento e assistenza alle imprese agli strumenti per la raccolta e la gestione del risparmio. Da questo punto di vista, la piazza finanziaria milanese, pur continuando ad essere il “centro finanziario” italiano e a costituire uno dei poli europei, evidenzia preoccupanti segnali di debolezza soprattutto nella prospettiva dei processi di concentrazione in atto sul mercato europeo. Segnali di debolezza già evidenziati da Abraham et al. (1993), secondo cui la piazza di Milano mostra un generale svantaggio competitivo rispetto alle maggiori piazze europee, e, anche se più ridotto, rispetto a piazze minori come Bruxelles, Copenaghen e Madrid. Le manifestazioni più evidenti di questa debolezza sono una borsa valori sottodimensionata, il ritardato sviluppo di un mercato dedicato alle Pmi, la scarsa rilevanza di operatori specializzati nel corporate finance, l’assenza di un mercato informale dei capitali di rischio. In un contesto di mercato unico la piazza finanziaria milanese non sembra raggiungere quelle soglie minime di efficienza, quella dimensione adeguata che consenta al centro finanziario di creare esternalità di rete e economie di agglomerazione, che con l’aumento dei contatti tra gli operatori (face to face contacts) e la maggiore liquidità del mercato siano in grado di innescare un processo “autonomo” di sviluppo, 170 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE aumentando la forza relativa e il vantaggio comparato di un centro finanziario rispetto a un altro. Questa debolezza strutturale interessa anche il mercato del credito, da sempre perno del sistema finanziario italiano. Nonostante i processi di concentrazione effettuati, basti pensare a San Paolo-IMI o Unicredito Italiano, gli istituti bancari presenti nel Nord hanno una dimensione relativa inferiore alla media europea. Lo stesso si può dire per quanto concerne le banche d’affari, le società di gestione del risparmio. Solo il settore delle assicurazioni, grazie soprattutto al Gruppo Generali, può vantare realtà dimensionalmente comparabili con i competitori europei. LA BORSA VALORI ITALIANA POCHE IMPRESE QUOTATE … L’analisi della piazza finanziaria dell’Italia settentrionale non può che partire dalla borsa valori che rappresenta – o dovrebbe rappresentare - il traguardo del circolo virtuoso finanza-impresa, ma che in ogni caso è la cartina di tornasole dei limiti e degli ostacoli che si frappongono allo sviluppo di questo circolo virtuoso. La borsa di Milano presenta, infatti, numerosi elementi di criticità in termini di dimensione e di rappresentatività del tessuto produttivo italiano. Nonostante la crescita delle quotazioni abbia consentito nel corso dell’ultimo triennio di raggiungere una capitalizzazione pari a circa 569 miliardi di dollari, con solo 243 società nazionali quotate la borsa di Milano non è in grado di ottenere quelle necessarie economie di scala e di ampiezza che, oltre alle presenza delle sufficienti infrastrutture tecniche e ad adeguate risorse umane, sono necessarie per competere adeguatamente con le altre piazze finanziarie. Lo scarso numero di imprese quotate si traduce in una scarsa rappresentatività del mercato reale anche perché più del 72% della capitalizzazione totale, pari a circa 569 miliardi di dollari, e circa il 75% degli scambi si concentra sui trenta maggiori titoli, mentre sono quasi del tutto assenti società di medie dimensioni. Fig. 1 – Società nazionali quotate e loro capitalizzazione* sulle principali piazze europee al dicembre 1998 (mercato principale e secondario) 2500 2399 2297 Numero di società nazionali quotate Capitalizzazione 2000 1500 1094 985 1000 784 741 481 500 156 569 402 247 243 0 Londra Parigi Francoforte Bruxelles *In miliardi di dollari Fonte: FIBV. 171 Madrid Milano IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE ... CON UNA SCARSA DINAMICA Se in termini di rapporto capitalizzazione/Pil la borsa di Milano ha registrato nel corso dell’ultimo triennio notevoli progressi, passando dal 20 a oltre il 40%, in termini di numero di imprese lo sviluppo è stato lento. Anche se nel 1998 ci sono stati circa 25 nuovi ingressi, contro i 15 e i 13 rispettivamente del 1997 e del 1996, il saldo netto delle società quotate è rimasto sostanzialmente immutato e anche in termini di capitalizzazione e liquidità complessiva del listino l’apporto delle matricole è stato tutto sommato modesto. In termini di nuove quotazioni il listino azionario è cresciuto appena dell’1,9% annuo dal 1960 al 1998. Il lento sviluppo del numero delle imprese quotate nella borsa milanese è ancora più evidente se confrontato con quello delle principali borse europee. Negli ultimi due anni, mentre le altre piazze europee hanno visto una crescita media delle nuove quotazioni pari a circa il 6%, l’andamento della piazza milanese è stato stabile se non addirittura negativo con un leggero calo di circa l’1%. Un efficace indicatore dello scarso sviluppo della borsa di Milano è dato dalla scarsa capacità di attrazione del listino italiano nei confronti delle imprese estere: a Milano sono quotate solo 4 imprese straniere contro le 178 di Parigi e le 521 di Londra. I MERCATI DI BORSA PER LE PMI Nonostante la rilevante presenza di imprese di piccole e medie dimensioni, nel recente passato i tentativi di sviluppare mercati dedicati alle Pmi sono stati ripetutamente frustrati. Il mancato sviluppo del terzo mercato, l’utilizzo improprio del mercato ristretto, utilizzato prevalentemente per la quotazione di Banche Popolari, il fallimento del Metim hanno, nel tempo, allargato il gap del mercato finanziario milanese rispetto alle altre realtà europee. NUOVE OPPORTUNITÀ FINANZIARIE IN EUROPA PER LE PMI Negli ultimi tre anni, infatti, sono stati istituiti in Europa secondi mercati regolamentati specializzati per la quotazione di imprese innovative di piccolamedia dimensione, non adatte per profilo di rischio ad essere quotate sulle borse principali. Questi mercati sono caratterizzati da requisiti minimi di ingresso molto bassi o assenti e da procedure di ammissione più snelle, quindi particolarmente idonei all’ammissione in borsa di imprese di minori dimensioni e per la dismissione di partecipazioni azionarie tramite iniziali offerte pubbliche di vendita. In Europa hanno raggiunto importanti risultati il mercato paneuropeo Easdaq e la borsa circuito Euro-Nm lanciata dal Nouveau Marchè di Parigi, che comprende il Neue Markt di Francoforte, il Nouveau Marchè belga e il Niewe Markt di Amsterdam. Tab. 3 – I mercati minori europei dedicati alle imprese e ad alto potenziale di crescita. Euro Nm Easdaq (Rete europea) (Bruxelles) Società quotate Capitalizzazione* 150 40 28.400 19.230 * In milioni di dollari Fonte: Euro-Nm e Esdaq 172 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE A questo circuito si è collegato il recente “nuovo mercato” dedicato a piccole e medie imprese ad elevata potenzialità di crescita: presentato agli inizi di maggio, dovrebbe diventare operativo con la quotazione delle prime imprese entro la fine dell’estate. Tuttavia, nonostante le attese della vigilia e l’euforia della novità, anche questo mercato pare essere circondato da un diffuso scetticismo. È come se il ritardo fin qui accumulato nello sviluppo di mercati dedicati alle Pmi, sebbene colmabile, avesse pregiudicato lo sviluppo di una cultura del capitale di rischio per le Pmi. In realtà, le ragioni di tale scetticismo trovano la loro ragion d’essere in una serie di elementi di contesto che nel corso degli ultimi decenni hanno contribuito ad alimentare un sistema di finanziamento sostanzialmente fondato sull’indebitamento. Dal lato della domanda, un contesto fiscale che almeno fino al varo della dual income tax (oggi peraltro ancora insufficiente) penalizzando il ricorso a interventi di finanza strutturale non ha favorito lo sviluppo di una cultura del capitale di rischio. Dal lato dell’offerta gli elevati rendimenti dei titoli di Stato e gli ampi margini di intermediazione nel sistema creditizio hanno ritardato lo sviluppo di nuovi intermediari e strumenti alternativi per il finanziamento del sistema imprenditoriale. IL SETTORE DEL PRIVATE EQUITY UN SETTORE IN RITARDO Anche se il settore del private equity1 ha in questi ultimi anni registrato un’importante accelerazione, oltrepassando nel 1997 per la prima volta la soglia dei 1000 miliardi di investimenti e attestandosi a circa 1800 miliardi nel corso del 19982, l’Italia evidenzia ancora un evidente ritardo rispetto ai maggiori paesi europei sia in termini di volume, sia in termini di modalità delle operazioni di investimento. Le ragioni di questo ritardo sono indubbiamente molteplici. Oltre che dalle già citate condizioni generali di contesto, il ricorso al capitale di rischio e lo sviluppo del settore del private equity è stato limitato dalla mancanza di un efficiente mercato secondario dedicato alle Pmi per lo smobilizzo delle partecipazioni e dal ritardo con cui sono stati introdotti nuovi investitori, quali i fondi pensione che all’estero svolgono un ruolo particolarmente rilevante nella raccolta di capitale di rischio per le operazioni di venture capital. Il problema dello sviluppo del private equity non è tuttavia limitato alla raccolta dei capitali, quanto piuttosto al loro impiego. I principali operatori del settore, merchant bank, società di venture capital, fondi chiusi di sviluppo, società finanziarie regionali non sono riusciti di fatto ad esprimere un’attività di investimento significativa. Basti pensare che i 6 fondi chiusi attualmente operativi hanno investito meno del 30% dei capitali, circa 940 miliardi, raccolti. 1 Per private equity si intendono, in questo contesto, tutte le operazioni di finanza straordinaria, dalla raccolta dei capitali per l’avvio, all’ingresso di soci finanziari, che interessano le diverse fasi di vita dell’impresa, dalla sua nascita alla quotazione di borsa. 2 I nuovi fondi raccolti nel 1997 sono stati 2069 miliardi di lire contro i 1424 del 1996, che rappresenta un aumento del 45% e sono stati investiti circa 1164,4 miliardi di lire in 234 operazioni di investimento, che corrispondono a 209 imprese. Vi è stato un incremento del 17% sull’ammontare totale investito e un aumento del 18% del numero delle operazioni effettuate rispetto all’anno precedente (998,5 miliardi investiti e 198 operazioni nel 1996, AIFI YearBook 1998). 173 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE SCARSI INVESTIMENTI NELLO START UP DI NUOVE IMPRESE… … E NELL’HIGH TECH L’altro dato rilevante è che questi intermediari specializzati perseguono strategie di investimento incentrate prevalentemente su un target di imprese medio-grandi e in operazioni che privilegiano le fasi successive del ciclo di sviluppo dell’impresa. Si assiste pertanto a una situazione paradossale per cui le offerte degli investitori si addensano su un numero ristretto di imprese, mentre la gran parte di imprese medio piccole, sotto i 30 miliardi di fatturato, non vengono partecipate. Tali considerazioni, che vengono spesso fatte dagli stessi operatori del settore e riportate dalla stampa specializzata, sembrano in parte contraddette dai dati raccolti dall’Aifi in base ai quali risulta che nel corso del 1997 ben il 12% dell’ammontare degli investimenti è stato effettuato in operazioni di start-up e oltre il 31% è andato a finanziare imprese con meno di 19 addetti. Tali dati includono, in realtà, l’attività di alcuni soggetti pubblici che hanno operato prevalentemente al Sud, quali la IG (Imprenditoria Giovanile) che, da sola, nel corso dei dodici anni di attività, ha partecipato a oltre 930 neoimprese (di cui solo 8 al Nord Italia) per un importo di oltre 2.000 miliardi di lire. Se si escludono, quindi, gli investimenti effettuati dall’operatore pubblico si può ragionevolmente affermare che gli operatori oggi presenti sul mercato italiano non partecipano a imprese di piccola dimensione e, per loro stessa ammissione, non finanziano le attività di imprese nascenti. Un altro elemento negativo è dato dal fatto che, nonostante un’inversione di tendenza registrata nel corso del 1998, gli investimenti tramite capitale di rischio si sono rivolti prevalentemente a imprese di settori industriali tradizionali con il 94% dell’intero ammontare investito, mentre i settori ad alta tecnologia rappresentano solo una minima parte con il 6% del totale. Anche se questo dato è in parte spiegabile con il fatto che questa suddivisione corrisponde in gran parte alle stesse caratteristiche del tessuto produttivo italiano, sarebbe tuttavia opportuno chiedersi quanto il mancato sviluppo del mercato del venture capital non sia una delle cause che penalizzano la nascita nel nostro Paese di imprese high tech. Il reperimento di risorse finanziarie per nuove iniziative imprenditoriali nei settori high tech è un problema ovviamente non limitato all’area del Nord Italia. In altre regioni d’Europa si è cercato di rispondere a questa necessità attraverso la creazione e l’organizzazione di mercati informali del capitale di rischio che consentano l’incontro fra potenziali investitori privati (business angels) e neo imprenditori. Tali mercati, tipicamente locali poiché normalmente l’investitore opera su imprese prossime di cui può seguire attivamente l’evoluzione, dopo aver registrato un indubbio successo nel Regno Unito sono stati adottati anche nella vicina Francia dove recentemente è stato creato il Professional Network SA che raggruppa le 12 diverse iniziative regionali/locali dedicate alle nuove iniziative imprenditoriali. Nel Nord Italia, così come d’altra parte nel resto del Paese, non esistono di fatto iniziative analoghe. Alcuni progetti sono stati avviati, ad esempio il Club delle tecnologie promosso dalle Camere di Commercio di Milano e Torino, ma sono a livello sperimentale e non sufficientemente sostenute né dalle istituzioni né dagli operatori di mercato. 174 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE LE DEBOLEZZE DAL LATO DELLA DOMANDA Nelle analisi relative ai problemi del finanziamento delle Pmi si sottolineano, a ragione, oltre alle condizioni di contesto soprattutto fiscali e normative, le carenze dell’offerta. Nel caso in questione, riteniamo tuttavia opportuno analizzare anche alcune caratteristiche della domanda di capitali. Le ragioni del mancato sviluppo di un moderno mercato finanziario per le Pmi del Nord Italia vanno infatti ricercate, a nostro avviso, anche in alcune caratteristiche tipiche del sistema imprenditoriale locale e precisamente nella dimensione delle imprese, nella loro scarsa contendibilità e nella specializzazione produttiva. PMI TROPPO PICCOLE … ... E TROPPO FAMILIARI ... SPECIALIZZATE IN SETTORI POCO ATTRAENTI PER GLI INVESTITORI PROFESSIONALI La dicitura Pmi utilizzata per definire e spesso celebrare l’universo della imprenditoria italiana nasconde una realtà ampiamente riconosciuta, ma spesso trascurata: la dimensione prevalente delle nostre imprese è “piccola” e non “media”, nettamente inferiore a quella dei nostri partner europei. Una dimensione inferiore alle soglie minime di efficienza sia dal lato dell’offerta sia da quello della domanda. Questa dimensione è inadeguata sia per gli investitori e gli intermediari specializzati i quali non riescono a “spalmare” i costi fissi di istruttoria su operazioni di entità limitata e per lo sviluppo, sia per l’impresa che deve affrontare costi di ricerca e di “presentazione”, business plan, due diligence, certificazione di bilancio, spesso superiori ai benefici attesi. La dimensione ridotta si ricollega per molti versi alla proprietà prevalentemente familiare del nostro tessuto produttivo. Un assetto proprietario che peraltro interessa anche i maggiori gruppi industriali italiani e che limita fortemente sia la capacità di crescita dell’impresa sia la sua contendibilità sul mercato. È indubbio che questo modello, che pure ha avuto un forte ruolo di sviluppo del sistema imprenditoriale dell’Italia del Nord per tutto il dopoguerra grazie al trasferimento di risorse sia finanziarie sia lavorative dalla famiglia all’impresa, possa oggi costituire un limite al suo consolidamento. Troppo spesso, infatti, l’impresa segue i destini della famiglia e si estingue con essa, incapace di trovare nuove risorse e nuovo slancio da imprenditori e manager subentrati alla famiglia originaria. Insieme alla dimensione ridotta e alla scarsa contendibilità, l’ulteriore vincolo della domanda è dato dalle specializzazioni produttive del tessuto imprenditoriale dell’Italia settentrionale. Gran parte delle imprese operano, infatti, in settori tradizionali del “made in Italy”, della meccanica e della subfornitura (si veda a questo proposito la scheda sulle specializzazioni manifatturiere). Questa specializzazione tradizionale non attrae investimenti degli operatori professionali. Gli investitori e gli intermediari specializzati prediligono, infatti, settori high-tech, quali biotecnologie, information technology, telecomunicazioni, che pur avendo un più elevato rischio di fallimento presentano prospettive di redditività superiori alla media. Queste caratteristiche della domanda finiscono, in ultima analisi, col rendere poco appetibile per gli investitori/intermediari specializzati gli investimenti nelle Pmi del Nord Italia. Il dato più evidente del fallimento o quantomeno delle difficoltà di questo settore è testimoniato, oltre che dal ritardo nello sviluppo del mercato del private equity, anche dall’incapacità del nostro sistema imprenditoriale di attirare “capitali di ventura” stranieri, in particolare statu- 175 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE nitensi e britannici, che preferiscono insediarsi ed operare in altre aree europee, in particolare Germania, Olanda e Francia. IL CIRCOLO VIZIOSO Al di là dell’evidenza ci si deve chiedere se il fenomeno non sia da leggere come biunivoco. Se cioè è vero che la mancanza di un adeguato tessuto imprenditoriale penalizza lo sviluppo di nuovi strumenti/intermediari dedicati al finanziamento delle Pmi, non può essere altrettanto vero che la mancanza di un adeguato sistema finanziario costituisce un ostacolo alla nascita di nuove imprese innovative e alla crescita dimensionale del tessuto produttivo del Nord Italia? Attraverso questa chiave di lettura si possono, a nostro avviso, leggere e interpretare alcuni dei nodi critici del sistema imprenditoriale delle regioni settentrionali: la scarsa natalità di imprese nei settori ad alta tecnologia, la mancanza di una diffusa innovazione di prodotto, la mancata crescita dimensionale, la scarsità di imprese da portare alla quotazione. IL FINANZIAMENTO DELL’AVVIO DI NUOVE IMPRESE: ASPETTI CRITICI: 1) L’IMMATERIALITÀ DEI PROCESSI INNOVATIVI 2) LE DIMENSIONI MINIME L’area padana continua ad essere fucina di nuova imprenditorialità. Tuttavia, in alcune aree, quali Piemonte e Liguria, la natalità imprenditoriale è relativamente bassa, mentre più in generale le nuove imprese si caratterizzano per un basso contenuto innovativo e spesso sono riconducibili a strategie di outsourcing, o a iniziative di autoimpiego piuttosto che a vere e proprie iniziative imprenditoriali (si veda a questo proposito la scheda sulle neoimprenditorialità). La ragione di ciò è certamente riconducibile ad una serie complessa di fattori di contesto, fra cui lo scarso funzionamento di un sistema di istruzione universitaria che non riesce a produrre – al contrario di quanto accade in altri paesi – spin-off imprenditoriali. Tuttavia è indubbio che il mancato sviluppo di un mercato dedicato al finanziamento degli start-up giochi un ruolo fondamentale. La sempre maggiore complessità e l’immaterialità dei processi di innovazione tecnologica richiedono risorse finanziarie non più legate alla prestazione di garanzie collaterali al finanziamento. Ciò vale soprattutto per le innovazioni di prodotto o le innovazioni connesse a settori high-tech. Anche in questo ambito il mercato non ha saputo valorizzare nuovi strumenti, intermediari e/o procedure di finanziamento. La crescita delle unità produttive al fine di raggiungere soglie minime di efficienza è stata spesso frustrata dalla mancanza di strumenti di finanziamento idonei, oltre che da una serie di vincoli ed incentivi che premiavano e, almeno in parte premiano ancora, la piccola dimensione. L’assenza di partner finanziari credibili per processi di crescita rapida fa sì che le imprese intraprendano percorsi di crescita interna o attraverso fusioni e/o acquisizioni prevalentemente mediante il ricorso a risorse proprie o all’utilizzo di strumenti tradizionali. In alcuni casi la consapevolezza di non riuscire a raggiungere soglie dimensionali competitive fa si che l’impresa venga ceduta al competitore di riferimento. 176 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE 3) IL PROBLEMA DEI MERCATI FINANZIARI PER LE PMI La quotazione in borsa, dedicata o non, dovrebbe costituire la fase conclusiva di un processo di accompagnamento dell’imprenditore da parte di consulenti/partner finanziari che nelle diverse fasi di vita sostengono attivamente lo sviluppo dell’impresa. Nelle diverse esperienze estere sono, infatti, i partner finanziari a sostenere la quotazione dell’impresa come way-out al loro investimento. Anche in questo caso, dunque il rapporto è ambivalente: la mancata realizzazione di un mercato secondario dedicato alle Pmi costituisce un vincolo alla pubblicizzazione delle imprese perché frena gli investitori a cui viene meno il principale canale di disinvestimento, dall’altra lo scarso spessore di un mercato “informale” dei capitali fa sì che la “fonte” che dovrebbe alimentare questo mercato sia, in realtà, abbastanza arida. NOTE CONCLUSIVE Un rapido excursus sul passato e le prospettive delle dinamiche di finanziamento del sistema imprenditoriale del Nord Italia non può che essere, per sua natura, presuntuoso nelle intenzioni e carente nella struttura. Tuttavia, il dato che sembra condiviso da molti osservatori è che il sistema finanziario del Nord Italia si trova ad un punto cruciale di svolta. I RISCHI DI EMARGINAZIONE FINANZIARIA DEL NORD ITALIA LE OPPORTUNITÀ COMPETITIVE E DI SPECIALIZZAZIONE PER LA PIAZZA MILANESE Il processo di integrazione monetaria, con il venir meno di alcuni vantaggi comparati iniziali, quali la centralità geografica, la moneta utilizzata, le barriere normative e tecniche, pone infatti in maggior evidenza la contendibilità del mercato finanziario europeo, aumentando la competizione tra i diversi centri finanziari. Per la piazza finanziaria di Milano esiste quindi il rischio di venire emarginata dalla concorrenza di quelle maggiori, tramite un processo di centralizzazione di gran parte del mercato finanziario verso le principali piazze europee. In questo contesto Milano e più in generale il Nord Italia rischiano di venire subordinati al processo di concentrazione dei maggiori centri finanziari europei. Se ciò dovesse accadere il danno per il nostro sistema imprenditoriale potrebbe essere rilevante. Soprattutto per le nuove e le piccole e medie imprese che hanno maggiori difficoltà ad accedere e utilizzare strumenti finanziari innovativi attivati in altri paesi. D’altra parte le capacità competitive della piazza finanziaria milanese e quindi la sua “sopravvivenza” quale nodo cruciale del network finanziario europeo dipendono paradossalmente a nostro avviso proprio dalla capacità del mercato dell’Italia del Nord di progettare e sviluppare mercati, strumenti e servizi per la piccola e media impresa. Per i centri periferici, come Milano, per poter competere e integrarsi con i centri maggiori è infatti indispensabile valorizzare i vantaggi competitivi rispetto alle piazze centrali. E il più evidente vantaggio della piazza finanziaria milanese sta proprio nella ricchezza imprenditoriale dell’Italia settentrionale, nella migliore conoscenza del mercato locale, nella maggiore accessibilità e velocità di elaborazione delle informazioni. L’importanza dei contatti diretti con gli imprenditori e tra gli operatori è, infatti, fondamentale sia per la creazione di nuovi “prodotti”, sia per la rapida e corretta interpretazione delle informazioni. Mentre, quindi, il futuro mercato europeo delle blue chip o dei derivati sarà sicuramente globale, omogeneo e delocalizzato, per la gestione della corporate finance, che richiede alta professionalità e molti contatti, è probabile che si creino poche e specializzate localizzazioni. 177 IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE Che la piazza finanziaria di Milano voglia e sia in grado di sfruttare queste opportunità è un augurio. Le strategie da avviare sono molteplici e comunque non facilmente percorribili poiché hanno bisogno della risposta di tutti gli operatori e interessano problematiche più generali di riorganizzazione del sistema finanziario nazionale. Il rischio dell’immobilità appare, d’altra parte, troppo elevato per non cercare di trovare, rapidamente, soluzioni. 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