IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE

Transcript

IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA
IMPRENDITORIALE
Sergio E. Rossi*
IL
SISTEMA TRADIZIONALE DI FINANZIAMENTO
– IL
– LA
RIALLOCAZIONE DEI FLUSSI DI RISPARMIO-
– LA BORSA VALORI
– I MERCATI DI BORSA PER LE PMI – IL SETTORE DEL PRIVATE EQUITY – LE DEBOLEZZE
DAL LATO DELLA DOMANDA – IL CIRCOLO VIZIOSO – NOTE CONCLUSIVE – BIBLIOGRAFIA
INVESTIMENTO
SISTEMA FINANZIARIO DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
ITALIANA
IL SISTEMA TRADIZIONALE DI FINANZIAMENTO
Il miracolo economico italiano, concentrato in larga misura nelle regioni
dell’Italia del Nord, è stato sostenuto da un contesto macroeconomico, in particolare fiscale e monetario, che seppure con notevoli storture si è rivelato
funzionale al modello di sviluppo del nostro paese. Nel corso degli anni Sessanta e Settanta lo sviluppo del sistema imprenditoriale del Nord Italia è stato
oggettivamente agevolato dalle politiche economiche adottate in quegli anni,
un ibrido non bello, ma efficace di politiche di stampo keynesiano accompagnate da una politica fiscale blanda. Il mix di credito a buon mercato, incentivi pubblici all’industria e bassa fiscalità con ampi margini di elusione ed evasione hanno favorito lo sviluppo tumultuoso di un sistema imprenditoriale
diffuso e dinamico.
L’abbandono delle politiche keynesiane nel corso degli anni Ottanta, se pure
ha imposto una ridefinizione delle condizioni di contesto a causa degli elevati
tassi di interesse reali sperimentati in quegli anni, non ha inciso in misura radicale sulla capacità di accumulazione del sistema produttivo. Gli ampi margini di evasione fiscale e gli elevati rendimenti offerti dalle attività finanziarie
hanno comunque consentito la creazione di profitti in buona misura reinvestiti nel sistema produttivo locale.
ANNI OTTANTA: UN
SISTEMA BANK
ORIENTED CON FORTI
CONNOTAZIONI
LOCALISTICHE
Nonostante l’effetto di spiazzamento, causato dalla crescita abnorme dei rendimenti e dei volumi dei titoli del debito pubblico, i profitti delle imprese e i
risparmi delle famiglie hanno continuato a trovare una collocazione prevalentemente locale, sia attraverso forme di investimento immobiliare, sia attraverso le dinamiche di intermediazione largamente sostenute dal sistema finanziario. Si trattava di un sistema fortemente bank-oriented in cui la stessa
fiscalità, e non solo l’organizzazione istituzionale, ha favorito il ricorso al
credito bancario penalizzando altre forme e strumenti di reperimento di risorse finanziarie per lo sviluppo. Esso era per di più incentrato su un sistema
bancario frammentato, diffuso sul territorio, con rilevanti influenze politiche
che se da un lato aveva numerosi elementi di inefficienza allocativa,
dall’altro presentava degli indubbi vantaggi per il sistema produttivo. Ha garantito un impiego locale del risparmio e, talvolta, l’adozione di metodologie
di valutazione del merito del credito che – seppure non ortodosse – hanno
consentito il superamento di situazioni di crisi o il consolidamento e la crescita di alcune iniziative imprenditoriali.
Lo sviluppo di questo sistema fortemente bank oriented con forti connotazioni localistiche è risultato in ultima analisi funzionale sia alle dinamiche dei
*
Cesdi srl, Torino
167
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
grandi gruppi industriali, che in molti casi hanno potuto esercitare una forte
pressione sulle scelte di credito di istituti bancari (non sempre con buoni risultati), sia allo sviluppo di un sistema produttivo minore fortemente caratterizzato da una proprietà di tipo familiare. In questo caso il ricorso a forme di
finanziamento improprie, come la pratica del multiaffidamento o del rinnovo
dei fidi a breve termine ha consentito, infatti, di sostenere lo sviluppo
dell’azienda anche distogliendo a vantaggio del patrimonio familiare potenziali risorse utili alla capitalizzazione dell’impresa.
Il funzionamento di questo modello di finanziamento dello sviluppo imprenditoriale era fortemente legato alla dimensione nazionale del mercato. Ha potuto, cioè, funzionare in modo efficace fintanto che barriere normative e valutarie hanno impedito, o quantomeno rallentato, sia gli effetti della
competizione globale sul sistema delle imprese, sia gli effetti della globalizzazione finanziaria sui flussi di risparmio. Con l’accelerazione dei processi di
integrazione valutaria e l’approfondirsi delle dinamiche di globalizzazione
dei mercati i punti deboli del sistema hanno cominciato a cedere e il modello
è entrato strutturalmente in crisi.
LA RIALLOCAZIONE DEI FLUSSI DI RISPARMIOINVESTIMENTO
Alla fine degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta l’efficacia delle
tradizionali dinamiche di risparmio-investimento è stata messa in crisi
dall’approfondirsi del processo di globalizzazione del sistema economico e
dalla creazione del mercato domestico europeo. Questi due fattori hanno, infatti, modificato profondamente i comportamenti dei tre attori economici:
Stato, famiglie e imprese.
LA CRISI DELLE
TRADIZIONALI
DINAMICHE DI
RISPARMIO E
INVESTIMENTO
La crisi fiscale dello Stato e gli impegni assunti in chiave europea, hanno portato ad una politica fiscale vieppiù restrittiva, con conseguente aumento del
livello di tassazione e una forte contrazione delle politiche di sostegno finanziario all’attività imprenditoriale. Questi due fenomeni, particolarmente rilevanti (si veda la scheda sul risparmio), nelle regioni del Nord Italia hanno avuto effetti importanti sul sistema imprenditoriale, poiché hanno limitato in
misura consistente il ricorso agli incentivi finanziari ed aumentato in modo
sostanziale la pressione fiscale, se pure non ridotto l’area dell’evasione.
Nello stesso periodo le famiglie, il cui risparmio è stato eroso dalla stessa politica di rigore fiscale che ha interessato il sistema delle imprese, hanno sostanzialmente modificato la composizione del loro portafogli impieghi. Dal
1990 al 1998 la quota di depositi bancari detenuta dalle famiglie è passata dal
28 al 16% mentre i fondi comuni sono cresciuti dal 2 all’11%. Si è registrata,
di fatto, una sottrazione del risparmio dai tradizionali centri di allocazione, le
banche, a vantaggio di gestori professionali che investono il denaro raccolto
in una dimensione non più locale, ma internazionale.
168
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
Tab. 1 – Impieghi del risparmio delle famiglie italiane (consistenze % sul totale).
IMPIEGHI
‘89
‘90
‘91
‘92
‘93
‘94
‘95
‘96
‘97
‘98
Biglietti e Monete
2,7
2,5
2,7
2,8
2,5
2,8
2,7
2,5
2,4
Depositi bancari
28,7 29,3 28,4 27,3 24,9 25,4 24,6 22,7 18,4
Depositi postali
5,1
5,2
5,1
5,0
4,7
5,6
6,0
4,3
4,2
Titoli di Stato
27,4 28,1 27,5 25,7 23,1 24,9 26,0 22,8 17,7
Obbligazioni
3,0
3,2
4,4
4,3
4,8
5,8
5,9
7,3
9,5
Pronti/Termine
3,2
2,6
2,2
3,1
2,5
2,3
Azioni/partecipazioni 21,8 20,5 20,6 20,1 25,5 19,2 17,2 21,8 25,3
Fondi comuni
2,3
2,2
2,2
2,2
3,3
4,1
3,8
5,3
8,9
Attività previdenziali
8,2
8,4
8,6
8,9
8,2
9,4 10,2 10,2 10,5
Altre attività
0,8
0,6
0,4
0,4
0,5
0,5
0,5
0,6
0,8
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
100
Attività finanzia166,7 168,1 175,6 182,4 207,6 190,8 188,8 194,9 208,3
rie/PIL (%)
2,2
16,6
3,9
14,9
9,1
1,9
29,3
11,3
9,9
0,8
100
-
Fonte: Investimenti finanziari su dati Banca d’Italia.
IMPRESE PIÙ PICCOLE
IN UN MERCATO PIÙ
GRANDE
L’effetto combinato globalizzazione/Euro sul sistema delle imprese è stato
più complesso ed articolato, interessando in modo strutturale le stesse dinamiche competitive e il modo di fare ed essere impresa in un nuovo mercato. Il
processo di globalizzazione dell’economia e l’integrazione monetaria europea
hanno determinato “improvvisamente” una diminuzione della dimensione relativa delle imprese italiane. Queste, per poter competere, hanno avviato strategie di crescita e di riorganizzazione produttiva che hanno determinato un
effetto duplice sul sistema delle imprese, sia dal lato della domanda, sia dal
lato dell’offerta di capitali.
Dal lato della domanda, le strategie di riorganizzazione tecnologica, produttiva e dimensionale richieste dal nuovo contesto competitivo necessitano di
nuove e più articolate forme di finanziamento, non più limitate al ricorso al
credito bancario, nonché di strutture consulenziali in grado di assistere sia le
grandi, sia le piccole imprese in progetti di ingegneria finanziaria.
Dal lato dell’offerta, i processi di internazionalizzazione richiesti dal nuovo
contesto competitivo impongono un allargamento territoriale degli investimenti che non sono limitati né al territorio circostante né all’ambito nazionale. Il recente dato rimarcato dalla Banca d’Italia circa gli “eccessivi” investimenti esteri delle imprese italiane va dunque letto come uno degli effetti della
tanto auspicata internazionalizzazione attiva delle imprese italiane. È tuttavia
indubbio che un effetto “sostituzione” non possa che avere effetti depressivi
sulla dinamica del sistema produttivo dell’Italia settentrionale. È noto, infatti,
che molte nuove imprese nascevano e altre si sviluppavano su sollecitazione
e partecipazione, diretta ed indiretta, di imprese della filiera.
Il quadro che si evince da un’analisi seppur sintetica del nuovo scenario è che
il cambiamento nelle scelte di investimento delle famiglie e delle imprese italiane ha allentato il tradizionale controllo bancario degli impieghi, mentre il
sistema imprenditoriale manifesta l’esigenza di nuove forme di finanziamento
in grado di supportare l’attivazione di nuove e più complesse strategie competitive.
Quanto la rottura delle barriere nazionali comporterà il rischio di una fuoriuscita del risparmio dell’Italia settentrionale verso altre occasioni di investimento dipende e dipenderà dalla capacità della piazza finanziaria milanese di
offrire opportunità di investimento attrattive sia per il risparmio “nazionale”,
169
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
sia per il risparmio europeo. Dipende e dipenderà anche dalla misura in cui la
business community dell’Italia settentrionale sarà realmente in grado di organizzare un mercato nel quale domanda e offerta di finanza si incontrino attraverso nuove forme e strumentazioni operative in grado di soddisfare le esigenze degli investitori e le necessità del sistema imprenditoriale.
IL SISTEMA FINANZIARIO DELL’ITALIA
SETTENTRIONALE
C’È UN POTENZIALE
DI CRESCITA
MA OCCORRE UNA
PIAZZA FINANZIARIA
AVANZATA
LA DEBOLEZZA
STRUTTURALE DELLA
PIAZZA FINANZIARIA
MILANESE
In linea teorica l’Italia settentrionale dispone di alcune delle premesse di base
per lo sviluppo di un efficiente ed efficace mercato finanziario: nonostante il
calo fatto registrare in questi ultimi anni possiede un’ingente massa di risparmio e vanta uno dei maggiori bacini europei di imprenditorialità.
Un’offerta e una domanda che potenzialmente potrebbero favorire, nel corso
dei prossimi anni, la nascita e lo sviluppo di un dinamico mercato finanziario
rivolto in particolare alle imprese di piccola e media dimensione. Gli spazi di
crescita dovrebbero essere garantiti anche dal fatto che, come osservato dallo
stesso amministratore delegato di Borsa Spa, “il tessuto industriale non ha
ancora scoperto la borsa pur avendo società leader di settore a livello europeo, mentre da uno studio della Consob, risulta che sono almeno 500 le società
italiane, di cui la maggior parte del Nord Italia, che hanno i requisiti e le caratteristiche ideali per accedere al listino e per accrescere la quota di capitale
di rischio".
Per far sì che dalle premesse si possa passare alla realizzazione di un nuovo
“circolo virtuoso” è indispensabile l’esistenza di una piazza finanziaria, fatta
di mercati, intermediari, strumenti che agiscano da volano allo sviluppo di un
nuovo sistema finanziario in grado di supportare lo sviluppo del sistema imprenditoriale. In questo senso per “piazza finanziaria” si intendono, quindi,
tutte le funzioni collegate al mercato, non solo l’intermediazione e la negoziazione, ma anche l’accesso ad un ampia gamma di servizi, che vanno dalla
corporate finance alle diverse forme di finanziamento e assistenza alle imprese agli strumenti per la raccolta e la gestione del risparmio. Da questo punto
di vista, la piazza finanziaria milanese, pur continuando ad essere il “centro
finanziario” italiano e a costituire uno dei poli europei, evidenzia preoccupanti segnali di debolezza soprattutto nella prospettiva dei processi di concentrazione in atto sul mercato europeo. Segnali di debolezza già evidenziati
da Abraham et al. (1993), secondo cui la piazza di Milano mostra un generale
svantaggio competitivo rispetto alle maggiori piazze europee, e, anche se più
ridotto, rispetto a piazze minori come Bruxelles, Copenaghen e Madrid.
Le manifestazioni più evidenti di questa debolezza sono una borsa valori sottodimensionata, il ritardato sviluppo di un mercato dedicato alle Pmi, la scarsa rilevanza di operatori specializzati nel corporate finance, l’assenza di un
mercato informale dei capitali di rischio. In un contesto di mercato unico la
piazza finanziaria milanese non sembra raggiungere quelle soglie minime di
efficienza, quella dimensione adeguata che consenta al centro finanziario di
creare esternalità di rete e economie di agglomerazione, che con l’aumento
dei contatti tra gli operatori (face to face contacts) e la maggiore liquidità del
mercato siano in grado di innescare un processo “autonomo” di sviluppo,
170
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
aumentando la forza relativa e il vantaggio comparato di un centro finanziario
rispetto a un altro.
Questa debolezza strutturale interessa anche il mercato del credito, da sempre
perno del sistema finanziario italiano. Nonostante i processi di concentrazione effettuati, basti pensare a San Paolo-IMI o Unicredito Italiano, gli istituti
bancari presenti nel Nord hanno una dimensione relativa inferiore alla media
europea. Lo stesso si può dire per quanto concerne le banche d’affari, le società di gestione del risparmio. Solo il settore delle assicurazioni, grazie soprattutto al Gruppo Generali, può vantare realtà dimensionalmente comparabili con i competitori europei.
LA BORSA VALORI ITALIANA
POCHE IMPRESE
QUOTATE …
L’analisi della piazza finanziaria dell’Italia settentrionale non può che partire
dalla borsa valori che rappresenta – o dovrebbe rappresentare - il traguardo
del circolo virtuoso finanza-impresa, ma che in ogni caso è la cartina di tornasole dei limiti e degli ostacoli che si frappongono allo sviluppo di questo
circolo virtuoso.
La borsa di Milano presenta, infatti, numerosi elementi di criticità in termini
di dimensione e di rappresentatività del tessuto produttivo italiano. Nonostante la crescita delle quotazioni abbia consentito nel corso dell’ultimo triennio
di raggiungere una capitalizzazione pari a circa 569 miliardi di dollari, con
solo 243 società nazionali quotate la borsa di Milano non è in grado di ottenere quelle necessarie economie di scala e di ampiezza che, oltre alle presenza
delle sufficienti infrastrutture tecniche e ad adeguate risorse umane, sono necessarie per competere adeguatamente con le altre piazze finanziarie.
Lo scarso numero di imprese quotate si traduce in una scarsa rappresentatività del mercato reale anche perché più del 72% della capitalizzazione totale,
pari a circa 569 miliardi di dollari, e circa il 75% degli scambi si concentra
sui trenta maggiori titoli, mentre sono quasi del tutto assenti società di medie
dimensioni.
Fig. 1 – Società nazionali quotate e loro capitalizzazione* sulle principali piazze europee
al dicembre 1998 (mercato principale e secondario)
2500
2399
2297
Numero di società nazionali quotate
Capitalizzazione
2000
1500
1094
985
1000
784
741
481
500
156
569
402
247
243
0
Londra
Parigi
Francoforte
Bruxelles
*In miliardi di dollari
Fonte: FIBV.
171
Madrid
Milano
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
... CON UNA SCARSA
DINAMICA
Se in termini di rapporto capitalizzazione/Pil la borsa di Milano ha registrato
nel corso dell’ultimo triennio notevoli progressi, passando dal 20 a oltre il
40%, in termini di numero di imprese lo sviluppo è stato lento. Anche se nel
1998 ci sono stati circa 25 nuovi ingressi, contro i 15 e i 13 rispettivamente
del 1997 e del 1996, il saldo netto delle società quotate è rimasto sostanzialmente immutato e anche in termini di capitalizzazione e liquidità complessiva
del listino l’apporto delle matricole è stato tutto sommato modesto. In termini
di nuove quotazioni il listino azionario è cresciuto appena dell’1,9% annuo
dal 1960 al 1998. Il lento sviluppo del numero delle imprese quotate nella
borsa milanese è ancora più evidente se confrontato con quello delle principali borse europee. Negli ultimi due anni, mentre le altre piazze europee hanno
visto una crescita media delle nuove quotazioni pari a circa il 6%,
l’andamento della piazza milanese è stato stabile se non addirittura negativo
con un leggero calo di circa l’1%.
Un efficace indicatore dello scarso sviluppo della borsa di Milano è dato dalla scarsa capacità di attrazione del listino italiano nei confronti delle imprese
estere: a Milano sono quotate solo 4 imprese straniere contro le 178 di Parigi
e le 521 di Londra.
I MERCATI DI BORSA PER LE PMI
Nonostante la rilevante presenza di imprese di piccole e medie dimensioni,
nel recente passato i tentativi di sviluppare mercati dedicati alle Pmi sono stati ripetutamente frustrati. Il mancato sviluppo del terzo mercato, l’utilizzo
improprio del mercato ristretto, utilizzato prevalentemente per la quotazione
di Banche Popolari, il fallimento del Metim hanno, nel tempo, allargato il gap
del mercato finanziario milanese rispetto alle altre realtà europee.
NUOVE OPPORTUNITÀ
FINANZIARIE IN
EUROPA PER LE PMI
Negli ultimi tre anni, infatti, sono stati istituiti in Europa secondi mercati regolamentati specializzati per la quotazione di imprese innovative di piccolamedia dimensione, non adatte per profilo di rischio ad essere quotate sulle
borse principali. Questi mercati sono caratterizzati da requisiti minimi di ingresso molto bassi o assenti e da procedure di ammissione più snelle, quindi
particolarmente idonei all’ammissione in borsa di imprese di minori dimensioni e per la dismissione di partecipazioni azionarie tramite iniziali offerte
pubbliche di vendita. In Europa hanno raggiunto importanti risultati il mercato paneuropeo Easdaq e la borsa circuito Euro-Nm lanciata dal Nouveau
Marchè di Parigi, che comprende il Neue Markt di Francoforte, il Nouveau
Marchè belga e il Niewe Markt di Amsterdam.
Tab. 3 – I mercati minori europei dedicati alle imprese e ad alto potenziale di crescita.
Euro Nm
Easdaq
(Rete europea)
(Bruxelles)
Società quotate
Capitalizzazione*
150
40
28.400
19.230
* In milioni di dollari
Fonte: Euro-Nm e Esdaq
172
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
A questo circuito si è collegato il recente “nuovo mercato” dedicato a piccole
e medie imprese ad elevata potenzialità di crescita: presentato agli inizi di
maggio, dovrebbe diventare operativo con la quotazione delle prime imprese
entro la fine dell’estate. Tuttavia, nonostante le attese della vigilia e l’euforia
della novità, anche questo mercato pare essere circondato da un diffuso scetticismo. È come se il ritardo fin qui accumulato nello sviluppo di mercati dedicati alle Pmi, sebbene colmabile, avesse pregiudicato lo sviluppo di una
cultura del capitale di rischio per le Pmi. In realtà, le ragioni di tale scetticismo trovano la loro ragion d’essere in una serie di elementi di contesto che
nel corso degli ultimi decenni hanno contribuito ad alimentare un sistema di
finanziamento sostanzialmente fondato sull’indebitamento. Dal lato della
domanda, un contesto fiscale che almeno fino al varo della dual income tax
(oggi peraltro ancora insufficiente) penalizzando il ricorso a interventi di finanza strutturale non ha favorito lo sviluppo di una cultura del capitale di rischio. Dal lato dell’offerta gli elevati rendimenti dei titoli di Stato e gli ampi
margini di intermediazione nel sistema creditizio hanno ritardato lo sviluppo
di nuovi intermediari e strumenti alternativi per il finanziamento del sistema
imprenditoriale.
IL SETTORE DEL PRIVATE EQUITY
UN SETTORE IN
RITARDO
Anche se il settore del private equity1 ha in questi ultimi anni registrato
un’importante accelerazione, oltrepassando nel 1997 per la prima volta la soglia dei 1000 miliardi di investimenti e attestandosi a circa 1800 miliardi nel
corso del 19982, l’Italia evidenzia ancora un evidente ritardo rispetto ai maggiori paesi europei sia in termini di volume, sia in termini di modalità delle
operazioni di investimento.
Le ragioni di questo ritardo sono indubbiamente molteplici. Oltre che dalle
già citate condizioni generali di contesto, il ricorso al capitale di rischio e lo
sviluppo del settore del private equity è stato limitato dalla mancanza di un
efficiente mercato secondario dedicato alle Pmi per lo smobilizzo delle partecipazioni e dal ritardo con cui sono stati introdotti nuovi investitori, quali i
fondi pensione che all’estero svolgono un ruolo particolarmente rilevante nella raccolta di capitale di rischio per le operazioni di venture capital.
Il problema dello sviluppo del private equity non è tuttavia limitato alla raccolta dei capitali, quanto piuttosto al loro impiego. I principali operatori del
settore, merchant bank, società di venture capital, fondi chiusi di sviluppo,
società finanziarie regionali non sono riusciti di fatto ad esprimere un’attività
di investimento significativa. Basti pensare che i 6 fondi chiusi attualmente
operativi hanno investito meno del 30% dei capitali, circa 940 miliardi, raccolti.
1
Per private equity si intendono, in questo contesto, tutte le operazioni di finanza straordinaria, dalla raccolta dei capitali per l’avvio, all’ingresso di soci finanziari, che interessano le diverse fasi di vita dell’impresa, dalla sua nascita alla quotazione di borsa.
2
I nuovi fondi raccolti nel 1997 sono stati 2069 miliardi di lire contro i 1424 del 1996, che
rappresenta un aumento del 45% e sono stati investiti circa 1164,4 miliardi di lire in 234 operazioni di investimento, che corrispondono a 209 imprese. Vi è stato un incremento del 17%
sull’ammontare totale investito e un aumento del 18% del numero delle operazioni effettuate
rispetto all’anno precedente (998,5 miliardi investiti e 198 operazioni nel 1996, AIFI YearBook 1998).
173
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
SCARSI INVESTIMENTI
NELLO START UP DI
NUOVE IMPRESE…
… E NELL’HIGH TECH
L’altro dato rilevante è che questi intermediari specializzati perseguono strategie di investimento incentrate prevalentemente su un target di imprese medio-grandi e in operazioni che privilegiano le fasi successive del ciclo di sviluppo dell’impresa. Si assiste pertanto a una situazione paradossale per cui le
offerte degli investitori si addensano su un numero ristretto di imprese, mentre la gran parte di imprese medio piccole, sotto i 30 miliardi di fatturato, non
vengono partecipate.
Tali considerazioni, che vengono spesso fatte dagli stessi operatori del settore
e riportate dalla stampa specializzata, sembrano in parte contraddette dai dati
raccolti dall’Aifi in base ai quali risulta che nel corso del 1997 ben il 12%
dell’ammontare degli investimenti è stato effettuato in operazioni di start-up
e oltre il 31% è andato a finanziare imprese con meno di 19 addetti.
Tali dati includono, in realtà, l’attività di alcuni soggetti pubblici che hanno
operato prevalentemente al Sud, quali la IG (Imprenditoria Giovanile) che, da
sola, nel corso dei dodici anni di attività, ha partecipato a oltre 930 neoimprese (di cui solo 8 al Nord Italia) per un importo di oltre 2.000 miliardi di
lire. Se si escludono, quindi, gli investimenti effettuati dall’operatore pubblico si può ragionevolmente affermare che gli operatori oggi presenti sul mercato italiano non partecipano a imprese di piccola dimensione e, per loro stessa ammissione, non finanziano le attività di imprese nascenti.
Un altro elemento negativo è dato dal fatto che, nonostante un’inversione di
tendenza registrata nel corso del 1998, gli investimenti tramite capitale di rischio si sono rivolti prevalentemente a imprese di settori industriali tradizionali con il 94% dell’intero ammontare investito, mentre i settori ad alta tecnologia rappresentano solo una minima parte con il 6% del totale. Anche se
questo dato è in parte spiegabile con il fatto che questa suddivisione corrisponde in gran parte alle stesse caratteristiche del tessuto produttivo italiano,
sarebbe tuttavia opportuno chiedersi quanto il mancato sviluppo del mercato
del venture capital non sia una delle cause che penalizzano la nascita nel nostro Paese di imprese high tech.
Il reperimento di risorse finanziarie per nuove iniziative imprenditoriali nei
settori high tech è un problema ovviamente non limitato all’area del Nord Italia. In altre regioni d’Europa si è cercato di rispondere a questa necessità attraverso la creazione e l’organizzazione di mercati informali del capitale di
rischio che consentano l’incontro fra potenziali investitori privati (business
angels) e neo imprenditori. Tali mercati, tipicamente locali poiché normalmente l’investitore opera su imprese prossime di cui può seguire attivamente
l’evoluzione, dopo aver registrato un indubbio successo nel Regno Unito sono stati adottati anche nella vicina Francia dove recentemente è stato creato il
Professional Network SA che raggruppa le 12 diverse iniziative regionali/locali dedicate alle nuove iniziative imprenditoriali.
Nel Nord Italia, così come d’altra parte nel resto del Paese, non esistono di
fatto iniziative analoghe. Alcuni progetti sono stati avviati, ad esempio il
Club delle tecnologie promosso dalle Camere di Commercio di Milano e Torino, ma sono a livello sperimentale e non sufficientemente sostenute né dalle
istituzioni né dagli operatori di mercato.
174
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
LE DEBOLEZZE DAL LATO DELLA DOMANDA
Nelle analisi relative ai problemi del finanziamento delle Pmi si sottolineano,
a ragione, oltre alle condizioni di contesto soprattutto fiscali e normative, le
carenze dell’offerta. Nel caso in questione, riteniamo tuttavia opportuno analizzare anche alcune caratteristiche della domanda di capitali. Le ragioni del
mancato sviluppo di un moderno mercato finanziario per le Pmi del Nord Italia vanno infatti ricercate, a nostro avviso, anche in alcune caratteristiche tipiche del sistema imprenditoriale locale e precisamente nella dimensione delle
imprese, nella loro scarsa contendibilità e nella specializzazione produttiva.
PMI TROPPO
PICCOLE …
... E TROPPO
FAMILIARI
... SPECIALIZZATE IN
SETTORI POCO
ATTRAENTI PER GLI
INVESTITORI
PROFESSIONALI
La dicitura Pmi utilizzata per definire e spesso celebrare l’universo della imprenditoria italiana nasconde una realtà ampiamente riconosciuta, ma spesso
trascurata: la dimensione prevalente delle nostre imprese è “piccola” e non
“media”, nettamente inferiore a quella dei nostri partner europei. Una dimensione inferiore alle soglie minime di efficienza sia dal lato dell’offerta sia da
quello della domanda. Questa dimensione è inadeguata sia per gli investitori
e gli intermediari specializzati i quali non riescono a “spalmare” i costi fissi
di istruttoria su operazioni di entità limitata e per lo sviluppo, sia per
l’impresa che deve affrontare costi di ricerca e di “presentazione”, business
plan, due diligence, certificazione di bilancio, spesso superiori ai benefici attesi.
La dimensione ridotta si ricollega per molti versi alla proprietà prevalentemente familiare del nostro tessuto produttivo. Un assetto proprietario che peraltro interessa anche i maggiori gruppi industriali italiani e che limita fortemente sia la capacità di crescita dell’impresa sia la sua contendibilità sul
mercato. È indubbio che questo modello, che pure ha avuto un forte ruolo di
sviluppo del sistema imprenditoriale dell’Italia del Nord per tutto il dopoguerra grazie al trasferimento di risorse sia finanziarie sia lavorative dalla
famiglia all’impresa, possa oggi costituire un limite al suo consolidamento.
Troppo spesso, infatti, l’impresa segue i destini della famiglia e si estingue
con essa, incapace di trovare nuove risorse e nuovo slancio da imprenditori e
manager subentrati alla famiglia originaria.
Insieme alla dimensione ridotta e alla scarsa contendibilità, l’ulteriore vincolo
della domanda è dato dalle specializzazioni produttive del tessuto imprenditoriale dell’Italia settentrionale. Gran parte delle imprese operano, infatti, in
settori tradizionali del “made in Italy”, della meccanica e della subfornitura
(si veda a questo proposito la scheda sulle specializzazioni manifatturiere).
Questa specializzazione tradizionale non attrae investimenti degli operatori
professionali. Gli investitori e gli intermediari specializzati prediligono, infatti, settori high-tech, quali biotecnologie, information technology, telecomunicazioni, che pur avendo un più elevato rischio di fallimento presentano prospettive di redditività superiori alla media.
Queste caratteristiche della domanda finiscono, in ultima analisi, col rendere
poco appetibile per gli investitori/intermediari specializzati gli investimenti
nelle Pmi del Nord Italia. Il dato più evidente del fallimento o quantomeno
delle difficoltà di questo settore è testimoniato, oltre che dal ritardo nello sviluppo del mercato del private equity, anche dall’incapacità del nostro sistema
imprenditoriale di attirare “capitali di ventura” stranieri, in particolare statu-
175
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
nitensi e britannici, che preferiscono insediarsi ed operare in altre aree europee, in particolare Germania, Olanda e Francia.
IL CIRCOLO VIZIOSO
Al di là dell’evidenza ci si deve chiedere se il fenomeno non sia da leggere
come biunivoco. Se cioè è vero che la mancanza di un adeguato tessuto imprenditoriale penalizza lo sviluppo di nuovi strumenti/intermediari dedicati al
finanziamento delle Pmi, non può essere altrettanto vero che la mancanza di
un adeguato sistema finanziario costituisce un ostacolo alla nascita di nuove
imprese innovative e alla crescita dimensionale del tessuto produttivo del
Nord Italia?
Attraverso questa chiave di lettura si possono, a nostro avviso, leggere e interpretare alcuni dei nodi critici del sistema imprenditoriale delle regioni settentrionali: la scarsa natalità di imprese nei settori ad alta tecnologia, la mancanza di una diffusa innovazione di prodotto, la mancata crescita
dimensionale, la scarsità di imprese da portare alla quotazione.
IL FINANZIAMENTO
DELL’AVVIO DI
NUOVE IMPRESE:
ASPETTI CRITICI:
1) L’IMMATERIALITÀ
DEI PROCESSI
INNOVATIVI
2) LE DIMENSIONI
MINIME
L’area padana continua ad essere fucina di nuova imprenditorialità. Tuttavia,
in alcune aree, quali Piemonte e Liguria, la natalità imprenditoriale è relativamente bassa, mentre più in generale le nuove imprese si caratterizzano per
un basso contenuto innovativo e spesso sono riconducibili a strategie di outsourcing, o a iniziative di autoimpiego piuttosto che a vere e proprie iniziative imprenditoriali (si veda a questo proposito la scheda sulle neoimprenditorialità). La ragione di ciò è certamente riconducibile ad una serie complessa
di fattori di contesto, fra cui lo scarso funzionamento di un sistema di istruzione universitaria che non riesce a produrre – al contrario di quanto accade
in altri paesi – spin-off imprenditoriali. Tuttavia è indubbio che il mancato
sviluppo di un mercato dedicato al finanziamento degli start-up giochi un
ruolo fondamentale.
La sempre maggiore complessità e l’immaterialità dei processi di innovazione tecnologica richiedono risorse finanziarie non più legate alla prestazione
di garanzie collaterali al finanziamento. Ciò vale soprattutto per le innovazioni di prodotto o le innovazioni connesse a settori high-tech. Anche in questo
ambito il mercato non ha saputo valorizzare nuovi strumenti, intermediari e/o
procedure di finanziamento.
La crescita delle unità produttive al fine di raggiungere soglie minime di efficienza è stata spesso frustrata dalla mancanza di strumenti di finanziamento
idonei, oltre che da una serie di vincoli ed incentivi che premiavano e, almeno in parte premiano ancora, la piccola dimensione. L’assenza di partner finanziari credibili per processi di crescita rapida fa sì che le imprese intraprendano percorsi di crescita interna o attraverso fusioni e/o acquisizioni
prevalentemente mediante il ricorso a risorse proprie o all’utilizzo di strumenti tradizionali. In alcuni casi la consapevolezza di non riuscire a raggiungere soglie dimensionali competitive fa si che l’impresa venga ceduta al
competitore di riferimento.
176
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
3) IL PROBLEMA DEI
MERCATI FINANZIARI
PER LE PMI
La quotazione in borsa, dedicata o non, dovrebbe costituire la fase conclusiva
di un processo di accompagnamento dell’imprenditore da parte di consulenti/partner finanziari che nelle diverse fasi di vita sostengono attivamente lo
sviluppo dell’impresa. Nelle diverse esperienze estere sono, infatti, i partner
finanziari a sostenere la quotazione dell’impresa come way-out al loro investimento. Anche in questo caso, dunque il rapporto è ambivalente: la mancata
realizzazione di un mercato secondario dedicato alle Pmi costituisce un vincolo alla pubblicizzazione delle imprese perché frena gli investitori a cui viene meno il principale canale di disinvestimento, dall’altra lo scarso spessore
di un mercato “informale” dei capitali fa sì che la “fonte” che dovrebbe alimentare questo mercato sia, in realtà, abbastanza arida.
NOTE CONCLUSIVE
Un rapido excursus sul passato e le prospettive delle dinamiche di finanziamento del sistema imprenditoriale del Nord Italia non può che essere, per sua
natura, presuntuoso nelle intenzioni e carente nella struttura. Tuttavia, il dato
che sembra condiviso da molti osservatori è che il sistema finanziario del
Nord Italia si trova ad un punto cruciale di svolta.
I RISCHI DI
EMARGINAZIONE
FINANZIARIA DEL
NORD ITALIA
LE OPPORTUNITÀ
COMPETITIVE E DI
SPECIALIZZAZIONE
PER LA PIAZZA
MILANESE
Il processo di integrazione monetaria, con il venir meno di alcuni vantaggi
comparati iniziali, quali la centralità geografica, la moneta utilizzata, le barriere normative e tecniche, pone infatti in maggior evidenza la contendibilità
del mercato finanziario europeo, aumentando la competizione tra i diversi
centri finanziari. Per la piazza finanziaria di Milano esiste quindi il rischio di
venire emarginata dalla concorrenza di quelle maggiori, tramite un processo
di centralizzazione di gran parte del mercato finanziario verso le principali
piazze europee. In questo contesto Milano e più in generale il Nord Italia rischiano di venire subordinati al processo di concentrazione dei maggiori centri finanziari europei. Se ciò dovesse accadere il danno per il nostro sistema
imprenditoriale potrebbe essere rilevante. Soprattutto per le nuove e le piccole e medie imprese che hanno maggiori difficoltà ad accedere e utilizzare
strumenti finanziari innovativi attivati in altri paesi.
D’altra parte le capacità competitive della piazza finanziaria milanese e quindi la sua “sopravvivenza” quale nodo cruciale del network finanziario europeo dipendono paradossalmente a nostro avviso proprio dalla capacità del
mercato dell’Italia del Nord di progettare e sviluppare mercati, strumenti e
servizi per la piccola e media impresa. Per i centri periferici, come Milano,
per poter competere e integrarsi con i centri maggiori è infatti indispensabile
valorizzare i vantaggi competitivi rispetto alle piazze centrali. E il più evidente vantaggio della piazza finanziaria milanese sta proprio nella ricchezza imprenditoriale dell’Italia settentrionale, nella migliore conoscenza del mercato
locale, nella maggiore accessibilità e velocità di elaborazione delle informazioni. L’importanza dei contatti diretti con gli imprenditori e tra gli operatori
è, infatti, fondamentale sia per la creazione di nuovi “prodotti”, sia per la rapida e corretta interpretazione delle informazioni. Mentre, quindi, il futuro
mercato europeo delle blue chip o dei derivati sarà sicuramente globale, omogeneo e delocalizzato, per la gestione della corporate finance, che richiede
alta professionalità e molti contatti, è probabile che si creino poche e specializzate localizzazioni.
177
IL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA IMPRENDITORIALE
Che la piazza finanziaria di Milano voglia e sia in grado di sfruttare queste
opportunità è un augurio. Le strategie da avviare sono molteplici e comunque
non facilmente percorribili poiché hanno bisogno della risposta di tutti gli
operatori e interessano problematiche più generali di riorganizzazione del sistema finanziario nazionale. Il rischio dell’immobilità appare, d’altra parte,
troppo elevato per non cercare di trovare, rapidamente, soluzioni.
BIBLIOGRAFIA
AIFI (1999), Capitale per lo sviluppo, rapporto annuale.
Abraham J. et al. (1993), “The Competitiveness of European Financial Centres”, Research Monographs in Banking and Finance n.1, University College of North
Wales.
Baffigi M., Pagnini F., Quintiliani G. (1997), “Industrial District and Local Banks:
Do the Twins Ever Meet?”, relazione presentata al convegno La molteplicità dei
modelli di sviluppo nell’Italia del Nord, Parma.
Banca d’Italia (1994), Il mercato della proprietà e del controllo delle imprese: aspetti teorici ed istituzionali, Roma
Barca F. (1988), “La dicotomia dell’industria italiana: le strategie delle piccole e delle grandi imprese in un quindicennio di sviluppo economico”, in Atti del seminario Ristrutturazione economica e finanziaria delle imprese, Banca d’Italia, Roma.
Bisoni C et al. (1994), Banca e impresa nei mercati finanziari locali, Il Mulino, Bologna.
Bonato L., Hamaui R. e Ratti M, (1993), “Come spiegare la struttura finanziaria delle
imprese italiane”, Politica Economica, aprile.
Cannari L., Marchese G. e Pagnini M. (1994), Forma giuridica, quotazione e struttura proprietaria delle imprese italiane: prime evidenze comparate, Banca d’Italia.
Consob (1998), Incontro annuale con il mercato finanziario. Discorso del presidente
Tommaso Padoa Schioppa.
Fair D., Raymond R. (eds) (1994), The Competitiveness of Financial Institutions and
Centers in Europe, Kluwer, Dordrecht NL.
Filippi E. (1988), “La piccola dimensione nelle imprese produttive e nelle banche:
relazioni e condizionamenti”, in Atti del seminario Ristrutturazione economica e
finanziaria delle imprese, Banca d’Italia, Roma.
Marano A. (1998), Le tendenze alla centralizzazione nei mercati finanziari europei.
Quali spazi per i centri minori?, IRS, Milano.
Obrien R. (1992) Global Financial Integration: The End of Geography, Pinter, London.
Rossi S.E. (1995), Le Piccole e medie imprese, i mercati locali e i mercati dei capitali, Quaderni della Fondazione Adriano Olivetti, Roma.
Thrift N. (1996), A Phantom State? International Money, Electronic Networks and
Global Cities, in Thrift N. Spatial Formation, Sage, London.
178