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Università e strategie
Il comportamento strategico gestionale delle università italiane
Laura Pedron
Dottoranda in Sistemi e Metodi di Valutazione della Ricerca Scientifica Università G. D’Annunzio Chieti-Pescara
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Il contesto di management delle università italiane e delle università inglesi. 3. Il New
Public Management e la sua applicazione nelle università. 4. Il metodo della ricerca. 5. I risultati dell’indagine. 6.
Considerazioni conclusive.
Il sistema universitario italiano sta affrontando un sempre più alto grado di complessità gestionale
che richiede sistemi e strumenti di management evoluti e orientati alle priorità strategiche. Il Ministero
dell’università, convinto della capacità di innovazione di alcuni atenei e dell’efficacia dei processi
imitativi, ha scarsamente legiferato sul tema e con disposizioni prevalentemente di indirizzo. L’articolo
presenta una ricerca sullo status quo dei comportamenti manageriali negli atenei, dalla quale si
evidenziano diversi atteggiamenti in termini di orientamento alla gestione strategica e alla gestione
del portafoglio delle attività. Viene inoltre registrata un’evoluzione rispetto a tendenze precedenti
(descritte in altre ricerche), ma a un tasso di innovazione non adeguato alla veloce metamorfosi del
nuovo contesto. Emergono inoltre tendenze di bad-practice nell’area amministrativa con riguardo
all’attitudine alla delega decisionale.
Management in Higher Education is facing a high level of complexity. Therefore it is necessary a
strategic management supported by modern tools and methodologies. As the HE Minister believes
that some universities are exploring and implementing new management attitudes and thus provoking
an imitative effect by other universities, it has till yet issued few laws on the subject with “feeble”
contents. The research object is to test the status quo in HE’s strategic management attitudes. Results
show that strategic management is not so widespread; some differences are linked to activity-mix
and there is an improvement in respect to past behaviours (as depicted by past research works).
Nevertheless, the improvement rate is not adequate to the quick evolution of the environment.
Moreover there are bad-practices in the organisation of non-academy staff and especially about
empowerment.
L’autrice esprime il più sentito ringraziamento al prof. Mario Bressan, Coordinatore del Corso di Dottorato,
e al prof. Massimo Sargiacomo, membro del collegio dei docenti e tutor in questo lavoro di ricerca, senza il
cui paziente aiuto e i continui suggerimenti la presente pubblicazione non si sarebbe potuta realizzare. Un
ulteriore ringraziamento va al Direttore generale dell’Università di Trento, dott. Marco Tomasi, che ha promosso
la ricerca fra i suoi colleghi, permettendo un apprezzabile tasso di risposta all’indagine.
Parole chiave: self-planning capability in HE – strategic management – activity mix
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1. Introduzione
Questo articolo intende contribuire con un’analisi empirica alla carenza di
informazioni sulle modalità gestionali degli atenei italiani. La presentazione
degli esiti di un questionario sottoposto ai direttori amministrativi delle università, integrata dalle informazioni raccolte in colloqui con alcuni di loro,
permette di scattare una fotografia sulle alternative pratiche manageriali
adottate dagli atenei, sistema di enti nella pubblica amministrazione che ha
tentato di sviluppare logiche moderne di gestione senza interventi normativi
espliciti. La ricerca cerca di capire se effettivamente le università italiane
sono state in grado di affrontare le responsabilità gestionali con strumenti
che migliorassero i sistemi decisionali e facilitassero l’efficacia e l’efficienza,
come il ministero si attendeva da loro quando ha concesso autonomia nella
gestione delle risorse. La situazione italiana viene inoltre comparata con
quella inglese dove il ministero ha stabilito quali pratiche gli atenei sarebbe
stato opportuno attuassero e ha imposto vincoli di accountability soprattutto
per sorvegliare lo stato di solvibilità finanziaria. Si considera comunque che
in Inghilterra le riforme sono state effettivamente ispirate all’autonomia completa delle università e non a una forma ibrida come quella italiana. In Italia
lo Stato ha ancor oggi, infatti, un forte potere decisionale e la competizione
è limitata dalla presenza di un titolo che ha valore legale.
Con questo studio si cerca poi di valutare se le pratiche più evolute sono
maggiormente diffuse in alcuni ambiti territoriali o in quelle realtà che, sulla
base del sistema di indicatori nazionali, sembrano dedicarsi maggiormente
alla didattica o alla ricerca. L’obiettivo è quindi di capire se le pratiche
manageriali sono in qualche modo legate a una situazione di contesto.
Nei paragrafi seguenti vengono illustrate dapprima le ragioni di una
ricerca sulle pratiche manageriali nelle università e le motivazioni per cui è
stato preso il sistema inglese come best-practice di riferimento. Il secondo
paragrafo è invece dedicato alla disamina dei principali aspetti della teoria
del New Public Management o delle sue più recenti evoluzioni, che hanno
supportato la costruzione del questionario e la valutazione delle risposte. Nel
terzo paragrafo viene illustrata la metodologia di ricerca, e nel successivo
sono mostrati i principali risultati della rilevazione. Nel paragrafo conclusivo
sono presentate alcune considerazioni sullo stato della gestione strategica
negli atenei italiani e viene aperta una riflessione su come gli organi politici
potrebbero intervenire per migliorare il sistema.
2. Il contesto di management delle università italiane e delle
università inglesi
Le università italiane hanno affrontato nell’ultimo decennio un processo di
radicale cambiamento organizzativo, sulla scia di quanto stava avvenendo
a livello internazionale. Lo Stato fino agli inizi degli anni novanta era il
“proprietario” delle università: ne gestiva il bilancio, vi assegnava e pagava
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i dipendenti, amministrava tutto il patrimonio immobiliare, decideva in merito
all’offerta formativa. Poi, in parte per contrarre la spesa pubblica, in parte
per trasformare l’autonomia scientifica dei singoli ricercatori in autonomia
degli atenei, lo Stato ha stabilito che le università avessero un loro bilancio,
potessero attuare una loro politica del personale, amministrare le loro spese
e decidere sulla loro gestione (l. 537/1993). Da questo momento in poi si
è iniziato a pensare quali pratiche manageriali potessero essere applicate
alle università. Gli atenei non erano più considerati enti burocraticamente
gestiti che eseguivano quanto stabilito dal ministero, ma organizzazioni
autonome con compiti decisionali e gestionali. Si è iniziato a parlare di
New Public Management (Hood, 1995, Rebora, 1999), di un ruolo dello
Stato di valutatore e non più di proprietario, nonché della competizione di
mercato quale forma per acquisire più risorse.
In Italia, le riforme sono però state contraddittorie: è stata data autonomia
di gestione del bilancio ma sono stati posti vincoli forti alla discrezionalità
di influire su proventi e costi. Fra queste limitazioni spiccano: l’impossibilità
di decidere liberamente i livelli di tassazione e di contrattare con il personale gli importi salariali e i carichi di lavoro (Capano, 2003). In pratica gli
atenei hanno ottenuto un’autonomia finanziaria minima: possono decidere
sui costi residuali ma non sulla principale spesa, cioè quella relativa alle
risorse umane; non possono inoltre far pagare il servizio proporzionalmente
ai suoi costi. In aggiunta, gli atenei hanno solo parziali certezze sugli importi
dei finanziamenti statali in un’ottica pluriennale: difficilmente conoscono le
assegnazioni dell’anno in corso prima dell’estate. Questo è quindi il contesto in cui si pensava che gli atenei fossero in grado di adottare pratiche
manageriali evolute. Nessuno ha poi valutato i problemi di governance
interna alle università, quali le pratiche di decisione collegiali, l’assenza
di una leadership forte, il tentativo dei singoli di far valere gli interessi dei
loro gruppi rispetto a quelli dell’organizzazione, la tendenza dei docenti a
volersi sostituire ai manager amministrativi (1).
L’adozione della nuova logica gestionale, ispirata a scelte strategiche
di medio-lungo periodo e al continuo miglioramento dei livelli di efficacia
ed efficienza, implicherebbe un processo di delineazione della strategia di
ateneo, di pianificazione delle attività, di definizione dei budget annuali con
specificazione degli obiettivi e delle linee di attività, di analisi dei risultati
e di continua revisione delle decisioni assunte. A livello organizzativo servirebbe un sistema di delega decisionale diffuso con comunicazione delle
priorità strategiche e responsabilizzazione di tutti rispetto al raggiungimento
degli obiettivi. Sarebbero preziosi poi strumenti tradizionalmente non propri
della pubblica amministrazione, quali la contabilità economico-patrimoniale, quella analitica, le pratiche di controllo di gestione. Cioè tecniche di
1 È questo il concetto della burocrazia professionale dove gli accademici senior esercitano il
potere e definiscono le regole (MINTZBERG, 1979).
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accounting che alcuni hanno chiamato New Public Financial Management
(Olson et al., 1998).
In Italia per un decennio non ci sono state norme che hanno imposto
agli atenei di migliorare la loro gestione perché lo Stato ha ritenuto che le
singole istituzioni si sarebbero mosse per necessità di sopravvivenza e le
altre le avrebbero imitate. L’unico intervento normativo è stato quello della
pianificazione triennale introdotta nel 1998, ma che non ha spinto gli atenei
a migliorare i modelli gestionali perché si fondava sulla metodologia della
chiamata a progetti in aree giudicate di particolare interesse dal ministero
e assegnava i finanziamenti a seguito della valutazione delle proposte degli
atenei (d.P.R. 25/1998).
La speranza degli studiosi di management della pubblica amministrazione è che nelle università si sia sviluppata maggiore coesione, siano
stati adottati modelli più razionali di gestione delle risorse e pratiche di
programmazione e controllo (Rebora, 2002). Si pensava che il New Public
Management si potesse diffondere per osmosi, che le università, nonostante
le loro peculiarità organizzative interne e le ancora forti costrizioni esterne,
fossero in grado di sviluppare buone pratiche. A distanza di oltre dieci
anni (legge finanziaria 2005, con applicazione a partire dal 2006 (2)) si è
stabilito che le università debbano predisporre piani strategici pluriennali
da negoziare con il ministero e debbano organizzare sistemi di valutazione
della performance e processi di continua revisione delle attività. È stato stabilito un obbligo per la cui traduzione operativa il ministero ha pubblicato
i documenti guida con estrema lentezza e ciò forse perché pensava che gli
atenei avessero già sviluppato una forte attitudine manageriale (3).
Questi processi saranno avviati nel corso del presente anno e quindi
solo nel medio periodo si potrà valutare la loro sostenibilità da parte delle
università. Nessuno a oggi ha invece analizzato empiricamente se le università italiane abbiano istituito, almeno in modo parziale, moderni processi di
gestione e quindi quanto teoricamente saranno in grado di affrontare con
razionalità e con un orientamento all’efficacia e all’efficienza gli obblighi
di legge. Bisogna considerare che la pianificazione stabilita dalla legge
dovrà essere negoziata con il ministero e vincolerà ciascun ateneo per un
triennio; quindi il processo se non correttamente gestito potrebbe causare
notevoli vincoli allo sviluppo delle università.
La presente ricerca è stata avviata prima dell’emanazione della nuova
legge sulla pianificazione, con l’obiettivo di capire quanto effettivamente in
Italia gli atenei avessero adottato pratiche manageriali evolute: l’obiettivo
2 Per i riferimenti normativi si veda la legge finanziaria 2005, l. 311 del 30 dicembre 2004,
il decreto legge n. 7/2005, poi convertito con la legge n. 43/2005.
3 I primi documenti sono stati inviati dalla Conferenza dei Rettori ai Rettori delle università
italiane in versione bozza nel mese di marzo 2006. Essi sono: Miur, Programmazione delle Università, definizione delle linee di indirizzo per il triennio 2007/2009; CNVSU, Criteri e requisiti per la valutazione e monitoraggio dei programmi triennali delle università, ex
lege 43/2005.
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era quindi esplorativo. Inoltre si voleva capire se fosse riscontrabile qualche
legame tra il contesto geografico e le pratiche manageriali, oltre che tra
queste ultime e l’impegno dell’ateneo nelle diverse attività istituzionali, così
come rilevato dal sistema di indicatori nazionali per l’assegnazione delle
risorse statali.
Grazie a quanto stabilito nel frattempo a livello normativo, questa ricerca
potrà quindi anche essere ripetuta fra alcuni anni per capire quanto effettivamente una spinta legislativa aiuti un sistema a migliorare. Inoltre, attraverso
precedenti ricerche, si è tentato di costruire uno storico per vedere se e con
quale velocità il sistema è riuscito negli ultimi anni ad auto-evolversi. Nello
specifico le ricerche di riferimento sono state quelle sui sistemi contabili e di
controllo di gestione negli atenei (Garlatti, 1996; Ongaro, Rodolfi, 1998;
Riccaboni, 1999; Palumbo, 1999; Cinquini, Vitali, 2000; Marelli, Vitali,
2000; Catalano, 2004; Sargiacomo, 2002; Cinquini, 2002; Arcari, 2003).
Ovvero le ricerche che si sono focalizzate sugli elementi considerati pilastro
del processo di aziendalizzazione della pubblica amministrazione (Mussari,
1994; Borgonovi, 2000; Valotti, 2000).
L’obiettivo era quello di valutare le caratteristiche dell’approccio manageriale nel sistema universitario nazionale, ma anche di capire quanto queste si
discostassero dalle prassi di un altro Paese europeo. Tale sforzo è sembrato
oltremodo opportuno in quanto, come è noto, la cultura del confronto fra
atenei riesce spesso a favorire dei processi mimetici di apprendimento,
tramite l’adozione, previo adattamento, di pratiche già sperimentate con
successo altrove (Sargiacomo, 2005).
È stata scelta l’Inghilterra, innanzitutto perché in questo Paese lo Stato,
emanando specifiche norme, ha cercato di conciliare l’autonomia universitaria con la necessità di adottare pratiche manageriali evolute. L’Inghilterra
è stata poi selezionata per altri due motivi. Innanzitutto le sue performance
scientifiche: in Europa ha il più alto numero di pubblicazioni per milione di
abitanti (Key Figure Ue, 2004), la maggior numerosità di ricercatori altamente citati (ISI-Thomson Highly Cited DB) e il più alto numero di citazioni
medie per pubblicazione (CWTS, 2005). È poi il sistema che il ministero
italiano ha imitato per la definizione del modello di assegnazione del fondo
di finanziamento ordinario alle università: anche in Italia si divide oggi il
finanziamento in quote per la didattica e la ricerca; nella didattica si considerano gli standard di costo delle diverse tipologie di corso di studi, nonché
alcuni indicatori di qualità del servizio; per la ricerca si misura il personale
scientificamente attivo e il giudizio che le aree di ricerca hanno ottenuto
nella valutazione CIVR (CIVR, 2003; HEFCE, 2005; CNVSU, 2005).
L’attenzione normativa alle pratiche manageriali in Inghilterra è stata
completamente diversa da quella italiana. Per favorire un sistema di governo
responsabilizzato nel 1994 è stato introdotto un financial memorandum,
cioè l’atto in cui le università si impegnano con l’agenzia di finanziamento
ad avviare al loro interno efficaci sistemi di gestione e di controllo volti
soprattutto all’analisi dei flussi finanziari. Gli atenei devono predisporre
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piani dei flussi, nonché loro revisioni semestrali e inviarli all’agenzia. Le
università devono poi dotarsi di piani strategici pluriennali (mission statement)
che sono la base per la rendicontazione, ma non sono sottoposti a un
processo di approvazione ministeriale. Con il ministero si stipula solo un
funding agreement, in cui l’ateneo fa una previsione sul numero di studenti
che riuscirà ad attrarre negli anni successivi e su questo dato il ministero
calcola la sua quota di finanziamento. Gli atenei sono quindi abbastanza
liberi nel definire le pratiche di gestione strategica interna; inoltre l’agenzia
di finanziamento periodicamente conduce analisi per individuare good
practice nei sistemi di gestione degli atenei e comunicarle, così da facilitare
un processo imitativo (HEFCE, 2000).
L’Inghilterra ha tuttavia altri elementi che possono avvantaggiare lo
sviluppo di pratiche gestionali: innanzitutto ha un’autonoma gestione della
contrattazione con il suo personale; ha una cultura dell’imprenditorialità e
del fund-raising molto più diffusa che in Italia; ha una struttura di governance
interna ispirata alla leadership e al controllo da parte degli stakeholder;
può effettivamente trattare gli studenti come clienti facendo pagare loro il
costo del servizio (la tassazione può raggiungere i 3000£ per gli studenti
inglesi ed essere ancora superiore per gli studenti stranieri) (Department for
Education and Skills, 2003); il suo ministero ha puntato molto a sviluppare
professionalità interne che gli permettessero di essere effettivamente ente
di supporto e consulenza degli atenei. È pertanto necessario tener conto
di questi fattori influenzanti nel valutare quanto un processo di riforma del
management universitario italiano possa ispirarsi alle pratiche inglesi.
3. Il New Public Management e la sua applicazione nelle università
Le teorie di management a lungo non si sono occupate delle università, come
in generale di tutta la pubblica amministrazione, poiché hanno preferito
focalizzarsi sulle aziende commerciali. Le pubbliche amministrazioni erano
considerate meno interessanti in quanto entità sicure, finanziate e governate
in via gerarchica dallo Stato. Quindi i loro dirigenti potevano operare in
un clima sereno, con certezza di disponibilità di risorse. Nessuno pensava
agli sprechi che una macchina amministrativa mal gestita avrebbe potuto
generare.
Negli anni Novanta, sulla spinta di una recessione mondiale e dell’accanimento che in alcuni Paesi c’era stato per ridurre la spesa pubblica perché
considerata ragione della tassazione e dell’inflazione, gli Stati hanno iniziato
a ripensare l’organizzazione dei servizi pubblici. L’obiettivo diviene quello
di creare valore nell’utilizzo del denaro pubblico e quindi si vuole spingere
le amministrazioni a erogare maggiori servizi con minori risorse.
È questa la fase di avvio del New Public Management o, come alcuni la
hanno definita, di reinventing government (Hood, 1991; Osborne, Goebler,
1992; Aucoin, 1995; Lane, 2000).
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Per molti servizi è stato avviato un periodo di privatizzazioni: i ministeri
hanno preferito gestire con contratti alcuni servizi alla popolazione, piuttosto
che con un monopolio sotto loro controllo gerarchico. Così è stata creata
competizione tra gli enti e le logiche di controllo e legittimazione esterne
si sono sostituite a quelle autoreferenziali dei sistemi monopolistici (Natale,
2001). Alcuni hanno individuato in questa forma di contrattazione molte
caratteristiche del mercato e per questo hanno coniato il termine di “quasi
mercato” (Le Grand, 1991). “Quasi” perché comunque lo Stato ha un ruolo
importante nel governo del servizio e non si trasferiscono alla pubblica
amministrazione modelli gestionali del settore privato. Tra gli altri permangono i valori del servizio pubblico ispirati alla citizenship, all’equità e alle
pari opportunità nell’accesso al servizio. Si è valutato che i modelli delle
aziende applicati in toto alla pubblica amministrazione avrebbero potuto
non essere efficaci. La prima ragione di questo è che la gestione non è rivolta al profitto. Inoltre, molti aspetti del servizio negli enti pubblici vengono
decisi dal Governo e le organizzazioni non possono mutare il loro mercato
e i loro utenti. Con il “quasi mercato” il vantaggio è che lo Stato non è più
il mediatore della società, ma l’ente deve confrontarsi direttamente con i
cittadini, che per giunta non sono più utenti ma clienti.
Altri servizi pubblici sono stati giudicati non privatizzabili e lo Stato per
spingere all’efficienza ha sviluppato un sistema competitivo nell’assegnazione delle sue risorse e quindi una “simulazione periodica” del mercato. In
questo modo lo Stato assegna, infatti, le risorse a quegli enti che registrano
una prestazione qualitativamente migliore e che quindi in una situazione di
mercato sarebbero scelti da un acquirente razionale e ben informato. Nello
stesso tempo si incentivano anche gli enti a individuare differenti fonti di
finanziamento e a offrire i propri servizi a prezzi che coprano i costi.
Nessun Paese ha introdotto con le riforme la privatizzazione totale del
sistema universitario: al fine di incrementarne l’efficienza si è agito invece sui
finanziamenti e sulla governance. Questo probabilmente perché i ricercatori
sono “autonomi professionisti” e quindi inseriti in un contesto di mercato
avrebbero potuto comportarsi come singole unità organizzative, auto-gestirsi, frammentare gli obiettivi e le attività, senza minimamente considerare la
possibilità di realizzare una strategia unica di ateneo (Minelli et al., 2002).
Inoltre, le istituzioni pubbliche centrali hanno compreso che il loro ruolo doveva
diventare di controllo e regolazione (Rebora, 1999; Borgonovi, 2002).
Le università sono organizzazioni pubbliche formate da professionisti
(Mintzberg, 1983; Newby, 1999; Barry et al., 2001), spesso classificate
tra le istituzioni loosely-coupled (Weick, 1979; Reponen, 1999) o tra
le anarchie organizzate governate con logiche di garbage can model
(March et al., 1993) (4). Quindi sono istituzioni con poca capacità ma4 Il modello garbage can model delinea il processo decisionale di organizzazioni in cui chi
assume decisioni non ha chiare le preferenze di tutti gli attori coinvolti, spesso si agisce sulla
base di idee e sensazioni, il processo di produzione non è poi lineare e sempre definibile a
priori (COHEN, MARCH, OLSEN, 1972).
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nageriale, resistenti ai grandi cambiamenti e a tutto ciò che viene loro
imposto (Mintzberg, 1979). La spinta al nuovo dovrebbe aver intaccato lo
status dei docenti, o quantomeno la loro cultura introducendo l’abitudine
al monitoraggio, alla valutazione, alla massimizzazione dell’efficienza,
dell’efficacia e dell’economicità. I docenti hanno poi dovuto affiancarsi a
manager professionisti, come viene dimostrato dall’accresciuto numero di
dirigenti, e con loro hanno istituito team (Ferlie, 2002). Se l’atteggiamento
dei docenti sia effettivamente cambiato è però ragione di dibattito: alcuni
hanno infatti affermato che i docenti hanno saputo relegare il managerialismo alle sole attività “periferiche”, mantenendo il vecchio approccio per
le core (Laughlin et al., 1992).
Ferlie (2002) parla di quattro tipologie di New Public Management:
– una fortemente ispirata all’efficienza e da alcuni giudicata poco adatta
ai valori della pubblica amministrazione. Le caratteristiche sono: forte pianificazione gerarchica delle attività, fissazione di target, obiettivi, pratiche
di auditing, rafforzamento del ruolo della leadership di ateneo, particolare
attenzione alle pratiche di rendicontazione e alla coerenza tra performance
e flussi finanziari. Dietro a questa tipologia c’è un approccio alla formulazione della strategia formale, razionale e analitico, in cui si ritiene che il
vertice possa stabilire una strategia precisa e questa poi venga attuata in
modo parcellizzato da tutte le unità (Chandler, 1962; Porter, 1980; Slon,
1993);
– una che punta alla flessibilità, alla varietà del servizio e quindi assegna
al mercato un ruolo importante nella gestione, cerca di individuare forme
di esternalizzazione e di contrattazione. L’amministrazione mira quindi
a focalizzarsi sulle attività più strategiche e a gestire in network le altre
(Favotto et al., 2005). In questo contesto non si definisce una strategia, in
quanto è costosa da produrre e inutile in un ambiente di mercato in cui le
scelte devono essere emergenti;
– una orientata all’eccellenza, che punta sulla cultura, sui riti e sui simboli
aziendali e per questo può affidarsi o a un approccio bottom-up con
potere decentralizzato e valutazione sui risultati, oppure a un approccio
top-down con una leadership forte, che definisce e comunica la mission e
le principali linee strategiche di ateneo. Questa tipologia viene supportata
da un approccio alla strategy formulation di tipo emergente (Mintzberg,
Waters, 1985), in cui la strategia si crea nelle micro-organizzazioni e è
framework specific;
– una volta al servizio pubblico e alla sua rendicontabilità ai cittadini,
in cui si monitora la qualità e la si comunica agli utenti così che possano
essere resi più partecipi circa l’utilizzo del denaro pubblico. Gli enti che
adottano questa tipologia assumono le decisioni di volta in volta tenendo
in considerazione il contesto sociale e istituzionale.
È quindi da valutare se gli atenei stiano adottando una di queste tipologie ed
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eventualmente quale. Rebora (2002) sintetizza le quattro tipologie proposte
da Ferlie in due modelli gestionali: uno per obiettivi e uno imprenditoriale.
Il primo è focalizzato sulla programmazione delle attività e sulla puntuale
definizione dei target da raggiungere; il secondo sulla strategia, sulla comunicazione degli obiettivi nell’organizzazione e sulla responsabilizzazione
dei singoli verso i risultati. Quest’ultimo approccio si è sviluppato assieme
alla “cultura dell’eccellenza”, dell’alto coinvolgimento delle risorse umane,
dello sviluppo e apprendimento organizzativo. Secondo Ferlie (2005) è
questa una soluzione soft ed è la più adatta in un contesto di professionisti.
Inoltre le teorie soft sono molto vicine a quelle sui modelli di governance che
enfatizzano i concetti di network e lavoro di gruppo, dove si facilitano la
consultazione e discussione dei problemi e dove il vertice cerca di assumere
un ruolo di influenza, persuasione e leadership (Newman, 2001). Anche
Favotto (2005) interviene sulle differenze dei due approcci individuando una
sottostante evoluzione del concetto di strategia: da un’accezione classica e
formalizzata che mira a definire in dettaglio una strategia da realizzare, a
una flessibile e dinamica in cui partecipano più stakeholder, si individuano
più percorsi evolutivi e un sistema coordinato di scelte coerente con la mission
(Coda, 1988; Mintzberg, 1994; Bergamin Barbato, 1991). Nel secondo
approccio anche nei sistemi di controllo entrano logiche di informalità e
interattività, ci si focalizza sulle linee strategiche piuttosto che sull’analisi
del raggiungimento dei singoli obiettivi.
Oltre a un nuovo approccio alla strategy formulation, secondo alcuni
la continua richiesta di rendicontabilità ha spinto il settore pubblico e le
università ad adottare approcci, principi e strumentazioni, che erano invece
inutili nel precedente contesto. Fra questi gli strumenti di valutazione della
performance, i processi di Total Quality Management, le analisi finalizzate al
Business Process Reengineering, forme di reporting e gestione della strategia
evolute come la Balance Scorecard (Riccaboni, 2003, p. 470).
Questo è il sistema di controllo “orientato alla strategia” per cui il controllo è un processo informativo, decisionale e di azione condiviso. Esso è
in grado di orientare l’effettivo perseguimento degli obiettivi monitorandone
le funzionalità; è strumento di accountability in quanto garantisce a interlocutori interni ed esterni informazioni necessarie alla loro attività. Un tale
sistema di controllo è inoltre supporto alla rielaborazione strategica e quindi
a tutto il sistema decisionale perché aiuta la condivisione della strategia,
facilita il learning by doing e consente di anticipare i cambiamenti imposti
dall’ambiente (Caccia, 2005).
Secondo alcuni l’introduzione di questi strumenti è ciò che differenzia
l’approccio al managerialismo di tipo hard, da quello soft (Trow, 1994).
Fra gli studiosi di scienze manageriali c’era l’attesa che le università italiane avrebbero sviluppato un approccio hard, come quello di altri Paesi
occidentali (Riccaboni, 2003, p. 471).
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4. Il metodo della ricerca
L’obiettivo della ricerca consiste nel comprendere quale è l’approccio manageriale adottato dagli atenei italiani. Per questo è stata strutturata un’indagine
rivolta ai direttori amministrativi delle università italiane. I direttori sono stati
scelti perché si è ritenuto che essi siano in una posizione strategica di snodo
tra attività amministrativa e politica e siano coloro che per primi, di fronte a
una strategia e a obiettivi di ateneo, decidano come coordinare la struttura
per realizzare le attività più appropriate (Paletta, 2004).
Complessivamente sono stati inviati 77 questionari e il tasso di risposta
è stato del 52%, che sale al 58% se si considerano solo gli atenei statali/
politecnici (5).
Come mezzo di comunicazione è stata utilizzata la posta elettronica,
l’indagine è stata però presentata anche telefonicamente e nel periodo
marzo-settembre 2004 sono stati effettuati più solleciti.
Gli atenei pubblici che hanno riconsegnato il questionario sono oltre
il 50% della loro popolazione non solo in termini assoluti, ma anche in
relazione alle principali variabili dimensionali (tavola 1).
Tavola 1 – Atenei statali e politecnici – Le dimensioni del sistema universitario
che ha risposto
Iscritti da due anni
pesati a.a 2002/2003
56,47%
Laureati anno 2003
N° corsi di Laurea
57,63%
Personale tecnico
amministrativo
56,91%
62,22%
Fondo Finanziamento
Ordinario Miur
55,31%
Docenti 31.12.2003
56,86%
Il questionario di ricerca, allegato, è stato costruito secondo la seguente
struttura:
– la sezione A si focalizza sulla definizione di una strategia pluriennale,
sulla sua traduzione in un piano di ateneo e sulla sua comunicazione. Viene inoltre considerato il grado di delega decisionale nell’organizzazione
all’interno delle funzioni politico-istituzionale, manageriale e operativa
(Borgonovi, 1996);
– la sezione B valuta come la strategia viene tradotta in programmi annuali
con indicazioni economiche e quali sono gli strumenti contabili e non che
permettono la comunicazione dei risultati e il controllo sull’attuazione. Questa
sezione si focalizza quindi sugli strumenti gestionali;
5 Si ringraziano i direttori amministrativi delle Università: Bergamo, Bolzano, Cagliari, Camerino, Catanzaro, Chieti, della Calabria, Firenze, Insubria, L’Aquila, Macerata, Mediterranea di Reggio Calabria, Milano, Milano – Cattolica, Modena e Reggio Emilia, Molise, Istituto Suor Ursula B. Napoli, Palermo, Pavia, Perugia, Pisa, Pisa S. Anna, Scuola Normale Pisa,
Politecnico Bari, Politecnico Milano, Politecnico Torino, Roma “La Sapienza”, Roma “Tor Vergata”, Sassari, Siena, Università per Stranieri Siena, SISSA Trieste, Teramo, Torino, Trento,
Udine, Valle d’Aosta, Venezia, Verona.
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– la sezione C verifica la presenza di prassi di revisione del piano e degli obiettivi con particolare attenzione al grado di supporto che i sistemi
informativi forniscono a quest’attività, alle pratiche di Business Process
Reengineering e di organizzazione di meeting interni per l’analisi degli
scostamenti dai risultati attesi;
– la sezione D si occupa della comunicazione verso gli interlocutori.
I contenuti delle domande rispecchiano quindi una logica di circolarità del
processo di previsione-realizzazione-attuazione (Deming, 1982, 1989;
Hefce, 2000).
Ci sono poi due domande finali: una rivolta alle previsioni di evoluzione
del comportamento strategico-gestionale dell’ateneo; una sull’utilità percepita
dal direttore di una gestione in ottica strategica, indipendentemente dalla
sua attuale applicazione in ateneo.
Per ciascuno strumento o prassi indagata a una domanda sbarramento
sulla sua esistenza ne seguono alcune più specifiche che cercano di cogliere
il grado di sofisticazione, il tipo di utilizzo e il tempo trascorso dalla prima
applicazione.
Alcune domande richiedevano un parere all’intervistato e quindi la risposta poteva essere scelta in una scala Likert da 1 a 4, secondo un grado
crescente di soddisfazione; nelle domande sbarramento l’intervistato poteva
scegliere tra tre alternative (esistenza/non esistenza/attuale fase di sviluppo),
nelle altre doveva tracciare un segno su una delle risposte proposte.
Nonostante la prevalenza di istituzioni pubbliche, l’attuazione in tutti gli
atenei di didattica e ricerca e l’erogazione di corsi che coprono l’intero ciclo
(dalle lauree di primo livello, ai dottorati e master), il sistema universitario
italiano non è omogeneo. Gli atenei hanno dimensioni diverse, soprattutto
legate all’area urbana in cui sono localizzati; erogano un’offerta formativa
specializzata in differenti ambiti; hanno storie ed età diverse ed è possibile
riscontrare disomogeneità anche nell’allocazione del tempo in didattica e
ricerca. Questo è stato riconosciuto anche da precedenti studi sul tema del
management universitario (Marelli, Vitali, 2000; Sargiacomo, 2002).
Era quindi necessario definire dei gruppi di atenei, omogenei per caratteristiche, e di questi analizzare i comportamenti strategico gestionali.
Un importante aiuto per l’individuazione delle variabili di discriminazione
sono state alcune applicazioni della Data Envelope Analysis (DEA) alle
università, cioè ricerche che mettono in relazione una molteplicità di input
e output per individuare quale sia la combinazione di fattori più adatta a
produrre i massimi livelli di risultato ai costi minimi (6).
Le variabili prese in considerazione sono riportate in tavola 2 (7).
6 Per le applicazioni nelle università: CARRINGTON et al. (2004); ABBOT, DOUCOULIAGOS (2003);
JOUMADY, RIS (2002); LEHMANN, WARNING (2002); AVKIRAN (2001); MCMILLAN, DATTA (1998).
7 Un’analisi di questo tipo sul sistema nazionale è possibile esclusivamente da alcuni anni
per gli sforzi fatti dal Ministero e dal CNVSU per lo sviluppo di banche dati, per uniformare
i dati dei diversi atenei, accrescere la disponibilità di variabili e renderle accessibili con velocità a chiunque desideri compiere analisi approfondite (STANCHI, 2002).
455
Azienda Pubblica 3.2006
Saggi
Università e strategie
Tavola 2 – Variabili utilizzate
Tipologia
Variabile
Dimensionali
− numero corsi di laurea a.a. 2002/2003;
− numero facoltà a.a. 2002/2003;
− numero docenti e ricercatori 31.12.2003;
− assegnisti al 31.12.2003;
− dottorandi di ricerca a.a. 2002/2003
− personale tecnico-amministrativo di ruolo e non al 31.12.2003;
Finanziarie
− fondo di finanziamento ordinario assegnato agli atenei nel 2003 dal ministero;
Relative
alla didattica
Relative
alla ricerca1
− numero di studenti iscritti da due anni nell’a.a. 2002/2003 differentemente
pesati a seconda del “costo standard” del loro corso di laurea;
− crediti acquisiti dagli studenti nell’a.a. 2002/2003;
− numero di laureati nell’anno solare 2003;
− capacità di autofinanziamento dell’ateneo attraverso la ricerca e impegno nei bandi
di ricerca Prin misurati dal rapporto tra ricercatori giudicati positivamente
nelle chiamate Prin 2001/2002/2003 e ricercatori potenzialmente idonei
per tali bandi.
A causa della limitata disponibilità di informazioni raccolte omogeneamente in tutti gli atenei italiani sull’attività di ricerca scientifica, l’unico dato utilizzabile è stato il tasso di successo nei fondi gestiti dal Ministero la cui partecipazione è riservata alle università (Prin).
I Prin sono comunque, soprattutto per alcune aree disciplinari, un’importante fonte di finanziamento che consente di avviare ricerche all’interno dei gruppi e di sviluppare una sufficiente massa critica che permette poi di accedere anche
ad altre fonti. Per di più, ex ante commissioni di pari effettuano la selezione dei progetti per il finanziamento con criteri meritocratici di notorietà scientifica dei ricercatori proponenti o di innovatività e contributo della ricerca allo sviluppo della conoscenza nello specifico ambito scientifico.
1
Quelle utilizzate sono quindi variabili che misurano le risorse a disposizione
dell’ateneo e i carichi di lavoro nelle attività istituzionali. Non sono stati
invece analizzati gli output, quali la produttività e la qualità nella ricerca e
nella didattica, perché l’obiettivo non era la ricerca di relazioni tra risultati
e attività gestionali.
Tra le variabili utilizzate non rientrano inoltre informazioni sulle attività
amministrative, con l’unica eccezione della numerosità del personale tecnico-amministrativo. Ciò è dovuto all’assenza di dati e informazioni raccolti
con criteri omogenei su tutto il sistema; sono infatti rari, isolati e soprattutto
parziali rispetto alla complessità dell’organizzazione universitaria i tentativi
di entrare nelle strutture e nei singoli processi (Catalano, 2004). Qualche
informazione può essere colta nel presente lavoro, ma per un’applicazione
di questo tipo è necessario un ulteriore sviluppo fondato soprattutto sullo
studio approfondito e qualitativo di alcuni case-study.
Al fine di categorizzare, era necessario innanzitutto sintetizzare queste
variabili anche attraverso una rappresentazione grafica chiara e che permettesse l’immediata comprensione. È stata quindi utilizzata la tecnica statistica
delle componenti principali, cioè una tecnica che parte da tutte le variabili
Azienda Pubblica 3.2006
456
Saggi
Università e strategie
le standardizza (8) – per non dare eccessivo peso a quelle con più alta
variabilità e non essere influenzata dall’unità di misura – e le ricompone tra
loro per individuare alcune nuove variabili indipendenti, ma che assorbono
quasi tutte le informazioni delle iniziali (Rencher, 2002) (9).
Questa tecnica, applicata all’intero sistema universitario italiano, ha
permesso di giungere a due nuove variabili che spiegano oltre l’87% della
variabilità iniziale.
La prima di queste variabili rappresenta le dimensioni dell’ateneo in
termini di corpo docente, numero di studenti e finanziamento ordinario del
ministero. Quindi distingue tra atenei grandi e piccoli. La seconda variabile
è dominata dal tasso di successo nella partecipazione ai bandi Prin, quindi
discrimina gli atenei in base al loro impegno nella ricerca finanziata dal
ministero. I dettagli numerici sulla composizione dei fattori sono mostrati
nell’allegato di approfondimento.
Per l’individuazione delle classi abbiamo scelto di utilizzare la mediana
(10). La figura 1 mostra il risultato ottenuto.
Figura 1 – Distribuzione atenei italiani rispetto alle nuove dimensioni e ai
loro valori mediali
8 Per la standardizzazione è stata utilizzata la formula:
con valor medio della variabile e deviazione standard della variabile.
X –X
Xi= i
con X= valor medio della variabile e S= deviazione standard della variabile.
S
9 Precedenti ricerche si erano limitate a considerare le variabili meno correlate tra loro, ma
così facendo avevano dovuto escludere tutti gli indicatori sulle dimensioni delle attività istituzionali.
10 È stata preferita la mediana alla media, in quanto quest’ultima è fortemente influenzata
dai valori troppo grandi o troppo piccoli (outliers) e quindi in una situazione come quella in
figura 1 non è rappresentativa della tendenza centrale.
457
Azienda Pubblica 3.2006
Saggi
Università e strategie
Il gruppo A, così come il C, sono formati principalmente da atenei del
Nord Italia, il gruppo B da università del Sud e il D da atenei del Centro
Italia.
Gli atenei che hanno risposto all’indagine riescono a rappresentare
bene i diversi cluster: il grado di copertura varia dal 46% del gruppo B al
66% del C.
5. I risultati dell’indagine
Rimandando all’allegato per un dettaglio sulle pratiche manageriali dei gruppi, in questo paragrafo vengono approfondite quelle variabili che permettono
di rispondere agli obiettivi di ricerca. Nello specifico si approfondiscono quei
processi e comportamenti che nel secondo paragrafo sono stati individuati
come necessari ed elementi di successo per l’adozione di una nuova logica
gestionale ispirata a scelte strategiche di medio-lungo periodo:
− un processo di delineazione della strategia di ateneo e di pianificazione
pluriennale. Pochi direttori affermano che il loro ateneo ha una strategia che
viene tradotta in un piano pluriennale (16%) e nel 50% degli atenei non ci
sono forme di comunicazione interna delle priorità strategiche;
− un processo di delineazione dei budget annuali con specificazione degli
obiettivi e delle linee di attività. I direttori dicono che la programmazione
annuale dettagliata per obiettivi e attività e la relativa traduzione in documenti di previsione economico/finanziari sono presenti nel 61% delle
università. Il budget è definito attraverso un processo di negoziazione in
cui si considerano anche l’analisi dei costi fissi e discrezionali (43%), le
iniziative ritenute particolarmente strategiche (21%), gli obiettivi e il loro
raggiungimento (16%);
− un processo di analisi dei risultati e di continua revisione delle decisioni.
I direttori affermano che il controllo sul budget è annuale, ad eccezione
del 17% degli atenei che adotta analisi trimestrali. Una qualche forma
di reportistica è presente in oltre la metà del campione (53%) e, tra essi,
generalmente (75%), i documenti non contengono solo informazioni
contabili.
Molti direttori affermano di non riunire periodicamente i loro collaboratori
per discutere sullo stato di raggiungimento degli obiettivi (34%). Alcuni
organizzano riunioni, ma non con regolarità (38%). Inoltre, questi incontri
dovrebbero essere occasione per rivedere le mete alla luce di quanto avvenuto in corso d’esercizio, ma nel 70% degli atenei non si modificano gli
obiettivi durante l’anno. Comunque, anche se potrebbe apparire contraddittorio rispetto ad altre risultanze, solo il 18% degli atenei non ha un qualche
sistema di analisi dei processi interni al fine di adeguarli alle necessità e
quindi migliorare il servizio;
− una propensione alla delega decisionale. I direttori riconoscono la presenza di delega decisionale soprattutto tra organi di governo e direttore
Azienda Pubblica 3.2006
458
Saggi
Università e strategie
amministrativo e tra quest’ultimo e i dirigenti. I quadri e i livelli decisionali
inferiori sembrano avere meno autonomia nella definizione delle attività
da compiere; sembra quindi che il direttore amministrativo si fidi dei suoi
dirigenti, mentre quest’ultimi non facciano altrettanto nei confronti dei loro
subordinati.
Negli atenei non si è generata, quindi, responsabilizzazione dei diversi
attori coinvolti nell’erogazione dei servizi universitari. Non si sono investiti
di potere decisionale né i quadri, né tanto meno tutti i dipendenti amministrativi. Queste figure sono poco coinvolte nelle riunioni di comunicazione
delle priorità strategiche e solo raramente sono destinatarie del sistema di
reportistica interno. I ruoli più operativi sembrano essere semplici esecutori:
non possono assumere infatti scelte discrezionali, non ricevono comunicazioni sulle ragioni strategiche per cui vengono assegnati loro determinati
compiti e non sono aggiornati sullo stato di raggiungimento degli obiettivi
di ateneo;
− tecniche di accounting tradizionalmente non proprie della pubblica amministrazione. A supporto dell’analisi sullo stato di raggiungimento degli
obiettivi solo il 12% degli atenei ha una contabilità economico-patrimoniale,
mentre il 62% la sta introducendo. Inoltre gli atenei registrano un’evoluzione
oltre che del sistema contabile anche di quello informativo (56%).
A livello della struttura amministrativa a supporto del ciclo di pianificazione strategica, l’ufficio pianificazione e controllo è presente in oltre il 40%
degli atenei, e il 25% ha in atto una revisione organizzativa per la sua
introduzione.
La tavola 3 mostra la diffusione del budget, della contabilità economicopatrimoniale, dell’ufficio pianificazione e controllo, e il grado di evoluzione
subita dai sistemi informatici/informativi negli ultimi anni nei diversi gruppi
identificati nella ricerca.
Tavola 3 – Il grado di innovazione degli strumenti gestionali nei singoli gruppi rispetto
ai valori medi
Gruppo
Valore Medio
Budget
Sistema di contabilità
economicopatrimoniale
Evoluzione sistema
informativo/IT
61%
12%
(già implementata)
56%
(ha subito o sta subendo
evoluzioni)
Ufficio a supporto della
pianificazione e del
controllo
40% (attualmente presente
nell’organigramma di
ateneo)
Grandi, Impegno nei Prin superiore al valore mediano
a
+
--
+
-
Grandi, Impegno nei Prin inferiore al valore mediano
b
++
+
--
++
Piccoli, Impegno nei Prin superiore al valore mediano
c
--
++
++
0
Piccoli, Impegno nei Prin inferiore al valore mediano
d
-
--
++
-
“+” = > max 10%
“+ +” = > per più del 10%
“-“ = < max10%
“--” = < per più del 10%
“0” = in linea con il valore medio
459
Azienda Pubblica 3.2006
Saggi
Università e strategie
L’analisi dei quesiti di dettaglio rispetto alle diverse attitudini alla gestione
in ottica strategica e alle prassi manageriali ha evidenziato inoltre alcune
differenze sostanziali, e precisamente:
1) sono in corso più progetti di evoluzione verso la pianificazione strategica nelle università con un elevato impegno nei Prin, indipendentemente
dalle loro dimensioni. Un’interpretazione potrebbe essere la necessità di
maggiori elementi di monitoraggio e controllo che bilancino le varie attività per chi investe tanto tempo nella ricerca Prin – e forse anche in quella
diversamente finanziata – rispetto a chi si dedica principalmente alla sola
attività didattica;
2) a ulteriore conferma di quanto detto, chi è più impegnato nella ricerca
Prin è anche maggiormente insoddisfatto dei sistemi informativi a supporto
delle decisioni;
3) gli atenei piccoli adottano meno i sistemi di reportistica interna. Le ridotte
dimensioni fanno forse ritenere che lo scambio informale e non strutturato
delle informazioni possa essere sufficiente al governo del sistema decisionale;
4) chi è meno impegnato nella ricerca Prin ha forme di comunicazione
verso l’esterno degli orientamenti strategici più strutturate. Questo potrebbe essere dovuto o a un effetto sostituzione a seguito di una maggiore
disponibilità di tempo o alla necessità di attirare fonti di finanziamento
differenti da quelle ministeriali e che richiedono un grado di accountability
maggiore;
5) il gruppo C “Università di medio-piccole dimensioni con impegno nei Prin
superiore al valore mediano nazionale” registra alcuni aspetti di eccellenza
per quanto riguarda:
a. il sistema contabile;
b. il sistema di pianificazione che quando non adottato centralmente viene
sostituito dai piani pluriennali dei centri istituzionali;
c. la delega tra organi politici e responsabili amministrativo-gestionali;
d. l’attenzione al monitoraggio dei processi e alla loro certificazione.
Appare quindi che migliori tecniche gestionali siano associate a una maggiore partecipazione all’attività di ricerca finanziata dal ministero. Inoltre
le pratiche manageriali sembrano influenzate dal contesto geografico: nei
gruppi di atenei maggiormente impegnati nei progetti Prin ci sono infatti
prevalentemente atenei del Nord Italia.
I risultati della ricerca inducono inoltre un’aspettativa di evoluzione del
sistema per i prossimi anni. Oltre la metà degli atenei ha in corso delle
revisioni rispetto agli aspetti oggetto della nostra indagine, mentre altri
(7%), pur non essendosi ancora mossi, ne sentono una forte necessità. Il
57% considera la pianificazione strategica molto importante, altri (34%) le
assegnano comunque un’utilità di livello intermedio.
La figura 2 mostra come gli atenei grandi che hanno anche un buon
Azienda Pubblica 3.2006
460
Saggi
Università e strategie
successo nella ricerca e gli atenei piccoli che invece hanno delle difficoltà
nei bandi Prin, ritengano importante, più degli altri, una gestione in ottica
strategica. Questo potrebbe essere spiegato dalle difficoltà incontrate dagli
atenei diversificati e con tanti studenti e dalla necessità di evoluzione delle
università con minor attività didattica, che non riescono neppure a ottenere
un vantaggio competitivo nella ricerca.
Figura 2 – L’utilità percepita dei sistemi di gestione in ottica strategica indipendentemente dalla
loro effettiva adozione
100%
90%
80%
70%
60%
Moderatamente importante
50%
Molto importante
Abbastanza importante
40%
30%
20%
10%
0%
a
b
c
d
Gli atenei italiani non pubblici possono essere considerati un quinto gruppo
dell’indagine. La loro analisi dovrebbe consentire di capire se la diffusione
della gestione in ottica strategica varia in contesti con diverso assetto proprietario e con logiche di finanziamento che si avvicinano più al mercato
che alla fornitura di un servizio pubblico.
La successiva tabella analizza le differenze tra atenei pubblici e non
rispetto ai principali processi che supportano una logica gestionale ispirata
alla strategia.
Tavola 4 – Il comportamento strategico gestionale-atenei statali e non a confronto
Atenei non statali
40%
71%
Buon livello di soddisfazione
80%
Presenza piano pluriennale
Forme di comunicazione delle priorità strategiche
Sistema informativo a supporto delle decisioni
Presenza programmazione annuale
461
Atenei statali
16%
50%
Insoddisfazione
61%
Azienda Pubblica 3.2006
Saggi
Università e strategie
Tutti gli strumenti e i processi sono quindi più diffusi e appaiono più
apprezzati negli atenei non pubblici.
Ritornando alle pratiche inglesi, grazie a contatti personali e a materiale
individuato sul web è stato possibile visionare alcuni documenti strategico-gestionali delle università (11). Questi sembrerebbero effettivamente dimostrare
un approccio al managerialismo in cui oltre a focalizzarsi sul raggiungimento
degli obiettivi si pone attenzione al coinvolgimento dei diversi attori nella
realizzazione della strategia.
I piani strategici chiariscono innanzitutto la struttura di governo dell’ateneo, la mission e il contesto di riferimento. Dopo un’analisi dei punti di
forza e debolezza, si concentrano su singole macro-aree d’intervento (ad
esempio didattica, ricerca, internazionalizzazione, rapporti con il contesto
locale) individuandone i diversi obiettivi strategici, le azioni che saranno
attuate per il loro raggiungimento, i risultati attesi definiti in termini di target
da raggiungere o processi e sotto-processi da mettere in atto in un arco
temporale ben definito. Sono poi chiaramente espresse le strategie trasversali
delle risorse umane, del patrimonio e quelle finanziarie. Generalmente i
piani sono quinquennali a scorrimento annuale.
Per quanto riguarda i comportamenti, chi assume le decisioni controlla
lo stato di avanzamento e il raggiungimento degli obiettivi, vengono inoltre
organizzati Planning Forum per la comune discussione. Annualmente viene
poi predisposto un consuntivo di attività (annual statement) che analizza
per ogni linea strategica le azioni intraprese, lo stato di raggiungimento dei
target inizialmente stabiliti e quanto ancora da attuare. Viene inoltre specificato quando gli obiettivi sono stati raggiunti con azioni diverse da quelle
previste e viene dedicata particolare attenzione agli insuccessi, cercando
di individuarne le ragioni.
La comparazione tra pratiche italiane e inglesi contribuisce a mettere in
luce come le caratteristiche manageriali del sistema universitario italiano non
siano assolutamente ispirate al New Public Management, quanto piuttosto
alla vecchia burocrazia della pubblica amministrazione e alle dinamiche
proprie di funzionamento del mondo accademico. In Italia sono pochissimi
gli atenei che attuano pianificazione strategica, in Inghilterra i piani strategici
pluriennali sono obbligatori. Per di più, l’analisi del materiale dei singoli
atenei inglesi dimostra che i loro piani hanno elevati livelli di dettaglio
e di precisione previsionale rispetto alle diverse tipologie di decisione.
Ancora, in Inghilterra il ministero, per il tramite dell’Higher Education FCE,
si occupa direttamente di individuare e dare visibilità alle buone pratiche
gestionali, in Italia il ministero non fa nulla di simile. Le università inglesi
annualmente predispongono un consuntivo di attività rispetto a ciascuna
linea strategica con chiara indicazione dei risultati raggiunti rispetto agli
obiettivi prefissati; nella maggior parte delle università italiane è invece
11 I documenti cui è stato possibile accedere sono stati quelli delle università di: Glasgow,
Essex, Goldsmiths, Kingstone, Salford, Manchester e Bath.
Azienda Pubblica 3.2006
462
Saggi
Università e strategie
scarsa l’attenzione all’analisi dello stato di raggiungimento degli obiettivi
e alla loro ridefinizione.
6. Considerazioni conclusive
Alcuni dei dati presentati permettono di fornire una risposta chiara ai quesiti
di ricerca. Il primo obiettivo era riuscire a capire quanto in Italia gli atenei
adottassero pratiche manageriali evolute. È stata dimostrata la generale
arretratezza del sistema italiano sia rispetto alla gestione orientata alla strategia, sia alle logiche di New Public Management hard. La pianificazione
è sporadica e chi assume le decisioni è prevalentemente insoddisfatto del
sistema informativo. Negli atenei non si realizza un processo di definizione
della strategia e sua comunicazione a cascata, come neppure un sistema
partecipato di definizione della strategia. Come conseguenza, non si
organizzano neppure incontri per discutere sullo stato di raggiungimento
degli obiettivi e per la revisione periodica delle priorità. Un po’ più evolute
appaiono le pratiche degli atenei privati.
Un secondo interrogativo riguardava il legame tra le prassi gestionali e
la localizzazione geografica degli atenei. Gli atenei del Nord Italia si trovano principalmente nei cluster A e C, mentre quelli del Centro-Sud Italia nei
cluster B e D. L’arretratezza è abbastanza generalizzata, ma gli atenei dei
gruppi A e C hanno una propensione all’evoluzione, sono più insoddisfatti
dei sistemi informativi che ora li supportano. Inoltre, se l’attività di ricerca
si somma a una minore dimensione in termini di numerosità degli studenti
(cluster C), si registrano delle buone pratiche nel sistema contabile, nella
pianificazione, nell’attenzione ai processi e nella gestione delle deleghe
decisionali. Pertanto la localizzazione geografica sembra avere un impatto
sulle pratiche manageriali.
Un ulteriore obiettivo della presente ricerca era la comparazione tra
le pratiche del sistema universitario italiano e quelle del sistema inglese.
Le descrizioni fornite permettono di constatare una notevole differenza:
il sistema inglese assorbe in parte le caratteristiche della prima tipologia
individuata da Ferlie (ispirata alla pianificazione centralizzata) e in parte
quelle della terza nella sua variante top-down (ispirata all’eccellenza); il
sistema italiano invece non rientra in nessuna di queste tipologie perché
non è ancora stato in grado di sviluppare al suo interno logiche di New
Public Management.
Sicuramente sono molte le variabili del sistema che influenzano le buone
prassi inglesi, prima fra tutte probabilmente la maggiore responsabilizzazione delle università verso la competitività e poi tutte quelle variabili che
determinano l’effettiva autonomia delle singole università rispetto allo Stato.
Non si può però non riconoscere che gli interventi normativi attuati dello Stato
inglese, focalizzati sugli aspetti gestionali e che hanno conciliato l’autonomia con la responsabilizzazione, hanno arrecato benefici al management
universitario e sono stati un forte incentivo al cambiamento.
463
Azienda Pubblica 3.2006
Saggi
Università e strategie
Ciò non nega che senza norme si possa comunque realizzare un processo di evoluzione per adattamento al contesto e imitazione, ma questo
rischia di essere troppo lento. Rinforza questa tesi anche il confronto tra i
risultati della presente ricerca e quelli di precedenti, sempre focalizzate sul
contesto italiano:
• il sistema di contabilità era basato sulla contabilità pubblica nell’86% dei
casi (Cinquini, Vitali, 2000), oggi solo il 25% degli atenei ha ancora questo
sistema contabile e non ha in corso progetti per introdurre la contabilità
economico-patrimoniale;
• l’analisi dei costi era a uno “stato iniziale” (Cinquini, Vitali, 2000), mentre
oggi solo il 15% degli atenei non ha una contabilità analitica o non la sta
introducendo, quasi il 60% di chi ha questo sistema contabile attua processi
di calcolo dei costi pieni dei centri istituzionali e delle attività;
• per il sistema di reportistica, si parlava di “discrete perplessità sull’adeguatezza del sistema di reporting” (Sargiacomo, 2002), oggi il 53%
degli atenei dice di avere un sistema di reporting, il 75% di questi ha dati
economici integrati da informazioni che permettono di misurare il grado di
raggiungimento degli obiettivi;
• nella definizione delle risorse da assegnare annualmente ai vari centri
istituzionali una ricerca riscontrava assenza di analisi dei costi/benefici
(Sargiacomo, 2002). I dati del presente studio, se pur rinvenendo ancora
assegnazioni sulla base di costi precedentemente sostenuti, mostrano
maggiore attenzione all’analisi di quali siano le risorse non impegnate e
quindi allocabili alle iniziative strategicamente prioritarie e alle attività che
consentono il raggiungimento degli obiettivi.
Si può quindi concludere che in Italia ancora molte riforme devono essere
introdotte nel sistema universitario e fra queste si devono studiare anche
interventi per stimolare le università a pratiche manageriali orientate alla
strategia. È necessario poi intervenire per uniformare il sistema rispetto ai
livelli di efficienza nella gestione e quindi per eliminare le differenze territoriali. Come detto nel primo paragrafo, l’Inghilterra è stata scelta anche
perché rispetto alla performance scientifica è il Paese leader in Unione
europea, la comparazione dei suoi risultati con quelli italiani associata alla
comparazione delle pratiche manageriali farebbe pensare quindi che a
pratiche manageriali particolarmente attente alla definizione, realizzazione
e monitoraggio di una strategia e di obiettivi chiaramente definiti, siano
associati migliori livelli di performance scientifica.
Questa affermazione va però approfondita, ci sono molti elementi di
sistema che possono facilitare o neutralizzare gli effetti delle pratiche manageriali. È innanzitutto necessario capire la struttura di governance dei
sistemi – intesa sia in termini di ruolo dello Stato, sia di distribuzione del
potere decisionale nelle organizzazioni –, nonché altri elementi di contesto.
Questa ricerca nell’immediato futuro si estenderà pertanto in tale direzione,
Azienda Pubblica 3.2006
464
Saggi
Università e strategie
soffermandosi con particolare enfasi su aspetti qualitativi che emergeranno
dallo studio approfondito di alcuni case-study rintracciabili nei due Paesi.
Allegato 1. Tabelle di approfondimento
Vengono presentate di seguito due tabelle utili per chi volesse approfondire e capire
meglio alcuni aspetti della ricerca. La prima mostra la composizione dei fattori che
hanno permesso di costruire la mappa ed individuare i cluster di atenei, la seconda
individua nel dettaglio le caratteristiche manageriali dei gruppi di atenei, così come
emerse dalle risposte al questionario.
Tabella 2a – Contributo delle variabili alle componenti
Docenti e ricercatori
Fondo Finanz. Ordin Miur
N. laureati
Iscritti
Dottorandi
Crediti acquisiti
Personale Tecnico Ammin
N. Corsi laurea
Assegnisti
N. facoltà
Tasso partecipazione Prin
1
0,99
0,99
0,97
0,96
0,96
0,95
0,93
0,86
0,85
0,74
-0,18
Tasso partecipazione Prin
Assegnisti
Crediti acquisiti
Iscritti
Dottorandi
N. laureati
Docenti e ricercatori
Fondo Finanz. Ordin Miur
Personale Tecnico Ammin
N. Corsi laurea
N. facoltà
2
0,97
0,16
0,11
0,07
0,06
0,04
-0,01
-0,03
-0,03
-0,09
-0,12
Metodo estrazione: analisi componenti principali.
465
Azienda Pubblica 3.2006
GRUPPO A
GRUPPO B
GRUPPO C
Grandi, Impegno nei Prin superiore
al valore mediano
GRUPPO D
466
Piccoli, Impegno nei Prin superiore
al valore mediano
Azienda Pubblica 3.2006
Piccoli, Impegno nei Prin inferiore
al valore mediano
Grandi, Impegno nei Prin inferiore
al valore mediano
Comportamenti
manageriali
• Riunioni per l’analisi degli
scostamenti tra risultati ed obiettivi:
oltre la metà organizza con regolarità
riunioni per analizzare lo stato di
raggiungimento degli obiettivi, altri
(14%) occasionalmente;
• Tra chi fa queste riunioni solo il
40% utilizza procedure sistemiche per
l’analisi e solo il 33% in passato ha
rivisto gli obiettivi in corso d’esercizio.
• Riunioni per l’analisi degli
scostamenti tra risultati ed obiettivi:
organizzate solo nel 10%, più frequenti
sono le attività di confronto occasionali
(50%);
• Non ci sono però procedure per
l’analisi sistematica degli scostamenti
e generalmente non si ridefiniscono gli
obiettivi durante l’anno (71%).
• Riunioni per l’analisi degli
scostamenti tra risultati ed obiettivi:
organizzate nel 40%, il 40% attua
comunque il confronto in altre
occasioni;
• Nessuno adotta procedure per
l’analisi sistematica degli scostamenti
e nel 67% non si sono mai rivisti gli
obiettivi in corso d’anno.
• La soddisfazione rispetto al sistema
informativo è solo sufficiente nel 71%;
• I problemi sono la qualità delle
informazioni e i costi di sviluppo
e mantenimento della struttura
hardware e software.
• Nessun ateneo è soddisfatto: l’86%
esprime un giudizio sufficiente, tutti
gli altri negativo;
• I problemi sono la sistematicità
di raccolta delle informazioni,
l’integrazione dei diversi aspetti della
gestione. Alcuni hanno poi difficoltà
anche per i costi di manutenzione e
miglioramento dei sistemi.
• Solo il 33% di questi atenei è
mediamente soddisfatto del sistema
informativo a supporto delle decisioni;
• I problemi maggiori riguardano
l’integrazione tra dati e la
sistematicità di raccolta delle
informazioni.
• Report rivolti: agli organi di governo e al
Direttore Amministrativo nel 71%, ai dirigenti,
nel 20% dei casi ai quadri e mai alla generalità
dei dipendenti.;
• No documenti differenziati per i diversi
destinatari;
• Frequenza di comunicazione: annuale nel
40%, semestralmente nel 20% e trimestralmente
nel 40%;
• Le informazioni di questi documenti permettono
di misurare lo stato di raggiungimento dei risultati
(80%).
• Nel 70% di questi atenei non c’è un sistema
di reportistica;
• Se presenti sono però rivolti a Direttore
Amministrativo e dirigenti, piuttosto che agli
organi di governo. Non ci sono invece forme di
comunicazione dei risultati né per i dirigenti di
secondo livello, né per la generalità dei dipendenti;
• Alcuni di questi atenei (33%) cercano di
differenziare i documenti per i vari destinatari;
• Le informazioni non sono solo contabili (66%).
• Nel 43% c’è un sistema di reportistica;
• I report sono sempre rivolti agli organi
di governo, meno al Rettore, al Direttore
Amministrativo e ai dirigenti (33%), mai ai livelli
organizzativi inferiori;
• Frequenza di comunicazione: semestrale,
integrano le informazioni contabili con altri
dati, ma non sono differenziati a seconda del
destinatario;
• No report differenziati a seconda del
destinatario.
• Delega tra organi di governo e
amministrativi: medio bassa nel 71%;
• Delega tra ateneo centrale e centri
istituzionali: medio alta;
• Delega tra Direttore Amministrativo e
dirigenti: è alta solo nel 14% e media
nel 71%;
• Delega agli operativi: medio-bassa.
• Delega tra organi di governo e
amministrativi: nel 57% alto e in nessun
ateneo basso;
• Delega tra ateneo centrale e centri
istituzionali: nell’29% dei casi è bassa;
• Delega tra Direttore Amministrativo
e dirigenti: alta nel 43%, mentre nel
14% basso;
• Delega agli operativi: medio-alta nel
86%.
• Delega tra organi di governo e
amministrativi: sempre medio-bassa;
• Delega tra ateneo centrale e centri
istituzionali: nel 17% è assente e nel
17% bassa;
• Delega tra Direttore Amministrativo e
dirigenti:: nel 17% dei casi la delega è
assente, negli altri molto bassa;
• Delega agli operativi: bassa.
• Comunicazione interna delle linee
strategiche: nel 67% con documenti scritti,
in tutti si organizzano riunioni tra i dirigenti,
il 50% organizza incontri anche con tutto
il personale;
• Documenti ufficiali di comunicazione degli
obiettivi all’esterno: in oltre il 70%.
• Forme di comunicazione delle linee
strategiche: il 50% utilizza qualche strumento
per la comunicazione interna. Molto
importanti sono le riunioni tra i dirigenti
(80%), mentre non si organizzano incontri
con tutto il personale;
• Le azioni per la comunicazione all’esterno
della strategia sono sporadiche.
• Forme di comunicazione delle linee
strategiche: il 67% comunica le priorità
strategiche. Le riunioni di confronto tra i
dirigenti sono presenti (50%), ma non si
organizzano incontri con tutto il personale;
• Maggiore è invece l’attenzione alla
comunicazione delle priorità strategiche verso
l’esterno, alcuni hanno anche un Bilancio
Sociale (20%), altri cercano di integrare
più strumenti, quali bollettini di ateneo e
comunicati vari.
• Piano strategico
pluriennale: nel 60% non
viene predisposto, nel 20% è
in fase di introduzione;
• Il 66% dei centri
periferici ha un processo di
pianificazione autonomo.
• Piano strategico
pluriennale: è presente
nel 16%, nessuno lo sta
introducendo;
• Il Piano non è presente in
nessun centro istituzionale.
• Piano strategico
pluriennale: adottato solo dal
28%, ma si registra forte
evoluzione il 57% lo sta
introducendo;
• Nessun centro periferico
ha un suo sistema di
pianificazione autonomo.
• Riunioni per l’analisi degli
scostamenti tra risultati ed obiettivi:
oltre il 42% di questi atenei non
le organizza, né con regolarità, né
occasionalmente;
• Chi fa queste riunioni dice di non
adottare con sistematicità tecniche
definite a priori e di non aver mai rivisto
le priorità in corso d’anno.
• Alta la percentuale di coloro che
sono insoddisfazione: 43%;
• I problemi sono l’integrazione fra le
informazioni, l’assenza di sistematicità
nella loro raccolta e i costi di
miglioramento e manutenzione.
• Report rivolti: agli organi di governo nel 75%,
ai dirigenti nel 83%, nel 67% dei casi non c’è
invece reportistica per i quadri e mai per i ruoli
più operativi;
• Report differenziati a seconda del destinatario;
• Report puramente contabile nel 17%;
• Frequenza di comunicazione: generalmente
annuale (60%), ma nel 20% trimestrale.
• Delega tra organi di governo e
amministrativi: è medio-bassa nel 70%;
• Delega tra ateneo centrale e centri
istituzionali: generalmente medio-alta;
• Delega tra Direttore Amministrativo e
dirigenti: generalmente medio-alta;
• Delega agli operativi: bassa nel 67%.
• Forme di comunicazione delle linee
strategiche o riunioni per condividere gli
obiettivi con i dipendenti: nel 50% di questi
atenei, alcuni (25%) organizzano riunioni
con tutto il personale per facilitarne il
coinvolgimento;
• Documenti ufficiali di comunicazione degli
obiettivi all’esterno : sporadici nel 43% dei
casi, nel 29% non esistono.
• Piano strategico
pluriennale: nel 71% non
viene predisposto, il 14% lo
sta predisponendo;
• No informazioni di piani
adottati da centri istituzionali
periferici
Revisione degli obiettivi
Soddisfazione per il sistema
informativo a supporto delle decisioni
Autonomia decisionale
Sistema di reportistica
Comunicazione della strategia
Pianificazione
Tabella 2b – Il comportamento strategico decisionale dei diversi gruppi – Analisi di dettaglio
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