acquacoltura rurale in aree tropicali e casi d

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acquacoltura rurale in aree tropicali e casi d
ACQUACOLTURA RURALE IN AREE
TROPICALI
E CASI D’ INTERVENTO
Appunti e commenti del dott. Lucio Grassia : [email protected]
Materiale didattico per il Master in Sviluppo Rurale – Fac. Agraria, Univ. di Padova - 2004
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1) Principi generali :
L’acquacoltura è quell’insieme di tecnologie che, se applicate correttamente nei siti idonei, permette l’allevamento
parziale o a ciclo completo di svariati organismi acquatici .
Gli organismi allevabili in acqua sono di varia natura quali pesci, crostacei, molluschi, insetti, piante, alghe, piante
e quant’altro di acquatico che abbia un valore alimentare o commerciale che giustifichi economicamente l’impresa .
Di alcuni organismi si domina la riproduzione artificiale mentre per altri è obbligatorio catturare gli individui
giovani direttamente nel libero ambiente o reperire riproduttori maturi .
Dalle finalità aziendali, dalla vocazione ambientale del luogo e dalle tecnologie disponibili è possibile selezionare tra
tante la specie più conveniente da allevare da sola o in associazione con altre (policoltura).
In genere la zootecnia moderna da reddito tende ad allevare una sola specie in un dato ambiente, ma, acquisendo
esperienza, in uno stesso bacino in terra si possono associare due o più specie di differenti livelli trofici che non
entrano in competizione tra di loro ottenendo maggiori risultati e preservando l’ambiente.
La competizione tra diversi organismi acquatici si manifesta per esempio sulla disponibilità di spazio ( acque
superficiali, profonde, sedimento ), sul tipo di alimento , sul consumo dell’ ossigeno e ,se non gestita, può causare il
fallimento dei propositi produttivi .
2) Acquacoltura e mercato :
Nell’ultimo periodo dell’impero Romano il vecchio Varrone commenta ironicamente le piscine costruite nella
roccia per allevare pesci con questa frase purtroppo ancora attuale :... quelle piscine marittime dei nobili, alle quali
soltanto Nettuno può fornire acqua e pesci, sono dedicate più agli occhi che allo stomaco e vuotano la borsa del
padrone anzicché arricchirlo ……una triste verità che per qualcuno vale anche dopo 2.000 anni !
Ma qui trattiamo di acquacoltura rurale nei tropici, pesce povero per gente ancor più povera , settore non
attrattivo e quindi le cose dovrebbero andar meglio in assenza dei grandi comitati di voracissimi squali altamente
titolati che pericolosamente nuotano nelle acque ricche di ..... finanziamenti….
Ma anche ai tropici, prima di mettersi in acquacoltura, bisogna che sia chiaro cosa allevare, perchè farlo, chi
consumerà il prodotto, come e dove produrre e qual’è l’ordine di grandezza minimo affinchè l’impresa sia
economicamente in attivo o come si dice…..sostenibile !
L’acquacoltura, come ogni altra attività produttiva, segue regole di mercato, pertanto è fondamentale effettuare uno
studio economico apposito per valutare le possibilità di consumo locale del prodotto o i mercati che potrebbero
acquisirlo.
I più pensano subito ai pesci, ma nel sud del Cile oltre 25.000 famiglie vivono coltivando, raccogliendo e seccando
l’alga “Gracilaria” che è acquistata da grossisti e poi esportata nei Paesi industrializzati che ne estraggono la gelatina
(agar-agar) e qualcosa di simile si sta sviluppando in Marocco.
Noi in Europa siamo bravissimi ad allevare le trote iridee ed altri salmonidi (carnivori) ma probabilmente pochi
africani gradirebbero mangiare le “sconosciute trote” qualora queste venissero allevate ai margini di qualche fresco
fiume di montagna africana come il Kilimangiaro !... ma non si pensi all’acquacoltura come produttrice esclusiva di
pesci come cibo: non dimentichiamo le decine di migliaia di asiatici ed africani allevatori ed esportatori di pesciolini
ornamentali e piantine da acquariofilia e citiamo pure gli allevatori di tartarughine, anfibi o di ostriche perlifere
d’acqua dolce e salata, ai vermi per farne esche da pesca anche se i veri grandi numeri appartengono alla produzione
rurale, anche se si parla di lagune ed estuari, di molluschi quali ostriche, vongole e mitili…..una produzione
sterminata di organismi filtratori di plancton dalla Francia alla Cina, dal Sud Africa a Cuba !!!
3) Acquacoltura ed impatto ambientale :
L’acquacoltura , se sapientemente applicata, è una delle zootecnie a minor impatto ambientale e di maggior resa
produttiva ma si conoscono anche molti casi in cui l’immissione incontrollata di animali e piante acquatici alloctoni
(provenienti da aree distanti ed assenti in natura nel luogo di immissione) hanno creato veri disastri ecologici ed
economici sui quali è giusto meditare.
Il maggior pericolo è quello di inserire in un ecosistema acquatico un nuovo organismo ( pesce, gambero, pianta,
parassita o altro) che, nel comodo mezzo acqueo , potrebbe diffondersi incontrollatamente alterando gli equilibri
preesistenti dell’ecosistema e di quelli ad esso collegati .
Esempi di tali disastri sono ancora riscontrabili nei tropici : l’immissione in alcuni laghi africani del Lates
niloticus, un enorme pesce predatore che ha divorato buona parte dei pesciolini locali che erano la secolare risorsa
dei pescatori (oggi i filetti del Lates li troviamo nelle pescherie italiane sotto il nome di Persico), ed inoltre la
diffusione in acque dolci tropicali e temperate del gambero astacide Procambarus clarkii (o gambero della Luisiana)
temibile divoratore di coltivazioni erbacee ( e distruttore di argini e risaie) che sta diffondendosi anche nei canali del
Nord Italia grazie a qualche “mente sopraffina” che ne ha pubblicato inesistenti virtù gastronomiche.
Per equità cito anche la diffusione planetaria colposa del giacinto d’acqua dolce Eichornia crassipes, autentico
flagello galleggiante di laghi e fiumi tropicali (ma ne ho visto anche una grande distesa sul Brenta a Mira …) e le
odiose sanguisughe che, portate dagli Spagnoli colonizzatori, ancor oggi infestano molte acque del Latino America .
La stessa acquacoltura commerciale è spesso falcidiata dall’introduzione di nuove patologie virali, batteriche o
parassitarie veicolate da mangimi, uova, avannotti o riproduttori di specie acquatiche trasportate da un luogo all’altro
del pianeta senza idonea quarantena sanitaria. Autentici stermini avvengono per l’avventatezza o la spegiudicatezza
di pochi ed una volta inserito nel nuovo ecosistema l’agente patogeno occorrono tempi lunghissimi perché se ne
sviluppi la naturale resistenza o investimenti non sempre convenienti (per chi li può fare) per produrre vaccini.!
Per ultimo ricordiamo che per allevare molti dei gamberetti che oggi noi mangiamo surgelati o nei tramezzini, nella
fascia tropicale si sono selvaggiamente abbattute immense foreste costiere di mangrovia, aree che sono state riadattate
a bacini arginati per gamberetti con gravissimo danno alla fauna marina che nelle placide lagune con mangrovie
andava a svolgere le imprescindibili fasi giovanili (nursery).
La breve rassegna di alcuni misfatti ecologici dovrebbe servire da monito ai facili entusiasmi di onnipotenza che
spesso si scatenano nell’acquacoltore neofita ai primi risultati positivi. Tali gravi danni ecologici non tolgono
comunque all’acquacoltura la certezza di essere la strada più ecocompatibile per valorizzare l’ immenso potenziale
produttivo delle acque a tutt’oggi molto poco sfruttato specialmente in quei Paesi dove del buon pesce potrebbe
alleviare la cronica carenza di proteine animali dovuta peraltro principalmente alla scarsa capacità d’acquisto delle
popolazioni rurali : con della semplice acquacoltura le proteine nobili dei pesci possono essere alla portata di tutti e a
bassissimo costo !
4 ) Campi di applicazione di un intervento acquacolturale :
Con un facile parallelismo tra la caccia e la pastorizia con la pesca e l’acquacoltura , emergono evidenti due aspetti:
a) la sempre più bassa resa della caccia e della pesca ha portato l’uomo a sviluppare pastorizia ed acquacoltura;
b) pastorizia ed acquacoltura hanno bisogno di investimento di risorse , programmazione , gestione ed attesa dei
risultati, requisisti sempre mancanti a chi non ha nulla da investire, ha urgenza di mangiare ed in genere si affida
alla sorte non avendo nulla da programmare.
Il motore di ambedue i punti anteriori è comunque il denaro : poca cacciagione porta ad un rincaro della selvaggina
che rende conveniente l’allevamento !
Ecco che spesso nei tropici sottosviluppati, pastorizia ed acquacoltura, attività pur ampiamente espandibili e
redditizie sono appannaggio dei pochi che la praticano come attività da reddito secondo i rigidi principi del
massimo profitto delle multinazionali occidentali : nell’acquacultura realizzata nei PVS spesso si osservano
realizzazioni acquacolturali di tipo industriale senza che si abbia avuto prima una fase rurale o artigianale di tale
filiera produttiva. Filetti di tilapie, gamberetti e mazzancolle, salmoni, filetti di pesce gatto ed altro sono figli delle
multinazionali che nell’acquacoltura realizzata nei PVS hanno trovato un nuovo settore d’investimento e reddito.
Ma come proporre ad un singolo indigeno spesso senza mezzi né capacità tecniche, con una progettualità che spesso
non arriva alle 24 ore, la costruzione e la gestione di un impianto di acquacoltura composto da svariati bacini di
acqua dove bisogna controllare i ricambi idrici, l’alimentazione, la lotta ai predatori ed alle patologie, la
manutenzione di argini, dighe, canale, sifoni, pompe, scarichi ecc. ecc. per goderne i frutti dopo mesi o anni ?
L’acquacoltura è un universo di tecniche diverse , con finalità diverse a seconda dei luoghi e degli organismi in
allevamento che ha un solo filo conduttore : l’acqua e le regole fisico chimiche del pianeta in soluzione acquosa.
In acquacoltura non vi sono progetti preconfezionati applicabili ovunque ma linee guida da
riadattare caso per caso.
Allevare ostriche sarà certamente più semplice e redditizio che allevare pesci ed allevare carpe è sicuramente più
facile che allevare anguille ma tutto è difficile la prima volta specie se non si ha una base culturale ed un esempio
pratico da copiare con molta umiltà e con gli opportuni adattamenti .
Gli interventi d’acquacoltura, per quanto di semplice tecnologia, richiedono notevoli energie che difficilmente il
singolo uomo rurale, se non già possidente ed imprenditore, potrà profondere : un povero pastore può anche allevare
solamente due o tre capre ma in acquacoltura non vale la pena che si investano troppe energie per qualche chilo di
pesce allevabile in pochi metri quadrati d’acqua specialmente se poi bisogna pure pescarlo perchè il bacino non è
praticabile ! .... la faciloneria dei piccoli bacini da sussistenza è stata la fossa che ha seppellito la fiducia di chi
aveva creduto che bastava gettare 10 tilapie in una vasca scavata faticosamente a mano per raccogliere dopo pochi
mesi pescioni da un chilo …..i chili c’erano ma di piccolissimi e immangiabili pesciolini !
L’acquacoltura razionale è in genere una zootecnia dove i numeri devono essere grandi .
L’acquacoltura ha il potere della vera moltiplicazione dei pesci : da una carpa di qualche chilo con facile
fecondazione artificiale si possono ottenere in pochi mesi decine di migliaia di belle carpette tutte sfuggite alla morte
certa :una per selezione naturale che riguarda oltre il 99% . Se si mette in pratica questo stupefacente potere, non si
può tralasciare il fatto che i pesci moltiplicati vanno cresciuti fino alla taglia di consumo e che questi necessitano di
cibo adeguato alle specifica natura, tecnologia, tempo e cure , il tutto condito da un grande amore per l’acqua che
deve essere mantenuta entro ambiti qualitativi e quantitativi idonei alla biomassa che ci vive dentro .
Ritengo che in primo luogo l’acquacoltura nei PVS ha molto spazio nel settore estensivo , ossia in quelle pratiche a
bassissimo investimento dove si immettono avannotti in grandi spazi naturali gestibili per la successiva raccolta del
pesce che sarà cresciuto alimentandosi naturalmente . Tale pratica ha anche la grande valenza sociale di fornire il
sostegno alla pesca artigianale ripopolando ambienti nuovi o sfruttati con le specie oggetto di pesca .
Se è pur vero che una pesca equilibrata (sostenibile) non intacca il capitale produttivo naturale, questa costosa
utopia è ancor meno realizzabile nelle acque tropicali dove non esiste il “fermo biologico” nè la certezza di mangiare
tutti i giorni .
L’acquacoltura da ripopolamento è stata di grande impatto sociale quando con i Governi e le Agenzie
internazionali come la FAO si sono incaricate di portare le tilapie o le carpe quasi in ogni Nazione dove la natura era
stata avara di specie ittiche interessanti dal punto di vista alimentare. La successiva diffusione delle tecniche di
riproduzione artificiale in avannotteria ha permesso di perpetuare l’immissione in acque libere di tali nuove specie
che ancor oggi non hanno colonizzato molti ambienti acquatici che sono rimasti tristemente improduttivi benchè
ricchi di materia organica “convertibile in pesce”.
I PVS sono costellati di ambienti acquatici artificiali non finalizzati alla pesca che spesso non vengono sfruttati
perchè non ittiologicamente gestiti . Basti pensare ai serbatoi artificiali per l’abbeverata del bestiame, per
l’irrigazione o per la produzione di corrente elettrica : se questi ambienti non vengono “seminati dall’uomo” con
specie acquatiche idonee essi non solo non produrranno pesce da consumo ma vedranno la loro qualità idrobiologica
e la vita utile danneggiata dalla mancanza di un buon equilibrio tra le componenti animali e vegetali dell’ecosistema
che esprimerà il suo squilibrio con un eccesso di piante , alghe, lumachine o altro ecc.
Nei PVS l’acquacoltura rurale deve anche scartare a priori l’allevamento per fini di sussistenza di organismi
acquatici carnivori quali trote, pesci gatto, anfibi , anguille, salmonidi , branzini, orate ai quali si aggiungerà tra poco
anche il tonno rosso (ho visto delle migliaia di piccole orate spagnole a Santo Domingo) ! Tutti questi prodotti
dell’acquacoltura europea necessitano per crescere di alimenti ad alta concentrazione (50%) di proteina nobile
prodotta essiccando pesce “povero” di ottima qualità .
La follia dello sperpero dei ricchi sta nell’ottenere un chilo di trote da quasi un chilo di farina di pesce per produrre
la quale ci sono voluti 15 chili di ottime sardine e di un’immensa capacità tecnologica nel pescare le sardine
peruviane nel trasformarle in mangime ed alimentare con esso le trote europee o i salmoni norvegesi….
Forse ci si dimentica che già i polli e le mucche occidentali non brucano l’erba ma mangiano lo stesso cibo che molti
umani vorrebbero avere : mais, sorgo, miglio, batate, soia ecc. !
Ma anche in Cile i salmoni sono carnivori come quelli Norvegesi e quindi non è cibo per i poveri del terzo mondo
ma quel salmone lo allevano per noi ricchi occidentali che lo comperiamo tra i 2 e i 4 euro kg ! E allora, scartato
l’allevamento dei carnivori perchè mangiano un cibo immorale e costoso, scartati i gamberi perchè hanno bisogno di
grandi estensioni e capitali, cosa resta di veramente allevabile in acqua per la massa rurale tropicale ? Esistono
molti manuali FAO che dicono ( in spagnolo, francese ed inglese…ah..le lingue !) cosa e come fare ma nel poco
spazio di cui dispongo è meglio far lavorare la fantasia e dare spunti attraverso due esempi che possono essere
riadattati alle singole realtà .
Descriverò dapprima un caso dove l’intervento acquacolturale, con minimo sforzo, può dare dei grandissimi risultati
potenziando o sostenendo le risorse naturali e la pesca ad esse collegata e quindi producendo cibo di qualità e lavoro .
Successivamente si tracceranno le linee generali per l’allevamento razionale di tilapie.
CASO n.1 : Invaso idrico naturale con popolazione ittica poco sfruttata .
Esiste uno stagno, forse originatosi per antico allagamento dell’area. Ha una superficie di svariate decine di ettari
ed una profondità sempre bassa , massimo qualche metro (luoghi così ce ne sono dappertutto ).
In buona parte le rive sono impraticabili per la presenza di alte piante graminacee e cannuccia mentre all’interno
delle basse acque del pantano vi è crescita della pianta acquatica infestante sommersa Elodea sp. molto conosciuta
dagli acquariofili .
Ad un paio di chilometri del luogo, vicino la strada statale vi è una comunità rurale priva di corrente elettrica di un
migliaio tra pastori (capre) e contadini. La zona è arida da un lato il mare dista 40 km ed altrettanti dal lato opposto si
estende un altipiano ben popolato.
Nella comunità rurale vivono sei pescatori che, in possesso di due precarie imbarcazioni artigianali fatte con tavole
e di una piccola rete tessuta manualmente e con pesca a mano (amo e filo di nylon) sono gli unici a pescare nel
luogo .
Per 6 giorni la settimana i pescatori all’alba catturano pesci che sono venduti in tarda mattinata agli abitanti dello
stesso villaggio .
Tra le catture dei pescatori vi sono pesci predatori carnivori ( Micropterus salmoide) , planctofagi/onnivori (Tilapia
mossambica , T. nilotica .) e detritovori/onnivori (Ciprinus carpio).
Come in ogni piramide alimentare i carnivori sono i più rari ma i più pregiati . Possono superare di poco i 2-5 kg e
sono catturati occasionalmente nella rete a soffocamento o all’amo con esca viva .
Le Tilapie sono le più comuni e si pescano facilmente: quelle catturate con la rete pesano dai 100 ai 200 grammi
essendo calibrate dall’ampiezza della maglia, mentre quelle pescate all’amo con lombrico possono anche raggiungere
facilmente i 4 -500 grammi e sono molto apprezzate. In africa selvatiche le tilapie, ma non tutte, arrivano a un paio di
chili !
Le carpe sono di facile cattura all’amo perchè ghiotte di polenta e mais tenero ma nonostante il peso di ogni carpa
sia superiore al chilo ed arrivano a superare i 20 kg, queste non sono molto gradite per il sapore fangoso e per le
molte spine. A meno di tradizioni natalizie balcaniche o altri casi particolari le carpe sono gli ultimi pesci a trovare
un acquirente .
I pescatori quasi sempre vendono essi stessi tutti i 15 -50 kg di pesce catturato giornalmente e con il ricavato
riescono a vivere mediocremente. Occasionalmente lavorano anche come contadini a giornata.
OSSERVAZIONI SUL CASO n.1:
- Esiste un ecosistema ittiologicamente discretamente bilanciato . Le tre specie principali di pesci occupano livelli
alimentari diversi che si integrano a vicenda . Il fatto che vi siano tilapie di buona taglia (oltre i 200 grammi) indica
che non vi è una sovrappopolazione di queste grazie alla predazione realizzata dal Micropterus sulle piccole tilapie.
- Il cibo disponibile è sufficiente alla fauna ittica anche per quella da fondo come le carpe . Tale affermazione
scaturisce dall’osservazione del colore verde dell’acqua e della sua torbidità che pernette la visione a soli 80-100 cm.
- Fortunatamente il predatore non appartiene a quelle specie che giungono a taglie di decine di chili (Lates, Siluro
ecc) possedendo una bocca immensa in grado di divorare pesci di qualunque taglia .
- Nessuna delle specie ittiche pescate è autoctona del sito ma sono pesci importati ed immessi in anni passati .
- Lo Stagno è grande , riceve stagionali apporti idrici e può permettere un prelievo ittico molto più cospicuo senza
rischio di intaccare “il capitale biologico” , cosa che si manifesterebbe con una sensibile diminuzione delle catture e
con la riduzione della loro taglia media ( over-fishing o eccesso di pesca ).
- La popolazione locale è abituata a consumare il pesce ma non possiede sistemi per conservarlo ( frigo, salatura,
affumicatoi...) .
- I pescatori vendono giornalmente tutto o quasi tutto il pescato . Quindi se stimiamo un chilo di pesce per un nucleo
di sei persone, prendendo come media una cattura di 25 kg/giorno, ogni giorno avremo in media 150 persone che
mangiano pesce quindi su sei giorni di pesca avremo che circa 900 persone hanno consumato pesce una volta la
settimana .
Poichè alcune persone di certo non amano il pesce ed altri non hanno i mezzi per comperarlo settimanalmente, nel
villaggio alcune persone hanno mangiato il pesce più di una volta la settimana ( il paese ha un migliaio di abitanti) .
PRIME CONCLUSIONI SUL CASO n. 1 :
Lo stagno può fornire molto più pesce ma sei pescatori , male attrezzati ed a tempo parziale, già soddisfano le
richieste del loro unico mercato ed appena mantengono se stessi vendendolo direttamente . Il poco quantitativo di
pesce trattato , soddisfa il mercato chiuso e non permette la nascita di un indotto dove utili intermediari possano
migliorare la distribuzione ampliando il mercato ed incrementando la richiesta di pesce .
PROSPETTIVE D’INTERVENTO SUL CASO n.1 :
Nella situazione prospettata, favorire l’ incremento della pesca o convertire dei terreni inutilizzati in bacini per
piscicoltura è sconveniente: già nello stesso stagno si potrebbe pescare di più e meglio ma il mercato è saturo .
Chi pensasse che il luogo non è idoneo ad un intervento di cooperazione rurale e che è meglio costruire bacini da
acquacoltura a 50 chilometri lontano dal pantano pescoso SBAGLIEREBBE di grosso perché nel caso in oggetto
esiste già la base culturale e vocazionale per un positivo intervento di acquacoltura integrata alla pesca .
PROPOSTA D’INTERVENTO RURALE :
Si dovrà creare una Struttura con funzioni Direttive dotata anche di un piccolo capitale di rotazione .
La Struttura si incaricherà di :
a) reperire nuovi mercati esterni al villaggio per il collocamento del pesce inviando venditori semisalariati;
b) organizzare la raccolta centralizzata del pescato, curando la selezione, classificazione per taglie e specie ed
acquistando e pagando subito tutto il pesce pescato a prezzi preconcordati per quantità, qualità e taglie minime
definite. Fissa inoltre un orario di consegna del pescato compatibile alla programmazione della vendita.
c) esigere la migliore igiene del pescato (rapida eviscerazione, lavaggio ecc) per dilatare al massimo la
commerciabilità ;
d) organizzare il trasporto rapido e costante del pescato da distribuire personalmente o tramite intermediari locali
pescato nei nuovi mercati privi di pescato in tempo utile per il consumo domestico;
e) dotarsi di proprie attrezzature di pesca selettiva (attrezzi a maglie larghe) e non distruttiva da far utilizzare a
pescatori esterni o interni calmierandone il numero o la turnazione ;
f) provvedere direttamente alla trasformazione del pescato (essiccamento, salatura, affumicatura) in base al
gradimento dei consumatori ed alle eccedenze della vendita del fresco ( incremento dell’occupazione locale
femminile) ;
g) provvedere alla costruzione e gestione di semplici bacini in terra argillosa tra i 50 ed i 200 mq cad, che
saranno riempiti d’acqua ( prof. max 120 cm) , ed impesciati con 2-3 esemplari/mq di tilapie riproduttrici di peso
oltre i 150-200 g (rapporto sessi 3-4 femmine x 1 maschio) . Tali bacini saranno costantemente fertilizzati con
oculato spandimento di letame che innescherà e manterrà la catena alimentare per il buon sostentamento degli
avannotti che le tilapie produrranno in continuazione ( nei tropici 6-8 deposizioni all’anno con incubazione orale
delle 500 - 3.000 uova prodotte ).
Periodicamente gli avannotti saranno pescati con delle reti a maglia molto fitta e verranno trasferiti nello stagno per
incrementare la popolazione naturale e permettere un maggior sforzo di pesca .
h) poichè la sussistenza del Centro è legata alla buona produttività dello stagno , esso provvederà inoltre a vigilare
per la corretta gestione provvedendo a limitare l’espansione della vegetazione ripariale e sommersa .
Il controllo può essere realizzato con sfalcio e raccolta manuali, con tecniche biologiche immettendo pesci
macroerbivori (Carpa erbivora Amur o Ctenopharigodon idella) o attraverso un uso molto controllato di erbicidi da
contatto o sistemici a rapida degradazione.
Nel caso presentato , la parte di intervento acquacolturale è fondamentale per sostenere un ciclo produttivo che
utilizza una risorsa rinnovabile , ne potenzia la produttività ed aggiunge valore aggregato al pescato trasformandolo e
creando un indotto di occupazione stabile . Non si trascuri il valore dietetico della diffusione del consumo del pesce.
CASO N° 2 . L’allevamento ittico razionale in vasche di terra .
In alcuni Paesi dell’area dei Caraibi l’allevamento a fine commerciale delle più apprezzate tilapie nilotiche inizia
alla fine degli anni ‘70 e subito è andato in fortissima espansione competendo per redditività con altre attività
zootecniche.
Aspetti fondamentali del successo sono stati :
- l’importazione di avannotti di Tilapia nilotica di colore chiaro ed a maggior crescita della T. mossambica ;
- la tecnica di allevamento che rigidamente si basa sull’allevamento in vasche di terra dei soli maschi ;
- l’abitudine a mangiare pesce .
Se i bilanci presuntivi tra spese e ricavi risultano positivi , il progettista saputa la mèta produttiva finale
( tonn/anno), calcolerà in base a questa tutte le infrastrutture necessarie : numero ed area dei bacini, canali, linea di
approvvigionamento e smaltimento acque, punto di captazione idrico, filtri, ed attrezzature per condurre l’impianto .
Basilare è la scelta del sito : se questo non è naturalmente vocato non lo diventerà mai ed i costi di adegamento
saranno enormi. Può essere più conveniente comperare un terreno vocato che non costruire un impianto su un’area
gratuita .
Scelta un’area pianeggiante o in leggero pendìo, con terreno argilloso, provvista di una fonte di
attingimento idrico quale una derivazione da un fiume perenne, oppure acqua pompata da fiume, lago o meglio da
pozzo. Ci si accerterà che la qualità e la quantità dell’acqua disponibile sarà sempre idonea agli obbiettivi produttivi
( tot. tonn/anno) e di servizio dell’impianto.
Si realizza la planimetria dell’area che in genere per le tilapie prevede un utilizzo percentuale dello specchio
d’acqua così suddiviso :
6 % piccoli bacini per riproduttori e raccolta novellame ;
24 % bacini medi per preingrasso avannotti da sessare (maschi separati dalle femmine);
70 % bacini grandi per ingrasso finale dei maschi sessati .
Un impianto piccolo-medio ha circa 2-8 ha. di specchio d’acqua . Il possesso di una sola vasca per uso
acquacolturale di tilapia presuppone che in essa si immettano solamente individui maschi altrimenti le tilapie si
riprodurranno di continuo producendo molta biomassa ittica immangiabile perchè di pezzatura troppo piccola e, per
quanto si possa aspettare, i pesci non cresceranno mai oltre i 50- 60 grammi ! ...e se i pesci piccoli sono pure spinosi
nessuno li mangia……!!!
Allevando tilapie solo dall’allevamento monosessuale si avrà prodotto da mercato che, come di norma, viene
stimato in kg/mq/anno e mai in metri cubi di acqua . L’obbiettivo produttivo viene calcolato sulla superficie delle
vasche destinate all’ingrasso finale e quindi tutta l’infrastruttura a monte (riproduzione e preingrasso) viene
calcolata di conseguenza in base all’obbiettivo finale.
Ogni vasca rettangolare sarà indipendente ed impermeabile ( max 10% di perdita in 24h) perchè realizzata con
terreno (anche di riporto) almeno discretamente (min. 25-30%) argilloso, circondata da argini dal bordo interno
molto meno ripido di quello esterno (per evitare l’erosione), profonda al massimo poco più di un metro, senza nulla
dentro che non siano acqua e pesci.
Il fondo, perfettamente liscio e pulito sarà leggermente inclinato lungo l’asse maggiore verso lo scarico fatto con un
tubo in pvc o terracotta posto alla quota minima per una periodico (ogni 2-4 anni) totale prosciugamento anche se
non prolungato per evitare la formazione di fratture dell’argilla e quindi percolazioni. Dal lato opposto vi sarà
l’entrata d’acqua (che non deve sbattere direttamente sul terreno ma su un sasso per non erodere) con canaletta di
adduzione (ed eventuali tavole con funzione di “chiusa” o con un tubo in pvc regolato da una valvola. Le vasche più
piccole sono di qualche decina di metri quadrati mentre quelle più grandi, da ingrasso finale, sono sui 3-6.000 mq.
Una vasca rettangolare per l’acquacoltura in genere non si scava mai come una buca nel terreno ma è in realtà
un’opera di sbancamento parziale del suolo superficiale argilloso (i primi 30-40 cm) che verrà accatastato sul
perimetro esterno perfettamente compattato per formare gli argini perimetrali alti circa 150-180 cm. in modo da
contenere acqua per 120-150 cm. Ovvio che il primo strato vegetale viene scartato o se idoneo, riutilizzato subito per
coprire con un manto erboso gli argini e così proteggerli dall’erosione esterna ed interna. ( Le zone acquitrinose
naturali sono spesso i luoghi meno indicati per l’acquacoltura razionale perché ingestibili a meno di grossi
investimenti per drenaggio ecc., vanno anche scartati oltre ai terreni troppo permeabili quantomeno anche quelli
solfato-acidi ).
Sarebbe ideale che ogni bacino potesse disporre all’occorrenza di una portata idrica tale da poter essere riempito in
pochissime ore. In condizioni normali la portata idrica dell’intero impianto dovrebbe poter garantire
contemporaneamente ad ogni bacino un ricambio giornaliero di un 5-10% della massa idrica .
L’acqua in uscita da una vasca non dovrebbe mai entrare in un’altra a meno che non sia ancora di buona qualità ma
in tal caso perchè farla uscire ? Forse le vasche sono a cascata in un pendio? E’ possibile ma non sempre è
conveniente. Meglio l’indipendenza idrica di ogni vasca : miglior gestione, nessun contagio, ecc.
Ricordo con amore un impianto dove l’acqua pompata settimanalmente da un fiume veniva raccolta in un grande e
profondo laghetto sopraelevato . Dal fondo di questo per gravità l’acqua entrava in una condotta principale in pvc
che era intercettata da due recipienti pieni di ghiaia con funzione di filtro meccanico utile per eliminare pesci e
vegetali indesiderati aspirati nel fiume.
Dopo aver superato i filtri l’acqua era ripartita in condotte singole per ogni bacino, ognuna con un sistema di
chiusura e regolazione del flusso. Tutte le vasche erano affiancate a schiera con un argine in comune e, dal lato degli
scarichi, un canale di raccolta convogliava le acque reflue in un grande e profondo laghetto di raccolta che serviva
all’irrigazione agricola ed all’abbeverata di capre : un ottimo esempio di progetto intergrato di agro-acquacoltura .
…il più delle volte, se non si può scegliere, la situazione ideale resta nell’ambito dei desideri e ci si adatta alla realtà
del momento.
La produzione ittica massima è il risultato empirico di molte condizioni infrastrutturali ed ambientali :
temperatura, livello di parassitosi, quantità e qualità dell’alimento fornito, disponibilità di ossigeno in acqua , quantità
e tipo di predatori e competitori : più si ammassano i pesci più fragile è il sistema e maggiore sarà la richiesta di
apporti tecnologici : agitatori elettromeccanici, ossigenatori, mangiatoie automatiche, farmaci ecc. .
E’ veramente improbabile che le tilapie possano morire per anossia, ed è impossibile che muoiano per fame ( il
pesce lungodigiunante si riconosce perchè appare “testone”). Se vi fossero delle morti (improbabili) verificate la
situazione sanitaria (vermi branchiali ecc) o i predatori quali le ninfe di libellula ed altri ospiti indesiderati .
Chi aspetta i problemi per risolverli e non effettua un monitoraggio preventivo ha molto da imparare e da rischiare !
Le tilapie da mercato di taglia “commestibile” si ottengono solamente evitando la continua e dispendiosa
riproduzione e la successiva incubazione orale. I maschi , oltre a preparare inutili nidi sul fondo dovranno soltanto
mangiare e convertire bene l’alimento . Il cibo arriva da due fonti :
1) naturale : ottenuto mantenendo fertili le acque del bacino con opportune solubilizzazioni omogenee di
fertilizzante (letame o chimico) in quantità tali (chili) che l’acqua diventi verde con una torbidità tale da non
far vedere le dita di un braccio immerso fino al gomito ( 30-35 cm) .
Tale torbidità oltre a produrre cibo blocca anche la crescita delle sgradite piante acquatiche ed essa va controllata
giornalmente : quando questa decresce si aggiunge qualche chilo di fertilizzante sapendo che quello chimico è
efficace dopo pochissimi giorni ma ha breve durata poco mentre quello organico ne necessita una decina ma ha un
effetto più duraturo. La produzione fitoplanctonica sostiene tutta la catena alimentare .
2) artificiale : dispensato automaticamente o in più razioni al giorno i pesci mangiano l’1-2 % del loro peso in
mangime secco di diversa composizione e origine.
Ricalcolando settimanalmente la biomassa presente, si fornirà un alimento anche scarsamente proteico sempre in
una composizione che non si disperda in acqua (polveri) e che quindi non inquini l’acqua e sia captabile dai pesci.
Se si usano pastoni umidi (che non si sciolgano subito in acqua !) aumentare proporzionalmente la dose giornaliera.
Un buona popolazione fitoplanctonica (acqua verde o marron ) assicura inoltre un’efficiente ossigenazione finchè
c’è luce e si ha fotosintesi . Se i consumatori di ossigeno in acqua sono troppi (pesci e batteri) l’ossigeno può mancare
verso le prime ore dell’alba ma le tilapie si salveranno boccheggiando felicemente in superficie.
Poichè per crescere molto bisogna vivere bene e non al bordo dell’asfissia, sarà opportuno immettere acqua ricca in
ossigeno (sbattuta su una tavola o spruzzata a pioggia) nelle ore più critiche. Ricordarsi che l’acqua più e calda
meno ossigeno può contenere e che più è calda e più è leggera e quindi galleggia su quella più fredda (esiste una
facile tabella in proposito, sempre da consultare e vari metodi per conoscere temperatura ed ossigeno disciolto).
Nei tropici i bacini devono essere meno profondi che nei Paesi temperati perchè essendoci sempre un clima caldo
l’acqua resta sempre stratificata (calda sopra e fredda sotto) e in assenza di mescolamento può verificarsi un
pericoloso impoverimento d’ossigeno sul fondo. La stratificazione è interrotta dal vento, da sbattimenti o
dall’immissione di acqua più fresca che, essendo più pesante, andrà sul fondo provocando la fuoriuscita dal troppo
pieno (uscita per sfioramento) di quella superficiale più calda ( e più ricca in fitoplancton) .
L’ossigeno ed il cibo regoleranno la crescita delle tilapie che saranno pescate selettivamente quando peseranno 150250g con una rete a maglie fitte ( lato 1 cm o meno ) ed a fili grossi (che non feriscono i pesci) strascicata dalla
superficie al fondo, da lato a lato lungo l’asse maggiore del bacino.
A titolo di esempio indico alcuni dati dell’impianto indicato negli schemi :
1)
Bacini per produzione avannotti da 0,5 - 1,5 grammi :
Immettere 0,7 - 1 riproduttore di taglia omogenea 200-400 g. in rapporto 1 maschio ogni 3 femmine.
Raccogliere con reti sottilissime (tipo tulle o zanzariera morbida) gli avannotti ogni settimana. In un anno sono
stati prodotti oltre 4 milioni di avannotti da 1 grammo utilizzando a tal fine un ettaro di acqua (diviso in piccoli
bacini) utilizzando 4-5 t. di alimento.
2)
Bacini di preingrasso con avannotti da sessare ai 20-30 grammi :
Immettere 180.000 avanotti/ha ed alimentarli fino alla taglia utile per il riconoscimento visivo del sesso.
Effettuando pescate periodiche si selezionano gli esemplari già a taglia (20-30g) che vengono sessati manualmente.
Le femmine, riconoscibili per la presenza dell’orificio dell’ovidotto accanto la papilla genitale, vengono scartate
( sacrificate ed utilizzate nel pastone o immesse in acque libere ) mentre i maschi vanno al terzo bacino, quello d’
ingrasso finale.
Per imparare a sessare bene si può usare una lente monooculare da orologiaio oppure evidenziare la papilla con uno
scovolino al blu di metilene e leggera pressione tra le dita . Conviene multare i sessatori poco diligenti .
Il sessato manuale può essere eliminato in tre condizioni :
a) ingrasso in bacini con presenza di una opportuna popolazione di pesci predatori di taglia proporzionale in modo
che predino solamente tutti gli avannotti ( buon sistema in acque libere o acquacoltura estensiva).
b) allevamento dei due sessi in gabbie galleggianti ormeggiate in bacini o in laghi. In gabbia l’incubazione orale
delle uova viene impedita dal fondo di rete perchè le uova emesse si disperdono morendo;
c) mantenere i riproduttori in culle di rete zanzariera ( 1-3 mq) dentro l’acqua in un bacino.
Recuperare periodicamente dalla bocca delle femmine le uova embrionate o le larvette lunghe circa 0,5 cm. o meno.
Trasferire uova e larve in piccoli recipienti gestiti in modo che possano mangiare solamente un alimento preparato
che contenga l’ormone mascolinizzante 17 alfa metil testosterone (si trova anche in farmacia) previamente diluito in
alcool e opportunamente miscelato al pastone che può essere poi congelato o essiccato .
Tale trattamento se fatto in tempo e proseguito per 3-4 settimane provocherà la reversione sessuale delle femmine
genetiche e gli avannotti saranno tutti (?) maschi .
3)
Bacini da ingrasso finale : raccolta dai 200 grammi :
I giovani maschi vengono immessi alla densità di 1,5 /mq ed in 13- 15 settimane se ben nutriti con alinento
artificiale pari al circa il 2% della biomassa arriveranno ai 180-260 g., ideali per il consumo umano, con un raccolto
del 90 % degli individui . Se si riducono gli intervalli tra la pesca di un lotto in ingrasso e la semina del successivo,
un ettaro di bacino da ingrasso finale di tilapia nilotica produce da 6.100/kg/anno a 7.500/kg/anno con un
coefficiente di conversione alimentare oscillante tra 1 e 1,5 utilizzando alimento secco ed acqua fertilizzata
periodicamente con letame .
Chi volesse aumentare considerevolmente la produzione mantenendo uguale l’area dovrà ricambiare molta più
acqua (con perdita di fertilità) ed aggiungere sbattitori/ossigenatori per mantenere artificialmente il sistema bioossidativo ( con O2 liquido si arriva a livelli di 100 kg/pesce per m. cubo di acqua ma costa troppo !) .
Dati non miei ma di mia completa fiducia ( L.Lowshin) riportano che in Israele si sono ottenuti i seguenti valori:
Densità di semina : 80.000 unità/ha
Peso medio iniziale : 150 grammi
Peso medio finale 363 grammi
Biomassa finale : 28.750 kg
Produzione netta : 16.750 kg
Sopravvivenza : 99%
Indice di conversione alimentare 2,2 :1
Durata della prova : 100 giorni
Alimento : pellet con 25% di proteina animale
Uso di agitatore/ossigenatore
CONCLUSIONI : Avendo riferito dati veri (anche se del 1985 e quindi migliorabili) e non ottenuti in una
comoda bacinella universitaria da 10 litri (e poi moltiplicati per 1.000.000 ) domandatevi quale altro allevamento
zootecnico terrestre può fornire alle stesse condizioni produzioni proteiche equivalenti a così basso costo ! …la
risposta esiste : NESSUNO ! ……e perché non se ne parla ??? Semplice ! Perché non fa fatturato !!! Niente mangimi
delle multinazionali, niente miliardi in tecnologie, niente super-esperti accademici, niente mega-finanziamenti dalle
banche, insomma solamente lavoro, buon senso, proteine nobili a basso e reddito rurale !
Ci raccontano che Gesù abbia moltiplicato dei pesci ? Quali ? Secondo i riferimenti storici quei pesci in effetti erano
della specie Tilapia galileae, ancor oggi pescate ed allevate in Israele con il nome di pesce San Pietro : ... nemmeno
Chi avrebbe potuto moltiplicare dal nulla i tonni o i salmoni volle ingannare gli ingenui e quindi, fuori da ogni
logica di mercato, forse per questo, moltiplicò le tilapie !
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Per riferimenti bibliografici, commenti ed estratti su argomenti specifici, scrivere al biologo Lucio Grassia
via V.Cazzato 1, 35129 Padova oppure c/o SiVTRO , I.Z.S delle Venezie , Legnaro, Padova o telefonate allo
049-691578 . e-mail: [email protected] ; cellulare 335 5426741 .