Il marañón - TERRE di MEZZO
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Il marañón - TERRE di MEZZO
Ascolta una storia che viene da lontano “ una storia lontana narrata da un oggetto” Concorso nazionale di scrittura per ragazzi MENZIONE SPECIALE PER LO STILE E LA CREATIVITÀ Istituto comprensivo G. Verdi, Firenze Il marañón Antefatto Stamani siamo in un’aula della nostra bella scuola, la Verdi, a Firenze: oggi in I D, domani in II D e scriveremo tutti insieme un bel racconto. Marisol frequenta appunto la prima classe nella sezione D e Christopher, la seconda classe della Seconda D; sono fratello e sorella e vengono da un paese lontano, perduto nella carta geografica che rappresenta il planisfero. Santo Domingo è la capitale della Repubblica Dominicana, che a sua volta fa parte dell’isola caraibica di Hispaniola, seconda per dimensioni (la prima è Cuba) e posta nelle Grandi Antille. Questa isola confina a ovest con la repubblica di Haiti, è bagnata dall'Oceano Atlantico a nord e dal Mar dei Carabi a sud. A est, il canale della Mona separa la Repubblica Dominicana da Porto Rico. Per dirvi quant’è lontana da noi l’America Latina! Marisol spiega che l’anno scorso, per venire in Italia con l’aereo da Santo Domingo e dopo aver fatto una tappa a Madrid di qualche ora, ci sono volute 8 ore di volo: per essere precisi, aggiunge Christopher, siamo partiti il 17 di marzo del 2012 alle 21,00 di sera e siamo arrivati a Firenze alle 12,00 del 18 marzo del 2012. Noi veniamo da un piccolo paese a qualche ora dalla capitale, che si chiama La Vega e si trova a due ore di pullman da Santo Domingo; Christopher dice che ce ne vogliono quattro. La storia “Buenas: volevo dire buon giorno, sono il frutto Marañón:. Mi presento: esternamente sono rosso o arancione, dentro tutto bianco. Ognuno di noi ha un seme interno grosso come una ciliegia. Il nostro sapore è unico, dolce e buono, simile a quello di una pera dell’Occidente, ma più particolare. Anche la buccia ha il sapore dell’interno. L’albero che ci produce, dovreste vederlo! E’ alto e grande, ha un tronco enorme e lo trovi dappertutto, in campagna e in città. Veniamo mangiati anche con il sale:. Il Marañón, cari miei, non è solo: io ho altri compagni strani come me: il guanàbana, rotondo, bianco dentro, verde fuori, che ha invece tanti semi al suo interno, è grande quanto un melone. Cresce su un albero grosso e grasso, gordo, per dirla in spagnolo. Poi c’è la guallaba, che sa di pera, e può essere grande o piccola, verde fuori, rosa dentro, ma se diventa rossa è talmente aspra che è difficile mangiarla. Ha dentro quattro semi. Non scordiamoci che il frutto Marañón è usato anche come pianta medicinale: foglie e radici servono per guarire molte e diverse malattie, tosse, diarrea, sterilità, per citarne qualcuna. Scusate, mi sto deconcentrando:. Voglio raccontarvi una storia davvero fantastica! I fatti che vi descriverò narrano le avventure di Pepito, un bel ragazzino delle nostre parti, furbo e pigro. - Pepito!- Lo chiamò un giorno come un altro la mamma che gridò: - Pepito! Smetti di giocare, devi andare a fare la spesa, io ho da fare nei campi! -. Pepito era un ragazzo gioioso (alegre), basso di statura, magro, di carnagione scura, capelli ricci castani e occhi marroni. Gli piaceva tanto giocare a palline con gli amici. Queste palline sono come biglie, di vetro, da noi e ci si gioca così: a qualche metro, sul terreno, si scava una buchetta e si mettono le palline. Ogni giocatore ne lancia da lontano una dentro. Questa pallina deve colpire fortemente quelle che sono contenute nella buchetta e nell’urto, se qualche pallina ne viene scagliata fuori, diventa proprietà di chi l’ha lanciata. La madre chiese a Pepito di andare al mercato a comprare dei fagioli e un bel pezzo di carne da mangiare per cena. Gli dette dei pesos. Pepito si incamminò verso il mercato, ma trovò i suoi amici in strada che giocavano a palline e che lo chiamarono. Pepito non se lo fece dire due volte, si mise a giocare con loro e, ovviamente, perse tutti i soldi che la madre gli aveva dato. Allora non sapeva cosa fare, tornare indietro e confessare tutto alla mamma non era possibile, aveva timore delle busse. Cosa fare? Gli venne in mente un’idea: andò da una vicina di casa e le chiese in prestito un grosso coltello, quello affilato e utilizzato per tagliare la carne e, zitto zitto, andò al cimitero del paese. Entrò dentro, cercò la lapide con la fotografia o il ritratto di un morto che gli sembrasse abbastanza simpatico e buono e:. Beh, qui la storia si fa un poco paurosa, ma so che la ascolterete. Pepito dunque riuscì a trovare la lapide giusta, scavò la terra per raggiungere la bara, la aprì forzandola e ignorando del tutto il senso di nausea che gli veniva dal toccare e rigirare un morto, gli tagliò un bel pezzetto di carne dalla natica destra e avvolgendolo nella carta se lo mise nella tasca dei pantaloni. Richiuse con attenzione la bara, la ricoprì con la terra ed uscì fischiettando dal cimitero, pronto a tornare a casa. Per strada raccolse alcuni sassolini un poco scuri, perché li voleva fare passar per fagioli. Giunto a casa, la mamma gli chiese la carne e i fagioli. - Li voglio cuocere adesso – disse – sono le tre del pomeriggio, così alle sette di sera, cenando, mangeremo queste buone cose -. Pepito consegnò il tutto. La mamma preparò la cena e dopo il pasto, lei e il figlio si prepararono ad andare a letto. Pepito si sentiva tanto in colpa e prima di andare a dormire, sbucciò due gustosi marañón , per sé e la madre, per rifarsi la bocca, rendendosi conto soltanto ora di quanto aveva fatto. Erano le 10 di sera. La mamma già dormiva e russava, ma Pepito, disteso sul letto in camera sua, era ancora sveglio e non riusciva a dormire; una strana inquietudine lo aveva preso. Sentì degli strani rumori venire dalla cucina e piano piano si diresse nella stanza per vedere cosa fosse quel rumore. Lì c’era il fantasma del morto al quale aveva tagliuzzato un pezzo di natica che lo rincorse per tutta la casa, agghiacciante e terribile adesso, quanto era amabile e simpatico nella fotografia. - Pepito, dove sei? In salotto? Ora ti prendo! – e vedendolo correre tutto impaurito lo inseguiva quasi barcollando. - Pepito, dove sei? In bagno? Ora ti agguanto! – intanto il ragazzo andava da una parte all’altra della casa:. - Pepito, sei un vigliacco, dove sei? Sei andato in camera della mamma sotto il letto? Vieni fuori, devo vendicarmi del fatto che mi hai tagliato un pezzo di carne senza chiederlo e poi tu e tua madre l’avete mangiato! Pepito! Non hai rispetto per i morti? -. E andava dietro al ragazzo con le mani in avanti pronte ad acciuffarlo. - Pepito, sei in camera tua? Chiedi perdono o appena ti metto le mani addosso ti porto con me! -. E via, dietro, lo rincorreva dappertutto. Il ragazzo, che si era rifugiato in camera sua vide aprire lentamente la porta e appena si trovò davanti il fantasma del morto che stava per prenderlo per il collo della camicia, si inginocchiò, si scusò e si scusò, giurò di non fare mai più un’azione simile, chiese al morto di perdonarlo, perché era davvero pentito. Il fantasma accettò, ma per riparare il torto subito, gli ordinò di portare un grosso cesto di marañón alla figlia sposata, povera in canna e qualche soldo. Pepito non si azzardò a fare il furbo e, tirando fuori una cassettina dall’armadio dove aveva riposto i denari che qualche tempo prima aveva vinto agli amici quando giocava a palline, assicurò che li avrebbe portati alla figlia povera assieme ai frutti rossi e dolci. Il morto ne fu contento e sembrò si fosse calmato, tanto da perdonare il ragazzo. Fortuna poi che l’alba portò la luce del sole; la luce mandò via il fantasma e con lui, tutte le paure e i timori che agitavano Pepito. Pepito fece quanto aveva promesso. Si recò presto presto a casa della figlia del morto le consegnò la cesta con i frutti e i pesos guadagnati con il gioco, dicendole che glieli donava, perché l’aveva promesso al padre morto. La figlia ne fu felice, non fece domande e lo ringraziò. Mentre tornava a casa, passando dal cimitero, gli sembrò di vedere una luce provenire dalla tomba del morto e si sentì più leggero. Appena entrò in casa la mamma gli andò incontro tutta raggiante: -Pepito! Che cena buona ieri sera; i fagioli ho dovuto buttarli via, erano troppo duri. Ma la carne! Vai a comprarne ancora al mercato, era così buona!-. A quelle parole il ragazzo corse via con tale velocità, da lasciare la madre muta e stupefatta. Imparò però la lezione e non fece mai più alcuna azione di cui pentirsi. O almeno mi sembra, perché ebbe tante altre nuove avventure:”. Delle classi I e II D.