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Aborto e patologia del trofoblasto
Aborto
Per aborto si intende l’interruzione di gravidanza prima che il prodotto del concepimento abbia raggiunto la
capacità di vita autonoma; per convenzione, valutando la sopravvivenza in funzione dell’epoca di parto e
vedendo che a 24 settimane il 30% dei feti sopravvive, contro il 100% a 32 settimane, si ritengono
necessarie 23 settimane all’acquisizione di capacità di vita autonoma.
L’aborto può essere spontaneo vs provocato e sporadico vs ricorrente; quest’ultimo mostra una probabile
predisposizione materna, al contrario di quello sporadico, che non è preoccupante.
L’incidenza degli aborti spontanei, varia in funzione dell’epoca di gravidanza:
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Gravidanze pre-cliniche, cioè entro 2 settimane dal concepimento, senza interruzione del ciclo
mestruale della donna: 22% di aborti spontanei.
Gravidanze cliniche, cioè gravidanze riconosciuti come tali dal dosaggio dell’HCG e dalla mancanza
dell’ultima mestruazione: 12% di aborti spontanei
Gravidanze confermate dall’esecuzione di un’ecografia, positiva per battito fetale: 2% di aborti
spontanei
Gravidanze oltre la 16° settimana: <1%
Questi dati sull’aborto spontaneo dimostrano però come la specie umana non sia particolarmente fertile.
Per quanto riguarda la causa dell’aborto spontaneo questa è quanto mai varia: nel 70-80% dei casi si tratta
però di anomalie congenite nel feto, per la presenza di cromosomopatie, che determinano selezione
naturale, con morte del prodotto del concepimento: queste non hanno nulla a che vedere con la donna,
che può essere dunque rassicurata in una certa misura. Altre causa possono essere la presenza di malattie
materne (disendocrinopatie, stress fisici e psichici, endometriosi o flogosi dell’endometrio), malformazioni
uterine, deficit della fase luteale, infezioni (rosolia, toxoplasmosi, herpes, CMV), malattie immunitarie,
tossici, radiazioni e teratogeni.
Da un punto di vista clinico l’aborto spontaneo si presenta con perdita di sangue, dovuta al distacco parziale
della camera gestazionale, con rottura di vasellini della parete; successivamente si ha espulsione del
prodotto abortivo con contrazione uterina, che può provocare anche dolori addominali crampiformi. Nelle
fasi precoci di gravidanza si ha espulsione del sacco gestazionale in toto assieme alla decidua, mentre più
tardivamente, dopo la differenziazione placentare, è sempre più probabile che si verifichi ritenzione di
residui ovulari. L’aborto spontaneo può essere classificato in:
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Minaccia di aborto: perdita di sangue di colore rosso scuro, nel contesto di una gravidanza ancora
in corso. È piuttosto comune ed è un fattore di rischio per l’aborto pur non provocando sempre
aborto. Il peggioramento della situazione è segnalato da un aumento delle perdite ematiche, con
presenza di dolore crampi forme. Il collo dell’utero è chiuso.
Aborto inevitabile: il collo uterino è aperto con feto che sta per essere espulso insieme ad altro
materiale. La gravidanza è ormai persa e si può intervenire per eliminare gli eventuali residui
ovulari ritenuti
Aborto incompleto: collo dell’utero pervio, ma non tutto il materiale viene espulso
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Aborto interno: non si ha alcun sintomo, ma il feto è morto all’interno dell’utero. La diagnosi è
difficile, ma possibile con ecografia, che mostra l’assenza di battito fetale. Il collo dell’utero è più
piccolo di quanto dovrebbe. L’aborto interno deriva dal fatto che dalla morte del feto alla
metrorragia possono passare diversi giorni; ecco anche il motivo per cui ogni perdita di sangue va
indagata con ecografia, che dovrebbe mostrare già dalla 4°-6° settimana la presenza di battito
fetale e dall’11° settimana il feto con sembianze umane. In presenza di metrorragia effettivamente
causata da aborto l’ecografia potrà mostrare:
Sacco gestazionale vuoto: questo è il segno di una gravidanza anembrionica, nella quale cioè si
forma la camera gestazionale, ma l’embrione non supera i primi stadi dello sviluppo e viene
riassorbito. Per fare diagnosi di gravidanza anembrionica è necessario che il sacco gestazionale sia
almeno di 2 cm, altrimenti possono sorgere dei dubbi diagnostici.
Sacco gestazionale con embrione senza attività cardiaca: l’embrione non deve essere troppo
piccolo altrimenti può non essere rilevabile il battito (compare di solito entro il 30° giorno); per
convenzione si sceglie una dimensione dell’embrione maggiore di 5mm
È necessario comunque fare una diagnosi differenziale fra l’aborto spontaneo ed altre patologie,
tutte visibili con l’eco:
Cause diverse di emorragia genitale come la presenza di lesioni genitali o di polipi cervicali che
tendono ad essere accresciuti dagli ormoni della gravidanza.
Gravidanza ectopica: si manifesta con minaccia di aborto, ma il rischio di morte materna è molto
maggiore
Mola vescicolare
Nel caso di aborto completo la risoluzione è spontanea ed eventualmente si può fare trattamento medico
con somministrazione di ossitocitici per alcuni giorni; solo raramente vi sono emorragie o infezioni.
Nel caso di aborto incompleto può essere giustificato un atteggiamento di attesa, soprattutto se
all’ecografia i residui sono di piccole dimensioni, perché si aspetta che la paziente elimini spontaneamente
il residuo uterino.
Nel caso di aborto interno o di aborto incompleto con residui di ampie dimensioni, soprattutto se la camera
gestazionale è voluminosa è opportuna revisione strumentale della cavità uterina, con raschiamento
uterino: prima della 12° settimana sarebbe opportuno prima indurre l’espulsione del prodotto del
concepimento con l’uso di prostaglandine, di ergotamina o di ossitocina, che fanno contratte l’utero e
diminuiscono la perdita di sangue; si procede dunque procedere a raschiamento. Il raschiamento deve
essere fatto in anestesia locale o generale (quest’ultima, preferita), con dilatazione strumentale del collo
uterino, seguita da inserzione della curette, e revisione di tutta la cavità uterina alla cieca.
Nel caso di minaccia di aborto la terapia si basa su:
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riposo assoluto a letto,
impiego di progesterone: deprime l’eccitabilità del miometrio, e può effettuare funzione sostitutiva
nel caso di insufficienza del corpo luteo
impiego di farmaci tocolitici, come i beta mimetici che inibiscono attivamente la contrattilità
miometriale e migliorano l’irrorazione uterina, grazie alle proprietà vaso dilatanti
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Aborto sporadico e ricorrente
La maggior parte degli aborti è occasionale e secondaria ad anomalie sporadiche. Al contrario si parla di
aborto ricorrente nel caso di una paziente che abbia già avuto 2 aborti consecutivi, mentre nel caso di 3 o
più aborti si parla di aborto abituale: le pazienti in queste condizioni hanno una probabilità molto diminuita
di avere gravidanze normali, per la persistenza di fattori locali o generali sfavorenti. Da un punto di vista
eziopatogenetico, solo in un numero limitato di casi è riconoscibile un fattore causale persistente aule:
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traslocazioni cromosomiche bilanciate nei genitori che danno luogo ad aneuploidie ricorrenti. Per la
diagnosi sarà in questo caso necessaria l’analisi citogenetica sui genitori.
Malformazioni dell’utero, come lo sdoppiamento uterino o presenza di sinechie a livello uterino,
rilevabili con ecografia e isteroscopia
Trombofilie, congenite o acquisite con conseguente trombosi a livello della circolazione uteroplacentare e insufficienza placentare precoce
Malattie materne (tireopatie, diabete mellito)
Malattie autoimmuni
Infezioni del tratto genitale; soprattutto danno luogo a parti prematuri o ad aborti tardivi, dopo la
20° settimana
Fattori psicologici
Per l’inquadramento e la prevenzione nelle coppie con aborti ripetuti è necessaria:
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Mappa cromosomica ad entrambi i cromosomi  se presente un’anomalia cromosomica
bilanciata, è possibile fare diagnosi prenatale nell’embrione, per valutare la presenza di alterazioni
gravi
Ecografia/isteroscopia per la diagnosi di malformazioni uterine: se è presente utero setto, si esegue
rimozione del setto, cioè settostomia in isteroscopia, poiché il setto ponendosi davanti all’uscita
delle tube, attira l’impianto dell’ovulo, portando ad impianto ectopico della camera gestazionale
Ricerca di anticorpi antifosfolipidi e LAC per valutare un’aumentata coagulabilità del sangue e la
necessità di una profilassi con eparina.
Aborto procurato
La legge 194/78 negli articoli 5 e 6 permette:
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Prima di 90 giorni dall’ultima mestruazione, la gravidanza può essere interrotta per motivazioni
mediche o per volere della donna
Oltre 90 giorni dall’ultima mestruazione e prima della capacità di vita autonoma del feto (23
settimane), la gravidanza può essere interrotta per grave pericolo di vita/salute della madre
Oltre la capacità di vita autonoma del feto, può essere interrotta solo per pericolo di vita della
madre.
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Patologia trofoblastica
I tumori trofoblastici sono rare neoplasie di tipo epiteliale che originano dal villo coriale, cioè dal tessuto
trofoblastico, grazie a cui l’embrione si annida nell’utero. Il trofoblasto essendo un tessuto embrionario è
geneticamente diverso dai tessuti della madre derivando in parte dal corredo genetico maschile; questo
tessuto nella gravidanza fisiologica possiede alcune caratteristiche che ricordano il comportamento del
tessuto neoplastico, ma normalmente la sua proliferazione è ordinata ed il tessuto si organizza nei villi
coriali, con potere di invasione limitato, che non supera la decidua basale.
Le entità clinico-patologiche che definiscono la patologia del trofoblasto gestazionale sono:
1.
2.
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Lesioni benigne: sono localizzate generalmente e se rimosse non danno particolari problemi
Mola vescicolare completa
Mola vescicolare parziale
Neoplasie maligne: possono metastatizzare o infiltrare gli organi vicini
Mola invasiva
Corio carcinoma
Tumore del sito placentare (estremamente raro)
Mola vescicolare
È un’iperplasia del trofoblasto, cioè una crescita eccessiva del trofoblasto, insieme ai tessuti che daranno
origine alla placenta; può evolvere verso una neoplasia maligna. La sua frequenza è molto variabile a
seconda delle aree geografiche, ma in media si può dire che sia 1/1600. La causa è un eccesso di cromosomi
paterni:
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Mola completa: corredo cromosomico diploide 46,XX di esclusiva origine paterna, derivante dalla
fertilizzazione di un empty egg da parte di uno spermatozoo 23,X che si duplica per dare assetto
diploide. Raro è il riscontro di mole complete 46, XY derivanti dalla fertilizzazione di un empty egg
da parte di due spermatozoi. Anche se l’assetto è diploide e completo, l’imprinting genomico
diverso nella madre e nel padre porta a degenerazione del trofoblasto.
Mola parziale: corredo cromosomico triploide (69 cromosomi: XXY nel 70% dei casi, XXX nel 27%
dei casi, XYY nel 3% dei) con un set cromosomico di origine materna; deriva dalla fertilizzazione di
una cellula uovo da parte di set cromosomici aploidi di due diversi spermatozoi, o da parte di un
singolo spermatozoo con genoma diploide. È possibile che i cromosomi paterni siano responsabili
della formazione della placenta, mentre quelli materni siano responsabili della formazione
dell’embrione.
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Da un punto di vista anatomico nella mola vescicolare si ha formazione di tante vescicole rappresentanti i
villi del trofoblasto che sono andati incontro a degenerazione idropica. Le vescicole, traslucide ed a
contenuto giallastro o rossastro, possono rimanere localizzate (mola parziale) o tendere alla confluenza in
grappoli (mola completa), circondate da sincizio iperplastico. Sussistono delle differenze di anatomia
macroscopica e microscopica se si confrontano la mola vescicolare completa e quella parziale:
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Mola vescicolare completa: l’utero è occupato unicamente dalla placenta degenerata e dunque
dalle vescicole, non vi è embrione; da un punto di vista istologico la struttura è omogenea con
iperplasia del trofoblasto e idrope dei villi diffusa.
Mola vescicolare parziale: l’utero è occupato dalla placenta degenerata, con iperplasia vescicolare,
ma è presente anche un embrione, dotato di attività cardiaca, ma con numerosissime
malformazioni, e/o una cavità amniotica; da un punto di vista istologico la struttura è a mosaico,
con tessuto patologico alternato a tessuto normale
Anche da un punto di vista clinico è possibile distinguere la mola vescicolare completa rispetto a quella
parziale. La mola vescicolare completa vede una clinica caratterizzata da:
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Metrorragia: è il sintomo principale e talora le perdite ematiche sono accompagnate
dall’espulsione di caratteristiche vescicole a forma di goccia o di perla. L’emorragia talvolta
rappresenta un’emergenza tale da richiedere emotrasfusioni.
Sintomi da eccessiva crescita trofoblastica e dunque uterina:
Utero aumentato di volume, molto di più rispetto ad una gravidanza normale.
Gonadotropina corionica umana molto aumentata, con valori maggiori di 100.000 mlU/mL; la
β-HCG è un ormone prodotto dalla placenta, marcatore importante della presenza di una
gravidanza.
Cisti ovariche, dovute all’aumento dei livelli di β-HCG che stimola lo sviluppo dei follicoli.
Pre-eclampsia: di solito non compare prima della 20° settimana, ma in queste pazienti è molto
precoce, e può insorgere addirittura nel primo trimestre di gravidanza.
Ipertiroidismo
Ecografia: non si vede l’embrione, bensì un ammasso di echi dati dalle vescicole liquide
La diagnosi della mola vescicolare parziale è in più del 90% dei casi istologica, in seguito ad aborto nel primo
trimestre di gravidanza. In meno del 10% dei casi invece si ha:
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Riscontro ecografico occasionale nel secondo trimestre di una voluminosa placenta con vescicole
associata a feto polimalformato
Raramente sintomi di crescita trofoblastica eccessiva (utero voluminoso, aumento β-HCG, cisti
ovariche)
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Il trattamento è analogo nella mola vescicolare completa o parziale e prevede:
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Evacuazione della mola, con rimozione della stessa: isterosuzione  si introduce un aspiratore che
risucchia il materiale attraverso il collo dell’utero
È necessario escludere una neoplasia persistente, per possibile evoluzione della mola in neoplasie
maligne: la neoplasia persiste in 20% dei casi di mola completa e 5% dei casi di mola parziale.
L’esclusione si fa attraverso la ricerca di metastasi (ecografia epatica, Rx torace) e i controlli seriati
della β-HCG; questo ormone prodotto dal trofoblasto ha un tempo di emivita molto lungo e deve
essere 1 volta alla settimana fino alla sua scomparsa poi 1 volta al mese per 12 mesi,
Contraccezione: la paziente non deve rimanere incinta perché la β-HCG della nuova placenta può
nutrire la mola pre-esistente
Neoplasie maligne: malattia trofoblastica gestazionale persistente
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Mola invasiva: malattia trofoblastica persistente dopo evacuazione di mola, infiltra localmente ma
non metastatizza
Corio carcinoma: di solito dopo mola vescicolare, ma anche dopo gravidanza extra-uterina, o dopo
aborti interni o dopo gravidanze a termine, normali. È una neoplasia altamente maligna, con
elevato angiotropismo e metastasi genitali ed extra-genitali. Da un punto di vista istologico è
caratterizzata da iperplasia del trofoblasto che presenta atipie, ma non riesce a differenziarsi in villi.
Il vantaggio è la sua elevata chemio-sensibilità, ma è importante instaurare il trattamento
precocemente.
Il trattamento della malattia trofoblastica gestazionale persistente, richiede:
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Riferimento ad un centro esperto: il tumore persistente diventa di pertinenza oncologica con
riferimento ad un centro adatto e attuazione di protocolli specifici in base allo score.
Scoring system: una volta si effettuava raschiamento per valutare direttamente le cellule tumorali;
attualmente si è visto che il raschiamento determina pericolo di diffusione in circolo del tumore e
dunque per lo score tumorale ci si basa su una serie di fattori:
Età materna: solitamente il tumore trofoblastico insorge in età materna riproduttiva
Parità: più facilmente dopo una gravidanza
Β-HCG
Dimensioni tumore
Metastasi
Precedente chemioterapia
I pazienti così classificati a basso rischio effettueranno chemioterapia con agente singolo (malattia
che risponde molto bene al metotrexate); i pazienti ad alto rischio effettueranno polichemioterapia
ed eventualmente terapia chirurgica con isterectomia
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Tumore del sito placentare
Rara neoplasia trofoblastica che insorge dopo una gravidanza a termine o dopo un aborto (raramente
dopo una mola).
Si tratta di un tumore poco aggressivo, che raramente metastatizza, ma i casi metastatici hanno
facilmente esiti infausti poiché si tratta di un tumore poco responsivo alla chemioterapia; se limitato
viene curato con isterectomia. Anche se la crescita è lenta purtroppo la sopravvivenza a 50 anni è molto
bassa.
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