Apertura della Sezione Clinica* Jacques Lacan

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Apertura della Sezione Clinica* Jacques Lacan
Apertura della Sezione Clinica*
Jacques Lacan
Cos’è la clinica psicoanalitica? Non è complicato. Ha una base: è ciò che si dice in una
psicoanalisi.
In principio, ci si propone di dire qualsiasi cosa, ma non da qualsiasi posto: da quello
che stasera chiamerò il dir-vano (dire-vent, dire-vento) divano analitico. Questo vento (vent) ha
ben un suo valore: quando si setaccia (quand on vanne), ci sono cose che prendono il volo. È
anche possibile vantarsi (se vanter), vantarsi della libertà di associazione, così chiamata1.
Cosa vuol dire, la libertà di associazione allorché si specula, al contrario, su questo, che
le associazioni non sono in assoluto libere? Certamente, si tratta di un piccolo gioco, però si
avrebbe torto a volerlo estendere fino al fatto che si sia liberi. Cosa vuol dire l’inconscio se
non che le associazioni sono necessarie? Il detto non si (as)socia (ne se socie pas) al caso. Ciò
che diamo per sicuro è che il detto si (as)socia: ogni volta che non si dissocia, il che è
concepibile in fin dei conti, ma non è certamente di essere dissociato che è libero. Nulla è più
necessario dello stato di dissociazione quando lo si immagina reggendo ciò che si chiama il
rapporto con l’esterno.
Ho detto l’esterno. Si pretende che questo esterno sia un mondo. Ora, la
presupposizione del mondo non è del tutto fondata, il mondo è più mondato di quello che si
crede. È cosmografato.
La parola cosmo ha proprio il suo senso, lo ha conservato, porta la sua traccia nei
diversi modi in cui noi parliamo di cosmo, si parla di cosmetici… Il cosmo è ciò che è bello.
È ciò che è fatto bello, per opera di che cosa? In principio, per ciò che chiamiamo la ragione.
La ragione non ha però nulla a che fare con il “fare bello” che è un affare legato all’idea di
corpo glorioso, la quale si immagina del simbolico ripiegato sull’immaginario. Ma è un
cortocircuito. Occorre Erwin Rhode per rendersi conto di questa sorta di debilità mentale da
cui nascono queste “mummierie” (mômeries). È con ciò che sono state fatte le mummie. Prova
che questa incredibile credenza che i corpi durano per sempre sotto forma di anima, è radicata
da moltissimo tempo.
Tutto ciò è molto contemporaneo a ciò che noi chiamiamo il sapere. Si tratta
dell’inconscio. E non è brillante: bisogna fare uno sforzo per non credere che si sia immortali.
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Paris, 5 gennaio 1977.
Multiplo gioco di parole fondato in varie paronomasie. Dire-vent, letteralmente, “dire-vento” suona come
chiara deformazione di divano. Da qui gli slittamenti a vent, “vento”, vanner, setacciare e “vantarsi”. [NdT]
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Vedete quello che ho radiofonizzato al riguardo in Scilicet , dove mi sono roso2 (esercitato,
applicato).
Allora, occorre fare clinica. Vale a dire, coricarsi. La clinica è sempre legata al letto: si va
a vedere qualcuno sdraiato. E non si è trovato nulla di meglio che far sdraiare coloro che si
offrono alla psicoanalisi, con la speranza di ottenerne un beneficio, il che non è assicurato da
se, bisogna dirlo. È indubbio che l’uomo non pensa allo stesso modo sdraiato o in piedi, non
fosse altro che per il fatto che in posizione sdraiata fa molte cose, in particolare l’amore, e
l’amore lo trascina ad ogni sorta di dichiarazioni. Nella posizione sdraiata, l’uomo ha l’illusione
di dire qualcosa sia da dire, vale a dire che importi nel reale.
La clinica psicoanalitica consiste nel discernimento di cose che importano e che, non
appena se ne sarà presa coscienza, saranno massicce, di grande rilevanza. L’incoscienza nella
quale si è caduti rispetto a queste cose che importano non ha assolutamente nulla a che fare
con l’inconscio, che con il tempo ho creduto dover designare “un-equivoco” (de l’une-bévue)3.
Non è in nessun modo sufficiente che si abbia sospetto del proprio inconscio perché questo
retroceda, sarebbe troppo facile. Ciò non vuol dire che l’inconscio ci guidi bene.
Un equivoco ha bisogno di essere spiegato? Sicuramente no. Semplicemente, la
psicoanalisi suppone che siamo avvertiti del fatto che un equivoco è sempre di ordine
significante. C’è un equivoco quando uno si confonde di significante. Un significante
appartiene sempre ad un ordine più complesso di un semplice segno. Non per scrivesi in un
segno un significante è meno veritiero. Per esempio, una freccia che indica l’orientamento è
un segno, ma non è un significante. Nello scriversi, un significante si riduce nella portata di
ciò che significa. Ciò che significa ha, infatti, più o meno, qualsiasi senso in una lingua data.
Per valutare la questione, prendete per esempio il senso della parola “dovere” in francese
(devoir): deve e avere, il dovere inteso nel senso dei costumi, il dovuto… Che senso dare a ciò
che Freud ha avanzato nella sua Traumdeutung – dove ha fatto cuocere a fuoco lento il suo
inconscio –, se non che lì ci sono delle parole che si rappresentano come possono?
Devo dire che, sebbene si sia voluto fare di Freud uno scrittore, la Traumdeutung, è
eccessivamente confuso. È talmente confusa che non si può dire che sia leggibile. Mi farebbe
piacere sapere se qualcuno l’ha realmente letta dall’inizio alla fine. Io, per dovere, mi sono
imposto questo obbligo. Ad ogni modo, tradotto in francese, non ha le stesse qualità che in
tedesco. In tedesco si sostiene, ma non per questo rende più chiara la nozione di inconscio, di
Unbewusst.
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Nell’originale, “où je me suis rhodé”, dove, tramite la recente allusione a Erwin Rhode, si modifica
l’ortografia del verbo roder che abbiamo tradotto con esercitare, applicare. [NdT]
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Une-bévue ha la sua traduzione in italiano (“un equivoco”), nonostante, scegliamo di lasciare una traccia
dell’operazione che Lacan fa a più riprese quando, paralando in francese, usa il termine Unbewusst, ossia la
traduzione homofonica di “inconscio” nella lingua di Freud, in tedesco.
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Conoscete lo schema. All’inizio vi è la Wahrnehmung – che in tedesco serve a designare
la percezione – poi qualcosa passa, fa dei progressi, ci sono differenti strati di Wahrnehmung, in
seguito ai quali c’è l’UBW, l’inconscio, e dopo questo, il Vorbewusst, il preconscio, e da qui
passa alla coscienza, Bewusstsein. Ebbene: dirò che fino ad un certo punto, ho rimesso in piedi
ciò che ha detto Freud. Se ho parlato di “ritorno a Freud” è perché ci si convinca di quanto è
zoppicante. E mi sembra che l’idea di significante spieghi però come ciò marcia.
Il significante non significa assolutamente nulla. È così che ha espresso la cosa de
Saussure: egli ha parlato di arbitrarietà e, in effetti, non c’è alcuna specie di legame fra un
significante ed un significato, c’è soltanto una sorta di deposito, di cristallizzazione che si
compie e che si può classificare tanto come arbitraria quanto necessaria, nel senso in cui
Benveniste usava questo termine. Ciò che è necessario è che la parola abbia un uso, e che
questo uso sia cristallizzato, cristallizzato per quella mescolanza che è la nascita di una nuova
lingua. Si trova che, non sappiamo come, c’è un certo numero di persone che, alla fine, ne
fanno uso. Cos’è che determina l’uso che si fa di una lingua?
È un fatto l’esistenza di qualcosa che, riprendendo un termine di Freud, chiamo
condensazione. Quel che è curioso è che la condensazione lascia il posto allo spostamento.
Ciò che è contiguo non elimina lo scivolone, vale a dire la continuità. La Traumdeutung non è,
in nessun modo, ciò che si immagina. La si è tradotta con “La scienza dei sogni” (La science des
rêves); poi, una signora ha corretto Meyerson e la ha chiamata “L’interpretazione dei sogni”
(L’interprétation des rêves). Ma in realtà, ciò di cui si tratta, è la Deutung; bedeuten qui non fa altro
che raddoppiare l’equivoco e, in effetti, per ciò che concerne il riferimento, ben si sa che
l’equivoco è abituale. Deuten vuol dire (Deuten veut dire) il senso, questo è quello che devrebbe-dire
(de-veut-dire). Questi piccoli giochi fra il francese ed il tedesco servono a rendere elastica la
chiacchiera, ma la chiacchiera conserva tutta la sua colla.
La lingua, quale che sia, è gomma da masticare. L’incredibile è che custodisce i suoi
trucchi. Questi si sono resi indefinibili a causa di ciò che si chiamano il linguaggio, ed è per
questo che mi sono permesso di dire che l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Uno
psicoanalista non può non prendere in considerazione la linguistica – l’ex-sistenza del
significante nella linguistica –, nonostante essa si lasci scappare come si mantiene la verità in
quel che bisogna dire essere il suo posto, il suo posto topologico: ragion per cui mi sono
permesso di parlare di tori, un tempo.
L’inconscio dunque non è di Freud, è bene che lo dica: è di Lacan. Ciò non toglie che il
campo sia freudiano.
Il sogno differisce (différeud), nel differenziare in modo non certo manifesto, e del tutto
enigmatico – è sufficiente vedere la pena che si è dato Freud – ciò che è bene chiamare una
domanda ed un desiderio. Il sogno domanda delle cose, ma neanche lì, ancora, la lingua
tedesca serve a Freud, perché egli non trova altro mezzo di designarlo, che chiamarlo
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auspicio, Wunsch, che è in definitiva tra domanda e desiderio.
Per ciascuno, non si sa per quale via, da quelle prime parole intese qualche cosa si fa
strada e fa si che ciascuno abbia il suo inconscio. Freud aveva dunque ragione, ma non si può
dire che l’inconscio sia stato veramente isolato da lui, isolato come io faccio tramite la
funzione che ho chiamato del simbolico, e che è appuntata nella nozione di significante
Supporre che la clinica psicoanalitica è ciò, indica una direzione a quelli che vi si
consacrano. Bisogna decidere: l’inconscio, è, si o no, quel che in un momento ho chiamato il
bla-bla? È difficile negare che Freud, nel corso di tutta la scienza dei sogni, non parla che di
parole, di parole che si traducono. Non c’è che linguaggio in queste elucubrazioni
dell’inconscio. Freud fa della linguistica senza saperlo, senza averne la minima idea. Arriva
incluso a domandarsi se il sogno ha un modo di esprimere la negazione. Prima dice che non,
per quanto riguarda le relazioni logiche, e dopo dice che il sogno trova, nonostante, un trucco
per designare la negazione. Esiste il no nel sogno? Questione che Freud lascia in sospeso e
sulla quale, non c’è dubbio, si contraddice. Ciò non basta perché noi lo prendiamo dopotutto,
ma resta molto sorprendente che la clinica psicoanalitica non se ne sia più accertata. Perché
non si domanda ragione allo psicoanalista sul modo in cui egli si dirige in questo campo
freudiano?
Come si vede, questa sera non sono così propenso da dire che quando si fa psicoanalisi,
si sa dove si va. La psicoanalisi, come tutte le altre attività umane, partecipa
incontestabilmente dell’abuso. Si fa come se si sapesse qualche cosa. Non è tuttavia sicuro che
l’ipotesi dell’inconscio abbia più peso che l’esistenza del linguaggio.
Ecco ciò che volevo dire questa sera.
Propongo che la sezione che a Vincennes s’intitola: “della clinica psicoanalitica” sia una
maniera di interrogare lo psicoanalista, di costringerlo a dichiarare le sue ragioni. Che quanti
trovano qualcosa da dire su ciò che ho affermato questa sera lo dichiarino.
Domande e risposte
Marcel Czermak: Nel piccolo foglio che avete redatto destinato a questa Sezione clinica,
scrivete che la clinica è “il reale in quanto è l’impossibile da sopportare”.
Jacques Lacan: L’ho scritto e non rinnego le cose che ho scritto. Questo mi comporterebbe
delle complicazioni.
M. C.: Però si prende anche la clinica in una dialettica di parola e questo non è senza relazione
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con la verità.
J. L.: La cosa più stupefacente è che Freud, che qualcuno gli dicesse la verità, non lo ha mai
creduto. È sufficiente leggere la Traumdeutung per accorgersi che egli non crede mai di poter
raggiungere la verità. Dire che la verità è legata a questa sorta di nodi, a queste catene che
faccio, spiega precisamente il lato fuorviato di questa ricerca nella Traumdeutung, di ciò che è
veramente la verità. La verità non è senza rapporto con ciò che ho denominato il reale, ma è
un rapporto poco consistente. Il modo più chiaro in cui si manifesta la verità è la menzogna –
non c’è analizzante che non menta continuamente, nonostante la sua buona volontà di
rientrare proprio nei quadretti che Freud ha disegnato. Ciò spiega perché la clinica
psicoanalitica consiste nel rimettere in questione tutto ciò che Freud ha detto. È così che io lo
intendo, e che lo metto in pratica nel mio bla-bla.
M.C.: Da un lato il registro simbolico è enumerabile, dall’altro...
J. L.: Ci sono un certo numero di parole nel dizionario, che però non sono sufficienti a
rendere conto dell’uso della lingua.
M. C.: Dall’altro, il reale è piuttosto difficilmente enumerabile. E allora, come può essere la
clinica oggetto di una trasmissione?
J.L.: D’accordo. Una delle cose che ho omesso di mettere in risalto, è che c’è un campo, che
ho designato con il nome di “godimento dell’Altro”, godimento che deve rappresentarsi per
quel che è, ossia, come inesistente. Ciò che occorrerebbe è dare corpo – è il caso di dirlo – a
questo godimento dell’altro assente, e fare un piccolo schema, dove l’immaginario sarebbe in
continuità con il reale. L’immaginario fa evidentemente parte del reale, il fatto che ci siano dei
corpi fa parte del reale. Sul fatto che c’è della vita, noi possiamo cogitare e persino elucubrare
follemente – ciò non è peggio di altre cose, il DNA e la sua doppia elica –; non resta altro che
partire da ciò che è concepibile, che ci siano dei corpi che si riproducono. I corpi, dunque, ciò
fa parte del reale. In rapporto a questa realtà dei corpi che sognano e che non sanno fare che
questo, in rapporto a questa realtà, vale a dire alla sua continuità con il reale, il simbolico è
provvidenzialmente la sola cosa che a questo affare dà il suo nodo, l’unico che di tutto ciò fa
un nodo borromeo.
Jacques-Alain Miller: La clinica delle nevrosi e la clinica delle psicosi necessitano delle stesse
categorie, degli stessi segni? Una clinica delle psicosi può, secondo Lei, prendere il suo inizio
da una proposizione come: “il significante rappresenta il soggetto per un altro significante”,
con ciò che ne segue dell’oggetto a? S, a, S1, S2, questi termini sono appropriati alla clinica
dello psicotico?
J. L.: La paranoia, voglio dire la psicosi, è per Freud assolutamente fondamentale. La psicosi, è
ciò davanti a cui un analista non deve in alcun caso indietreggiare.
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J.-A.M.: Nella paranoia, il significante rappresenta il soggetto per un altro significante?
J. L. – Nella paranoia, il significante rappresenta un soggetto per un altro significante.
J.-A.M.: E Lei potrebbe situarvi “fading”, oggetto a...?
J.L.: Esattamente.
J.-A.M.: Sarebbe da dimostrare.
J.L. – Non v’è dubbio che sarebbe da dimostrare, ma non lo dimostrerò stasera.
Solange Faladé: Cosa bisogna pensare della fine di una analisi di un paranoico, se questa fine è
l’identificazione al sintomo?
J.L.: È ben certo che non solo il paranoico si identifica al sintomo, ma che l’analista vi si
identifica ugualmente. La psicoanalisi è una pratica delirante, ma è ciò che si ha di meglio
attualmente per far portare pazienza in questa scomoda situazione di essere uomini. In ogni
caso, è ciò che di meglio ha trovato Freud. Ed egli ha sostenuto che lo psicoanalista non deve
mai esitare a delirare.
Un altro partecipante: Avete anche detto una volta che eravate psicotico.
J.L.: Si , infine, provo ad esserlo il meno possibile! Non posso però dire che ciò mi sia utile. Se
fossi più psicotico, probabilmente sarei un miglior analista. Ciò che Freud ha fatto di meglio, è
la storia del Presidente Schreber. Si muove lì come un pesce nell’acqua.
J.-A.M.: Là non è andato accanto ad un letto, ha preso un testo.
J.L.: È certamente così. Non è andato a far chiacchierare il Presidente Schreber. Ad ogni
modo, non è mai più felice che con un testo.
J.-A.M.: Ho ancora una cosa da domandarLe, che concerne la pratica della psicoterapia, di cui
noi dovremo parlare in questa Sezione clinica. Poc’anzi Lei ha lanciato, senza mezzi termini,
questa formula: “La psicoterapia porta al peggio”. Ciò dovrebbe implicare che non si può al
tempo stesso dirsi “lacaniano” e “psicoterapeuta”. Mi domando fino a che punto si prenda
questo sul serio, e a dire il vero, fino a che punto Lei prende sul serio ciò che ha detto.
J.L.: Ho detto questo con serietà.
J.-A.M.: Le psicoterapie non valgono la pena?
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J.L.: Certo, non vale la pena di “terapizzare” lo psichico. Anche Freud pensava così. Egli
pensava che non ci si doveva affrettare a fare guarire. Non si tratta di suggerire o di
convincere.
J.-A.M: Ed in più, pensava che per lo psicotico, non era possibile, puramente e
semplicemente.
J.L.: Esattamente.
Nessun altro ha qualcosa d’aggiungere? La clinica psicoanalitica deve consistere non solo
nell’interrogare l’analisi, ma anche nell’interrogare gli analisti, affinché rendano conto di ciò
che la loro pratica ha di azzardato e che giustifichi Freud d’essere esistito. La clinica
psicoanalitica deve aiutarci a relativizzare l’esperienza freudiana. È un’elucubrazione di Freud.
Ho collaborato con ciò, anche se questa non è una ragione perché ci tenga. Bisogna però
rendersi conto che la psicoanalisi non è una scienza, non è una scienza esatta.
Traduzione Andrea Dell’Uomo
Alessandra Gennari Santori, Diego Mautino
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