Una Pasqua sulla rotta dell`agnello

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Una Pasqua sulla rotta dell`agnello
Una Pasqua sulla
rotta dell’agnello
testi di Rosanna Turcinovich Giuricin
foto di Edi Akilic
a primavera sulla sponda
orientale dell’Adriatico arriva dal mare.
Improvvisamente, quando il
sole raggiunge il giusto grado
di inclinazione, si sprigionano
i colori, il riverbero della sua
luce fa scintillare le onde e stimola
il plancto; tutto riparte anche per
noi con la voglia di uscire, di viaggiare, di fare nuovi incontri.
Le possibilità sono molteplici, ma
quelli che vi suggeriamo sono alcuni spunti colti proprio in questi
L
giorni che precedono la Pasqua:
qualche gruppo, a piedi, girerà lungo i sentieri e le strade più nascoste dell'Istria interna e delle isole
del Quarnero, un altro gruppo di
viaggiatori farà rotta verso la
Dalmazia. Due diverse destinazioni,
emblematiche in questa ricorrenza,
verso una costa che si va sempre
più riproponendo.
L’importante è capire che si tratta
di due scelte molto diverse, ma
con delle analogie meritevoli di
essere esplorate.
Enzo Bettiza nel suo libro "Esilio",
riporta una frase di Tommaseo che
voleva l'Istria e la Dalmazia due
mondi lontanissimi.
La storia l'ha decretato, la politica
del Novecento l'ha siglato, eppure,
molte volte sono proprio le tradizioni, gli usi e i costumi, i modi di
dire, a smascherare queste (s)comode divisioni.
La Pasqua ne è un esempio: lungo
la costa si rivela un continuo richiamo di situazioni, di tensioni, di riti
che riportano ad antichissimi lega-
mi, fatti di cultura che nessuna politica riesce a sciogliere, a capovolgere, ad annichilire. Anche se rimangono assopiti, chiusi nelle enclavi
familiari, questi segni sono pronti a
risorgere in ogni momento, così
come è successo in tempi recenti.
Oggi, che il recupero della tradizione è diventato un imperativo, i riti
escono dagli ambiti familiari per arrivare anche ai luoghi di ristoro deputati, per cui nei ristoranti si può
gustare l'agnello saporito, gli asparagi selvatici (i bruscandoli) e tutto
ciò che la stagione offre.
Un itinerario
nell’entroterra
La prima tappa del nostro itinerario è la chiesa fortificata della SS.
Trinità che sorge in cima a un colle
sopra il villaggio di Cristoglie
(Hrastovlje). La chiesa è costruita
all’interno di un “tabor” o nucleo
fortificato in cui un tempo andavano a rifugiarsi, dalle incursioni, gli
abitanti della zona. Fu fatto costruire dalla famiglia Neuhaus sul sito di
un antico cumulo preistorico.
È munito di feritoie e balestriere
che s’aprono sulle pareti arrotondate delle torri. Le mura quadrangolari, che racchiudono la chiesa, risalgono al XVI secolo e sono servite da difesa prima contro i turchi e
poi durante le guerre tra la Serenissima e l’Austria.
La piccola chiesa, in stile romanico,
è tutta in massi di pietra. Una volta
entrati ci si trova avvolti dagli affreschi risalenti alla fine del Quattrocento. Sulla destra è stata dipinta
una scena ispirata a tavole germaniche di grande suggestione dedicate alla cosiddetta danza macabra,
attribuita al pittore Giovanni da
Castua.
Dopo Cristoglie si può fare una
sosta a Covedo per ammirare la
chiesa costruita in cima al colle con
un inusuale campanile a torre.
Si prosegue quindi verso il confine
per entrare in Croazia, nel territorio di Pinguente.
Il cuore dell’Istria
La bella Pinguente (Buzet), domina
tutto il territorio della valle superiore del fiume Quieto. La romana
“Pinquentum” conserva la tipica
struttura del castelliere, essendo
costruita su un rilievo montuoso, a
158 metri d’altezza, in mezzo ad
una conca delimitata dai monti della Cicceria e da colline carsiche. Fu
Risalgono al Duecento alcune antichissime case, mentre artistici portali, stemmi e balconi danno al luogo un aspetto di distinta signorilità.
La piazza principale, non molto
grande, è dominata dalla massiccia
facciata del duomo medievale, ricostruito nel 1784 in forme barocche e dedicato all’Assunta.
Importante anche il Museo di Pinguente con una buona collezione
di reperti provenienti da scavi
compiuti nella zona, che hanno
permesso di portare alla luce testimonianze di una realtà paleocristiana e longobarda. Anche nei
muri perimetrali della chiesa di San
Vito, nel perimetro del cimitero,
Le strade del cibo
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Lungo la costa si rivela un continuo
richiamo di riti antichissimi
un avamposto ideale, sin dal 1420,
per la difesa dei possedimenti veneziani del “pasenatico” dalle milizie imperiali e dalle scorribande dei
turchi. Qui aveva la sua residenza il
governatore dell’Istria veneta.
C’è un’unica strada, con larghi tornanti, che porta al paese sul colle.
Pinguente viene considerata uno
dei luoghi più antichi dell’Istria
interna, probabilmente di origine
celtica.
Si entra nel borgo dalla Porta grande del 1547. Nel XVI secolo i veneziani costruirono il fontego per
la conservazione dei cereali e nel
1789, in mezzo alla piazza, collocarono una vera da pozzo con un
Leone marciano. Vicino alla Porta
Piccola c’è anche l’oratorio di San
Giorgio del 1611 con notevoli
opere all’interno.
sono stati inseriti antichi rilievi romani. Pinguente nel passato era un
paese così civile che l’analfabetismo era scomparso già nella metà
del Seicento.
È legata all’acqua la realtà economica della zona, per la presenza
della birreria istriana e di altre piccole industrie sorte sulle rive del
Quieto.
La gente ha scelto di costruire un
piccolo centro ai piedi del vecchio
borgo piuttosto che restaurare le
case antiche. È sorta così a valle
una località anonima di case allineate che nulla hanno in comune
con la Pinguente della storia.
Il turismo qui è una realtà di passaggio, che si tenta di “fermare” con
manifestazioni culturali come il festival del folclore o manifestazioni
nella pagina a
fianco e sopra
Paesaggi istriani
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Le strade del cibo
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sopra
Fioritura della
lavanda sulle
isole dalmate
sportive, ma spesso il tutto si esaurisce nella festa di paese.
Uno dei castelli nella sfera di Pinguente, a 9 chilometri di distanza,
era quello di Rozzo (Roc), verso il
Monte Maggiore. Il Medioevo qui
è ricordato dalla chiesa di San
Mauro del VI secolo. Interessante
pure la chiesetta romanica di San
Rocco; la parrocchiale, invece, è
dedicata a San Bartolomeo.
Rozzo, come Nugla e come altri
paesi di questa zona, è troppo lontano dalle realtà economiche importanti per poter contare sulla
possibilità di una rivitalizzazione,
per cui affida al turismo gastronomico buona parte della sua realtà
odierna. Le trattorie offrono i prodotti tipici: ottima carne alla brace,
l’ombolo (il filetto di maiale leggermente affumicato) cotto nel vino,
la frittata con gli asparagi selvatici
(la stagione è quella giusta), le salsicce nostrane, i dolci con la ricotta o con le noci. E poi, per una
buona digestione, la grappa con il
vischio o la grappa al miele: una
delizia.
A 8 chilometri da Rozzo, lungo
una strada stretta si arriva ad un
altro dei cinque castelli veneti che
dipendevano da Pinguente: Colmo. È detta “la più piccola città del
mondo”. Con poco più di una
ventina di anime, aveva la chiesa, la
scuola, l’ufficio postale, il negozio di
generi alimentari e l’osteria; ora
però, a parte la prima e l’ultima, le
altre non funzionano più. Ogni anno comunque la popolazione di
Colmo elegge il suo sindaco.
È ricca di monumenti e di reperti
di grande valore storico ed architettonico. Per gli amanti della cucina tipica, poi, questo è il posto giusto per gustare i fusi (pasta fatta in
casa con lo spezzatino), i crauti
con la “porzina” (carne di maiale) e
le salsicce nostrane nonché le “frittole”, dolce fritto al momento.
Sui prati che s’aprono lungo la via
numerose sono le sculture che ri-
cordano la presenza della grafia
glagolitica di matrice slava diffusa
dalla chiesa in questi territori.
Un’altra strada conduce da Pinguente a Vetta (Vrh), paesino di
pochi abitanti, arroccato in cima a
un colle dove si possono mangiare
i fusi ripieni di prosciutto, il pane
fatto in casa, e brindare con lo spumante prodotto artigianalmente
secondo un’antica ricetta dei frati
della zona.
Attraverso vie strettissime ecco
un’altra destinazione che abbina
splendidamente l’itinerario artistico-culturale a quello gastronomico: Draguccio (Draguc). Da vedere la chiesette affrescate, di
Sant’Eliseo e di San Rocco.
Quest’ultima conserva splendidi
affreschi del ’500, opera di un
maestro istriano di nome Antonio.
Alla locanda si può mangiare la
carne d’agnello preparata sul caminetto sotto la campana (un forno
rudimentale), oppure della saporita minestra di “fomentòn pilà”
(granturco pilato). Un’altra serpentina invece lascia la stretta valle
scavata dal fiume Quieto e porta
ripidissima fino a Sovignacco
(Sovinjsko Polje) dove si trova una
delle più tipiche e interessanti
osterie della zona, la Konoba
Toklarija. L’ambiente è molto buio
e rustico, come si addice ad una
vera cantina. Vale veramente la
pena di spingersi fin lassù per assaggiare le specialità della casa: tartufi, involtini di coniglio e piatti di
asparagi, oltre a ricette che abbinano la tradizione ad un’innovazione
raffinata. Ottimi i dolci.
Su strade con pochissimo traffico,
tra campi di terra rossa e fazzoletti di bosco, si arriva fino a Pisino
(Pazin), altra silenziosa cittadina
con una lunga storia alle spalle,
oggi investita del ruolo di capoluogo della Regione. Qui nacquero il
patriota italiano Fabio Filzi e il letterato Pier Antonio Quarantotti
Gambini, figlio dello storico Giovanni. Pisino ha la caratteristica,
inaspettata, di avere tutto il nucleo
abitato costruito proprio sull’orlo
di un profondo burrone (foiba) sul
quale si affaccia perfino un castello
del XIII secolo, ben conservato e
sede di un interessante museo
locale.
Appena fuori Pisino, a Vermo
(Beram) merita una tappa la bella
chiesa di Santa Maria delle Lastre
affrescata all’interno con una danza macabra di Vincenzo da Castua
della fine del 1400. Si prosegue
quindi verso sud, a tratti su strade
da asfaltare. Antignana (Tinjan) è
un altro piccolo borgo veneziano.
San Pietro in Selve (Sv. Petar) ha
una bella parrocchiale e un convento.
A Gimino (Zminj), tra campi di
terra rossa tipica del cuore dell’Istria, sembra di essere ormai mille miglia dalle spiagge.
Sanvincenti (Svetvincenat), purtroppo in degrado, è un concentrato di monumenti romanici, gotici e rinascimentali: la chiesa di Santa Caterina, quella di Sant’Antonio,
quella di San Rocco e il palazzo
Grimani, fortificazione quadrangolare, sede signorile. Ci sono ancora
la loggia cittadina del secolo XVII e
una bella piazza centrale molto
vasta e armoniosa.
Due Castelli (Dvigrad) è un impressionante e spettrale paese in
rovina abbandonato a causa della
peste durante il Medioevo. Oggi
rimangono in piedi i resti di uno
dei due castelli, una parte della
cattedrale e molte abitazioni.
Ma siamo a Pasqua e a primavera
portare in tavola l’agnello è d’obbligo. Quindi il nostro itinerario si
sposta sulle isole del Quarnero
dove questo prodotto riesce ad
offrire il massimo della sua qualità.
La metamorfosi
dell’agnello
L'agnello è uno dei prodotti che,
come tanti altri, appartiene alla
storia della penisola istriana e alle
isole quarnerine. Ricordano gli anziani che una volta, prima della
Pasqua, partivano dalle isole del
Quarnero i barconi pieni di agnelli
la cui macellazione avveniva lungo
il percorso che li avrebbe portati
Riti Religiosi
Le processioni e le manifestazioni di grande effetto mistico rimangono solo nelle
testimonianze, nei racconti degli anziani. In
quelle giornate di primavera la festa era vissuta intensamente da tutta la comunità.
Si incominciava la domenica delle Palme.
A Messa grande, per esempio a Montona
e Visinada (siamo nel cuore dell’Istria), i
contadini salivano al paese con fasci d'ulivo
intrecciati a ghirlandette o croci. Venivano a
gruppi con ceri colorati e legati con nastri
dalle sfumature vivaci. Portavano anche
mazzi di rosmarino o di lauro, ed erano tutti
vestiti a festa.
I ragazzi con i rami d'ulivo, si divertivano a
svuotare l'acquasantiera spruzzando la
gente che veniva a trovarsi nel loro raggio.
Erano scherzi che ben si tolleravano, una
continuazione dei giochi carnascialeschi
ancora non del tutto sopiti.
A Capodistria, Isola, Pirano, Dignano e in
altre località ancora, si rinnovava il fascino
della "Quarantore". Sugli altari fissi ne venivano montati degli altri di gusto barocco,
illuminati dalla luce delle candele.
Durante i mattutini si svolgeva il cosiddetto
"battiscuro". Ad ogni salmo si spegneva una
delle quindici candele del grande candelabro triangolare posto al centro del presbiterio.I giovani, armati di raganelle e di lunghe
bacchette di nocciolo, aspettavano che tutte le candele fossero spente per dare il via
al terremoto che si svolgeva nel buio totale. Il baccano (barabàn in Dalmazia) continuava finché su tutto s'innalzava, magico, il
canto.
Accanto alla sacralità della festa s'imponevano altri riti, meno eccelsi, ma pur sempre
legati alla tradizione. Dai forni uscivano pin-
ze, colombine, titole - o anche dette pignole o pupe - per le ragazze. Nelle case si preparavano le uova sode colorate in modo
naturale immergendole nell'acqua di bollitura delle foglie esterne della cipolla che
conferivano loro un bel colore rossiccio.
Tradizione vuole, inoltre, che in tavola ci sia
un "baro de scalogna" (i cipollotti freschi che
vi verranno offerti nelle trattorie del territorio) che, era credenza, preservasse dal
morso della vipera.
A Spalato i venditori di frutta pugliesi, dalle
loro barche attraccate lungo le banchine del
porto, si tuffavano in mare a significare che
la bella stagione era arrivata.
A Zara, uno dei riti più significativi, e senz'altro il più suggestivo, era quello di portare in chiesa per il Gloria i bimbi piccolissimi:
al suono delle campane le mamme si chinavano con i loro figli cercando di far muovere i primi passi nella sacralità del luogo e
della ricorrenza.
Era d'obbligo per tutti lavarsi gli occhi con
l'acqua benedetta. Da una casa all'altra si
portavano doni, vestiti di festa.
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sopra e sotto
Coltivazioni in Istria
e Dalmazia
che arrivano a
lambire il mare
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verso il mercato di Trieste. Si tratta
di realtà che il tempo, e soprattutto la storia, hanno poi ridimensionato; oggi rappresentano una nuova meta per l'economia e la realtà
sociale del territorio, con anche
delle importanti novità riguardanti
la promozione in loco.
Quando soffia il vento di Bora, il
pulviscolo d'acqua salmastra raggiunge i pascoli delle isole di Veglia,
Lussino e Cherso. La salvia, il rosmarino selvatico e le altre erbe
aromatiche che crescono sulla
roccia carsica si riempiono di sapori e di profumi. Ecco perché le
carni di pecore e agnelli sono così
saporite. Oltre che sulle isole maggiori le greggi pascolano anche su
Unie (1.200 capi circa), non lontana da Sansego. L'isola ha una superficie di 18 kmq con un fertile
bassopiano coltivato a uliveti e viti.
I pascoli coprono circa 400 ettari.
Ci sono circa 120 persone che vivono ad Unie ed ora la situazione
demografica, grazie proprio al rinato interesse per l'allevamento, sta
migliorando notevolmente. È stata
aperta anche la scuola con alcune
decine di scolari.
Esplorare l'isola, per un itinerario
di primavera, significa percorrere
alcune tappe fondamentali: toccare
la località maggiore, Cherso con la
sua storia, e poi inoltrarsi per strade strette ma asfaltate, alla scoperta dei posti più piccoli pieni di fascino e di grande interesse, come
Lubenizze e Vallon, Orlez e Ca
Isole.
Pascoli isolani
Cherso è un mondo ovattato, dove per anni, in gran silenzio si è tramandata una storia fatta di tradizione, di lavoro, di cultura e di speranze. Ora, questi valori escono
allo scoperto, così come la promozione dei prodotti tipici tra i
quali l'agnello, la cui qualità permette un'offerta veramente eccezionale.
Si tratta dell'agnello tipico dell'isola che nessun incrocio, anche di
razze pregiate nel mondo, è riuscito a soppiantare, caratteristico per
lo zoccolo adattato alle condizioni
del terreno calcareo. Un altro fattore molto importante sono i
pascoli: su Cherso si trovano la
maggior parte delle erbe aromatiche tipiche del Mediterraneo.
Delle trecento erbe officinali che
appartengono all'area mediterranea, solo su Cherso ne sono state
catalogate più di duecento. È una
specie di parco botanico. Gli ovini
che pascolano così vicini al mare e
brucano mentuccia, origano selvatico, salvia ed altre piante ancora,
hanno una carne molto saporita.
Far conoscere questo prodotto al
vasto pubblico non ha come scopo l'esportazione: l'agnello - affermano gli operatori turistici e la
gente del posto - va mangiato sull'isola, attorniati da tutte quelle
meraviglie che la rendono unica,
da vivere in ogni istante, anche
attraverso l'offerta gastronomica.
La lunga tradizione isolana permette di esibire una vasta gamma
di piatti diversi. Si tratta di ricette
dell'antica cucina locale. Si parte
dagli antipasti a base di prosciutto
di pecora, molto saporito e magro,
al fegato con la polenta, alla trippa,
alla coratella. I primi piatti sono
una particolarità: si distingue tra
tutti il brodo di castrato dal sapore delicato che soddisfa anche i
palati più esigenti. Il sugo d'agnello
condisce generosamente gnocchi
e pasta, quello con le erbe aromatiche esalta al massimo il sapore
delle carni. Ed infine l'agnello arrosto: trionfo di bontà.
Emozioni che proseguono lungo la
costa dalmata, da scoprire anche in
questa stagione.