Prospettive per l`autonomia tributaria locale

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Prospettive per l`autonomia tributaria locale
Direzione Generale
Bilancio e Finanze
Settore Tributi
IRPET
http://www.rete.toscana.it/fiscalita
1
2007
Istituto Regionale Programmazione
Economica Toscana
http://www.irpet.it
Anno II
Numero 1
Marzo
2007
Prospettive per l’autonomia tributaria locale
di Alberto Zanardi*
La prospettiva dell’attuazione del federalismo
fiscale previsto dall’art. 119 della Costituzione
pone questioni di straordinaria complessità per
tutte le componenti del sistema di finanziamento
degli Enti territoriali. In particolare, sul fronte della
fiscalità regionale e locale, la questione di quali
prelievi assegnare agli Enti territoriali non può
essere considerata in isolamento, come un
profilo meramente tributario. Al contrario, le
questioni del finanziamento fiscale di Regioni,
Province e Comuni vanno viste in congiunzione
con le spese associate alle funzioni attribuite a
ciascun livello di governo. Si tratta di una
prospettiva obbligata almeno nel contesto del
nostro Paese, dove Costituzione, leggi,
esperienza storica assegnano a Regioni ed Enti
locali una gamma variegata di competenze di
spesa, anche in ambiti dove le istanze
perequative sono pervasive e su cui, quindi,
l'offerta deve essere uniforme su tutto il territorio
nazionale. Se in particolare si considera la
questione del grado di autonomia tributaria da
riconoscere agli Enti decentrati, qualche
confronto internazionale mostra con sufficiente
chiarezza che spazi per un ulteriore incremento,
sia nel decentramento tributario sia nel grado di
autonomia delle imposte regionali e locali, sono
possibili. E tuttavia, per valutare correttamente il
grado ottimale di autonomia nella fiscalità
decentrata è necessario tener conto di una serie
di profili che possono variare significativamente
tra le diverse realtà nazionali.
Il primo aspetto riguarda le funzioni di spesa
che le imposte decentrate finanziano: quando
siamo in presenza di spese decentrate su cui
insistono diritti civili e sociali, che impongono
livelli essenziali e territorialmente omogenei
(come la sanità per le Regioni e, forse, le
funzioni fondamentali per i Comuni), l’autonomia
rilevante è quella al margine. La spesa
inframarginale potrebbe essere finanziata con
tributi non autonomi. Autonomia tributaria deve
invece esistere per responsabilizzare gli
amministratori locali nel finanziamento tanto della
spesa in disavanzo quanto degli eventuali servizi
aggiuntivi al di sopra degli standard dei livelli
essenziali.
In secondo luogo, per valutare correttamente
la portata dell’autonomia tributaria di Regioni e
Enti locali, e per sfruttarla pienamente in termini
di incentivi, è opportuno non segmentare le
entrate in relazione alla spesa dei governi
decentrati, ovvero non dedicare specifici tributi al
finanziamento di particolari spese. I margini di
autonomia tributaria devono attuarsi con
riferimento al bilancio considerato nella sua
interezza.
Infine, il livello di autonomia tributaria
desiderabile, ed effettivamente riconoscibile,
dipende dal grado di copertura dei sistemi
perequativi. Qualsiasi sia l’obiettivo della
perequazione (fabbisogni, capacità fiscali,
potenziali fiscali), il prerequisito fondamentale è
che le dotazioni fiscali pro-capite siano
comparabili tra enti di uno stesso livello, e quindi
calcolate al netto degli sforzi fiscali o delle
agevolazioni fiscali, attuate a livello locale con
manovre sulla base imponibile o sulle aliquote.
Deve essere dunque possibile calcolare per
ciascun ente entrate fiscali su basi
standardizzate e su aliquote standardizzate. Si
tratta di un’operazione non facile dato lo stato
confusionale dell’informazione statistica sulla
finanza decentrata.
Per queste ragioni sarebbe opportuno limitare
l’autonomia tributaria: se le esigenze perequative
sono rilevanti, le entrate tributarie decentrate
dovrebbero essere generate essenzialmente da
compartecipazioni e da tributi erariali devoluti
con spazi di autonomia circoscritti alla sola
manovra sulle aliquote.
Qualche suggerimento aggiuntivo può essere
infine
offerto
dalle
recenti
vicende
dell’addizionale comunale sull’Irpef. Come è
noto, la legge finanziaria 2007 ha consentito ai
Comuni di riattivare l’autonomia di aliquota
sull’addizionale all’Irpef, ora portata fino ad un
massimo dell’8 per mille. Inoltre i Comuni
possono stabilire una soglia di esenzione per i
contribuenti con “specifici requisiti reddituali”.
Sugli oltre 8.000 Comuni italiani circa 1.500
hanno fino ad oggi deliberato sull’addizionale. Di
questi circa il 55% ha scelto di aumentare
l'aliquota, il restante 45% di mantenerla invariata.
Alcuni Comuni hanno deciso di modulare
l’addizionale su più scaglioni, altri hanno previsto
esenzioni diversificate per tipologie di reddito o
per carichi familiari. Parallelamente, la finanziaria
ha introdotto una limitata riforma dell’Irpef
erariale mediante la ridefinizione delle aliquote
ed il ripristino delle detrazioni per carichi di
famiglia e tipologie di reddito (al posto delle
deduzioni). L’obiettivo è la riduzione del carico
fiscale sui contribuenti con imponibili inferiori a
40 mila euro ed il sostegno alle famiglie con figli.
La combinazione dei due interventi di riforma
ha sollevato almeno tre ordini di questioni. La
prima riguarda la concorrenza “verticale” tra
diversi livelli di governo: da un lato, lo Stato
riduce la tassazione Irpef, dall’altro dà possibilità
ai Comuni di accrescere l’addizionale, con un
risultato complessivo che in alcuni casi è di
aggravio netto. Il secondo profilo richiama
questioni di iniquità “orizzontale”: con la
trasformazione delle deduzioni in detrazioni
l’addizionale (che si calcola applicando l’aliquota
comunale al reddito al netto delle deduzioni) ora
non differenzia più tra diverse tipologie di
famiglie. Il risultato è allora quello di attenuare la
personalizzazione dell’Irpef (erariale più locale),
proprio nel momento in cui si sostiene la
necessità di una politica più attiva di sostegno
della famiglia. Da ultimo, si lamentano le
crescenti difficoltà di gestione della tassazione
locale sul reddito: con addizionali così
diversificate tra Comune e Comune i datori di
lavoro con dipendenti residenti in diversi Comuni
dovranno sostenere costi rilevanti per svolgere le
proprie funzioni di sostituto d’imposta.
Le questioni sollevate sono tutte
effettivamente fondate? O forse è necessaria
una valutazione più serena ed equilibrata?
Innanzitutto il federalismo fiscale, e in particolare
la maggiore autonomia tributaria ai governi subnazionali,
inevitabilmente
comporta
complicazioni per i contribuenti. Si tratta allora di
disegnare la fiscalità decentrata in modo da
minimizzare questi costi di adempimento. Ciò
dovrebbe suggerire, di nuovo, di limitare
l’autonomia dei Comuni alla sola scelta
dell’aliquota d’imposta, anche in una forchetta
relativamente più ampia di quello attuale, ma
senza possibilità di differenziazioni di aliquota per
scaglioni e di intervento sulla base imponibile
con deduzioni locali.
* Università di Bologna e Econpubblica-Università
Bocconi
1
I tributi della Regione
Imposta regionale sulle
concessioni statali dei
beni del demanio e del
patrimonio indisponibile
di Stefania Lorenzini *
Le modalità di applicazione
L'imposta regionale, che si applica alle
concessioni per l'occupazione e l'uso di beni
del demanio e del patrimonio indisponibile
dello Stato situati nel territorio della Regione
(ad eccezione delle concessioni di acque
pubbliche), è stata istituita con la
L. n. 281/1970 (art. 2), recepita dalla
L.R. n. 2/1971, poi modificata dalla Legge
finanziaria della Regione per l'anno 2005.
Le concessioni statali dei beni del demanio
e del patrimonio indisponibile, che possono
essere oggetto di imposta regionale, sono le
seguenti:
- concessioni per l'esercizio e coltivazione di
miniere dello Stato (compresi i siti
geotermici);
- concessione di aree di demanio marittimo;
- concessione di aree di demanio idrico.
L’applicazione di questa imposta regionale
si è rivelata difficile a causa della mancata
definizione da parte dello Stato di criteri
precisi e uniformi di determinazione di tali
canoni di concessione, che ne costituiscono
la base imponibile. La questione è stata,
tuttavia, risolta per le concessioni per
l'esercizio e coltivazione di miniere dello Stato
e per le concessione di aree di demanio
marittimo. In questi casi, infatti, le Regioni
determinano l'ammontare dell'imposta in
misura non superiore al triplo del canone di
concessione. La Regione Toscana, in
particolare, ha deliberato le seguenti
condizioni:
- l'imposta sulle concessioni per l'esercizio e
coltivazione di miniere dello Stato è
commisurata al 100% del canone
(L.R. 8/1984).
- l'imposta sulle concessioni di aree di
demanio marittimo è stabilita nella misura
del 15% del canone statale di concessione
(L.R. 85/1995).
Base imponibile
Valori in euro
2004
2005
Var. % 2005/04
Distr. minerario Firenze
Distr. minerario Grosseto
Totale minerario
271.235
137.783
409.018
273.981
139.965
413.946
1,0
1,6
1,2
Geotermia
272.572
277.912
2,0
Demanio marittimo
711.626
731.551
2,8
1.393.216
1.423.409
2,2
TOTALE
Il rilievo quantitativo
Il peso di questa imposta regionale sul
bilancio della Regione Toscana è assai
limitato: il gettito riscosso, che ammonta
complessivamente a circa 1,4 milioni di euro,
rappresenta soltanto lo 0,03% del totale delle
entrate tributarie (che ormai hanno superato i
6 miliardi di euro).
Metà
dell’imposta
proviene
dalle
concessioni sul demanio marittimo, mentre
l’altra metà si ripartisce pressoché equamente
fra le concessioni minerarie e quelle sulla
geotermia (per quest’ultima vale la stessa
normativa perché la fonte energetica è
considerata al pari di una miniera).
Il significato come imposta ambientale e le
possibili manovre regionali
Nonostante lo scarso rilievo quantitativo,
l’imposta regionale sulle concessioni statali
dei beni del demanio e del patrimonio
indisponibile è qualitativamente importante in
quanto tipica imposta ambientale che ricade
sull’uso delle risorse naturali. Come tale può
da un lato indurre un uso più contenuto delle
risorse naturali e dall’altro consentire la
raccolta di gettito aggiuntivo da destinare alla
gestione del suolo, in particolare a quei
comparti su cui questo tributo grava.
Secondo la legislazione attuale, alla
discrezionalità della Regione è lasciata
soltanto la determinazione del livello
d’aliquota senza alcuna modulazione; di
conseguenza questa imposta potrebbe
essere aumentata ma non articolata in modo
che eventuali meccanismi di premio/aggravio
incentivino comportamenti maggiormente
sostenibili. Nulla invece può decidere la
Regione sulla base imponibile, che è
esattamente il canone statale.
I margini disponibili per eventuali manovre
di rialzo dell’aliquota sono ancora molto ampi,
visto che attualmente i valori sono stati fissati
ad un livello relativamente basso rispetto al
massimo consentito.
Per le concessioni sulle aree di demanio
marittimo il gettito potenziale aggiuntivo
ammonterebbe a quasi 14 milioni di euro,
mentre per le miniere e i siti geotermici a 1,4
milioni di euro. Nell’ipotesi di aumento
massimo,
questa
imposta
regionale
diverrebbe quindi molto significativa anche dal
punto di vista quantitativo.
Ipotizzando, poi, uno scenario normativo
diverso, sarebbe importante immaginare
interventi più creativi e soprattutto più
ambientali. Ad esempio, l’aliquota dell’imposta
regionale sulle concessioni statali potrebbe
essere modulata in relazione al principio “chi
inquina paga”: sgravi fiscali potrebbero
essere, allora, concessi a coloro che
dimostrano di aver migliorato la qualità del
bene avuto in concessione e, viceversa,
inasprimenti d’imposta potrebbero gravare su
chi, attraverso l’attività esercitata, ha
provocato danni al bene, talvolta anche
irreversibili.
* IRPET
Discrezionalità
regionale
Valori stabiliti
in Toscana
Gettito 2005
(mgl. euro)
Gettito aggiuntivo
potenziale (mgl. euro)
Miniere e siti geotermici dello Stato
Fino a 3 volte
il canone di concessione
100%
del canone statale
692
1.384
Aree di demanio marittimo
Fino a 3 volte
il canone di concessione
erariale
15%
del canone statale
di concessione
731
13.889
2
Spazio Altre Regioni
Le manovre delle
Regioni sull’IRAP
di Stefania Lorenzini *
L’IRAP è entrata in vigore dal 1998 e da
subito è diventata la principale leva impositiva
a disposizione delle Regioni. Dal punto di
vista quantitativo in media l’IRAP privata
potrebbe fornire alle Regioni oltre la metà del
loro gettito potenziale aggiuntivo; dal punto di
vista qualitativo è evidente che la tassazione
tramite l’IRAP costituisce uno strumento
efficace di politica industriale, perché può
essere collegata al finanziamento di politiche
regionali finalizzate a stimolare la dinamica
del sistema produttivo. Il blocco delle
manovre in rialzo, in vigore dal 2003 fino al
2006 compreso, ha però inibito il ricorso a
questa imposta da parte delle Regioni, che
sostanzialmente finora hanno potuto offrire ai
propri contribuenti soltanto alcune forme di
agevolazione. Ad oggi, infatti, quasi tutte le
Regioni prevedono sgravi di IRAP,
generalmente a favore di imprese nuove
(giovanili, femminili oppure al di sotto di una
certa soglia di produzione); imprese
appartenenti al terzo settore; imprese che
lavorano in aree svantaggiate; imprese dotate
di certificazioni ambientali.
Prima del blocco del 2003 soltanto quattro
Regioni italiane -Emilia Romagna, Lombardia,
Marche e Veneto- avevano deliberato aumenti
d’IRAP per specifici settori d’attività. Nel 2007,
però, si è finalmente riaperta la possibilità di
incrementare l’aliquota e alcune Regioni hanno
già deciso di sfruttarla. Si tratta, innanzitutto,
delle Regioni con disavanzo sanitario (Abruzzo,
Campania, Lazio, Molise e Sicilia), ma anche
della Toscana, che ha impostato un disegno
preciso di aumenti d’imposta, che graveranno su
specifici settori d’attività. Nel caso toscano sono
stati selezionati quei settori meno esposti alla
concorrenza internazionale e che, negli ultimi
anni, hanno beneficiato di una dinamica positiva
dei profitti: le assicurazioni, le banche, le società
finanziarie, le attività immobiliari, ma anche le
imprese di telecomunicazione e le autostrade
sono state individuate come attività, che finora
hanno goduto “immeritatamente” di notevoli
guadagni solo grazie a posizioni di rendita e che,
perciò, sono penalizzabili con un aggravio del
carico fiscale. I maggiori introiti finanzieranno
progetti, che andranno a beneficio soprattutto
delle imprese che, al contrario, sono più esposte
alla concorrenza sui mercati esteri.
Aumento
Aumento
generalizz. specifici settori
Abruzzo
X
Basilicata
Campania
X
Emilia R.
X
Friuli V.G.
Lazio
X
Liguria
Lombardia
X
Marche
X
Molise
X
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
X
Toscana
X
Umbria
V. d'Aosta
Veneto
X
Bolzano
Trento
In rosso vengono indicate le manovre 2007
di Giancarlo Pola *
In Francia è in atto dal 2004 un interessante
esperimento di “devoluzione bilanciata” di
competenze e poteri fiscali centrali alle
Regioni a seguito della riforma costituzionale
dello stesso anno. Il tributo centrale su cui si
impernia l’esperimento, che ha tutta l’aria di
voler essere stabile e di portata crescente, è
l’accisa su benzina e gasolio, la TIPP
(imposta interna sui prodotti petroliferi), che
va dai circa 42 euro/hl. per il gasolio ai 60
euro/hl per la benzina.
Globalmente, la TIPP fornisce un gettito di
circa 27 miliardi di euro; e poiché le Regioni
necessitavano inizialmente di circa 450 milioni
di euro per le competenze trasferite, bastava
una frazione pari a poco meno di un euro a hl.
(circa un 2%) per coprire il fabbisogno. La
frazione di accisa attribuita alle Regioni è
stata inizialmente ripartita tra di loro in
funzione di un parametro (detto “chiave” nella
legge), che permetteva il mantenimento di un
legame tra la collettività regionale e le risorse
trasferite. Ciascuna Regione si vide dunque
attribuire una percentuale di accisa TIPP che
corrispondeva al rapporto tra l’ammontare
delle spese a lei trasferite e l’ammontaretotale
di tali spese a livello nazionale.
Per tenere conto delle nuove competenze
regionali nel frattempo previste, con la legge
finanziaria 2006 il metodo di attribuzione delle
compensazioni alle Regioni è stato affinato,
nel senso che la base imponibile della TIPP è
stata regionalizzata in senso proprio.
Dall’anno scorso, cioè, le Regioni francesi
sono beneficiarie di un gettito non più
funzione dei consumi nazionali di carburante,
ma dei consumi di carburante registrati sul
territorio regionale. Quindi, per avvicinare il
più possibile la dimensione
della
compensazione e il gettito ricavabile dalla
base, non vi è più un’unica frazione nazionale
di accisa adattata alle varie situazioni, ma
tante frazioni di accisa quante sono le
situazioni regionali. Le frazioni regionali di
accisa sono state calcolate rapportando
l’ammontare degli oneri trasferiti a ciascuna
Regione nel 2005 e nel 2006 alla base
imponibile definita per il 2006. Grazie a
questa modalità di calcolo, nessuna Regione
può dirsi penalizzata rispetto ad un’altra,
perché ciascuna collettività regionale
percepisce il prodotto di un’aliquota per una
base imponibile pari alla compensazione
(delle spese per le funzioni trasferite) cui ha
diritto. Del resto, la regionalizzazione delle
basi imponibili costituisce un preliminare alla
possibilità di rimodulare regionalmente le
dette frazioni di accisa a partire da
quest’anno, il 2007. Per questo ulteriore
passaggio la Francia ha dovuto negoziare con
i propri partners europei una speciale deroga,
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
D’ora in poi il quadro tenderà sempre più a
differenziarsi, perché le Regioni -riappropriandosi
della manovrabilità dell’IRAP- potranno davvero
impostare manovre fiscali di forte impatto sul
proprio bilancio e sul sistema produttivo
regionale.
Spazio Europa
L’esperienza francese di
regionalizzazione
dell’accisa sui prodotti
petroliferi
Agevolazioni
* IRPET
come previsto essere possibile, per serie e
motivate ragioni (e la decentralizzazione è
stata riconosciuta tale!) dall’art. 19 della
Direttiva n. 2003/ 96/ CE, al fine di poter
applicare tariffe differenziate per Regione.
Pertanto, a partire dal 2007 e per tre anni, la
Francia è autorizzata ad applicare aliquote
d’imposta differenziate per Regione. Ma tale
possibilità è limitata: poiché l’unica deroga
ammessa è la riduzione dell’accisa (non
l’aumento),
si
è
dovuti
ricorrere
all’escamotage di definire dapprima un
aumento della tariffa nazionale per ragioni di
difesa ambientale, indi un’ immediata
riduzione dello stesso ammontare per l’anno
2006, in modo da non gravare sul
consumatore, autorizzando -dal 2007- le
Regioni sia a rinunciare a tale riduzione sia, al
contrario, ad aumentarla. Ma il potere di
modulazione dell’accisa da parte della
Regione è doppiamente ristretto: da un lato,
le Regioni non possono che rapportarsi alla
frazione di TIPP che è stata loro attribuita
dalla legge finanziaria 2006; dall’altro, la TIPP
regionale non può salire più di euro 1,77
all’ettolitro per la benzina o di euro 1,15 per il
gasolio.
L’Italia, con i suoi 12,6 euro per ettolitro di
benzina, già attribuiti dal 2000 alle Regioni sotto
forma di compartecipazione, potrebbe far tesoro
di questa esperienza
francese
di
decentralizzazione, basata peraltro su un solo
euro per ettolitro di carburante.
* Università di Ferrara
3
Spazio Enti Locali
La fiscalità su base
immobiliare nei Comuni:
problematiche ed
evoluzione.
di Anna Ancillotti*
I Comuni oggi esercitano l’autonomia di
entrata in buona misura attraverso forme di
fiscalità che hanno per oggetto il valore o il
reddito degli immobili ubicati sul loro territorio.
Ciò per la correlazione che esiste fra le
politiche comunali di servizio e di creazione di
infrastrutture ed il valore degli immobili, di cui
beneficiano i proprietari e gli occupanti. Basti
pensare alla pianificazione urbanistica o alla
viabilità. Il principio di correlazione fra prelievo
e funzioni di spesa che impiegano le
corrispondenti risorse è stato motivo di una
precisa indicazione dell’Alta Commissione per
la definizione dei meccanismi strutturali del
Federalismo fiscale, che nella relazione del
settembre 2005 ha proposto l’allocazione del
prevalente gettito che proviene dagli immobili,
a favore degli enti locali.
Le entrate locali accertate su base
immobiliare oggi sono l’ICI, la TARSU (o TIA),
la COSAP (ex TOSAP). Altre entrate, la cui
misura è influenzata anche dal valore degli
immobili e dalla loro rendita, provengono dalle
addizionali sull’IRPeF. I tributi che, seguendo
le indicazioni della Commissione, potrebbero
essere riallocati in capo ai Comuni, sono l’IVA
sulla cessione dei beni immobili e le imposte
di registro, ipotecarie e catastali, nonché tutto
il gettito delle imposte sui redditi attribuibili
alla componente immobiliare. Il primo gruppo
nel complesso ha reso alle casse dello Stato,
nel 2005, un’entrata appena superiore a
quella prodotta all’ICI all’insieme dei Comuni
(10-11 mld. di euro); il gettito IRPeF sulle
rendite immobiliari è stato stimato in circa 7
miliardi. L’attribuzione di tutta la fiscalità
immobiliare, pertanto, qualora se ne
verificasse la fattibilità tecnica e l’opportunità
economica, porterebbe ai Comuni entrate
fiscali di peso più che doppio rispetto
all’attuale. A questi si potrebbe aggiungere
l’imposta di scopo, la cui eventuale istituzione
è stata introdotta dalla finanziaria del 2007, ed
il cui ammontare sarebbe determinato
dall’applicazione dell’aliquota prescelta (fino
allo 0,5 per mille) alla stessa base imponibile
dell’ICI.
I dati rilevati dai bilanci dei comuni della
Toscana nell’ultimo anno disponibile, il 2005,
evidenziano come i tributi su base immobiliare
costituiscano già oggi il 67,4% delle entrate
tributarie e il 45,8% delle entrate proprie.
Tuttavia, l’andamento nell’ultimo decennio
mostra anche come questo tipo di prelievo sia
caratterizzato da una variabilità nettamente
inferiore a quella delle complessive entrate
tributarie, nonché di tutte le entrate proprie.
L’imposizione immobiliare, infatti, ha oggi il
limite della sostanziale staticità della base
imponibile, che contrasta con l’andamento
della spesa corrente. Così questa negli ultimi
anni è cresciuta assai più della crescita del
gettito dell’ICI e degli altri tributi su base
immobiliare, creando ai Comuni evidenti
problemi di equilibri di bilancio.
Il fenomeno ha due fondamentali
motivazioni. La prima risiede nel fatto che
l’attuale sistema estimativo del catasto si
basa sulla classificazione censuaria,
sull’individuazione di particelle tipo, sul
classamento (attraverso cui si riconducono le
unità immobiliari alle particelle tipo) e, infine,
sulla conseguente attribuzione della rendita.
La metodologia, non tenendo conto degli
effettivi tassi di rendimento del bene colpito,
offre un’inadeguata rappresentazione dei
valori
patrimoniali
posti
a
base
dell’imposizione. Il secondo motivo risiede
nella circostanza per cui il Comune, allo stato
attuale, non è in grado di verificare
l’autodichiarazione ai fini dell’ICI da parte del
contribuente, con proprie informazioni
attendibili sulle proprietà, sulle superfici, sulle
classi, sugli indirizzi; ciò dipende sia dalle
difficoltà di accedere agli archivi catastali, sia
dalla scarsa qualità delle informazioni che
comunque se ne ricavano.
Pertanto, senza misure correttive di queste
lacune di fondo, ogni intervento al sistema di
tassazione degli immobili rischia di tradursi in
un accrescimento delle sperequazioni.
Viceversa, un’autonoma assunzione da parte
degli Enti Locali degli strumenti e delle
procedure di accertamento dei valori
immobiliari sul proprio territorio, di cui la
pianificazione urbanistica e il sistema delle
autorizzazioni edilizie costituiscono preziosi
canali di conoscenza, potrebbe loro
consentire
di
attuare
politiche
di
redistribuzione del carico fiscale. Certamente,
essa è condizione imprescindibile di qualsiasi
analisi e intervento sulla questione “ICI sulla
prima casa”.
Dell’esigenza di riformare i servizi catastali,
si è fatto portatore il Governo sia attraverso
alcuni contenuti della legge finanziaria, sia
con la presentazione del disegno di legge
delega per la riforma del catasto (atto C. 1762
del 4/10/06). È stato finalmente dato un
segnale di attenzione ad una materia rimasta
da decenni in ombra rispetto alla complessa
problematica del carico tributario, segnale a
cui la Regione Toscana ha prontamente
risposto con significative iniziative. Di questo
parleremo più diffusamente nel prossimo
numero.
* Consulente ANCI Toscana
Attività e Notizie
Agenda
Iniziative
Entro il 31/05/2007 la Regione Toscana
approverà il DPEF (Documento di
Programmazione Economica Finanziaria)
riferito al triennio 2008-2010.
SIEP IRPET
FISCALITÀ REGIONALE E LOCALE
Consiglio
Regionale
della
Toscana
Firenze, 26 gennaio 2007
Pubblicazioni
ANCI- Anci Toscana
IV Meeting formativo
L’IMPATTO DELLA FINANZIARIA 2007 SUI
BILANCI DEGLI ENTI LOCALI
Viareggio, 18 gennaio 2007
CITTÀ E TERRITORIO
Officina Edizioni
Roma 2006
Per informazioni o chiarimenti sui tributi
della Regione Toscana scrivere a :
[email protected]
Provincia di Modena - UPI Emilia Romagna
LE POLITICHE DI BILANCIO DEGLI ENTI
LOCALI A CONFRONTO
Camera di Commercio
Modena, 2 marzo 2007
Redazione
IRPET:
Claudia Ferretti (Responsabile)
Stefania Lorenzini
REGIONE TOSCANA:
Luigi Idili, Giovanni Morandini,
Francesca Poli
Progetto grafico:
Patrizia Ponticelli
Sede di redazione:
IRPET - Via G. La Farina, 27
50132 FIRENZE
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