Prospettive per l`autonomia tributaria locale
Transcript
Prospettive per l`autonomia tributaria locale
Direzione Generale Bilancio e Finanze Settore Tributi IRPET http://www.rete.toscana.it/fiscalita 1 2007 Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana http://www.irpet.it Anno II Numero 1 Marzo 2007 Prospettive per l’autonomia tributaria locale di Alberto Zanardi* La prospettiva dell’attuazione del federalismo fiscale previsto dall’art. 119 della Costituzione pone questioni di straordinaria complessità per tutte le componenti del sistema di finanziamento degli Enti territoriali. In particolare, sul fronte della fiscalità regionale e locale, la questione di quali prelievi assegnare agli Enti territoriali non può essere considerata in isolamento, come un profilo meramente tributario. Al contrario, le questioni del finanziamento fiscale di Regioni, Province e Comuni vanno viste in congiunzione con le spese associate alle funzioni attribuite a ciascun livello di governo. Si tratta di una prospettiva obbligata almeno nel contesto del nostro Paese, dove Costituzione, leggi, esperienza storica assegnano a Regioni ed Enti locali una gamma variegata di competenze di spesa, anche in ambiti dove le istanze perequative sono pervasive e su cui, quindi, l'offerta deve essere uniforme su tutto il territorio nazionale. Se in particolare si considera la questione del grado di autonomia tributaria da riconoscere agli Enti decentrati, qualche confronto internazionale mostra con sufficiente chiarezza che spazi per un ulteriore incremento, sia nel decentramento tributario sia nel grado di autonomia delle imposte regionali e locali, sono possibili. E tuttavia, per valutare correttamente il grado ottimale di autonomia nella fiscalità decentrata è necessario tener conto di una serie di profili che possono variare significativamente tra le diverse realtà nazionali. Il primo aspetto riguarda le funzioni di spesa che le imposte decentrate finanziano: quando siamo in presenza di spese decentrate su cui insistono diritti civili e sociali, che impongono livelli essenziali e territorialmente omogenei (come la sanità per le Regioni e, forse, le funzioni fondamentali per i Comuni), l’autonomia rilevante è quella al margine. La spesa inframarginale potrebbe essere finanziata con tributi non autonomi. Autonomia tributaria deve invece esistere per responsabilizzare gli amministratori locali nel finanziamento tanto della spesa in disavanzo quanto degli eventuali servizi aggiuntivi al di sopra degli standard dei livelli essenziali. In secondo luogo, per valutare correttamente la portata dell’autonomia tributaria di Regioni e Enti locali, e per sfruttarla pienamente in termini di incentivi, è opportuno non segmentare le entrate in relazione alla spesa dei governi decentrati, ovvero non dedicare specifici tributi al finanziamento di particolari spese. I margini di autonomia tributaria devono attuarsi con riferimento al bilancio considerato nella sua interezza. Infine, il livello di autonomia tributaria desiderabile, ed effettivamente riconoscibile, dipende dal grado di copertura dei sistemi perequativi. Qualsiasi sia l’obiettivo della perequazione (fabbisogni, capacità fiscali, potenziali fiscali), il prerequisito fondamentale è che le dotazioni fiscali pro-capite siano comparabili tra enti di uno stesso livello, e quindi calcolate al netto degli sforzi fiscali o delle agevolazioni fiscali, attuate a livello locale con manovre sulla base imponibile o sulle aliquote. Deve essere dunque possibile calcolare per ciascun ente entrate fiscali su basi standardizzate e su aliquote standardizzate. Si tratta di un’operazione non facile dato lo stato confusionale dell’informazione statistica sulla finanza decentrata. Per queste ragioni sarebbe opportuno limitare l’autonomia tributaria: se le esigenze perequative sono rilevanti, le entrate tributarie decentrate dovrebbero essere generate essenzialmente da compartecipazioni e da tributi erariali devoluti con spazi di autonomia circoscritti alla sola manovra sulle aliquote. Qualche suggerimento aggiuntivo può essere infine offerto dalle recenti vicende dell’addizionale comunale sull’Irpef. Come è noto, la legge finanziaria 2007 ha consentito ai Comuni di riattivare l’autonomia di aliquota sull’addizionale all’Irpef, ora portata fino ad un massimo dell’8 per mille. Inoltre i Comuni possono stabilire una soglia di esenzione per i contribuenti con “specifici requisiti reddituali”. Sugli oltre 8.000 Comuni italiani circa 1.500 hanno fino ad oggi deliberato sull’addizionale. Di questi circa il 55% ha scelto di aumentare l'aliquota, il restante 45% di mantenerla invariata. Alcuni Comuni hanno deciso di modulare l’addizionale su più scaglioni, altri hanno previsto esenzioni diversificate per tipologie di reddito o per carichi familiari. Parallelamente, la finanziaria ha introdotto una limitata riforma dell’Irpef erariale mediante la ridefinizione delle aliquote ed il ripristino delle detrazioni per carichi di famiglia e tipologie di reddito (al posto delle deduzioni). L’obiettivo è la riduzione del carico fiscale sui contribuenti con imponibili inferiori a 40 mila euro ed il sostegno alle famiglie con figli. La combinazione dei due interventi di riforma ha sollevato almeno tre ordini di questioni. La prima riguarda la concorrenza “verticale” tra diversi livelli di governo: da un lato, lo Stato riduce la tassazione Irpef, dall’altro dà possibilità ai Comuni di accrescere l’addizionale, con un risultato complessivo che in alcuni casi è di aggravio netto. Il secondo profilo richiama questioni di iniquità “orizzontale”: con la trasformazione delle deduzioni in detrazioni l’addizionale (che si calcola applicando l’aliquota comunale al reddito al netto delle deduzioni) ora non differenzia più tra diverse tipologie di famiglie. Il risultato è allora quello di attenuare la personalizzazione dell’Irpef (erariale più locale), proprio nel momento in cui si sostiene la necessità di una politica più attiva di sostegno della famiglia. Da ultimo, si lamentano le crescenti difficoltà di gestione della tassazione locale sul reddito: con addizionali così diversificate tra Comune e Comune i datori di lavoro con dipendenti residenti in diversi Comuni dovranno sostenere costi rilevanti per svolgere le proprie funzioni di sostituto d’imposta. Le questioni sollevate sono tutte effettivamente fondate? O forse è necessaria una valutazione più serena ed equilibrata? Innanzitutto il federalismo fiscale, e in particolare la maggiore autonomia tributaria ai governi subnazionali, inevitabilmente comporta complicazioni per i contribuenti. Si tratta allora di disegnare la fiscalità decentrata in modo da minimizzare questi costi di adempimento. Ciò dovrebbe suggerire, di nuovo, di limitare l’autonomia dei Comuni alla sola scelta dell’aliquota d’imposta, anche in una forchetta relativamente più ampia di quello attuale, ma senza possibilità di differenziazioni di aliquota per scaglioni e di intervento sulla base imponibile con deduzioni locali. * Università di Bologna e Econpubblica-Università Bocconi 1 I tributi della Regione Imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile di Stefania Lorenzini * Le modalità di applicazione L'imposta regionale, che si applica alle concessioni per l'occupazione e l'uso di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato situati nel territorio della Regione (ad eccezione delle concessioni di acque pubbliche), è stata istituita con la L. n. 281/1970 (art. 2), recepita dalla L.R. n. 2/1971, poi modificata dalla Legge finanziaria della Regione per l'anno 2005. Le concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile, che possono essere oggetto di imposta regionale, sono le seguenti: - concessioni per l'esercizio e coltivazione di miniere dello Stato (compresi i siti geotermici); - concessione di aree di demanio marittimo; - concessione di aree di demanio idrico. L’applicazione di questa imposta regionale si è rivelata difficile a causa della mancata definizione da parte dello Stato di criteri precisi e uniformi di determinazione di tali canoni di concessione, che ne costituiscono la base imponibile. La questione è stata, tuttavia, risolta per le concessioni per l'esercizio e coltivazione di miniere dello Stato e per le concessione di aree di demanio marittimo. In questi casi, infatti, le Regioni determinano l'ammontare dell'imposta in misura non superiore al triplo del canone di concessione. La Regione Toscana, in particolare, ha deliberato le seguenti condizioni: - l'imposta sulle concessioni per l'esercizio e coltivazione di miniere dello Stato è commisurata al 100% del canone (L.R. 8/1984). - l'imposta sulle concessioni di aree di demanio marittimo è stabilita nella misura del 15% del canone statale di concessione (L.R. 85/1995). Base imponibile Valori in euro 2004 2005 Var. % 2005/04 Distr. minerario Firenze Distr. minerario Grosseto Totale minerario 271.235 137.783 409.018 273.981 139.965 413.946 1,0 1,6 1,2 Geotermia 272.572 277.912 2,0 Demanio marittimo 711.626 731.551 2,8 1.393.216 1.423.409 2,2 TOTALE Il rilievo quantitativo Il peso di questa imposta regionale sul bilancio della Regione Toscana è assai limitato: il gettito riscosso, che ammonta complessivamente a circa 1,4 milioni di euro, rappresenta soltanto lo 0,03% del totale delle entrate tributarie (che ormai hanno superato i 6 miliardi di euro). Metà dell’imposta proviene dalle concessioni sul demanio marittimo, mentre l’altra metà si ripartisce pressoché equamente fra le concessioni minerarie e quelle sulla geotermia (per quest’ultima vale la stessa normativa perché la fonte energetica è considerata al pari di una miniera). Il significato come imposta ambientale e le possibili manovre regionali Nonostante lo scarso rilievo quantitativo, l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile è qualitativamente importante in quanto tipica imposta ambientale che ricade sull’uso delle risorse naturali. Come tale può da un lato indurre un uso più contenuto delle risorse naturali e dall’altro consentire la raccolta di gettito aggiuntivo da destinare alla gestione del suolo, in particolare a quei comparti su cui questo tributo grava. Secondo la legislazione attuale, alla discrezionalità della Regione è lasciata soltanto la determinazione del livello d’aliquota senza alcuna modulazione; di conseguenza questa imposta potrebbe essere aumentata ma non articolata in modo che eventuali meccanismi di premio/aggravio incentivino comportamenti maggiormente sostenibili. Nulla invece può decidere la Regione sulla base imponibile, che è esattamente il canone statale. I margini disponibili per eventuali manovre di rialzo dell’aliquota sono ancora molto ampi, visto che attualmente i valori sono stati fissati ad un livello relativamente basso rispetto al massimo consentito. Per le concessioni sulle aree di demanio marittimo il gettito potenziale aggiuntivo ammonterebbe a quasi 14 milioni di euro, mentre per le miniere e i siti geotermici a 1,4 milioni di euro. Nell’ipotesi di aumento massimo, questa imposta regionale diverrebbe quindi molto significativa anche dal punto di vista quantitativo. Ipotizzando, poi, uno scenario normativo diverso, sarebbe importante immaginare interventi più creativi e soprattutto più ambientali. Ad esempio, l’aliquota dell’imposta regionale sulle concessioni statali potrebbe essere modulata in relazione al principio “chi inquina paga”: sgravi fiscali potrebbero essere, allora, concessi a coloro che dimostrano di aver migliorato la qualità del bene avuto in concessione e, viceversa, inasprimenti d’imposta potrebbero gravare su chi, attraverso l’attività esercitata, ha provocato danni al bene, talvolta anche irreversibili. * IRPET Discrezionalità regionale Valori stabiliti in Toscana Gettito 2005 (mgl. euro) Gettito aggiuntivo potenziale (mgl. euro) Miniere e siti geotermici dello Stato Fino a 3 volte il canone di concessione 100% del canone statale 692 1.384 Aree di demanio marittimo Fino a 3 volte il canone di concessione erariale 15% del canone statale di concessione 731 13.889 2 Spazio Altre Regioni Le manovre delle Regioni sull’IRAP di Stefania Lorenzini * L’IRAP è entrata in vigore dal 1998 e da subito è diventata la principale leva impositiva a disposizione delle Regioni. Dal punto di vista quantitativo in media l’IRAP privata potrebbe fornire alle Regioni oltre la metà del loro gettito potenziale aggiuntivo; dal punto di vista qualitativo è evidente che la tassazione tramite l’IRAP costituisce uno strumento efficace di politica industriale, perché può essere collegata al finanziamento di politiche regionali finalizzate a stimolare la dinamica del sistema produttivo. Il blocco delle manovre in rialzo, in vigore dal 2003 fino al 2006 compreso, ha però inibito il ricorso a questa imposta da parte delle Regioni, che sostanzialmente finora hanno potuto offrire ai propri contribuenti soltanto alcune forme di agevolazione. Ad oggi, infatti, quasi tutte le Regioni prevedono sgravi di IRAP, generalmente a favore di imprese nuove (giovanili, femminili oppure al di sotto di una certa soglia di produzione); imprese appartenenti al terzo settore; imprese che lavorano in aree svantaggiate; imprese dotate di certificazioni ambientali. Prima del blocco del 2003 soltanto quattro Regioni italiane -Emilia Romagna, Lombardia, Marche e Veneto- avevano deliberato aumenti d’IRAP per specifici settori d’attività. Nel 2007, però, si è finalmente riaperta la possibilità di incrementare l’aliquota e alcune Regioni hanno già deciso di sfruttarla. Si tratta, innanzitutto, delle Regioni con disavanzo sanitario (Abruzzo, Campania, Lazio, Molise e Sicilia), ma anche della Toscana, che ha impostato un disegno preciso di aumenti d’imposta, che graveranno su specifici settori d’attività. Nel caso toscano sono stati selezionati quei settori meno esposti alla concorrenza internazionale e che, negli ultimi anni, hanno beneficiato di una dinamica positiva dei profitti: le assicurazioni, le banche, le società finanziarie, le attività immobiliari, ma anche le imprese di telecomunicazione e le autostrade sono state individuate come attività, che finora hanno goduto “immeritatamente” di notevoli guadagni solo grazie a posizioni di rendita e che, perciò, sono penalizzabili con un aggravio del carico fiscale. I maggiori introiti finanzieranno progetti, che andranno a beneficio soprattutto delle imprese che, al contrario, sono più esposte alla concorrenza sui mercati esteri. Aumento Aumento generalizz. specifici settori Abruzzo X Basilicata Campania X Emilia R. X Friuli V.G. Lazio X Liguria Lombardia X Marche X Molise X Piemonte Puglia Sardegna Sicilia X Toscana X Umbria V. d'Aosta Veneto X Bolzano Trento In rosso vengono indicate le manovre 2007 di Giancarlo Pola * In Francia è in atto dal 2004 un interessante esperimento di “devoluzione bilanciata” di competenze e poteri fiscali centrali alle Regioni a seguito della riforma costituzionale dello stesso anno. Il tributo centrale su cui si impernia l’esperimento, che ha tutta l’aria di voler essere stabile e di portata crescente, è l’accisa su benzina e gasolio, la TIPP (imposta interna sui prodotti petroliferi), che va dai circa 42 euro/hl. per il gasolio ai 60 euro/hl per la benzina. Globalmente, la TIPP fornisce un gettito di circa 27 miliardi di euro; e poiché le Regioni necessitavano inizialmente di circa 450 milioni di euro per le competenze trasferite, bastava una frazione pari a poco meno di un euro a hl. (circa un 2%) per coprire il fabbisogno. La frazione di accisa attribuita alle Regioni è stata inizialmente ripartita tra di loro in funzione di un parametro (detto “chiave” nella legge), che permetteva il mantenimento di un legame tra la collettività regionale e le risorse trasferite. Ciascuna Regione si vide dunque attribuire una percentuale di accisa TIPP che corrispondeva al rapporto tra l’ammontare delle spese a lei trasferite e l’ammontaretotale di tali spese a livello nazionale. Per tenere conto delle nuove competenze regionali nel frattempo previste, con la legge finanziaria 2006 il metodo di attribuzione delle compensazioni alle Regioni è stato affinato, nel senso che la base imponibile della TIPP è stata regionalizzata in senso proprio. Dall’anno scorso, cioè, le Regioni francesi sono beneficiarie di un gettito non più funzione dei consumi nazionali di carburante, ma dei consumi di carburante registrati sul territorio regionale. Quindi, per avvicinare il più possibile la dimensione della compensazione e il gettito ricavabile dalla base, non vi è più un’unica frazione nazionale di accisa adattata alle varie situazioni, ma tante frazioni di accisa quante sono le situazioni regionali. Le frazioni regionali di accisa sono state calcolate rapportando l’ammontare degli oneri trasferiti a ciascuna Regione nel 2005 e nel 2006 alla base imponibile definita per il 2006. Grazie a questa modalità di calcolo, nessuna Regione può dirsi penalizzata rispetto ad un’altra, perché ciascuna collettività regionale percepisce il prodotto di un’aliquota per una base imponibile pari alla compensazione (delle spese per le funzioni trasferite) cui ha diritto. Del resto, la regionalizzazione delle basi imponibili costituisce un preliminare alla possibilità di rimodulare regionalmente le dette frazioni di accisa a partire da quest’anno, il 2007. Per questo ulteriore passaggio la Francia ha dovuto negoziare con i propri partners europei una speciale deroga, X X X X X X X X X X X X X X X X X X X D’ora in poi il quadro tenderà sempre più a differenziarsi, perché le Regioni -riappropriandosi della manovrabilità dell’IRAP- potranno davvero impostare manovre fiscali di forte impatto sul proprio bilancio e sul sistema produttivo regionale. Spazio Europa L’esperienza francese di regionalizzazione dell’accisa sui prodotti petroliferi Agevolazioni * IRPET come previsto essere possibile, per serie e motivate ragioni (e la decentralizzazione è stata riconosciuta tale!) dall’art. 19 della Direttiva n. 2003/ 96/ CE, al fine di poter applicare tariffe differenziate per Regione. Pertanto, a partire dal 2007 e per tre anni, la Francia è autorizzata ad applicare aliquote d’imposta differenziate per Regione. Ma tale possibilità è limitata: poiché l’unica deroga ammessa è la riduzione dell’accisa (non l’aumento), si è dovuti ricorrere all’escamotage di definire dapprima un aumento della tariffa nazionale per ragioni di difesa ambientale, indi un’ immediata riduzione dello stesso ammontare per l’anno 2006, in modo da non gravare sul consumatore, autorizzando -dal 2007- le Regioni sia a rinunciare a tale riduzione sia, al contrario, ad aumentarla. Ma il potere di modulazione dell’accisa da parte della Regione è doppiamente ristretto: da un lato, le Regioni non possono che rapportarsi alla frazione di TIPP che è stata loro attribuita dalla legge finanziaria 2006; dall’altro, la TIPP regionale non può salire più di euro 1,77 all’ettolitro per la benzina o di euro 1,15 per il gasolio. L’Italia, con i suoi 12,6 euro per ettolitro di benzina, già attribuiti dal 2000 alle Regioni sotto forma di compartecipazione, potrebbe far tesoro di questa esperienza francese di decentralizzazione, basata peraltro su un solo euro per ettolitro di carburante. * Università di Ferrara 3 Spazio Enti Locali La fiscalità su base immobiliare nei Comuni: problematiche ed evoluzione. di Anna Ancillotti* I Comuni oggi esercitano l’autonomia di entrata in buona misura attraverso forme di fiscalità che hanno per oggetto il valore o il reddito degli immobili ubicati sul loro territorio. Ciò per la correlazione che esiste fra le politiche comunali di servizio e di creazione di infrastrutture ed il valore degli immobili, di cui beneficiano i proprietari e gli occupanti. Basti pensare alla pianificazione urbanistica o alla viabilità. Il principio di correlazione fra prelievo e funzioni di spesa che impiegano le corrispondenti risorse è stato motivo di una precisa indicazione dell’Alta Commissione per la definizione dei meccanismi strutturali del Federalismo fiscale, che nella relazione del settembre 2005 ha proposto l’allocazione del prevalente gettito che proviene dagli immobili, a favore degli enti locali. Le entrate locali accertate su base immobiliare oggi sono l’ICI, la TARSU (o TIA), la COSAP (ex TOSAP). Altre entrate, la cui misura è influenzata anche dal valore degli immobili e dalla loro rendita, provengono dalle addizionali sull’IRPeF. I tributi che, seguendo le indicazioni della Commissione, potrebbero essere riallocati in capo ai Comuni, sono l’IVA sulla cessione dei beni immobili e le imposte di registro, ipotecarie e catastali, nonché tutto il gettito delle imposte sui redditi attribuibili alla componente immobiliare. Il primo gruppo nel complesso ha reso alle casse dello Stato, nel 2005, un’entrata appena superiore a quella prodotta all’ICI all’insieme dei Comuni (10-11 mld. di euro); il gettito IRPeF sulle rendite immobiliari è stato stimato in circa 7 miliardi. L’attribuzione di tutta la fiscalità immobiliare, pertanto, qualora se ne verificasse la fattibilità tecnica e l’opportunità economica, porterebbe ai Comuni entrate fiscali di peso più che doppio rispetto all’attuale. A questi si potrebbe aggiungere l’imposta di scopo, la cui eventuale istituzione è stata introdotta dalla finanziaria del 2007, ed il cui ammontare sarebbe determinato dall’applicazione dell’aliquota prescelta (fino allo 0,5 per mille) alla stessa base imponibile dell’ICI. I dati rilevati dai bilanci dei comuni della Toscana nell’ultimo anno disponibile, il 2005, evidenziano come i tributi su base immobiliare costituiscano già oggi il 67,4% delle entrate tributarie e il 45,8% delle entrate proprie. Tuttavia, l’andamento nell’ultimo decennio mostra anche come questo tipo di prelievo sia caratterizzato da una variabilità nettamente inferiore a quella delle complessive entrate tributarie, nonché di tutte le entrate proprie. L’imposizione immobiliare, infatti, ha oggi il limite della sostanziale staticità della base imponibile, che contrasta con l’andamento della spesa corrente. Così questa negli ultimi anni è cresciuta assai più della crescita del gettito dell’ICI e degli altri tributi su base immobiliare, creando ai Comuni evidenti problemi di equilibri di bilancio. Il fenomeno ha due fondamentali motivazioni. La prima risiede nel fatto che l’attuale sistema estimativo del catasto si basa sulla classificazione censuaria, sull’individuazione di particelle tipo, sul classamento (attraverso cui si riconducono le unità immobiliari alle particelle tipo) e, infine, sulla conseguente attribuzione della rendita. La metodologia, non tenendo conto degli effettivi tassi di rendimento del bene colpito, offre un’inadeguata rappresentazione dei valori patrimoniali posti a base dell’imposizione. Il secondo motivo risiede nella circostanza per cui il Comune, allo stato attuale, non è in grado di verificare l’autodichiarazione ai fini dell’ICI da parte del contribuente, con proprie informazioni attendibili sulle proprietà, sulle superfici, sulle classi, sugli indirizzi; ciò dipende sia dalle difficoltà di accedere agli archivi catastali, sia dalla scarsa qualità delle informazioni che comunque se ne ricavano. Pertanto, senza misure correttive di queste lacune di fondo, ogni intervento al sistema di tassazione degli immobili rischia di tradursi in un accrescimento delle sperequazioni. Viceversa, un’autonoma assunzione da parte degli Enti Locali degli strumenti e delle procedure di accertamento dei valori immobiliari sul proprio territorio, di cui la pianificazione urbanistica e il sistema delle autorizzazioni edilizie costituiscono preziosi canali di conoscenza, potrebbe loro consentire di attuare politiche di redistribuzione del carico fiscale. Certamente, essa è condizione imprescindibile di qualsiasi analisi e intervento sulla questione “ICI sulla prima casa”. Dell’esigenza di riformare i servizi catastali, si è fatto portatore il Governo sia attraverso alcuni contenuti della legge finanziaria, sia con la presentazione del disegno di legge delega per la riforma del catasto (atto C. 1762 del 4/10/06). È stato finalmente dato un segnale di attenzione ad una materia rimasta da decenni in ombra rispetto alla complessa problematica del carico tributario, segnale a cui la Regione Toscana ha prontamente risposto con significative iniziative. Di questo parleremo più diffusamente nel prossimo numero. * Consulente ANCI Toscana Attività e Notizie Agenda Iniziative Entro il 31/05/2007 la Regione Toscana approverà il DPEF (Documento di Programmazione Economica Finanziaria) riferito al triennio 2008-2010. SIEP IRPET FISCALITÀ REGIONALE E LOCALE Consiglio Regionale della Toscana Firenze, 26 gennaio 2007 Pubblicazioni ANCI- Anci Toscana IV Meeting formativo L’IMPATTO DELLA FINANZIARIA 2007 SUI BILANCI DEGLI ENTI LOCALI Viareggio, 18 gennaio 2007 CITTÀ E TERRITORIO Officina Edizioni Roma 2006 Per informazioni o chiarimenti sui tributi della Regione Toscana scrivere a : [email protected] Provincia di Modena - UPI Emilia Romagna LE POLITICHE DI BILANCIO DEGLI ENTI LOCALI A CONFRONTO Camera di Commercio Modena, 2 marzo 2007 Redazione IRPET: Claudia Ferretti (Responsabile) Stefania Lorenzini REGIONE TOSCANA: Luigi Idili, Giovanni Morandini, Francesca Poli Progetto grafico: Patrizia Ponticelli Sede di redazione: IRPET - Via G. La Farina, 27 50132 FIRENZE Tel. 055/574175 Fax 055/574155 e-mail [email protected] 4