, Prima di diventare Putin, in Il Giornale del Friuli, 06/02/2010. Prima

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, Prima di diventare Putin, in Il Giornale del Friuli, 06/02/2010.
Prima di diventare Putin
da aspirante taxista a guida del Cremlino: cronaca di una misteriosa scalata al potere
La mattina del 5 dicembre 1989, a Dresda, nella Germania Est, una folla inferocita si radunò lungo
il muro di cinta di quella che in città era risaputo essere la sede in incognito del KGB. Da oltre un
mese la situazione per gli apparati di sicurezza sovietici era ormai completamente fuori controllo in
tutto il paese. Il Muro di Berlino era caduto ad inizio novembre e tutto l‟universo ideologico sul
quale era stato fondato fino ad allora il Patto di Varsavia continuava a sbriciolarsi inesorabilmente.
Gli agenti sovietici rimasti sul territorio tedesco impiegarono giorni interi a bruciare in fretta le
centinaia di fascicoli riservati, allo scopo di evitare che le informazioni raccolte durante la Guerra
Fredda non finissero nella mani degli occidentali. L‟intenzione dei manifestanti fuori dal palazzo
apparve subito chiara: tentare di irrompere nell‟edificio, così come il giorno prima era avvenuto con
la sede della Stasi. Ai primi cenni di sfondamento, un uomo vestito in abiti civili, un tizio
muscoloso e di bassa statura, uscì dalla porta principale armato di pistola; qualificandosi come un
interprete, minacciò di sparare a chiunque tentasse di scavalcare la recinzione.
- Andate via! Questo è territorio sovietico!- disse con voce ferma e occhi di ghiaccio, puntando
l‟arma dritta verso la folla. Era lo stesso “interprete” immortalato appena un anno prima nella
piazza Rossa di Mosca, questa volta travestito da innocuo turista, a pochi passi dal presidente degli
Stati Uniti Ronald Regan. La minaccia bastò e la gente pian piano si disperse, festeggiando
chiassosamente per le strade la fine del regime spalleggiato da Mosca.
Alla fine di dicembre, tutti i membri del KGB di Dresda si diedero da fare per lasciare al più presto
la Germania. Tra loro c‟era anche l‟uomo con la pistola, in realtà un colonnello dei servizi di
sicurezza sovietici. La DDR cessò così di esistere, l‟Unione Sovietica cessò di esistere, anche il
KGB, il miglior servizio segreto al mondo, quello che lo aveva cresciuto e addestrato, cessò di
esistere. Certo di non avere più un futuro davanti a sé, l‟ancora sconosciuto ex colonnello del KGB
Vladimir Putin, tornò nella sua San Pietroburgo, intenzionato ad intraprendere il mestiere di taxista.
Putin, classe 1952, figlio di un “comunista modello”, con una laurea in giurisprudenza e la passione
per il judo, una volta tornato in patria si trovò al centro di una serie di eventi che volsero
inaspettatamente a suo vantaggio. Circostanze che in poco più di dieci anni hanno trasformato
l‟aspirante taxista in uno degli uomini più potenti del pianeta. È questo il decennio meno noto nella
vita del futuro presidente della Federazione Russa, un periodo costellato di angoli bui che nemmeno
gli occhi dei più attenti biografi sono ancora riusciti ad esplorare.
Assistente universitario, consigliere del sindaco di San Pietroburgo Anatoli Sobciak, vice-sindaco.
Sono le prime tappe dell‟ascesa di Putin verso le più importanti cariche di governo. Come vice
sindaco riuscì in breve tempo a dare il via alle privatizzazioni delle obsolete aziende comunali
sovietiche, attirando capitali occidentali e gonfiando le casse del comune. Per ben due volte il suo
operato finì sotto inchiesta: in un primo momento una commissione d‟indagine chiese l‟immediata
revoca del suo mandato in seguito alla presunta gestione illecita del Comitato delle Relazioni
Esterne da lui presieduto. Un anno più tardi, il nome dell‟ex aspirante taxista finì implicato in una
torbida vicenda di riciclaggio di denaro sporco. Entrambe le inchieste non sortirono alcun effetto.
Nel 1996, l‟inaspettata non riconferma di Sobciak alle elezioni comunali sembrò scombinare
nuovamente il corso del destino di Putin, ma a Mosca il suo virtuosismo negli affari non era passato
inosservato. Il presidente Boris Eltsin decise di richiamarlo a lavorare nella capitale come vice di
Pavel Borodin, potente oligarca operante nel controllo dei beni immobiliari del Cremlino.
Successivamente arrivò una promozione che per Putin significò un gradito ritorno alle origini: capo
del FSB, il nuovo servizio segreto della Federazione Russa. Era il 25 luglio 1998, l‟aspirante taxista
non si era mai seduto al volante di un‟automobile a noleggio ma aveva comunque già fatto molta
strada.
Come capo dei servizi, Putin affinò una delle sue principali abilità: la distruzione sistematica degli
avversari politici. Nell‟aprile 1999, al fianco del primo ministro Stepasin, annunciò in tv lo scoppio
di uno scandalo a luci rosse ai danni di Juri Skurtov, grande avversario del presidente Eltsin. Il 9
agosto, in una sola giornata venne nominato Primo Deputato e qualche minuto dopo Primo
Ministro. Un ruolo di assoluta importanza che Putin, personaggio ancora pressoché sconosciuto e
ampiamente sottovalutato, sembrò non dover ricoprire a lungo. La durissima guerra intestina in
corso all‟ombra del Cremlino tra il sindaco di Mosca Luzkov ed il predestinato Evgenij Primakov
per succedere a Boris Eltsin, lasciavano infatti apparentemente ben poche chanse alla carriera del
giovane Primo Ministro. Eppure anche in questo caso, eventi in parte casuali ed in parte indotti,
congiurarono a suo favore.
La grande occasione per cominciare a far breccia nel cuore nell‟opinione pubblica arrivò dalla
remota regione del Degestan, dove un manipolo di guerriglieri ceceni aveva occupato alcuni
villaggi, dichiarando in nome di Allah la nascita di uno stato islamico indipendente. La risposta
dell‟ex agente segreto Putin fu ferma e implacabile. Proclamò lo stato di emergenza per un mese
intero, facendo arrivare nella regione un gran numero di unità militari. Il risultato di liberare i
villaggi occupati, scontato, visto il numero di uomini e mezzi impegnati, venne raggiunto
rapidamente, ma il modo brillante in cui l‟operazione venne condotta fruttò al nuovo Primo
Ministro un inatteso e crescente consenso tra la popolazione russa. L‟uomo con gli occhi di ghiaccio
che a Dresda aveva difeso il KGB con la pistola in pugno, divenne così a tutti gli effetti il terzo
incomodo nella corsa alla poltrona presidenziale di Eltsin. Un traguardo che Vladimir Putin si
prefisse di raggiungere ad ogni costo. In questo senso la Cecenia, la regione ribelle nemica di
Mosca, ed in particolare il timore crescente di attentati organizzati per rappresaglia dai terroristi
ceceni, divennero ben presto il suo asso nella manica per far leva sul popolo russo. Con l‟obiettivo
di farsi riconoscere come l‟uomo giusto per combattere i terroristi, secondo molti suoi oppositori il
futuro presidente cavalcò queste paure fino al punto di incarnare la figura dell‟oscuro mandante di
una serie di terribili attentati dinamitardi. Un connubio criminoso tra apparati dello stato, servizi
segreti e terrorismo, molto simile a quella che in Italia è stata definita “strategia della tensione”.
Infatti, nei mesi precedenti alle elezioni presidenziali russe, due palazzi residenziali esplosero alla
periferia di Mosca. Attentati strani, compiuti tutti con un potente esplosivo, l‟exogen, e non seguiti
da alcuna rivendicazione. Nonostante ciò Putin, senza alcuna prova, puntò subito il dito contro quei
fantomatici terroristi ceceni ai danni dei quali stava costruendo la sua reputazione di leader
d‟acciaio. Ma il 22 settembre 1999, con la fama del Primo Ministro sempre più in ascesa, accadde
l‟impensabile: a Ryazan, nella Russia centrale, la polizia si mise sulle tracce di due uomini in
seguito ad una segnalazione. Avevano appena scaricato nella cantina di un palazzo dei sacchi di
esplosivo: exogen, pronto per l‟ennesimo attentato. La caccia all‟uomo scattata in città portò ad
intercettare una chiamata fatta da uno dei fuggitivi. Con grande stupore i poliziotti scoprirono che
dalla lontana Ryazan qualcuno aveva telefonato al quartier generale dei servizi segreti di Mosca per
chiedere istruzioni sul da farsi. Una volta individuati e catturati, i due attentatori si dichiararono
membri dei servizi segreti, pretendendo di essere liberati. Cosa che avvenne prontamente.
Nei giorni successivi l‟FSB si prodigò in improbabili spiegazioni: non ci sarebbe mai stato nessun
esplosivo, quello ritrovato era solo dello zucchero, messo nei sacchi al posto dell‟exogen per testare
la prontezza dei poliziotti della cittadina di provincia. Spiegazione alquanto curiosa visto che i
sacchi in questione avevano richiesto per ore l‟intervento di artificieri specializzati in
antiterrorismo.
Premeditati o no, gli attentati facilitarono le fasi decisive della conquista del potere da parte di
Putin. Il primo ottobre, come rappresaglia agli attentati riusciti e sventati, il Primo Ministro
annunciò a furor di popolo la nuova invasione della Cecenia; a dicembre diventò presidente ad
interim dopo la definitiva uscita dalla scena politica dell‟ormai impresentabile Boris Eltsin; infine
nel marzo del 2000 venne finalmente eletto presidente della Federazione Russa.
Dopo di ciò sui fatti di Ryazan come sulle stragi di Mosca venne di fatto imposto l‟assoluto
silenzio: poche indagini, lacunose e sbrigative con atti secretati per settantacinque anni. Forse un
avvertimento dell‟ex agente segreto Putin a chiunque fosse intenzionato ad indagare seriamente
sulla reale origine di quegli attentati. A chi provò ugualmente a cercare delle risposte non toccò
infatti una sorte felice: strani incidenti d‟auto, avvelenamenti, lunghe detenzioni per aver divulgato
dei segreti di stato.
Ci fu anche chi lasciò l‟FSB e scappò a Londra, come Aleksandr Litvinenko. Pensando di essere al
sicuro scrisse due libri indicando il mandante (Putin) e gli esecutori materiali degli attentanti del „99
(gli agenti dei servizi russi ).
In Russia i libri vennero prontamente bloccati dall‟FSB, Litvinenko venne invece misteriosamente
avvelenato con una micidiale sostanza radioattiva in un sushi bar di Londra. Le sue ultime parole
dal letto di morte furono per Vladimir Putin e per i suoi ex compagni dei servizi segreti: “avete
mostrato di essere barbari e crudeli così come i vostri critici vi dipingono”. Era il 23 novembre
2006, a Mosca la limousine nera del Presidente russo, già in carica per il secondo mandato, sfilò
accanto all‟aeroporto di Vnukovo. I taxisti in attesa fuori dallo scalo osservarono con silenziosa
referenza il passaggio dell‟imponente scorta del loro mancato collega.