Analisi critica del DDL sulla responsabilità professionale

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Analisi critica del DDL sulla responsabilità professionale
CONVEGNO ORGANIZZATO
DALL’OMNCeO di COSENZA E DALL’IPASVI CALABRIA
“LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEGLI OPERATORI SANITARI ALLA
LUCE DELLA RIFORMA”
COSENZA 9 APRILE 2016 - UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA
RELAZIONE
“IL DDL SULLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DELL’OPERATORE
SANITARIO: NECESSITÀ E CRITICITÀ DI UNA RIFORMA”*
1.
Note introduttive
Anzitutto, grazie al Presidente dell’Ordine dei Medici di Cosenza e al Coordinatore
Regionale dell’IPASVI per il gentile invito.
Prima di affrontare nel merito il DDL sulla responsabilità professionale degli esercenti la
professione sanitaria - attualmente in discussione alla XII° Commissione Igiene e Sanità del Senato
- vorrei fare un passo indietro, al fine di far capire la genesi di questo importante e, per certi versi,
storico provvedimento normativo.
Nell’ambito della responsabilità professionale sanitaria, non v’è dubbio che si è assistito,
negli ultimi decenni, a una crescita esponenziale del contenzioso tanto in sede penale quanto, e
soprattutto, in sede civile.
In conseguenza di tutto ciò, il processo evolutivo della medical malpractice, ha
contestualmente portato al livello di guardia un fenomeno che, com’è stato suggestivamente
sottolineato, “costituisce ormai una vera e propria malattia sociale che sta incidendo negativamente
sull’efficienza e sullo sviluppo futuro della pratica medica”1.
La difficile congiuntura che si è venuta a definire nel settore della responsabilità sanitaria
ha comportato, da un lato, una forte diminuzione dell’offerta da parte del mondo assicurativo, a
causa del ritiro di alcune delle principali compagnie nazionali di assicurazione da questo segmento
di mercato, scoraggiate dalla crescente alea del rischio; dall’altro lato, la predisposizione di
soluzioni assicurative, da parte delle poche imprese che continuano ad assumere tali rischi, con
franchigie molto elevate, ovvero facendo ricorso a tutto un apparato di clausole tese a circoscrivere
la copertura.
Ed è in questo contesto che, dopo decenni di atteggiamento silente da parte del legislatore
italiano, si sono inseriti alcuni provvedimenti normativi che hanno profondamente segnato, in
special modo, il panorama dell’assicurabilità della responsabilità medica e, più in generale,
sanitaria: i) l’art. 3, comma 5, lett. e) del decreto-legge 138/2011, convertito con l. 148/2011 sulla
obbligatorietà della polizza di assicurazione per i professionisti; ii) l’art. 3 del decreto-legge 13
settembre 2012, n. 158, convertito con l. n. 189/2012, c.d. legge Balduzzi; iii) e, infine, l’art. 27 del
decreto legge n. 90/2014.
1 Cfr. A. Fiori‐G. La Monaca, Per una “terapia giurisprudenziale” del contenzioso giudiziario da responsabilità medica, in
Rivista Italiana di Medicina Legale, 2013, 1, 33.
1
1)
Il decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011, convertito in legge il 14 settembre 2011, all’art. 3,
comma quinto, lett. e), ha stabilito l’obbligatorietà per tutti i professionisti “a tutela del cliente, […]
di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale”, prevedendo
altresì che “Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli
estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale ed il relativo massimale...”.
Anzitutto, è evidente come il precetto normativo, nella sua ratio ispiratrice, è indirizzato a
fornire, prioritariamente, una tutela ai clienti del professionista, obbligando quest’ultimo – tra cui
certamente devono essere annoverati anche i medici – a munirsi di una polizza assicurativa idonea
a garantirli dal rischio derivante dalla loro attività professionale.
2)
L’art. 27 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 (convertito in L. 11 agosto 2014, n. 114) ha
introdotto alcune modifiche all’art. 3, D.L. n. 158/2012 (L. 8 novembre 2012, n.189, cd. Decreto
Balduzzi).
Nello specifico, il decreto legge ha modificato, tra gli altri, il comma 4 dell’art. 3 del D.L. n.
158/2012, il cui testo originario si è arricchito di questo, testuale, incipit: “nel rispetto dell’ambito
applicativo dell’articolo 3, comma 5, lettera e) del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148” (la disposizione richiamata fa riferimento al sopra
citato obbligo assicurativo per tutti i professionisti, compresi gli esercenti le professioni sanitarie,
ndr).
La ratio di tale inciso è da rintracciare nella relazione illustrativa al decreto legge in
questione: quello di chiarire definitivamente “al fine di evitare costosi contenziosi futuri” che gli
obblighi assicurativi in sanità, alla luce della logica di sistema che governa la più generale
disciplina dell’assicurazione obbligatoria dei professionisti, “non trovano applicazione nei confronti
del professionista sanitario che opera nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente con il Servizio sanitario
nazionale”2.
Tuttavia, la lettera della norma ha dato adito ad alcuni dubbi, tanto che alcuni autori
ritengono che la disposizione di legge “ingenera maggiori perplessità di quelle che pretendeva di
dissolvere”3.
3)
Infine, l’indagine sui provvedimenti di legge che hanno influito sulla traiettoria evolutiva
dell’assicurabilità della responsabilità sanitaria, non può prescindere dal più volte citato Decreto
Balduzzi, il cui art. 3 rinvia ad un successivo D.P.R. - al fine di agevolare l’accesso alla copertura
assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie – la regolamentazione delle procedure e dei requisiti
minimi ed uniformi per l’idoneità dei contratti di assicurazione degli esercenti le professioni sanitarie.
Il decreto delegato avrebbe dovuto prevedere: a) l’istituzione di un Fondo, su cui far
Nella Relazione illustrativa al Decreto si legge che: <<La novella al comma 4 dello stesso art. 3 del decreto-legge n. 158/2012,
introdotta al comma 1, lettera c), del presente articolo, ha unicamente lo scopo di chiarire definitivamente, al fine di evitare costosi
contenziosi futuri, tenuto conto della ratio della norma generale, di cui all’art. 3, comma 5, lettera e) del decreto legge 13 agosto
2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in tema di obblighi assicurativi per i professionisti,
che tali obblighi non trovano applicazione nei confronti del professionista sanitario che opera nell’ambito di un rapporto di lavoro
dipendente con il Servizio sanitario nazionale>>.
3 In tal senso M. Hazan, I nuovi obblighi di assicurazione in sanità: note a margine del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, in
Danno e responsabilità, 2014, 10, 963, il quale, tra l’altro, aggiunge che: <<Il nuovo comma 4 dell’art. 3 della Legge Balduzzi
(attualmente in vigore) risulta oggi arricchito da un incipit che, facendo espresso riferimento “all’ambito di applicazione” dell'art. 3,
comma 5, lettera e) del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (norma-base sull’obbligo di assicurazione dei professionisti, da cui la legge
“Balduzzi” sostanzialmente promana), dovrebbe stigmatizzare il principio declinato nella relazione illustrativa e, pertanto,
l’impossibilità di riferire l’obbligo assicurativo ai medici dipendenti delle strutture sanitarie pubbliche. Ciò, si deve supporre, in
quanto quella disposizione di base correla - qui sì, in modo chiaro - l’obbligo assicurativo ad una superiore, ed in qualche modo
trasversale, esigenza di protezione del “cliente” del professionista, in quanto potenziale danneggiato dagli errori da quest’ultimo
compiuti nell’adempimento dell’incarico. Ed il medico ospedaliero (solo nel servizio pubblico?) non riceve, in senso proprio, incarichi
né intrattiene, con i pazienti della struttura, rapporti di clientela (…)>>.
2
2
gravare l’obbligo di garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie
che il regolamento avrebbe dovuto indicare, sulla base di determinate categorie di rischio
professionale, indicandosi, tra le altre cose, le modalità di finanziamento; b) l’introduzione anche
nell’ambito della responsabilità sanitaria di clausole simili a quelle presenti nella r.c. auto e definite
bonus-malus per i premi assicurativi; c) infine, la previsione della disdetta della polizza solo a
seguito di “reiterazione di una condotta colposa da parte del sanitario accertata con sentenza definitiva”.
La bozza di regolamento allo stato circolante prevede, in aggiunta ai requisiti sopra
illustrati e previsti dalla legge-delega, un massimale minimo di un milione di euro. Inoltre, viene
espressamente ammessa la stipula di una copertura con formula claims made, che deve però
obbligatoriamente prevedere una garanzia cd. pregressa sino alla data di entrata in vigore
dell’obbligo assicurativo ex lege, nonché in caso di cessazione dell’attività per qualunque causa,
una ultrattività di almeno dieci anni.
In attesa dell’emanazione del regolamento, l’obbligo assicurativo per i medici era stato
prorogato all’agosto 2014; nonostante il termine sia ampiamente scaduto e non vi sia stata, nel
frattempo, un’ulteriore proroga legislativa, da più parti è stato sostenuto, con l’avallo tra l’altro di
un parere del Consiglio di Stato4, che l’obbligo di assicurazione per gli esercenti le professioni
sanitarie sia comunque da ritenersi sospeso sino all’emanazione, appunto, del D.P.R..
2.
La responsabilità dell’esercente la professione sanitaria dopo la riforma della cd. Legge
Balduzzi. Gli orientamenti giurisprudenziali
All’indomani dell’approvazione della legge Balduzzi si è sviluppato un vivace dibattito,
alla luce della formulazione testuale dell’art. 3, comma 1, e, nella specie, del suo secondo periodo5.
Com’è noto, l’art. 3 della Legge di conversione n. 189/2012 ha modificato il testo originario
del D.L. n. 158/20126.
4 Il riferimento è al Parere n. 486/2015 del 19.02.2015 del Consiglio di Stato, sez. seconda. Il parere era stato sollecitato dal
Ministero della Salute, ritenendo che <<dal momento che l'art. 3 del decreto Balduzzi rinvia ad un successivo regolamento con
D.P.R. la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi e uniformi dei contratti assicurativi dei professionisti del settore sanitario,
agli stessi non dovrebbe applicarsi l'art. 5 del D.P.R. n. 137/2012, nella parte in cui sanziona la mancata stipula di una polizza
assicurativa da parte dei professionisti come illecito disciplinare. Pertanto l'obbligatorietà per questi ultimi di assicurarsi, decorrente
dal 15 agosto u.s., dovrebbe considerarsi rinviata all'emanazione del decreto stesso>>. Il giudice amministrativo,
considerando che <<il decreto Balduzzi ha radicalmente innovato la disciplina dell'obbligo assicurativo per gli esercenti le
professioni sanitarie, in modo da precostituire in materia un vero e proprio corpo normativo autonomo rispetto alla disciplina
generale valevole per tutti gli altri professionisti nelle attività di natura diversa rispetto ai primi>>, ha concluso nel senso di
ritenere che <<senza la definizione in sede regolamentare dell'accesso al mercato assicurativo da parte degli esercenti le professioni
sanitarie, come previsto appunto nel citato art.3 del decreto Balduzzi, non può ritenersi operativo l'obbligo per quest'ultimi di dotarsi
dell'assicurazione professionale>>, e pertanto <<deve ritenersi che l'obbligo di assicurazione per gli esercenti le professioni sanitarie
non possa ritenersi operante fino a quando non sarà avvenuta la pubblicazione ed esaurita la vacatio legis del D.P.R. previsto dal
capoverso dell'art. 3 del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, che
disciplinerà le procedure e i requisiti minimi ed uniformi per l'idoneità dei contratti assicurativi. Conseguentemente, sino ad allora,
non potrà essere considerata quale illecito disciplinare la mancata stipula di una polizza assicurativa, da parte degli esercenti le
professioni sanitarie>>.
5 Art. 3, comma 1, Decreto legge n. 158 del 13/9/2012: <<1. L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della
propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa
lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella
determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo>>. Sulla corretta
interpretazione del rinvio all’art. 2043 c.c. contenuto nell’art. 3 del c.d. Decreto Balduzzi come modificato dalla legge di
conversione cfr. A. Garibotti, Un nuovo fronte di battaglia per gli studiosi della responsabilità civile: l’interpretazione della Legge
Balduzzi, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 2014, 746 ss., la quale, significativamente, sottolinea come <<gli studiosi e i
pratici della responsabilità civile possono ora cimentarsi su un nuovo fronte di battaglia>>.
6 Il testo originario disponeva: <<Fermo restando il disposto dell’art. 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve
nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare
3
A distanza oramai di più di tre anni dall’entrata in vigore della norma, non vi è ancora una
lettura condivisa della stessa, soprattutto, da parte della giurisprudenza, che si è divisa tra coloro
che ritengono che la nuova disposizione nulla ha modificato in ordine alla responsabilità da
inadempimento del medico pubblico e coloro che, al contrario, sostengono la natura
extracontrattuale della responsabilità sanitaria.
Al momento, hanno seguito il primo indirizzo giurisprudenziale il Tribunale di Arezzo, di
Caltanissetta, di Cremona, di Pisa, di Monza, di Taranto e di Firenze7.
Hanno sostenuto, invece, l’orientamento secondo il quale il medico dipendente risponde
verso il paziente quale autore di un fatto illecito (ai sensi di cui all’art. 2043 c.c.), il Tribunale di
Varese, il Tribunale di Torino e il Tribunale di Enna8.
Sulla questione è anche intervenuta la Corte di Cassazione.
Dapprima con un obiter dictum, nella sentenza n. 4030/2013, nella quale i giudici di
legittimità hanno ritenuto che: <<L’art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, conv. in l. 8
novembre 2012, n. 189 ha depenalizzato la responsabilità medica in caso di colpa lieve, dove l’esercente
l’attività sanitaria si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
L’esimente penale non elide, però, l’illecito civile e resta fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. che è clausola
generale del neminem laedere, sia nel diritto positivo, sia con riguardo ai diritti umani inviolabili quale è la
salute. La materia della responsabilità civile segue, tuttavia, le sue regole consolidate e non solo
per la responsabilità aquiliana del medico ma anche per quella c.d. contrattuale del medico e della
struttura sanitaria, da contatto sociale>>9.
Successivamente, con la pronuncia n. 8940/201410, secondo cui la norma in questione non
induce il superamento dell'orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue
implicazioni.
Quindi, riassumendo e concludendo sul punto, la non perspicua formulazione normativa si
presta a una duplice valutazione:
- da un lato, coloro che propendono per una ininfluenza della previsione normativa sulla
configurazione della responsabilità medica come responsabilità da contatto sociale;
- dall’altro lato, chi ritiene che il rinvio all’art. 2043 del codice civile rappresenta una scelta
consapevole da parte del legislatore, delineando, in taluni casi, un ritorno al cumulo di
responsabilità (extracontrattuale per il medico, contrattuale per la struttura), in altri casi
assoggettando le responsabilità in questione ad una sorta di regime a doppio binario dove
vengono collocate le responsabilità della struttura e del medico come responsabilità autonome
fondate su criteri di imputazione distinti11.
3.
Le oscillazioni del Tribunale di Milano
Il fervido dibattito iniziale, che sembrava essersi sopito dopo l’intervento del Supremo
dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e
internazionale>>.
7 Per una ricostruzione completa degli orientamenti giurisprudenziali citati si veda L. Nocco, La responsabilità sanitaria e le
responsabilità “emergenti”, Milano, 2015, 103 e ss.. 1) Trib. Arezzo 14 febbraio 2013; 2) Trib. Caltanissetta 1 luglio 2013; 3)
Trib. Cremona 1 ottobre 2013; 4) Trib. Pisa 27 febbraio 2013; 5) Trib. Monza 16 gennaio 2013; 6) Trib. Taranto 12 febbraio
2013; 7) Trib. Firenze 12 febbraio 2014.
8 L. Nocco, op. cit., 1) Trib. Varese, sez. I, 26 novembre 2012, n. 1406; 2) Trib. Torino, sez. IV, 26 febbraio 2013; 3) Trib.
Enna, 18 maggio 2013.
9 Cass. Civ., sez. III, sent. 19 febbraio 2013, n. 4030. Cfr. P. Gattari, Profili civilistici della legge Balduzzi: il «senso» del richiamo
all'art. 2043 c.c., in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 3, 2014, 1040.
10 Cass. civ., sez. VI, ord. 17 aprile 2014, n. 8940, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2014, I, 909.
11 In tal senso R. De Matteis, Colpa medica e inadempimento delle strutture sanitarie, in Contratto e Impresa, 2015, 3, 557.
4
Collegio sopra menzionato, e, quindi, con il prevalere della tesi della responsabilità del sanitario a
titolo contrattuale, si è riaperto a seguito dell’elaborazione giurisprudenziale del Tribunale di
Milano, e dei diversi (dis)orientamenti espressi, che hanno fatto emergere un singolare contrasto di
opinioni tutto interno al Foro milanese.
La prima di queste decisioni è datata 17 luglio 2014 (dep. 23 luglio 2014), n. 9693, I° sez. civ.,
giudice Gattari 12 , che rinviene nell’art. 3 della c.d. Legge Balduzzi l’inequivoca volontà del
legislatore di restringere e limitare la responsabilità (anche) risarcitoria derivante dall’esercizio
delle professioni sanitarie, per contenere la spesa sanitaria e porre rimedio al fenomeno della
medicina difensiva.
L’esposizione seguita dal giudice meneghino, <<con argomentazioni più ragionate, poiché con
memoria del dibattito in corso e nel frattempo maturato>>13, in estrema sintesi, ha precisato che:
- in primo luogo, <<per evitare possibili malintesi in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 3 della
“legge Balduzzi”>>14, la norma in esame non disciplina tutte le ipotesi di responsabilità del medico.
A tale proposito, nulla è mutato in ordine alla responsabilità per le strutture sanitarie, che era, è e
continuerà ad essere di natura contrattuale, dal momento che la novella legislativa si riferisce
espressamente agli esercenti la professione sanitaria. Ad analoghe conclusioni, peraltro, si
perverrebbe anche qualora si volesse aderire alla tesi che individua nella legge istitutiva del
Servizio Sanitario Nazionale (l. n. 833 del 1978) la fonte dell’obbligo per la struttura, pubblica o
convenzionata che sia, di erogare determinate prestazioni in favore del paziente: difatti, si
tratterebbe di un’obbligazione che, comunque, sarebbe riconducibile allo schema dell’art. 1218 c.c.;
- in tutte quelle fattispecie in cui il paziente concluda con il medico un contratto d’opera, ai sensi
dell’art. 2222 c.c, è pacifico che il danneggiato possa invocare la responsabilità da inadempimento
ex art. 1218 c.c.: deve provare che tra gli stessi si sia concluso un contratto e non avrà alcuna
rilevanza che la prestazione medica sia stata resa presso una struttura sanitaria (pubblica o
privata);
- dunque, quando il paziente agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto
in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il
convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli
elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c. che l’attore ha l’onere di provare;
- infine, non appare condivisibile la linea interpretativa per la quale il richiamo all’art. 2043 c.c. sia
atecnico o, addirittura inesatto, ritenendo che ciò non può essere dedotto alla luce della ratio della
“legge Balduzzi”: il contenimento della spesa pubblica e della “medicina difensiva”, anche
attraverso la limitazione della responsabilità medica dimostra, al contrario, un’avvedutezza del
legislatore il quale decide, per raggiungere tal fine, l’istituto più adeguato.
Diversamente orientata rispetto agli esiti a cui è giunta la I° sezione civile del Tribunale di
Per una lettura critica della sentenza cfr. R. Pucella, Un improvvido legislatore crea più danno dei medici, in NGCC, 1/2015,
36 ss.; A. Garibotti, Il nuovo diritto vivente della prima sezione del Tribunale di Milano, in www.liderlab.it.; F. Seccaro,
Responsabilità medica: lo stato attuale dell’arte, in www.giurisprudenzapenale.com; nota redazionale di I. Riva, in Assicurazioni,
4/2014, 682 ss.; L. Mattina, La legge Balduzzi: diventa extracontrattuale la responsabilità del medico?, nota di commento alle
sentenze Trib. Milano 14 giugno 2014, Trib. Milano 17 luglio 2014 e Trib. Brindisi 18 luglio 2014, in Danno e resp., 1/2015,
47 ss.; U. M. Rolfo, La responsabilità medica ai sensi dell’art. 2043 c.c., nota di commento, in www.giustiziacivile.com, 16
gennaio 2015. Più in generale sull’orientamento assunto dalla I° sez. civ. del Tribunale di Milano, cfr. N. Todeschini,
Balduzzi e la svolta di Milano: ora parla Balduzzi, in www.personaedanno.it, 22 ottobre 2014.
13 Così G. Buffone, L’argomento (responsabilità medica), la legge (legge cd. Balduzzi), e il giudice (oggetto di critica): in difesa di un
dialogo corretto tra giuristi, in www.personaedanno.it del 27 aprile 2015.
14 Le parole ricomprese nel virgolettato sono di L. Mattina, La legge Balduzzi: diventa extracontrattuale la responsabilità del
medico?, op. cit., 64.
12
5
Milano, è la V° sezione15, che, discostandosi dagli approdi ai quali erano giunti le sentenze sopra
menzionate, ritiene che il legislatore sia semplicemente intervenuto sul versante della
responsabilità penale del medico, escludendola ogniqualvolta il sanitario versi in colpa lieve e si
sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, ma senza
che tale esclusione da responsabilità precluda di per sé l’insorgenza di un’obbligazione risarcitoria
a beneficio del paziente che per effetto dell’agire medico abbia sofferto un danno. La sentenza
perviene ad una simile conclusione, partendo dall’argomentazione che, a dispetto di quanto
affermato dalla I° sezione civile, il Legislatore non agisce sempre in modo consapevole e razionale,
perché <<ove avesse effettivamente inteso ricondurre una volta per tutte la responsabilità del medico
ospedaliero (e figure affini) sotto il (solo) regime della responsabilità extracontrattuale, escludendo
l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1218 c.c. e così cancellando lustri di elaborazione
giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato una proposizione univoca (…) anziché il breve inciso in
commento>>16.
Il panorama giurisprudenziale del tribunale milanese si arricchisce di un’ultima pronuncia:
facciamo riferimento alla sentenza, sempre della prima sezione civile, del 2 dicembre 2014, n. 1430
(giudice estensore Bichi)17.
Tuttavia, mette conto rilevare un elemento di assoluta novità rispetto alle precedenti
sentenze.
Difatti, il giudicante ricorda come su <<tale complessa problematica, tutt’altro che univoca, quasi
in maniera didascalica>> sia intervenuto, ancora di recente, il giudice di legittimità, che, sia pure in
un obiter dictum, ha sottolineato l’estraneità della configurazione della responsabilità del medico
dipendente come responsabilità da “contatto sociale”, argomentando sulla base del diritto
internazionale in funzione dell’applicazione dell’art. VIII, par. 5, della Convenzione di Londra del
19 giugno 1951.
Tali osservazioni, conclude il giudice, <<valgono ad evidenziare che appare davvero al di fuori dei
limiti interpretativi imposti dall’art. 12 delle disposizioni della legge in generale elidere il significato del
richiamo all’art. 2043 c.c. (qualunque portata ad esso voglia attribuirsi) assumendo che il legislatore non può
che essersi inconsapevolmente confuso, a fronte di una elaborazione della responsabilità da contatto del
medico ospedaliero granitica, consolidata universalmente condivisa. Infatti, la situazione su cui è
intervenuto il legislatore del 2012 deve essere descritta in termini affatto diversi e ben più problematici>>18.
In conclusione, non si può negare come la tesi sostenuta dal Tribunale di Milano responsabilità extracontrattuale in luogo del contatto sociale – comporta alcune conseguenze, in
termini pratici, da non sottovalutare. Infatti, se è vero che si avrebbe la riduzione del termine di
prescrizione - non più dieci, ma cinque anni - è altrettanto vero che sotto il profilo dell’onere della
Per un commento critico della sentenza cfr. P. Mariotti-R. Caminiti, La responsabilità civile del medico «ospedaliero» dopo
l’entrata in vigore della «legge Balduzzi»: contrattuale o extracontrattuale?, Giurisprudenza commentata del 10 giugno 2015, in
www.ridare.it.
16 La pronuncia in esame non reputa convincente neppure l’argomento della ratio legis in quanto <<se è vero che
dall’opzione interpretativa che esclude l’applicabilità della disciplina della responsabilità contrattuale all'attività dell'esercente la
professione sanitaria in ambito ospedaliero discendono conseguenze sia in tema di riparto dell’onere di allegazione e prova (che
diverrebbe assai più gravoso per il danneggiato), sia in ordine al termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno (che
risulterebbe dimezzato), e che tali conseguenze appaiono, al Giudice della Prima Sezione, coerenti con l’intento del Legislatore di
contenere la spesa pubblica e di arginare il dilagante fenomeno della «medicina difensiva» (che su detta spesa incide), è altresì vero
che quell’opzione comporterebbe l’inapplicabilità al sanitario del limite alla responsabilità del prestatore d’opera posto dall’art. 2236
c.c. (in materia contrattuale), ciò che (…) darebbe nuova linfa proprio a quell’atteggiamento “difensivo” che in realtà si vorrebbe
debellare>>.
17 Per un commento critico della sentenza cfr. G. Buffone, Milano conferma: la responsabilità del medico è extracontrattuale, 14
gennaio 2015, in www.personaedanno.it.
18 Si tratta di Cass. Civ., sez. III, sent. 4 aprile 2014, n. 7909. Per un commento cfr. R. De Matteis, Colpa medica e
inadempimento delle strutture sanitarie, in Contr. e Impr., 3/2015, 557.
15
6
prova, la diversa distribuzione del carico probatorio non consentirebbe più al paziente di provare
il solo contatto con il medico, allegando semplicemente l’inadempimento o l’inesatto adempimento
della controparte.
4.
Il D.D.L n. 2224
La legislatura in corso sembra finalmente avviata a portare a compimento il tema della
responsabilità professionale in ambito sanitario. Ciò anche grazie al fatto che il dibattito su tale
tematica si è allargato, peraltro stimolato dal Ministro della Salute, che ha istituito una
commissione consultiva per lo studio della medicina difensiva e la responsabilità per il personale
sanitario.
Sicuramente foriero di importanti novità — in quanto ispirato da logiche di sintesi e
razionalizzazione dei contenuti delle precedenti proposte di legge, succedutesi nel corso di circa
vent’anni — è il D.D.L definitivamente approvato nei termini in cui la Camera dei Deputati lo ha
accolto lo scorso 28 gennaio 2016, e attualmente in discussione alla XII° Commissione Igiene e
Sanità del Senato, dove ora è come DDL 222419.
L’articolato si sviluppa lungo delle direttrici abbastanza chiare, alcune delle quali si
possono riassumere: in un maggiore riequilibrio tra i diritti dei pazienti e la responsabilità dei
professionisti, oggi, oggettivamente, sbilanciato a favore dei primi; in un potenziamento delle
attività di prevenzione e di gestione dei rischi, attraverso, tra l’altro, l’attenzione ai flussi
informativi e alla disponibilità di dati; nella ridefinizione della responsabilità degli esercenti la
professione sanitaria in ambito penale e civile.
4. 1.
L’art. 1 (La sicurezza delle cure)
Passando in sintetica rassegna soltanto alcune delle disposizioni contenute nel disegno di
legge, quest’ultimo si apre con una vera e propria dichiarazione programmatica che, in linea con il
dettato costituzionale, vede “la sicurezza delle cure” quale “parte costitutiva del diritto alla salute ed è
perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività”.
Ne porta una proiezione, in qualche modo, integrata che si realizza “anche mediante l’insieme
di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio (…)” , indirizzando fortemente
l’attenzione, sul piano delle misure preventive, per contenere i rischi ed innalzare le tutele e la
sicurezza del paziente negli ambienti sanitari e nei percorsi di cura.
Molto è stato fatto, ma resta ancora tanto da fare.
Occorre, anzitutto, incrementare e migliorare la comunicazione medico-paziente. Difatti, è
oramai dato acquisito tra gli addetti ai lavori, che una buona capacità di ascolto e di relazione, non
solo con il paziente, ma anche con le persone che l’interessato intende coinvolgere nel suo
personale percorso di cura, è parte integrante della prestazione e che le non technical skills sono
altrettanto importanti quanto le abilità tecniche20.
Occorre implementare la formazione, uno dei pilastri principali della crescita e
dell’aggiornamento professionale, che per tale ragione deve essere continua.
4. 2.
L’art. 4 (Trasparenza dei dati)
Certamente da considerare con favore è la previsione contenuta nel 3° comma dell’articolo
4 relativo alla pubblicazione dei “dati relativi a tutti i risarcimenti erogati nell’ultimo quinquennio”, dal
19 Assegnato alla 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) in sede referente l'11 febbraio 2016. Relatore è il Sen.
Amedeo Bianco.
20 AA.VV., La malpractice in ortopedia e traumatologia. Analisi dei dati della sinistrosità in tre regioni italiane, in Giornale Italiano
di Ortopedia e Traumatologia, 2016;42:61-67.
7
momento che potrebbe aiutare ad una maggiore trasparenza dei dati sul mercato utili alla
partecipazione ad eventuali gare assicurative21.
In effetti, una delle principali cause dello stato di incertezza ed onerosità che attualmente
sembra dominare il comparto assicurativo della responsabilità sanitaria si identifica nella scarsa
conoscenza da parte degli Assicuratori e degli stessi Assicurati dei profili del rischio della
responsabilità medesima22.
Ad esempio nel ramo della responsabilità civile auto, l’enorme mole di informazioni a
disposizione degli assicuratori permette di calibrare adeguatamente le tariffe, con conseguenti
personalizzazioni per categoria di utenti e di veicoli, e di evitare che l’offerta assicurativa, troppo
spesso, sia il risultato di pressioni di ordine commerciale.
Sotto quest’angolo prospettico appare certamente meritorio il lavoro che sta portando
avanti l’ANAC (Autorità Nazionale Anti corruzione), la quale ha avviato, qualche anno fa, un
tavolo tecnico finalizzato a dare concreta attuazione a talune linee guida per l’affidamento dei
servizi assicurativi23. Al tavolo hanno partecipato, oltre ai rappresentanti delle associazioni di
categoria (come ANIA, AIBA, etc.), anche i rappresentanti di CONSIP e delle centrali di
committenza regionali di Lombardia (ARCA) ed Emilia Romagna (INTERCENT.ER), oltre i
rappresentanti di CINEAS (consorzio universitario specializzato nella gestione dei rischi). Ebbene,
ad esito del tavolo sono state poste in consultazione tutte le tematiche recante le linee guida e le
clausole-tipo per la redazione dei bandi di gara, e tra gli argomenti trattati nelle presenti linee guida, in
particolare, alcune riguardano proprio le:
- informazioni da raccogliere sistematicamente per poi metterle a disposizione degli operatori
economici, nelle singole gare bandite, con indicazione di esempi di tracciati informativi per il
settore della RC Auto e della RCT/RCO in ambito sanitario, individuati nel tavolo come i due settori
più problematici tra quelli oggetto di domanda pubblica.
Ciò detto, tuttavia, si è altrettanto consapevoli che l’ingente massa di informazioni da
mettere a disposizione da parte delle strutture sanitarie, pubbliche e private, sul loro sito internet,
potrebbe indurre a leggere le singole realtà aziendali in maniera distorta. Come è stato sottolineato
da qualcuno, ciò potrebbe accadere, ad esempio, per i risarcimenti di modesto importo: difatti, un
simile dato potrebbe prestarsi ad una duplice lettura, cioè come virtuosa gestione del rischio
(pochi sinistri) ovvero come scarsa gestione dei sinistri (poche liquidazioni per i motivi più
In tal senso G. Comandé, Relazione estesa per l’audizione presso la Commissione Sanità del Senato sul DDL 2224/2016 in data
2 marzo 2016, su www.senato.it.
22 Cfr. P. Garonna, L’assicurazione della responsabilità professionale: problemi e prospettive, in Assicurazioni, 2012, 4, 627, che
sottolinea come <<la trasparenza è uno strumento importante per costruire la credibilità, la reputazione, la storia professionale, e
per porre quindi la concorrenza e l’innovazione in un quadro di mercato diverso da quello spot, della concorrenza indiscriminata>>
Come altrettanto importante è <<(…) quello della conoscenza, della necessità di un investimento continuo in ricerca e sviluppo ed
innovazione, attraverso il miglioramento delle basi di dati, dei modelli di valutazione dei rischi, delle tecniche e della scienza>>.
23 Il tavolo tecnico è stato avviato per dare seguito a quanto stabilito nella Determinazione 13 marzo 2013, n. 2. Il
documento elaborato dall’Autorità è stato posto in consultazione nel periodo 15 gennaio – 2 marzo 2014, nel corso del
quale sono pervenuti 8 contributi (tutti consultabili sul sito dell’Autorità), provenienti da 2 società di mutuo soccorso
(Società Generale di Mutuo Soccorso “Mutua Basic Assistance” e Società Generale di Mutuo Soccorso “Mutua On Line”),
2 imprese di assicurazione (Unipolsai Assicurazioni s.p.a. e Unisalute s.p.a.) 2 associazioni di categoria degli
intermediari assicurativi (AIBA e ACB), un’associazione di categoria di operatori economici (ASSTRA – Associazione
Trasporti) e Consip. All’esito dell’esame dei contributi pervenuti, l’Autorità ha ritenuto sussistenti i presupposti per
rivedere la formulazione di alcune parti delle linee guida, nonché di alcune delle clausole-tipo proposte al fine
dell’inserimento nei bandi di gara per i servizi assicurativi e, pertanto, si è provveduto ad apportare le opportune
modifiche ai relativi documenti. Nell’adunanza dell’8-9 gennaio 2015, il Consiglio dell’Autorità ha deliberato di
sottoporre il nuovo documento ad una nuova consultazione on-line. Il Consiglio dell’Autorità, nell’adunanza del
24.6.2015, ha deliberato di avviare una seconda consultazione. Tutti i documenti sono consultabili su
http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/home/_RisultatoRicerca?id=62e98dff0a77804222f474e6170ef21f&search=linee+gu
ida+servizi+assicurativi.
21
8
disparati)24.
4. 3.
L’art. 6 (Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria).
Nell’attuale contesto normativo, l’orientamento prevalente della giurisprudenza sul primo
periodo dell’art. 3 della Legge Balduzzi25, è nel senso di ritenere - in termini estremamente sintetici
- responsabile penalmente il sanitario che si attiene a linee guida solo per imperizia grave, che si ha
quando il sanitario non si doveva attenere a linee guida per le macroscopiche specificità del caso
concreto26.
L'art. 6 del DDL n. 2224 introduce un nuovo articolo, il 590 ter c.p. e prevede al primo
comma che il sanitario che per imperizia cagioni la morte o la lesione personale del paziente
risponde di omicidio colposo e lesioni colpose solo per colpa grave. Se l'imperizia è lieve, quindi,
non ne risponde, mentre ne risponde se la colpa lieve si manifesta nelle forme della negligenza o
dell'imperizia. Perciò, solo l'imperizia lieve conduce a una non responsabilità dal punto di vista
penale.
Il secondo comma prevede l'esclusione della colpa grave quando vi è il rispetto delle linee
guida, salve le rilevanti specificità del caso concreto. In altri termini, è ravvisabile la colpa grave se
si sono rispettate le linee guida, ma per le rilevanti specificità del caso concreto non si dovevano
rispettare.
Per quanto riguarda le “buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle
linee guida”, vengono espressamente indicate in quelle che sono “definite e pubblicate ai sensi di
legge”, cioè, ai sensi dell'art. 5 dello stesso disegno di legge, quelle "... elaborate dalle società
scientifiche iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministero della salute, da
emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge". Inoltre, l'art. 5
precisa che "Ai fini della presente legge, le linee guida sono inserite nel Sistema nazionale per le linee guida
(SNLG) e pubblicate nel sito internet dell'Istituto superiore di sanità".
Secondo molti commentatori, forti dubbi rimangano sull’effettivo ruolo delle società
scientifiche, indicate dal provvedimento normativo come i soggetti esclusivamente legittimati a
produrre le linee guida. D’altra parte, non dobbiamo dimenticare, che in Italia, almeno per il
momento, non esiste ancora una norma che individua i requisiti di rappresentatività e qualità delle
medesime società27.
Tale pericolo è reso bene evidente da Sham (Società di Mutua Assicurazione) nella memoria depositata presso la 12ª
Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato, nel corso dei lavori sul DDL n. 2224, consultabile su www.senato.it.
25 Art. 3, comma 1, D.L. 13/09/2012, n. 158: <<1. L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si
attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve (…)>>.
26 Si veda P. Piras, La riforma della colpa medica nell'approvanda legge Gelli-Bianco. Testo della relazione svolta al IX Forum
permanente sulla responsabilità professionale sanitaria, Arezzo, Ospedale San Donato, 4 marzo 2016, su
www.penalecontemporaneo.it, il quale rimarca <<sull'indicazione della giurisprudenza, che presupposto necessario perché si
risponda solo per imperizia grave, è che il sanitario si sia attenuto a linee guida. E questo per espressa previsione della Balduzzi. Se
non si è attenuto, risponde penalmente a prescindere dalla forma (negligenza, imprudenza, imperizia) e dal grado della colpa (grave o
lieve)>>.
27 Interessante, sotto questo profilo, appare quanto rileva l’Associazione GIMBE, nella memoria depositata nel corso
dell’audizione, tenutasi il 5 aprile 2016, davanti la 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato: <<La
locuzione “iscritte in apposito elenco” non chiarisce se tale iscrizione è subordinata a un accreditamento, i cui criteri sono stati
definiti dal DM 31 maggio 2004 (Requisiti che devono possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle
professioni sanitarie), successivamente annullato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 328 del 9 ottobre 2006. Le motivazioni
della Consulta in merito al citato conflitto di competenza legislativa, appaiono idonee anche per il riconoscimento dei soggetti
produttori di linee guida, almeno sino a quando l'attuale processo di riforma dell’articolo 117 della Costituzione rideterminerà i
confini di potestà legislativa>>. La FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli
Odontoiatri), sempre su questo aspetto, ritiene che <<l’entrata in vigore e la cogenza di tali indicazioni di comportamento
professionale, che assumeranno una fondamentale valenza nella definizione della colpa grave, necessitino di un processo di
validazione ad opera di un soggetto terzo indipendente, diverso dalle società scientifiche che, a pieno titolo, sono chiamate a formulare
24
9
4. 4.
L’art. 7 (Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria).
Passando agli aspetti maggiormente più controversi dell’articolato in commento, occorrerà
muovere proprio dall’art. 7, perentorio nell’affermare che: <<La struttura sanitaria o sociosanitaria
pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la
professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde,
ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose>>.
È abbastanza chiaro che l’intento del legislatore è quello di porre al riparo, almeno in prima
battuta, l’esercizio della professione da parte dei singoli medici, spostando il baricentro della
responsabilità civile, per le condotte dolose o colpose dei professionisti, in capo alla struttura
sanitaria.
In maniera altrettanto chiara, è previsto che i professionisti, operanti all’interno delle
strutture sanitarie pubbliche o private e quelli che svolgono la loro attività in regime di
convenzione con il S.S.N. rispondono del loro operato ai sensi dell’art. 2043 c.c. (art. 7 comma 3).
In buona sostanza, il legislatore si attesta sull’orientamento del Tribunale di Milano
successivo all’entrata in vigore della legge Balduzzi, abbandonando “il modello unitario di
responsabilità per medici e strutture che nel tempo ha condotto ad omologare la responsabilità del medico a
quella della struttura all’insegna di una responsabilità di tipo semioggettivo”28.
Sotto il profilo della responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, così come
delineata all’ultimo comma dell’art. 7, di un certo interesse appaiono le considerazioni svolte dal
Giudice Gattari (estensore di una delle pronunce giurisprudenziali del Tribunale di Milano sopra
citate, ndr.), nel corso dell’audizione presso la 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) del
Senato, il quale sottolinea come: <<La formulazione letterale del comma 3 dell’art. 7 – mediante il
richiamo agli esercenti di cui ai commi 1 e 2 – potrebbe ingenerare a prima vista l’equivoco che i medici
sarebbero responsabili solo per fatto illecito ex art. 2043 c.c. dei danni arrecati ai pazienti, ma tale superficiale
lettura (di dubbia costituzionalità) a ben vedere non sarebbe giustificata né corretta. È evidente infatti che la
previsione normativa sottintende la responsabilità extracontrattuale del medico (o meglio di tutti gli
esercenti professioni sanitarie) nei casi in cui il professionista ha eseguito la prestazione risultata dannosa
perché tenuto ad adempiere solo in base al rapporto che lo lega alla struttura sanitaria o al servizio sanitario
nazionale. Diversamente, quando invece il medico ha concluso con il paziente un contratto d’opera
professionale – diverso e distinto da quello che lega le parti alla struttura sanitaria - non pare dubbio che sarà
tenuto a rispondere del suo operato verso il paziente a titolo di responsabilità contrattuale, a prescindere dal
le proposte. Il concetto della terzietà dei soggetti garanti di comportamenti che incidono in modo rilevante sulla società e sul
benessere dei cittadini è ampiamente consolidato nel nostro ordinamento. Il rapporto tra chi ha le competenze scientifiche specifiche
(le società scientifiche accreditate) e chi ha compiti programmatori, il Ministero della Salute, dovrebbe essere mediato da un
organismo indipendente e garante, che, ad avviso della scrivente Federazione, potrebbe essere costituito da rappresentanti degli
Ordini e dei Collegi delle Professioni interessate, dell’AGENAS, e dell’Istituto Superiore di Sanità. Solo dopo tale validazione che
dovrebbe tener conto di aspetti organizzativi, gestionali, etici, deontologici e della pratica quotidiana, le linee guida dovrebbero essere
inserite nel sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e divenire cogenti>>, in Audizione sul DDL n. 2224, reperibile su
www.senato.it.
28 Così R. De Matteis, Colpa medica e inadempimento delle strutture sanitarie, in Contratto e Impresa, 3, 2015, 564, che pone in
evidenza come: <<Se si spezza il legame che ha sempre unito le due responsabilità, sulla base di un fatto considerato unitario nella
sua genesi soggettiva (ma v. già in tale direzione Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577), si potrà dare vita ad un regime a doppio
binario dove le responsabilità della struttura e del medico si profilano come responsabilità autonome e distinte: autonome per titolo in
quanto fondate su titoli diversi, dovendosi per la responsabilità del medico fare capo all’art. 2043 c.c., per quella della struttura,
all’art. 1218 c.c.; distinte per criteri di imputazione, in quanto la responsabilità del medico è da ricondurre al paradigma della
responsabilità professionale per essere ancorata alla colpa e, la responsabilità della struttura al paradigma della responsabilità
d’impresa (nell’accezione comunitaria) che, per le attività dirette all’erogazione di servizi che incidono sulla salute delle persone, non
può che essere retta dal principio di precauzione ispirandosi a criteri di responsabilità presunta (semioggettiva)>>.
10
fatto che la prestazione sanitaria sia stata concretamente resa all’interno di una struttura o al di fuori di
essa>>29.
Quindi, riepilogando e concludendo sul punto, l’impianto normativo tende a distinguere il
regime di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria dei così detti “strutturati” da quello
delle strutture nelle quali prestano la propria attività, nonché da quello dei liberi professionisti che
esercitano la propria attività in proprio.
4. 5.
L’art. 8 (Tentativo obbligatorio di conciliazione).
Il disegno di legge in discussione introduce una condizione di procedibilità della domanda
di risarcimento, prevedendo che chi intenda esercitare in giudizio un’azione di risarcimento del
danno derivante da responsabilità sanitaria, è tenuto preliminarmente a proporre ricorso, ai sensi
dell’articolo 696 bis del c.p.c. 30 , attraverso una consulenza tecnica preventiva ai fini della
composizione della lite.
L’articolo in commento prevede espressamente l’esclusione dell’attuale mediazione
obbligatoria (di cui l’art. 5, comma 1-bis del Decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010) in materia
di responsabilità medica e sanitaria.
Il DDL – con la previsione dell’esperimento della consulenza tecnica preventiva ai fini della
composizione della lite di cui all’articolo 696 bis del c.p.c. – sembrerebbe aver preso
definitivamente conto del fatto che l’istituto della mediazione, in un settore particolarmente
problematico come quello della responsabilità medica, ha nel tempo mostrato tutti i suoi limiti
istruttori, considerata la complessità intrinseca della materia, sia dal punto di vista fattuale che da
quello giuridico31.
Nell’intento di incentivare la partecipazione delle parti al procedimento di cui all’art. 696 bis
c.p.c - che vede la presenza qualificata di un consulente tecnico - il giudice, con il provvedimento
che definisce il giudizio, condanna le parti che non hanno partecipato al pagamento delle spese di
consulenza e di lite, “indipendentemente dall’esito del giudizio”, oltre che ad una pena pecuniaria
determinata “equitativamente”, in favore della parte che è comparsa alla conciliazione.
Il fine ultimo perseguito dal legislatore mediante un simile istituto processuale è
indubbiamente quello di prevenire l’insorgenza della lite giudiziale, mediante l’anticipazione di
un atto istruttorio tipico, qual è l’elaborato del consulente tecnico del giudice, che possa indurre le
parti a non instaurare un giudizio di merito, alla luce di una prognosi sull’esito della causa
P. Gattari (Giudice del Tribunale di Milano), Audizione informale da parte della Commissione Igiene e Sanità del Senato sul
Disegno di Legge n. 2224 “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”, su www.senato.it.
30 Art. 696 bis c.p.c. “Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite”: [1] L'espletamento di una consulenza
tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'articolo 696, ai fini
dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali
o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al
deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti. [2] Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale
della conciliazione. [3] Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell'espropriazione e
dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. [4] Il processo verbale è esente dall'imposta di registro. [5]
Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del
successivo giudizio di merito. [6] Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili”.
31 Di tale avviso appare anche P. Gattari, (Giudice del Tribunale di Milano), Audizione informale da parte della Commissione
Igiene e Sanità del Senato sul Disegno di Legge n. 2224 “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale
sanitario”, su www.senato.it., che sottolinea come <<(…), la previsione dell’obbligatorio tentativo di conciliazione - da esperire, a
pena di improcedibilità della domanda risarcitoria, nelle forme del procedimento della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis
c.p.c. - sembra prendere atto del solco già tracciato in questo settore dalla prassi e, perseguendo in modo lodevole un effetto deflattivo
del contenzioso attraverso il suddetto procedimento giurisdizionale, rende superfluo l’esperimento della mediazione obbligatoria la
quale, dopo l’infruttuoso esito del tentativo operato nel corso della consulenza ex art. 696 bis, si risolve nella quasi totalità dei casi in
un inutile aggravio di costi e in un ingiustificato ritardo nell’introduzione della causa di merito>>.
29
11
medesima32.
In altri termini, la finalità specifica del procedimento si inserisce in un più ampio disegno
deflattivo del contenzioso giudiziale.
Si noti, che qualche autorevole autore ha manifestato più di una perplessità sulla previsione
di una condanna, oltre alle spese di procedimento e perizia, anche ad una pena pecuniaria
determinata in maniera equitativa, che sembra atteggiarsi come una sorta di sanzione privata, “e
ciò in barba a tutte le dichiarazioni del Supremo Collegio sulla incompatibilità dei danni punitivi nel nostro
ordinamento”33.
4. 6.
L’art. 9 (Azione di rivalsa).
La disposizione in esame costituisce uno dei passaggi senza dubbio più controversi e
dibattuti dell’impianto normativo in questione, sotto molteplici aspetti.
In termini sintetici, il testo approvato alla Camera ha confermato, per le fattispecie di
responsabilità del dipendente della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, l’ingresso della
c.d. “azione di rivalsa”, direttamente esperibile dall’azienda di fronte al giudice ordinario nei
confronti dell’esercente la professione sanitaria, in caso di dolo o colpa grave, e nella sua misura che,
in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al triplo della retribuzione lorda annua,
escludendo la giurisdizione della Corte dei Conti, di norma l’organo giudiziario competente in
tema di recupero dei danni verso la Pubblica Amministrazione, nell’ambito dell’istituto della c.d.
“responsabilità amministrativa per danno erariale”.
In linea prospettica, il percorso tracciato dal legislatore si potrebbe rivelare evidentemente
dirompente, con il forte rischio di assistere nuovamente ad un ulteriore inasprimento del
contenzioso nei confronti del professionista sanitario, che diventa il soggetto che, alla fine,
risponde del danno34.
Molteplici e gravi ragioni militano in senso contrario alla espressa negazione della
giurisdizione della Corte dei Conti, un giudizio che, tenuto conto delle caratteristiche proprie dello
statuto della responsabilità erariale, così come delineato anche a seguito della riforma degli anni
’90 (leggi 19-20/1994 e s.m.i.), offre specifiche garanzie35.
In primo luogo, sotto un profilo strettamente processuale, la Procura contabile opera una
sorta di azione, per così dire, di filtro attraverso un atto pre-processuale, sconosciuto al giudizio
ordinario civile, come l’invito a dedurre rivolto al presunto responsabile del danno36.
In questi termini G. Miotto, Responsabilità medica e limiti di ammissibilità della consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis
c.p.c., in Diritto civile contemporaneo, 9 aprile 2016.
33 In tal senso G. Comandé, Relazione estesa per l’audizione presso la Commissione Sanità del Senato sul DDL 2224/2016 in data
2 marzo 2016, su www.senato.it., che alla nota 38 cita dottrina e giurisprudenza sul punto. 34 In tal senso G. Comandé, Relazione estesa per l’audizione presso la Commissione Sanità del Senato sul DDL 2224/2016 in data
2 marzo 2016, su www.senato.it., che mette bene in luce come: <<Il professionista sanitario, però, schermato in prima battuta
dalla canalizzazione in capo alla struttura, diventa il soggetto che risponde alla fine (sebbene in seconda istanza e con i limiti fissati
dalla proposta di legge) del danno, trovandosi nuovamente esposto ad un contenzioso da cui la giurisprudenza lo aveva
progressivamente posto quasi al riparo>>.
35 Di sicuro interesse, sulle numerose criticità che la tale previsione reca con sé, è l’audizione dell’Associazione Magistrati
della Corte dei Conti, tenutasi nel corso della seduta n. 321 del 1 marzo 2016 davanti alla XII° Commissione Igiene e
Sanità del Senato. L’Associazione ha sottolineato come <<(…) delle migliaia di procedimenti annualmente avviati dalle Procure
regionali della Corte dei Conti a seguito delle segnalazioni provenienti dalle aziende sanitarie e relative ai pagamenti effettuati
direttamente ai terzi danneggiati o alle compagnie assicuratrici a titolo di franchigia, la quasi totalità si è conclusa nell’istruttoria
innanzi alla Procura contabile con provvedimento di archiviazione, non sussistendo gli elementi per l’esercizio dell’azione di
responsabilità (…). Peraltro, nei residuali casi in cui si perviene a una sentenza di condanna, il sanitario è pressoché sempre coperto
dall’assicurazione specificamente approntata per il rischio di responsabilità amministrativa>>.
36 Sulle precipue caratteristiche dell’invito a fornire deduzioni si veda C. Chiarenza e P. Evangelista, Il giudizio di
responsabilità innanzi alla Corte dei Conti, in V. Tenore (a cura di), La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli,
32
12
In secondo luogo, rimanendo sempre su un piano strettamente processuale, il poteredovere riconosciuto alla Corte dei Conti di ridurre il quantum del danno accertato e ascrivibile al
pubblico dipendente che ha tenuto la condotta illecita, potendo giungere, persino alla completa
esclusione di qualunque addebito. Dalla casistica giurisprudenziale, si può desumere che la Corte
dei Conti ricorre ad una applicazione sistematica dell’istituto della riduzione dell’addebito, a
fronte di circostanze oggettive e soggettive che ne possono giustificare l’uso37.
In terzo luogo, la responsabilità stessa del presunto autore del fatto illecito non è
trasmissibile agli eredi, a meno che il PM contabile non dimostri l’indebito arricchimento degli
eredi conseguente all’illecito arricchimento del dante causa.
Infine, lo spostamento dell’esercizio dell’azione di rivalsa innanzi al giudice ordinario –
ove, tra l’altro, si possa ritenere legittimo sul piano costituzionale per i dipendenti pubblici38 –
prevede che il giudice nel giudizio di rivalsa “può desumere argomenti di prova dalle prove assunte”
nel corso dei giudizi instaurati dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o
sociosanitaria o dell’impresa di assicurazione, nonostante il professionista possa non aver
partecipato a detti giudizi: va da sé, che ciò potrebbe comportare una forte limitazione del diritto
di difesa degli esercenti le professioni sanitarie, poiché potrebbero veder compromessa la
possibilità di rappresentare elementi e situazioni per escludere una loro responsabilità ovvero per
evitare liquidazioni, per avventura, non fondate, quindi ingiustificate e, se del caso, esorbitanti.
4. 7.
L’art. 10 (Obbligo di assicurazione).
La norma in parola potrebbe avere un impatto potenziale fortissimo, che potrebbe condurre
ad una modifica, e di molto, degli scenari assicurativi di partenza.
Il 1° comma, va detto subito, non rappresenta un’assoluta novità, posto che un’analoga
disposizione aveva fatto capolino nell’art. 27 comma 1 bis D.L. n. 90/2014 (si veda § 1), che ha
posto a carico delle strutture sanitarie un obbligo di copertura della responsabilità civile verso terzi
e della r.c.o.
Al 2° comma si ribadisce l’obbligo assicurativo per l’esercente la professione sanitaria che
svolge la propria attività al di fuori di un’azienda, struttura o ente, in ossequio a quanto previsto
dall’articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (si veda § 1).
Al 3° comma è stabilito che, al fine di garantire efficacia all’azione di rivalsa di cui
Milano, 2013, 432 e ss.. Gli autori richiamano, in particolare, <<l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’invito a
dedurre assolve alla duplice funzione di consentire all’invitato di svolgere le proprie argomentazioni al fine di evitare la citazione in
giudizio, nonché quella di garantire nel contempo la massima possibile completezza istruttoria e, quindi, “le esigenze di giustizia e di
economia processuale”>>.
37 Per quel che qui interessa, C. Conti, sez. giurisdiz. Emilia Romagna, sent. 29 marzo 2015, n. 29, così ha statuito
<<Costituiscono circostanze obiettive del fatto, attribuibili all'amministrazione, quelle che possano determinare un maggior rischio
da parte dei suoi agenti, quali ad esempio l'inadeguata organizzazione del servizio (…)>>. Il giudice, quindi, ai predetti fini
<<(…) non può non farsi carico degli aspetti organizzativi generali e/o specifici non ricollegabili a comportamenti illeciti concorrenti
dei vari livelli che tuttavia pongano il soggetto agente in una situazione di maggiore probabilità di determinare il fatto dannoso>>.
Ovviamente, allo stesso modo possono essere valutabili ai predetti fini, <<anche circostanze subiettive (ad esempio gli ottimi
precedenti di carriera, la forte tensione emotiva del soggetto agente, un contesto operativo di contenuto stressogeno etc.). La
giurisprudenza sul punto, ha individuato una pluralità di cause giustificatrici e, in particolare, la rilevanza delle condizioni
psicologiche del soggetto, quali lo stress, la diminuzione della capacità relativa, la forte tensione motiva del soggetto agente che
consentirebbe una valutazione del responsabile in relazione alle circostanze nelle quali il medesimo ha agito valutando il grado di
influenza che tale comportamento ha avuto nella produzione dell'evento dannoso e ponendo a carico dell'amministrazione il maggior
rischio derivante invece da quelle condizioni e/o situazioni anche soggettive, ma oggettivamente rilevanti che possono aver influito,
pur se indirettamente, nella produzione dell'evento>>.
38 In questi termini G. Comandé, Relazione estesa per l’audizione presso la Commissione Sanità del Senato sul DDL 2224/2016 in
data 2 marzo 2016, su www.senato.it.
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all’articolo 9 del DDL in questione, ciascun esercente la professione sanitaria che presta la propria
attività a qualunque titolo in aziende del Servizio sanitario nazionale, in strutture o in enti privati
provvede alla stipula, con oneri a proprio carico, di un’adeguata polizza di assicurazione.
Assai importante per le conseguenze che può avere è l’obbligo per le “aziende, le strutture e
gli enti” di rendere “nota, mediante pubblicazione nel proprio sito internet, la denominazione dell’impresa
che presta la copertura assicurativa, indicando per esteso i contratti, le clausole assicurative ovvero le altre
analoghe misure che determinano la copertura assicurativa”.
Tali previsioni pongono all’interprete scenari di sicuro interesse ed impatto, almeno in linea
prospettica, fornendo numerosi spunti per una riflessione contestualizzata in un sistema di
responsabilità, come quella sanitaria, sempre più fondato sull’obbligo assicurativo che lo presidia.
Si tratta di un’architettura che sembrerebbe, almeno in prima battuta, porsi in linea con
alcuni tra gli obiettivi perseguiti e fatti propri dai vari disegni di legge presentati nel corso della
XVII° legislatura e ripresi dall’articolato in esame, attraversati da uno stesso minimo comune
denominatore: cioè, la tendenza a riformare il regime della responsabilità sanitaria spostando il
baricentro del sistema della responsabilità dal singolo operatore sull’ente che eroga le prestazioni
sanitarie39.
Ma procediamo con ordine.
Anzitutto, taluni hanno fatto osservare come a questi obblighi per l’Azienda e per il
professionista, non corrisponda alcun obbligo di stipulare per le compagnie assicurative40.
Secondo altri, invero, <<l’idea di un obbligo a contrarre, in capo alle imprese, non sembra
praticabile (manca, del resto, un ramo dedicato al settore…) né mutuabile dal sistema della Rc auto, al quale
39 Il Presidente della Commissione Affari Sociali, on. Vargiu, nella seduta del 27 marzo 2014, nel corso della discussione,
in sede referente, in merito ai progetti di legge “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale
sanitario – Atti Camera 259, 262, 1324, 1312, 1581 e 1902”, sottolinea come <<Tutte le proposte, inoltre, convergono
sull’opportunità di spostare la responsabilità dal singolo operatore sanitario alla struttura presso la quale questi svolge la propria
attività, dato che è sempre più difficile accertare la responsabilità del singolo soggetto. Ciò peraltro non comporta la totale esenzione
di responsabilità da parte del medico, chiamato comunque a rispondere della propria condotta, per dolo o per colpa grave, attraverso
l’azione di rivalsa>>.
40 Nel corso delle audizioni davanti la 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato è più volte emersa
questa sorta di asimmetria che caratterizza il comparto assicurativo della responsabilità per med-mal: in particolare, si
veda la relazione di P. Belli e C. Serluca (INCER Institute – CISA) i quali sottolineano che <<Se da un lato la norma vuole
tutelare il danneggiato mediante la previsione dell’obbligatorietà della copertura assicurativa in capo all’azienda sanitaria e al
professionista, dall’altro non introduce un obbligo a contrarre per le compagnie assicurative>>; la relazione della Dott.ssa Frittelli
(intervenuta, in qualità di Vice Presidente di Federsanità, su delega del Presidente di Federsanità, Dott. Angelo Lino Del
Favero) che precisa che <<Il Ddl sulla responsabilità professionale pone, per la prima volta, l’obbligo di assicurazione per le
Aziende e per i professionisti dipendenti per garantire efficacia all’azione di rivalsa nei loro confronti. (…) In primis, a questi
obblighi per l’Azienda e per il professionista, non corrisponde alcun obbligo di stipulare per le compagnie assicurative>>; nella
relazione della Federazione Italiana Medici di Famiglia si legge <<La previsione di una copertura assicurativa che tuteli non
solo tutte le strutture sanitarie pubbliche e private ma anche tutti gli esercenti la professione sanitaria inclusi i liberi professionisti,
risulta di particolare rilievo, tuttavia sarebbe auspicabile rendere tale copertura “un’obbligazione a stipulare” per le compagnie di
assicurazione, affinché si delinei un quadro normativo armonico e completo per tutti i soggetti coinvolti. Appare prioritario prevedere
un obbligo a contrarre per le compagnie assicurative, poiché allo stato, a fronte dell’obbligo per il medico di assicurarsi, non è previsto
un correlativo obbligo a contrarre per le compagnie. Tale modello risulta essere asimmetrico e tale circostanza potrebbe ingenerare un
aumento dei contenziosi e un conseguente aumento dei premi di polizza. Solo delineando un sistema simmetrico che preveda un
obbligo assicurativo di entrambi i soggetti coinvolti si potrà raggiungere una maggiore sostenibilità della responsabilità medica>>; in
tal senso anche SNAMI-ASSOMEDICO: <<Appare necessario osservare, da ultimo, che al fine di garantire l’effettività
dell’obbligo del professionista sanitario di dotarsi di apposita copertura assicurativa, le compagnie di assicurazione operanti sul
territorio nazionale debbono contrarre tali coperture. Pensiamo a quanto già fatto con la legge 990/1969, con la quale, tra l’altro, si
stabiliva un massimale congruo ed un minimo di garanzie “imprescindibili”>>. Tutte le audizioni richiamate sono consultabili
sul sito www.senato.it. Sul versante opposto, vi è chi, come P. Garonna, L’assicurazione della responsabilità professionale:
problemi e prospettive, in Assicurazioni, 2012, 4, 634, ritiene che un complementare obbligo a contrarre in capo alle
compagnie costituirebbe un <<falso rimedio>>, poiché <<l’obbligo a contrarre significa rarefazione dell’offerta, una possibile
uscita dell’industria dal ramo di mercato, e quindi implica la tendenza dei prezzi a lievitare>>. 14
peraltro il DDL pare attingere in larga parte>>41.
Difatti, preventivamente, sarebbe forse il caso di verificare se, nella situazione attuale, il
mercato assicurativo italiano, in ambito sanitario, è in grado di esprimere una capacità assicurativa
congrua per una responsabilità obbligatoriamente assicurata, a fronte di premi compatibili con la
possibilità di spesa dei medici e delle strutture.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito alla progressiva difficoltà di individuare sul mercato
programmi assicurativi idonei e, laddove esistenti, economicamente sostenibili, che hanno
condotto alcune Regioni e sempre più un maggior numero di strutture sanitarie pubbliche, in
mancanza di idonea copertura, a provvedere all’inserimento nei singoli bilanci di una specifica
posta destinata a far fronte ad eventuali richieste risarcitorie.
In tale direzione, deve esser letta la previsione contenuta nel 1° comma della norma in
commento, per le aziende, in alternativa alla copertura assicurativa, di dotarsi “di altre analoghe
misure per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d’opera”.
Tuttavia, si può star certi che l’indeterminatezza della formula contenuta nel dettato
normativo, quasi certamente, darà luogo a vivaci dibattiti interpretativi: difatti, secondo alcuni
commentatori, <<(…) si può persino dubitare che essa ricomprenda la cd. “auto-ritenzione” (ossia la
costituzione di un fondo ad hoc) poiché l’accantonamento di risorse da parte dell’ente stesso per fare fronte
alle richieste risarcitorie non pare avere nulla a che vedere con le logiche ed i meccanismi su cui si basa il
funzionamento della leva assicurativa (che, dal punto di vista tecnico, tutto può essere tranne che un rimedio
“analogo”)>>42.
Alla luce di quest’ultimo rilievo, si impone qualche breve considerazione sulle nuove forme
di gestione dei sinistri che si stanno diffondendo, a macchia di leopardo, tra le Regioni e gli enti.
È bene precisare sin da subito che, in molti casi, la cd. autoassicurazione ha rappresentato
una scelta obbligata da parte delle Regioni, degli enti o delle aziende.
Va da sé, tuttavia, che la gestione diretta assicurativa non può rappresentare la soluzione
ottimale per invertire il trend preoccupante dei sinistri derivanti dal rischio in esame43 e, di
conseguenza, aiutare a risolvere le criticità del mercato assicurativo della responsabilità sanitaria44.
41 Così nel corso della sua audizione davanti la 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato, l’Associazione
Melchiorre Gioia. La relazione depositata dall’associazione si può leggere sul sito www.senato.it.
42 M. Hazan – D. Zorzit, I nuovi obblighi assicurativi in sanità del Decreto Legge n. 90/2014 - Focus del 08/10/2014, su
www.ridare.it.. In questi termini anche A. Tita, Responsabilità professionale. La legge è quasi pronta, ma le assicurazioni forse no,
su www.quotidianosanità.it, che pone in evidenza come <<Se dovesse essere considerata misura (ad ogni effetto) analoga, l’autoritenzione dovrebbe andare soggetta alle stesse regole dell’assicurazione>>, e quindi, <<La capacità di stanziare idonee riserve
implica: a) la valutazione statistica del probabilità di dover risarcire il sinistro denunciato; b) l’appostamento della somma
prudenzialmente stimata nell’anno di competenza presunto, in cui la spesa diventa ragionevolmente probabile; c) la possibilità di
segregare le somme pretese dei sinistrati, rispetto a quelle degli altri creditori a diverso titolo dell’ente sanitario; d) la individuazione
di criteri di sostenibilità delle riserve, rispetto alla dotazione patrimoniale dell’ente sanitario, etc. Senza contare l’impatto dei piani di
rientro per quegli enti sanitari che ne presentano necessità>>.
43 E. Giusti, L’assicurazione sanitaria: la legge Balduzzi dopo il d.l. n. 90 del 2014 e alcune riflessioni sul modello autoassicurativo,
Approfondimento del 5 novembre 2014, su www.giustiziacivile.com, la quale ritiene che <<(…) il risultato è però un sistema
disordinato. Si sceglie un modello che non si conosce per evitare di acquisire polizze assicurative, ci si “assicura” da un rischio senza
nome perché non ben definito, si costituiscono più fondi con diverse funzioni e per diversi rischi spesso senza ricorrere alle correnti
tecniche gestionali proprie delle compagnie di assicurazione>>.
44 8 P. Luraschi – R. Gaggero, Genesi dell’”autoassicurazione”, in AA.VV. (a cura di), Ospedali e assicurazioni: come tutelare il
paziente, il personale ospedaliero e lo Stato, Cineas, settembre 2014, pag. 16, i quali sottolineano come la decisione per cui
alcune Regioni hanno propeso per la gestione diretta assicurativa <<(…) spesso non è stata il risultato di un’analisi tecnicofinanziaria di medio-lungo periodo ma bensì il risultato di esigenze di bilancio contingenti di breve periodo in quanto, essendo il
premio assicurativo dovuto in via anticipata alle compagnie, la gestione diretta assicurativa permette alla pubblica amministrazione
di ottenere nell’immediato un risparmio di cassa. È tuttavia evidente che ampliando l’orizzonte temporale di analisi sono doverose
considerazioni di opportunità di tale scelta che siano in primis volte a verificare la capacità finanziaria delle strutture ospedaliere di
far fronte nel medio-lungo periodo alle conseguenze economiche del rischio (…)>>. 15
Il problema principale concerne l’amministrazione delle risorse disponibili45.
È evidente, che l’auto-ritenzione del rischio, deve comportare che ogni somma stanziata in
via preventiva, ogni appostazione di riserva, deve avvenire secondo una metodologia rigorosa e
prudenziale, che impone un corretto dimensionamento dell’impegno economico che, di
conseguenza, deve trovare corrispondenza nei conti consuntivi, atteso, tra l’altro, le nuove regole
introdotte sulla tenuta e la certificazione dei bilanci regionali congiuntamente ai nuovi poteri
assegnati alla Corte dei Conti in materia46.
Non di meno, il giudice contabile ha palesato tutte le sue perplessità, rimarcando come:
<<La carenza di specifiche informazioni al riguardo, non consente, per ora, di valutare i riflessi contabili
della scelta effettuata in alcune regioni di far assumere a diretto carico delle strutture sanitarie (e quindi
dell’amministrazione pubblica) il rischio da responsabilità civile verso terzi derivante da errori professionali,
non ricorrendo più alle coperture offerte dalle imprese assicurative. Anche al di là, comunque, del potenziale
impatto economico, resta pur sempre una scelta controversa, perché da un lato espone il sistema a futuri
potenziali oneri oggi non previsti e forse neppure prevedibili e quindi in oggettiva collisione con le esigenze
di programmazione; mentre dall’altro, considerate le intuibili limitatezze delle risorse a ciò disponibili,
favorisce un sistema di garanzie affievolite a fronte di contenziosi spesso economicamente rilevanti, a tutto
discapito oltre che delle strutture sanitarie coinvolte, anche degli operatori sanitari e degli stessi soggetti
danneggiati>>47.
4. 8.
L’art. 11 (Estensione della garanzia assicurativa).
La norma detta alcune linee guida per la predisposizione della copertura assicurativa per
gli esercenti le professioni sanitarie.
Difatti, strettamente connessa con il fenomeno della disponibilità degli assicuratori ad
assumere il rischio derivante dall’attività professionale sanitaria, è stata la tendenza, seguita dalle
assicurazioni, di apportare delle sensibili modifiche ai testi di polizza, finendo così per introdurre
dei nuovi modelli contrattuali, con il serio pericolo per gli assicurati, nella prassi concreta, di non
avere delle coperture adeguate in grado di proteggerli, con le prevedibili conseguenze negative
che ne derivano.
Ecco, quindi, che si è assistito, negli ultimi anni, all’adozione, da parte della tecnica
45 E. Giusti, L’assicurazione sanitaria: la legge Balduzzi dopo il d.l. n. 90 del 2014 e alcune riflessioni sul modello autoassicurativo,
op. cit., 10. 46 A. Tita, Assicurazione responsabilità sanitaria: le aperture del 2014, dopo gli eventi di fine 2013, su www.liderlab.it, il quale,
quindi, conclude <<Allora non sembrano esserci le condizioni ottimali per una totale gestione in-house del risarcimento sinistri da
parte delle strutture sanitarie. Per tacere poi delle prove mortificanti che di solito forniscono le amministrazioni nell'impiego delle
risorse pubbliche, tanto più se nella fattispecie di merito si richiede discrezionalità virtuosa nella trattazione dei sinistri>>. 47 Cfr. Memoria del Procuratore generale nel giudizio sulla regolarità del Rendiconto generale dello Stato per l'esercizio
finanziario 2013, su www.corteconti.it. Di tale pericolo sembra avvertita anche l’IVASS, Relazione sull’attività svolta
dall’Istituto nell’anno 2014, Roma 23 giugno 2015, su www.ivass.it, 131, che pone in evidenza come <<(…) la possibilità del
ricorso alternativo all’autoassicurazione è stata introdotta dal D.L. 158/2012 (come modificato ed integrato dall’art. 27, comma 1,
D.L. 90/2014), con la previsione della facoltà per le aziende sanitarie, obbligate a stipulare una polizza di responsabilità civile, di
predisporre “altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi (RCT) e per la responsabilità civile verso prestatori d’opera
(RCO), a tutela dei pazienti e del personale”. Appare evidente che tale previsione trasferisce in capo alla dirigenza sanitaria la
valutazione dell’adeguatezza delle misure alternative alla copertura assicurativa; misure che non possono limitarsi al mero
stanziamento in bilancio di specifici fondi destinati alla copertura dei rischi sanitari. Si richiede, infatti, un’attività più complessa di
valutazione dei rischi e di predisposizione dei correlati presidi, per certi versi simile all’attività degli assicuratori. Risulta incombente
il rischio correlato di non adeguato presidio dei rischi in argomento, con evidenti effetti negativi sia sui conti delle future gestioni, sia
sulla responsabilità amministrativa dei dirigenti preposti alla valutazione di adeguatezza dei presidi. Pertanto, l’autoassicurazione
potrà comportare effettivi risparmi alla gestione della sanità solo se la descritta attività di presidio dei rischi sarà efficacemente
svolta>>.
16
assicurativa, di diverse strategie difensive, che hanno portato all’introduzione di alcuni
meccanismi per poter meglio circoscrivere i rischi assunti: a un consistente aumento dei premi
assicurativi si affiancano le manifeste restrizioni delle garanzie della polizza, con limitazioni e
franchigie anche molto elevate, sino a giungere al superamento dei modelli tradizionali di
assicurazione di responsabilità civile c.d. loss occurrence, a beneficio di quelli strutturati secondo il
modello claims made48.
Proprio partendo da tale ultima peculiarità delle polizze di assicurazione per la
responsabilità sanitaria, l’articolato delinea alcune specificità, che meritano di essere segnalate.
Innanzitutto, si prevede un’estensione della garanzia, per così dire, ope legis49 “anche agli
eventi accaduti durante la vigenza temporale della polizza e denunziati dall'assicurato nei cinque anni
successivi alla scadenza del contratto assicurativo”.
Inoltre, è rimessa alla autonomia contrattuale delle parti, la facoltà di prevedere una
estensione “(del)l'operatività della garanzia assicurativa anche ad eventi accaduti nei cinque anni
antecedenti alla conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati alla compagnia durante la vigenza
temporale della polizza”.
Infine, per le ipotesi di cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa,
le compagnie di assicurazione abilitate devono prevedere “un periodo di ultrattività della copertura
per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti
generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura”50. Tale ultrattività è
estesa agli eredi51 e non è “assoggettabile alla clausola di disdetta”.
48 L’ANAC, nel documento “Linee guida operative e clausole tipo per l’affidamento di servizi assicurativi” (pag. 17) (v. supra
nota 21) rileva come <<Accanto all’aggravamento del rischio un ulteriore elemento che occorre ponderare con particolare attenzione
per i contratti “claims made” è quello relativo all’effettivo ambito di copertura per i sinistri verificatisi antecedentemente alla stipula
del contratto. Come è noto, le polizze di tipo “claims made” coprono i sinistri denunciati in corso di validità della stessa e non i
sinistri verificati in vigenza di contratto, ma denunciati postumi (come invece avviene per le polizze “loss occurence”). Nelle polizze
di tipo “claims made” è, in ogni caso, necessario definire il periodo di validità della copertura, vale a dire di retroattività della polizza.
Tuttavia, la specificità del rischio assicurato, tenuto conto della valenza sociale che la copertura assicurativa può, in taluni casi,
implicare, potrebbero, eccezionalmente, suggerire di omettere l’apposizione di un termine alla retroattività al fine di garantire la
massima tutela dell’assicurato, (si pensi, per es., al settore sanitario, dove la denuncia di un sinistro può avvenire anche molti anni
dopo l’accadimento dello stesso) e la valenza sociale delle relative polizze>>. Dello stesso avviso anche l’IVASS, Relazione
sull’attività svolta dall’Istituto nell’anno 2014, Roma 23 giugno 2015, su www.ivass.it, 130, che rileva come <<(…) Con
riferimento alla domanda, il problema principale è stato determinato dalla presenza, in quasi tutti i contratti offerti sul mercato, della
clausola del claims made. (…) Dal lato dell’offerta, invece il problema principale è stato causato dall’indeterminatezza dei costi del
risarcimento, dovuta essenzialmente alla continua evoluzione giurisprudenziale della materia (…)>>.
49 Cfr. G. Comandé, Relazione estesa per l’audizione presso la Commissione Sanità del Senato sul DDL 2224/2016 in data 2 marzo
2016, su www.senato.it..
50 Ovviamente, l’Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici), Audizione del 31 marzo 2016, pag. 8, su
www.senato.it, è contraria all’inserimento di una norma di tal genere nel disegno di legge, dal momento che la previsione
dell’obbligatorietà di questo tipo di estensione di copertura <<Sembra infatti un’inutile limitazione dell’iniziativa economica
privata sia delle compagnie sia degli operatori sanitari (strutture e professionisti), i quali dovrebbero essere lasciati liberi di effettuare
una valutazione comparativa tra rischi ed eventuali maggiori costi in termini di premio assicurativo. Inoltre questa obbligatorietà
non gioverebbe ad allentare la tensione attualmente esistente sul tema della medical malpractice>>; e, pertanto, propone <<(…) che
l’ultrattività (e la sua stessa durata) venga demandata all’autonomia contrattuale delle parti ed all’ampia facoltà di scelta dei clienti e
del mercato (in ogni caso, essa viene offerta a fronte di una quota di premio calcolata ad hoc) come correttamente è infatti previsto per
l’operatività della garanzia anche per eventi accaduti nei cinque anni antecedenti alla conclusione del contratto>>.
51 Si tratta di un profilo non affatto secondario, come è stato messo bene in luce da S. Monticelli, La clausola claims made tra
abuso del diritto e immeritevolezza , in Danno e Responsabilità, 2013, 7, 701, il quale pone di considerare (nota 43) <<il caso
dell’erede del professionista che abbia accettato l’eredità senza beneficio di inventario, magari tacitamente, perché consapevole che il
coniuge deceduto è stato sempre assicurato per la responsabilità civile professionale e, di conseguenza, non essendo esperto di
questioni giuridiche e tantomeno del contorto meccanismo della claims made, si senta sicuro della copertura assicurativa nell’ipotesi
della sopravvenienza di un sinistro confidando, a torto, nell’operare dell’assicurazione sulla base del meccanismo indicato dall’art.
1917, comma 1, c.c., che, prima che ad una stringente logica giuridica, risponde alla logica comune, alla portata anche dei non addetti
ai lavori. È appena da evidenziare che il meccanismo introdotto con la claims made nell’assicurazione professionale obbliga gli eredi
17
In altre parole, il Legislatore sembra prendere atto della diffusione generalizzata della
clausola del claims made a tutte le coperture offerte sul mercato, nonché dell’assenza, pressoché
diffusa, della clausola che prevede l’ultrattività della copertura, ovvero della sua insufficiente
estensione temporale (in genere per periodo inferiore ai 10 anni, termine di prescrizione previsto
per il risarcimento del danno).
In tale scenario, peraltro, si inserisce la previsione contenuta nell’articolo 13 del disegno di
legge concorrenza (AS 2085 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”), intitolata alla
“Ultrattività della copertura per responsabilità civile derivante da attività professionale”, che, con
riferimento all’articolo 3, comma 5, lettera e), del D.L. n. 138/2011, convertito con modificazioni in
L. n. 148/2011, prevede l’aggiunta delle seguenti parole: <<In ogni caso, fatta salva la libertà
contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al periodo precedente
prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per
la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel
periodo di operatività della copertura>>52.
5.
Conclusioni
È del tutto evidente l’importanza delle novità introdotte, la cui portata applicativa finirà
sicuramente per dispiegare i suoi effetti anche sulla riformulazione di parecchie delle
problematiche affrontate.
In special modo, appare apprezzabile che il legislatore abbia deciso di intervenire
attraverso una riforma organica per cercare di collocare in una prospettiva differente il sistema
della responsabilità sanitaria e, segnatamente, quello del comparto assicurativo.
Riguardo tale ultimo profilo, appare netta la difficoltà di realizzare un giusto equilibrio
degli interessi in gioco: quello dei pazienti danneggiati ad ottenere in tempi rapidi e certi il ristoro
integrale dei danni patiti; quello degli esercenti le professioni sanitarie di poter contare su una
garanzia assicurativa che effettivamente li tuteli a fronte di premi sostenibili; quello delle imprese
di assicurazione di approcciare questo specifico ramo danni con determinati livelli di economicità
e di redditività.
D’altronde, non si deve dimenticare che l’ambito della responsabilità professionale degli
esercenti le professioni sanitarie è, tra i diversi settori della responsabilità civile, quello più
soggetto a interventi creativi della giurisprudenza, a volte anche dirompenti, che hanno
comportato faticosi aggiustamenti a livello di Cassazione o di Corte Costituzionale, con inevitabili
e, forse anche, prevedibili problematiche a livello tecnico-assicurativo53.
In tale contesto, perciò, l’ampiezza delle interpretazioni della giurisprudenza nell’ambito
del danno complessivo alla persona rischia di provocare un’onda montante di tale entità da non
consentire agli assicuratori di elaborare idonee strategie volte a mitigare o risolvere tale rischio.
In conclusione, si ribadisce l’apprezzamento per un percorso legislativo di iniziativa tutta
parlamentare, che finalmente sembra incardinato per intervenire, in tempi rapidi,
nell’individuazione di soluzioni realmente efficaci, che, tuttavia, riusciranno ad essere davvero
del professionista ad una cautela assoluta che, in realtà, si traduce nella necessità di fornirsi di una polizza postuma, laddove non
l’abbia stipulata il professionista deceduto, o, qualora ciò sia avvenuto, nella necessità di continuare a pagare il premio per anni ed
anni, almeno fintanto che non possa ragionevolmente dirsi superato il dubbio che nessuno possa accampare richieste risarcitorie. Che,
a tacer d’altro, tutto ciò si traduca in una lampante rendita di posizione per le Compagnie di assicurazione mi sembra, invero,
difficile dubitare>>.
52 Cfr. Disegno di legge n. 2085, su www.senato.it, assegnato alla 10ª Commissione permanente (Industria, commercio,
turismo) in sede referente il 12 ottobre 2015.
53 Per un’analisi più estesa sia consentito rinviare a A. Furlanetto-E. Macrì, Il risarcimento in forma di rendita vitalizia ex art.
2057 c.c. del danno patrimoniale futuro: alcuni spunti di riflessione, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 2015, 4, 1605 e ss. 18
incisive solo se il legislatore si dimostrerà in grado di risolvere le <<asimmetrie eccessive nel sistema:
all’espansione degli obblighi assicurativi in capo a strutture e professionisti non corrisponde un analogo
obbligo in capo alle compagnie di assicurazione; alla consolidazione di meccanismi di riduzione del biasimo
sui professionisti (depenalizzazione, limitazione della responsabilità civile, limiti alla rivalsa in caso di colpa
grave,…) non corrispondono meccanismi di riequilibrio della deterrenza e del controllo disciplinare o
deontologico da parte delle strutture e degli ordini professionali; al rafforzamento dei meccanismi formali di
monitoraggio dei rischi non corrisponde una analoga catena di trasmissione capace di trasformare la
rilevazione dei rischi in efficaci politiche di prevenzione>>54.
Cfr. G. Comandé, Relazione estesa per l’audizione presso la Commissione Sanità del Senato sul DDL 2224/2016 in data 2 marzo
2016, su www.senato.it..
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