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Reti Medievali Rivista, XI – 2010/1 (gennaio-giugno)
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ISSN 1593-2214 © 2010 Firenze University Press
«O utinam anima mea esset in corpore tuo!»1.
Pier Damiani, l’amicitia monastica e la riforma
di Umberto Longo
L’amicizia è un sentimento, una disposizione dell’anima che mette in gioco corrispondenze e movimenti che non riguardano solamente il piano spirituale, ma anche quello razionale e quello corporeo, sensoriale. L’universo
monastico è un terreno assai fertile per l’estrinsecarsi di questo tipo di sentimento: l’amicizia può divenire un valore spirituale aggiunto e rappresenta un
mezzo congeniale all’attività del monaco volta alla ricerca di Dio.
L’amicizia monastica comprende e porta con sé una gamma di sfumature
che coinvolgono tanto il corpo quanto l’anima, estremi all’interno dei quali si
articola la dialettica monastica. Quello del chiostro è uno spazio in cui – per le
sue caratteristiche intrinseche – si può sviluppare una predilezione sulla base
di af nità elettive che si creano nella comunione di anime protese alla ricerca
di Dio. Naturalmente, sia per la situazione di tensione che deriva da obiettivi
tanto alti ed estenuanti, sia per la condizione di convivenza forzata e senza
riparo dallo sguardo e dal giudizio degli altri, c’è la possibilità che scaturisca
anche il sentimento opposto. I monaci si muovono infatti in uno spazio chiuso
dove i sentimenti e le passioni sono dilatati da uno stato di continuo controllo
dei movimenti più impercettibili, del corpo non meno che di quelli della psiche, e in una atmosfera rarefatta che il silenzio interno ed esterno ampli ca.
L’amicizia, se può avere una connotazione negativa – e anche fortemente
negativa – riguardando un’esasperazione dell’affettività ed essere dunque una
passione che in quanto tale può nuocere all’anima, può anche però divenire
uno strumento di eccezionale pregnanza sulla via della perfezione spirituale,
laddove venga proposta una accentuazione positiva del ruolo del desiderio e
dell’amore. Si tratta di sentimenti entrambi strettamente collegati all’amicizia e che possono divenire, se correttamente orientati, strumenti privilegiati
1
Sancti Petri Damiani Vita beati Romualdi, a cura di G. Tabacco, Roma 1957 (Fonti per la Storia
d’Italia, 94), cap. 65, p. 108.
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Umberto Longo
per arrivare alla fruizione del divino. Di norma questa accezione viene accostata ai nomi di Bernardo di Clairvaux e, per quanto attiene più strettamente all’amicitia, a quello di Aelredo di Rievaulx: in ogni caso, lo sbocco di
questa tradizione viene individuato nel XII secolo, in particolare nel quadro
della spiritualità cistercense, all’interno della quale l’amore assume un ruolo
fondamentale2.
Tuttavia, per fare una considerazione banale, una tradizione non nasce
dal nulla, ex abrupto, poiché conosce una serie di tappe e apporti che contribuiscono a formarne la sostanza e a de nirne i contorni. Un passaggio importante può essere individuato a mio avviso nel caso di Pier Damiani e nella pratica e nella concezione dell’amicizia proprie del suo mondo eremitico: pratica
e concezione che fondano le loro basi, è bene notarlo, sul lascito romualdino.
Negli scritti di Pier Damiani l’amicizia monastica è tema ricorrente. Coniugata in tutte le possibili sfumature del suo spettro realizzabili in un chiostro, essa è funzionale all’assoluto che sostanzia l’azione dell’Avellanita: il
quaerere Deum. Di più: si può dire che una speciale sensibilità affettiva sia la
molla che anima il relazionarsi di Pier Damiani con l’eremo e anche, sovente,
con il mondo esterno. L’amicitia si declina in una densissima molteplicità di
rapporti con una tta schiera di interlocutori, a cominciare innanzitutto da
quelli interni alla comunità. Nelle comunità eremitiche romualdine prima,
e damianite poi, l’affettività, intesa come legame tra anime, è componente
fortissima della spiritualità: la dilectio reciproca, la concordia, il privilegium
amoris (per ricordare uno studio esemplare di Giovanni Tabacco)3, o il vinculum charitatis come collante fondamentale anche da un punto di vista istituzionale (per ricordare un magistrale studio di Ovidio Capitani)4, sono tratti
salienti, decisivi della conversatio eremitica.
L’affettività tocca una serie di tasti che si collocano su differenti registri.
Alcuni sono di portata più generale e comuni nel mondo monastico, come
l’amicizia tra confratelli, l’amore tra discepolo e maestro, la direzione spirituale, la condivisione della cella: tali moti coinvolgono sentimenti quali l’armonia, la concordia, la pazienza e anche i loro opposti quali la rabbia, l’invidia, la discordia. Altri sono più speci camente e innovativamente propri del
mondo eremitico romualdino-damianeo. Appunto su questi ultimi intendo
G. Stancato, Quis vivit afectionibus? Passioni e modelli culturali e politici nel medioevo, in
Passione. Indagini loso che tra ontologia e violenza, a cura di P. Gilbert, Assisi 2007, p. 55.
Rispetto alle declinazioni del tema dell’amicizia in una prospettiva di riforma si veda B.P. McGuire, Friendship and Community. The Monastic Experience, 350-1250, Kalamazoo 1988, in
particolare pp. 204 sg. Esiste una copiosa bibliogra a legata al tema dell’amicizia nel medioevo
e tra i molti titoli si rimanda alla ricca antologia commentata: Sagesses de l’amitié II. Anthologie
de textes philosophiques, patristiques, médiévaux et renaissants, a cura di J. Follon e J. McEvoy,
Fribourg 2003.
3
G. Tabacco, «Privilegium amoris»: aspetti della spiritualità romualdina (1954), in G. Tabacco,
Spiritualità e cultura nel medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e della fede, Napoli
1993, pp. 167-194.
4
O. Capitani, San Pier Damiani e l’istituto eremitico, in L’eremitismo in occidente nei secoli XI e
XII, Atti della seconda Settimana della Mendola, Milano 1965, pp. 122-159, app. 160-163.
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concentrare la ri!essione nelle pagine che seguono: la pratica comunitaria
della penitenza; il peso della correzione; la consapevolezza della condivisione
di un’esperienza nuova e coinvolgente che riguarda la prima generazione avellanita; l’offerta da parte di Pier Damiani agli esponenti per lui più degni del
mondo monastico, di portare avanti un progetto comune di riforma radicale,
per certi versi parallelo alla riforma della Chiesa allora in atto.
Anche rispetto al tema dell’amicitia non si può non tener conto dell’eccezionalità della personalità carismatica del Nostro e del clima ardente di riforma all’interno del quale si delinea la sua azione: un clima di cui egli non solo
è partecipe, ma che pure orienta e sollecita, talora unendo la sua voce al coro,
talora ponendosi in una posizione di alterità, di alternativa, di dissenso.
1.
Convertire il mondo in eremo
Nel vasto epistolario di Pier Damiani ci si imbatte talvolta in lettere che
sono sue incalzanti e ardenti richieste ad amici che sembrano indugiare prima
di compiere il passo decisivo verso la vera vita in Cristo: è il caso, per esempio,
delle lettere 25, 30, 705. Questi scritti testimoniano, oltre allo zelo instancabile dell’Avellanita, anche la sua gerarchia di perfezione cristiana: egli infatti
non si stanca mai di convertire quante più persone possibili a quella che costituisce per lui l’unica e vera militia spirituale, la professione eremitica, unico
porto sicuro per la salvezza.
In questa attività non vi è gerarchia tra laici e monaci, tra presbiteri e vescovi: essi sono tutti accomunati da uno stato di imperfezione che preoccupa
fortemente l’eremita riformatore, il quale cerca così di reclutare, quanto più
possibile, anime. Queste lettere testimoniano altresì l’ampia rete di relazioni
che Pier Damiani aveva, come pure la sua indefessa ed estesa attività di direzione spirituale. È il caso per esempio della lettera all’arcidiacono Almerico,
l’occasione della quale non è tuttavia immediatamente legata ad una proposta
o ad un monito di conversione. La lettera infatti contiene la richiesta, da parte
di Pier Damiani, di un po’ di pesce per celebrare la festa del Natale avellanita:
insieme a tale richiesta si scorge il riverbero di qualcosa di più profondo, che
la semplicità del contesto non cela, ma a ben vedere ampli ca. Così Pier Damiani scrive a Almerico professandogli tutta la sua profonda amicizia:
Figlio carissimo, quanto sia fervido l’affetto del mio cuore verso di te, quanto sia tenace
e irremovibile il ricordo per la tua persona, che non si allontana mai dal mio petto, lo
riveli al tuo cuore, così sincero, lo Spirito Santo: proprio lui che è quello che suscita
la carità. Non mentisco, me n’è testimone la mia coscienza: l’intensità della dilezione
che nutro per te supera per no quella che nutro per coloro ai quali sono di necessità
strettamente legato da vincoli di parentela di sangue.
Die Briefe des Petrus Damiani, a cura di K. Reindel, 1, München 1983, nn. 1-40; 2, München
1988, nn. 41-90.
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Subito dopo l’Avellanita aggiunge: «Ed è certamente cosa degna che
l’amore spirituale sia maggiore dell’amore carnale»6. Le espressioni di Pier
Damiani sono, come si vede, cordiali, dolci e rivelano un’intensità affettiva
e amicale davvero notevole, cosa che avviene peraltro di frequente nei suoi
scritti. È chiaro inoltre che la tradizione retorica e letteraria intorno a un tema
del genere non sfugge certamente a un intenditore del calibro del nostro eremita – lui stesso cita Cicerone e Demostene qualche riga dopo. Nella scrittura
damianea traspare il riverbero dei molti dulcia colloquia che i due dovevano
aver avuto sulla possibilità per Almerico di scegliere la vita monastica. Pier
Damiani ne fa solo un lievissimo cenno, utilizzando una delicata metafora:
Mi spiace nondimeno quando si vede una pianticella aromatica, appena spuntata tra
la sabbia di una spiaggia, tentare di crescere su questo stesso terreno arido. Se dalla
sterile sabbia, in cui vive alla meglio, essa fosse trapiantata nel giardino della milizia
spirituale, potrebbe far sbocciare quel germoglio, le cui foglie per no, non dico solo i
frutti, secondo l’oracolo del Salmo, non perirebbero7.
L’Avellanita non intende insistere oltre, non ha intenzione di ritornare su
argomenti che ci si può immaginare siano stati già sviscerati in altre occasioni
e tronca lì la questione con una con denza consolidata: «infatti – aggiunge
– ci si infastidisce a dover fare la fatica di scrivere quando si sa che malvolentieri il destinatario accetterà quanto gli viene detto». Se solo Almerico volesse
dargli ascolto, Pier Damiani potrebbe
uguagliare, quanto alla facondia del discorso, Demostene o Tullio. Rimandami il mio
libro! E dato che il lunedì noi non mangiamo carne, ti prego di mandarci qualche pesce
per festeggiare la natività del Signore.
La lettera breve si conclude con la richiesta di un po’ di pesce per celebrare il Natale e con la richiesta di restituirgli un libro. Dietro le parole semplici e
di burbera affettuosità fa capolino l’eco dei discorsi che i due dovevano avere
ben presenti circa la possibilità che Almerico si convertisse alla milizia spirituale. È un contesto quotidiano, uno squarcio che permette di cogliere Pier
Damiani nel ruolo di direttore di anime8.
In generale, non è raro che emerga la dimensione amicale e affettiva nella
scrittura di Pier Damiani e le testimonianze di sentimenti veri, forti, esclusivi sono frequenti. In questo Pier Damiani segue l’esempio di Romualdo che
pure, in innumerevoli casi, è ricordato nella sua sollecitudine verso singole
anime ed è presentato nella sua «tendenza a creare rapporti di speciale intiRiporto il testo nella traduzione italiana ad opera dei padri camaldolesi: Pier Damiani, Lettere
(68-90), a cura di G. I. Gargano e N. D’Acunto, traduzioni di A. Dindelli, L. Saraceno, C. Somigli,
Roma 2005 (Opere di Pier Damiani, 1/4), pp. 168-169.
7
Pier Damiani, Lettere (68-90) cit.
8
Sul ruolo di Pier Damiani come direttore spirituale U. Longo, “Qui corripi refugit, nobiscum
habitare non possit”. Pier Damiani e l’esemplarità normativa in contesto di riforma, in Storia
della direzione spirituale, II, Il Medioevo, a cura di G. Filoramo e S. Boesch Gajano, Brescia 2010,
pp. 65-84.
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mità spirituale»9. La Vita Romualdi è intessuta di incontri di anime che stabiliscono legami spirituali fortissimi. È il caso di Romualdo con Giovanni Gradenigo, di Benedetto o Olibano con lo stesso Giovanni Gradenigo, ma anche
di Benedetto e Bruno o Giovanni martire. Come non ricordare la disperata
opposizione del conte Olibano al desiderio di partire del suo maestro Giovanni Gradenigo? Per Olibano, che dopo una serie di dulcia e secreta colloquia
con Romualdo, «solus cum solo», si era convertito ed era stato af dato da
Romualdo alla direzione spirituale di Giovanni Gradenigo, l’ipotesi che il suo
maestro lo abbandoni è intollerabile: «Almeno tu, Giovanni, ricordati che il
tuo maestro [Romualdo] mi ha af dato di buon cuore alla tua tutela e ti ha
parlato esplicitamente di disobbedienza, qualora tu te ne andassi»10. Oppure
la bella e densissima espressione di Ottone III in occasione del suo primo
incontro con Romualdo: «O utinam anima mea esset in corpore tuo!», «come
vorrei che la mia anima albergasse in te!»11.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Ma quello che credo conti è mettere
in evidenza questa attitudine alla spiritualità affettiva, dove nell’amore per l’assoluto, nella ricerca totale di Dio vi è spazio per l’amicizia, la dilectio spirituale,
la carità reciproca; anzi questi moti dell’anima divengono strumenti validi e
per certi versi fondamentali nell’economia dell’ascesi. L’altro da sé diviene lo
specchio attraverso cui si può scorgere Dio. Pier Damiani è chiarissimo al riguardo. In una delle lettere dedicate al suo amico Desiderio di Montecassino, la
lettera 82, afferma: «Rivolgendo lo sguardo verso di te, io elevo il mio sguardo
verso colui cui io anelo»12. Dio è amicizia e l’amicizia diviene un mezzo ef cace
per elevarsi verso le realtà superne. L’intensità affettiva, le af nità elettive tra
anime che condividono l’esperienza della ricerca dell’assoluto e che permettono
lo sbocciare di soavi e armonici sentimenti di amicizia si coniugano con la direzione spirituale, con il rapporto speciale che fa sì che una persona si af di a un
maestro che lo possa condurre lungo la via della perfezione ascetica.
Si è parlato del caso dell’arcidiacono Almerico, ma altri se ne potrebbero
citare, alcuni dei quali particolarmente signi cativi, come le relazioni epistolari tra Pier Damiani e nobili donne, in particolare l’imperatrice Agnese o la
contessa Bianca13. Vorrei invece concentrarmi sui rapporti all’interno della
comunità eremitica damianea. Si è tentati a questo riguardo di utilizzare, anche se per tutt’altro contesto, la felice formula di Barbara H. Rosenwein che
Tabacco, «Privilegium amoris» cit., p. 171.
«Memento tu saltem, Ioannes, quia magister tuus in tua me propensius de commisit, et titulum tibi inobedientiae, si discedis, opposuit»: Sancti Petri Damiani Vita beati Romualdi cit., cap.
11, 15; Tabacco, «Privilegium amoris» cit., p. 171.
11
Sancti Petri Damiani Vita beati Romualdi cit., cap. 65, p. 108.
12
Pier Damiani, Lettere (68-90) cit., p. 263.
13
Si vedano J. Leclercq, S. Pierre Damien et les femmes, in «Studia monastica», 15 (1973), pp.
43-55; J.-M. Sansterre, Mère du roi, épouse du Christ et lle de saint Pierre: les dernières années
de l’impératrice Agnès de Poitou entre image et réalité, in Femmes et pouvoirs des femmes à Byzance et en Occident (VIe-XIe siècles), Villeneuve d’Ascq 1999 (Centre de Recherche sur l’Histoire
de l’Europe du Nord-Ouest, 19), pp. 163-174.
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ha parlato di “comunità emozionale”14: di certo, nella “comunità emozionale” damianea lo spazio dell’affettività riveste un ruolo importante, decisivo
per certi versi. Una testimonianza evidente in tal senso si rileva a proposito
dei rapporti tra Pier Damiani e i suoi discepoli più stretti. In particolare vale
la pena citare la lettera 109: la commossa rievocazione, di sorvegliatissima
commozione, delle esistenze dei suoi più cari discepoli, Rodolfo di Gubbio e
Domenico Loricato, premorti al maestro, che Pier Damiani indirizza al ponte ce Alessandro II per chiederne l’elevazione agli altari. Lo speciale affetto
del maestro per il suo discepolo Rodolfo fa sì che quando Pier Damiani viene
a sapere della sua scomparsa gli si oscuri il giorno:
avevo appena varcato le mura di Firenze, che mi si fece incontro un messo, il quale
mi mutò in tenebre la luce del mezzogiorno e riempì tutte le vene del mio intimo
dell’amarezza per un tristissimo messaggio: era morto il vescovo di Gubbio.
Di una commozione se possibile ancora più forte è intrisa la rievocazione
della eccezionale gura di Domenico Loricato, «mio signore e padre», «colui
che mi dava luce (…) e che mi ha lasciato cieco», dice Pier Damiani, il quale
così ricorda il primo incontro con Domenico:
l’uomo di cui si stava parlando [cioè Domenico], col consenso del maestro, si degnò
di af darsi, con mirabile umiltà, al disgraziato che sono – io che ero indegno di essere
ricevuto da lui! –, e di sottoporsi a me come monaco ad abate. A me certamente diede di
più di quanto ricevette. Così io, che lo avevo accolto come suddito, godo di aver ricevuto
in lui un vero dottore in loso a nella scuola di Cristo. In verità tutta la sua vita era una
predica e un’edi cazione, un insegnamento e una disciplina15.
In particolare Domenico, a partire dagli anni Cinquanta del secolo XI, diviene negli scritti damianei una sorta di paradigma incarnato della spiritualità avellanita: egli è l’uomo dei primati ascetici, il campione della penitenza,
colui che
portò le stimmate di Gesù nel suo corpo, e si segnò non solo sulla fronte il vessillo della
croce, ma anche da ogni parte sulle membra. Inaridito ed esausto di ogni linfa di canna e
di giunco meritò di essere irrigato dalle copiose piogge della grazia celeste. Quaggiù era
cinto da una corazza di ferro, lassù è adorno delle candide vesti della gloria degli angeli.
Quaggiù era logorato dal duro giaciglio, lassù riposa nel tenero seno dei patriarchi.
Domenico, l’amico glio e padre, insieme, di Pier Damiani, è la prova realizzata che la ricetta avellanita può condurre alla santità, Domenico che
B.H. Rosenwein, Emotional Communities in the Early Middle Ages, Ithaca 2006; B. Rosenwein, Emotion Words, in Le sujet des émotions au Moyen Âge, a cura di D. Bouquet e P. Nagy,
Paris 2009, pp. 93-106.
15
Cito traducendo in italiano dalla lettera 109: Die Briefe cit., III, ep. 109, pp. 200-223, p. 222. Su
questa lettera agiogra ca U. Longo, «Inter scripturas mereretur autenticas reservari». Identità
del testo e tradizione manoscritta delle opere di Pier Damiani, in «Sanctorum», 1 (2004), pp.
97-112.
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di tutta la vita di quaggiù ha fatto come un Venerdì santo sulla croce, lassù, gioioso
e avvolto di luce celebra la gloria eterna della risurrezione. Ora brilla tra le pietre
ammeggianti della Gerusalemme celeste,
e ha vissuto come un angelo in terra. La condivisione quotidiana di
un’esperienza eccezionale quale la conversatio innovativa praticata intorno
a Pier Damiani fa sì che continuamente negli scritti dell’Avellanita emergano
racconti, aneddoti, richiami al suo compagno. In più occasioni, illustrando
episodi e qualità di Domenico, Pier Damiani rammenta la vita in comune, la
condivisione degli spazi e delle esperienze rendendo così pregnante, incontestabilmente reale e per certi versi normalizzante la sua testimonianza su Domenico e sui suoi exploits ascetici: il racconto delle incredibili prove penitenziali cui si sottopone il suo discepolo nella testimonianza di Pier Damiani non
è un mezzo per strabiliare l’uditorio ma ha anche una funzione normativa, di
possibile realizzazione di pienezza ascetica offerta come stimolo ai fruitori dei
suoi testi16. Nella lettera 44 Pier Damiani ricorda come la sua cella e quella di
Domenico siano contigue: «le nostre celle sono situate una di qua e l’altra di là
dalla chiesa, che, in mezzo, ci separa l’uno dall’altro». Quindi, con un accenno
autobiogra co, Pier Damiani ci permette di entrare nell’intimità quotidiana
dell’ascesi avellanita rievocando il tenore dei colloqui tra lui e Domenico. Egli
rammenta infatti che Domenico possiede il dono delle lacrime, una sorta di
marchio di fabbrica della spiritualità avellanita:
Ha egli il dono di abbondanti lacrime, ma non in modo continuo. Quando infatti, da
recluso, si impone un rigoroso silenzio, subito, appena vuole, piange a dirotto; ma
quando è visitato per un colloquio, si lamenta d’aver perso le lacrime. Anch’io spesso
gli addebito la miseria della mia aridità, dicendo: – «Ahimè, padre mio, sono infeconde
queste tue lacrime, che non possono generare, pregando, altre lacrime! Bramerei –
ed è una conseguenza naturale – che, come tu mi sei padre, così anche le tue lacrime
potessero generare le mie lacrime!»
All’armonia affettiva tra i due eremiti e al vincolo della loro parentela spirituale deve seguire una sincronia della compunzione del cuore. Il vincolo di
amicizia che li lega è un fuoco spirituale i cui bagliori promanano dalle pagine
di Pier Damiani. Similmente anche nel ricordo del discepolo e agiografo di
Pier Damiani, Giovanni da Lodi, emerge, insieme con il sentimento di un affetto esclusivo, la consapevolezza di aver condiviso un’esperienza eccezionale.
Presentando nel prologo i testimoni della Vita del suo maestro, Giovanni, che
si annovera anch’esso tra i testimoni diretti, si de nisce – con una locuzione
che tradisce tutto l’orgoglio di una predilezione senza riserve – comes indivisus del suo maestro, essendogli stato accanto dai primi anni Sessanta no
alla morte di Pier Damiani nel 1072. Anche Giovanni, come Domenico, come
Longo, La norma e l’esempio: Pier Damiani e i suoi eremiti, in Pier Damiani: l’eremita, il
teologo, il riformatore (1007-2007), Atti del XXIX Convegno del Centro studi e ricerche antica
provincia ecclesiastica ravennate, Faenza-Ravenna 20-23 settembre 2007, a cura di M. Tagliaferri, Bologna 2009 (Ravennatensia, 23), pp. 41-56.
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Rodolfo, e come lo stesso Pier Damiani ha conosciuto l’esperienza delle lacrime ed è stato fedele a un regime ascetico basato su una durissima penitenza.
Le due Vite a lui dedicate lo testimoniano fedelmente17.
Queste osservazioni richiamano un tratto a mio avviso saliente, decisivo, della spiritualità avellanita. Lo speciale legame e l’intensità affettiva
che sembrano promanare dalle esperienze romualdino-damianee derivano
anche dalla coesione che si viene a creare in seguito alla consapevolezza di
fare parte di un gruppo unito dall’eroico fervore della propria ansia di perfezione. La lettera 44, quella sorta di autobiogra a al plurale scritta da Pier
Damiani in risposta alle critiche che gli piovono da più parti, mostra bene il
malcelato orgoglio fraterno, domestico, familiare, intimo per così dire, che
si accompagna alla coscienza di far parte di una élite di asceti, di una punta
di diamante che ha il compito (come altissimo esempio di perfezione basato
su un atletismo ascetico assoluto) di incidere profondamente anche sulla
società, proponendo in concreto, attraverso la propria carne, il fatto che si
può vivere al massimo grado l’ansia di rinnovamento profondo e radicale
della vita cristiana.
Su questo testo fondamentale mi sono già soffermato in altre occasioni18. Qui vorrei solo evocare – nell’ottica del tema dell’amicitia – quel nobiscum che fuoriesce dalla penna di Pier Damiani, esasperata dalla polemica
con chi proprio non può o non vuole capire la sua idea di riforma monastica,
quel Teuzone eremita di città, duro di cervice, che contesta la conversatio
eremitica avellanita nei suoi punti più nevralgici e innovativi, a partire dalla
disciplina. La !agellazione volontaria, che è tratto costitutivo di questo sforzo titanico di perfezione sperimentata a Fonte Avellana, è assai indicativa
in questo senso. Molti si dichiarano scandalizzati; alcuni addirittura, pur
spinti a entrare a far parte di questa esperienza di riforma affascinante che
si pratica a Fonte Avellana sono incerti e si spaventano, come testimonia lo
stesso Pier Damiani nella lettera 133 in cui decide di mitigare la rigida disciplina penitenziale avellanita. Alcuni criticano apertamente e con durezza
la conversatio avellanita, volta al raggiungimento di primati penitenziali:
è il caso del già citato Teuzone o del monaco Pietro, il “cerebroso” cui Pier
Damiani indirizza la sdegnata replica costituita dalla lettera 56. Proprio in
seno alla stessa componente monastica sorgono, dunque, critiche e denigrazioni della radicalità innovativa che si sperimenta a Fonte Avellana: a
Sul tema delle lacrime in ambito eremitico e per una ri!essione su lacrime-compunzione-dilectio con numerosi e puntuali richiami anche a Romualdo e Pier Damiani si veda P. Nagy, Le don
des larmes au Moyen Âge. Un instrument spirituel en quête d’institution (Ve-XIIIe siècle), Paris
2000, pp. 171 sgg.
18
U. Longo, Pier Damiani versus Teuzone: due concezioni sull’eremitismo a confronto, in Monaci, ebrei, santi. Studi per So a Boesch Gajano, Atti delle Giornate di studio «Sophia kai historia»
Roma, 17-19 febbraio 2005, a cura di A. Volpato, Roma 2008, pp. 63-77; U. Longo, Sancti novi e
antichi modelli al tempo della riforma della Chiesa. Pier Damiani e l’inaudita novitas della !agellazione, in corso di stampa in Il moderno nel medioevo. Atti del Seminario di studio dell’Istituto storico italiano per il medioevo (Nuovi studi storici).
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dimostrazione – se ancora ce ne fosse bisogno – che lo spettro di idee sulla
rigenerazione della Chiesa e della società cristiana era tanto ampio quanto
controverso, e incandescente il dibattito. A questo riguardo Glauco Cantarella ha chiarito come in qualche misura sia fuorviante parlare di riforma
al singolare19.
Rispetto al delicato punto della estrema ascesi penitenziale propugnata
dai damianei, e di cui la !agellazione volontaria è una delle emergenze più
macroscopiche, bisogna notare che tale pratica non genera solo biasimo. Pier
Damiani riesce a proporre la sua ricetta ascetica anche a centri di eccellenza del monachesimo tradizionale come la Montecassino degli anni Sessanta
dell’XI secolo. Sappiamo infatti che a Montecassino si praticava la !agellazione, innovazione auspicata e imposta proprio da Pier Damiani attraverso i suoi
serrati rapporti di amicizia con Desiderio e i monaci cassinesi. Ma appunto
questa propagazione dei metodi ascetici avellaniti in un luogo molto in vista come Montecassino, ampli ca le critiche e solleva lo scandalo per questa
ascesi che si ritiene eccessiva, desueta, di cui non viene capito lo sforzo di
aderire alla gura del Cristo sofferente. Un cardinale di nome Stefano, forse
il titolare di San Crisogono, interviene perciò sulla questione proibendo ai
monaci di Montecassino di continuare con tale pratica. Pier Damiani, toccato
sul vivo e preso dal vortice polemico, scrive una lettera ai cassinesi che è un
trattato in lode della !agellazione, il De laude !agellorum (lettera 161 dell’edizione Reindel)20.
In difesa delle peculiarità del suo gruppo e della bontà dei suoi metodi,
Pier Damiani giunge a dichiarare che la morte improvvisa dell’alto prelato è
da collegarsi alla sua opposizione alla pratica importata da Fonte Avellana.
Dallo scritto emerge, però, che le critiche e lo scandalo non riguardano solo
la pratica della !agellazione volontaria, ma anche un’altra peculiare consuetudine avellanita che ha attinenza con la speciale affettività di cui abbiamo
parlato. Vi sono, infatti, coloro che sono rimasti impressionati e sdegnati dal
fatto che gli avellaniti siano soliti denudarsi in comune, di fronte agli altri
confratelli. Pier Damiani lo ricorda esplicitamente; vi sono infatti alcuni che
dicono:
19
G.M. Cantarella, Il papato e la riforma ecclesiastica del secolo XI, in Riforma o restaurazione?
La cristianità nel passaggio dal primo al secondo millennio: persistenze e novità, Atti del XXVI
Convegno del Centro di studi avellaniti, Negarine di S. Pietro in Cariano (Verona) 2006, pp. 2750, pp. 27-29.
20
Die Briefe cit., IV, ep. 161, pp.135-144. Sul tema della !agellazione, oltre al già citato Longo,
Sancti novi e antichi modelli al tempo della riforma della Chiesa cit., si veda J. Leclercq, La !agellazione volontaria nella tradizione spirituale dell’Occidente, in Il Movimento dei Disciplinati
nel settimo centenario dal suo inizio (Perugia - 1260), Spoleto (Perugia) 1962 (Deputazione di
storia patria per l’Umbria, appendice al bollettino, 9), pp. 73-83; poi ripubblicato con il titolo San
Pier Damiani e la !agellazione volontaria, in Momenti e gure di storia monastica italiana,
Jean Leclercq osb, a cura di V. Cattana osb, Cesena 1993, pp. 358-366. Si veda anche J. Leclercq,
S. Pierre Damien ermite et homme d’Église, Roma 1960. Sul trattato De laude !agellorum, si
veda anche Pier Damiani, Lettere ai monaci di Montecassino, a cura di A. Granata, Milano 1987,
pp. 387-419, che ne riporta anche la traduzione in italiano alle pp. 409-419.
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Umberto Longo
Senza dubbio non si deve radicalmente disapprovare la macerazione del corpo mediante
il digiuno, ma il denudare le membra sotto gli occhi di tanti fratelli che guardano è una
cosa troppo vergognosa e ripugnante21.
Questo tipo di pratiche esula dal contesto della tradizionale discretio
benedettina, anzi le dà una vigorosa spallata. Pier Damiani la difende strenuamente, argomentando con dif coltà quando deve trovare riferimenti
scritturali, ma forse in maniera più ef cace quando spiega come si tratti di
aderire alla «sancta simplicitas» che non risiede in nessun altro se non in
Cristo che con il suo esempio per primo l’ha indicata insegnandoci a estirpare dalla nostra vita ogni super!uo. Egli si infervora e scrive ai monaci
cassinesi:
Avrò l’audacia, miei fratelli dilettissimi, di dire che, chiunque provi vergogna a spogliarsi
delle sue vesti per soffrire insieme con Cristo, questi ha senza dubbio ascoltato le parole
del serpente, e (…) rimane confuso per la sua nudità, a somiglianza del primo genitore,
occultandosi per così dire dagli sguardi divini.
Si tratta, dice in sintesi Pier Damiani, di sbarazzarsi della superbia e di
non evitare lo sguardo di Dio; si tratta di andare incontro alle sofferenze di
Cristo e di partecipare alla sua Passione e al sacri cio della Croce. Da questo
punto di vista, il tenore del ragionamento damianeo è chiaro:
Dunque, dimmi, chiunque tu sia, tu che irridi superbamente la Passione di Cristo, tu
che, disdegnando di venir denudato e !agellato con lui, ricopri di scherno la sua nudità
e tutti quanti i tomenti, quasi che fossero inezie e inutili ritornelli e, in certo qual modo,
follie di gente che sogna.
Sembra di scorgere in queste pratiche una sensibilità che, sebbene esaltata, contiene anche il germe di tempi nuovi, partecipando a un nuovo atteggiamento – e precorrendolo per certi versi – che di lì a poco si sarebbe
manifestato in maniera più diffusa nella società cristiana. Quella damianita
è una ristretta cerchia di asceti che intorno alla Passione di Gesù costruisce
una teologia che cerca di vivere sulla propria carne. Questo comporta, per
quella generazione di eremiti, una sperimentazione sicuramente estremistica,
ma allo stesso tempo in grado di creare un fortissimo vincolo attraverso la
condivisione di pratiche penitenziali: si tratta di un vincolo che sicuramente
spaventa e desta sospetti in chi osserva dal di fuori, in chi non capisce e non
condivide questa esperienza, rimanendo atterrito dalla compattezza estrema
che unisce il gruppo.
Pier Damiani, dall’alto della sua sapienza magistrale – esaltata ed estremista n che si vuole, ma non necessariamente patologica, come ha interpretato certa storiogra a che ha letto con occhi forse troppo contempora-
«sed turpe nimis et inhonestum est ante tot fratrum intuentium oculos membra nudare»: Die
Briefe cit., ep. 161, p. 137.
21
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«O utinam anima mea esset in corpore tuo!»
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nei –, ritiene che l’atleta di Cristo non debba vergognarsi di spogliarsi di
ogni residuo di individualità per poter sostenere la sua pugna pro Christi
amore22. Certo va detto che se letture in chiave psicologica, psicanalitica o
addirittura psichiatrica sono troppo attualizzanti, questo tentativo di reincarnare l’originario atletismo ascetico dei padri della Tebaide non solo è
lontano dalla nostra sensibilità ma ha suscitato turbamento anche presso i
contemporanei di Pier Damiani. Il corpo, con tutto quello che rappresenta,
è un ostacolo preliminare da abbattere prima di accingersi alla battaglia. Va
detto anche, tuttavia, che in qualità di maestro esperto Pier Damiani ritiene
pure che la comune nudità, il conoscere la debolezza dell’altro e attraverso
questa riconoscere la propria, uniforma il gruppo, cementa lo spirito della
comunità, previene le divisioni e le conventicole, sintonizzando i singoli in
una armonica unione.
Ricollegando questa pratica al tema dell’amicitia si può osservare come
probabilmente dietro questo tipo di pratiche ascetico-penitenziali vi sia l’intento da parte di Pier Damiani di forgiare la comunità come un insieme compatto annullando le distanze tra i membri. Conoscendosi reciprocamente nella
nuda fragilità corporale, gli spiriti – quelli più forti almeno – possono unirsi
in un intimo vincolo di carità e reciproco amore in vista del comune orizzonte
del raggiungimento della Gerusalemme celeste. La pratica della pubblica e
nuda confessione cerca di strutturare e rinforzare il vincolo affettivo che fa da
collante alla esperienza peculiare e straordinaria della conversatio eremitica
che si pratica nei suoi eremi in vista della ricerca assoluta della perfezione
ascetica del rendersi angeli in terra.
A ben vedere molti testi damianei vanno in questa direzione (le lettere
28, 109, 50, tanto per citarne alcune particolarmente signi cative), così come
in questa ottica deve essere letta anche l’insistenza assoluta sul valore della
correzione, che è un punto su cui Pier Damiani non transige23.
Tutto questo suona se non esoterico – nel senso etimologico del termine
–, almeno strano, diverso, difforme, incomprensibile e genera resistenza e antagonismo al di fuori della comunità. Questa attitudine peraltro non genera
scandalo e perplessità, per usare un eufemismo, solo all’esterno, ma anche
all’interno della comunità. Tale fatto è testimoniato da scritti come la prima
Vita di Giovanni da Lodi, dove si rammenta una certa insofferenza nella generazione successiva a quella di Pier Damiani a mantenere i durissimi livelli
penitenziali; ma anche, ancora in vita il maestro, lettere come la 133 o il rifacimento della 50 che, mitigata dallo stesso Pier Damiani, vanno in questa
direzione. Peraltro, si riscontrano già ai tempi di Romualdo alcune resistenze,
22
Una lettura in chiave psicanalitica è proposta da L.K. Little, The Personal Development of Peter Damiani, in Order and Innovation in the Middle Ages: Essays in Honor of Joseph R. Strayer,
a cura di W.C. Jordan, B. McNab e T.F. Ruiz, Princeton (N.Y.) 1976, pp. 317-341.
23
Si legga in questi termini la lettera al suo discepolo e scriba Ariprando, lettera 54, espressamente dedicata al tema della correzione fraterna, e la ripetuta insistenza sulla pazienza come virtù
fondamentale nell’eremo: Longo, “Qui corripi refugit, nobiscum habitare non possit” cit.
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che testimoniano la fronda interna al tenore della proposta ascetico-eremitica e il fraintendimento di una spiritualità fortemente segnata dalla affettività
reciproca e incurante del comune senso del pudore dei contemporanei – come
attestano le accuse di Pietro il Cerebroso, Teuzone e del cardinale di Stefano
–, una fronda e un eventuale fraintendimento poco disposti a compromessi
nella volontà di assoluta adesione al Cristo anche nella sua componente più
dolorosamente umana. Pier Damiani, nella Vita del suo maestro spirituale,
non ha alcuna dif coltà a ricordarlo: egli non cerca certo di sminuire, di edulcorare, di rendere agiogra a le scon tte che questo tipo di esperienza comporta. In questa prospettiva si può leggere l’episodio dell’accusa infamante
rivolta all’anziano Romualdo dai suoi stessi eremiti di Sitria nel capitolo 49
della Vita Romualdi24.
La tensione che richiede l’abbandono di ogni sussulto di individualità
per realizzare l’unione di anime intente ad annullarsi in Cristo comporta
prezzi molto alti, che non tutti sono disposti o sono in grado di pagare. Ma
questo non importa a uomini che, come Romualdo o Pier Damiani, vogliono congiungersi con il Cristo sofferente e povero, vogliono essere rapiti da
quella contemplazione della divinità che, sciogliendoli in lacrime di perfetta
compunzione del cuore, li conduca a raggiungere quel: «caro Gesù, caro,
mio dolce miele, desiderio ineffabile, dolcezza dei santi, soavità degli angeli», come arriva a prorompere in estasi Romualdo nel racconto partecipe di
Pier Damiani.
2. Rapporti con il monachesimo altro. L’amicitia e la proposta di riforma
“panmonastica”.
Il fatto che alcune singolari usanze di Fonte Avellana siano state adottate a Montecassino illustra bene la qualità e la consistenza del legame che
si era creato tra Pier Damiani e l’in!uente abbazia25. Quello con l’abate Desiderio è un delicato e intensissimo legame di amicitia spirituale, lo abbiamo visto. Moltissime altre sono tuttavia le attestazioni che si potrebbero
citare. In molteplici occasioni la sollecitudine di Pier Damiani è quella di
rammentare al suo amico cassinese l’assoluta e intima necessità per il monaco di non privilegiare Lia rispetto a Rachele, anteponendo la vita attiva
a quella contemplativa. Sincera preoccupazione del maestro spirituale Pier
24
Sancti Petri Damiani Vita beati Romualdi cit., cap. 49, pp. 91-92. Sull’argomento U. Longo, La
conversione di Romualdo di Ravenna come manifesto programmatico della riforma eremitica,
in Ottone III e Romualdo di Ravenna. Impero, monasteri e santi asceti, Atti del XXIV Convegno
del Centro di studi avellaniti, Fonte Avellana (Pesaro-Urbino) 2003, pp. 215-236.
25
I legami di amicizia tra l’avellanita e Montecassino sono stati oggetto di ni analisi da parte
di N. D’Acunto, Pier Damiani, la santità benedettina e gli amici cassinesi, in I Fiori e’ Frutti
santi. S. Benedetto, la Regola, la santità nelle testimonianze dei manoscritti cassinesi, a cura di
M. Dell’Omo, Roma-Milano 1998, pp. 81-94. Si veda anche J. Howe, Peter Damian and Monte
Cassino, in «Revue bénédictine», 107 (1997), pp. 330-351.
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Damiani è quella di garantire a Montecassino un corretto rapporto tra conversatio monastica e doveri per così dire secolari. Va inoltre osservato che
Pier Damiani riserva una simile premura anche per Cluny. Ne sono prova le
molte lettere all’abate Ugo di Semur, così come ai monaci di questo «hortus
deliciarum», secondo una delle entusiastiche espressioni con cui egli allude
all’abbazia borgognona26.
Una attenzione esclusiva viene riservata da parte di Pier Damiani alla
cura della spiritualità di quelli che egli sembra giudicare gli avamposti del
monachesimo nel mondo. Non vuole che queste of cine di virtù monastiche, per la loro in!uenza sulla società esterna e per gli inevitabili contatti
con questa, abbiano a soffrire cali di tensione che possano in qualche modo
comprometterne la perfezione della intensità spirituale. La raf nata maestria
retorica di Pier Damiani innerva riccamente questa tta corrispondenza sul
tema dell’amicitia. Anche qui, però, ci si sbaglierebbe a voler cogliere solo il
richiamo erudito e di gusto antiquario alla retorica classica: dietro all’ordito
retorico si può scorgere una trama per nulla banale.
Al suo ritorno dalla Borgogna Pier Damiani scrive a cluniacensi e cassinesi una serie di lettere impegnative e coerenti. Sono lettere all’insegna
dell’amicizia: amicitia monastica, tra anime che condividono un’esperienza
dell’ineffabile, che sanno cogliere i signi cati sottili dell’esistenza, che hanno
af nità elettive, che si esprimono in termini di spiritualità affettiva. A mio
avviso però, questo crescendo di rapporti e di predilezione che il gran numero di lettere indirizzate testimonia non è dovuto solo a un’af nità elettiva
tra il vecchio maestro e le due potenti comunità monastiche27. L’amicizia che
deriva dalla comune capacità di ricercare l’assoluto serve a Pier Damiani per
formulare – tra le righe – una proposta di unione, di messa a frutto di questa
comune condivisione di valori, quasi a voler formare una risposta monastica
alla direzione che aveva preso la riforma della Chiesa. Se si provano a leggere
queste lettere attraverso questo ltro, – e anche alla luce del tenore di ben
altro genere che emerge dalla corrispondenza di Pier Damiani con Ildebrando
e Alessandro II – si può capire meglio il ruolo che esercitava – e che si arrogava – il nostro: un ruolo di maestro, di direttore spirituale, come emerge ad
esempio nei confronti di Desiderio, cui ricorda continuamente di non posporre i suoi doveri istituzionali e politici di abate di Montecassino alla cura della
sua vita contemplativa.
La contemplazione divina e tutto ciò che ne consegue rappresentano il
primo e più vero compito del monaco, che può sostanziare la punta dell’espe-
26
Si veda M. Cittadini Fulvi, Le epistolae di san Pier Damiani ai monaci di Cluny, in La preparazione della riforma gregoriana e del ponti cato di Gregorio VII, Fonte Avellana (Pesaro-Urbino)
1986 (Atti del IX Convegno del centro di studi avellaniti, 1985), pp. 69-100; U. Longo, Pier Damiani e la proposta di perfezione al mondo monastico negli anni sessanta dell’XI secolo, in Fonte
Avellana nel secolo di Pier Damiani, Atti del XXIX Convegno del Centro di studi avellaniti, Fonte
Avellana (Pesaro-Urbino) 2008, pp. 413-428.
27
Ibidem.
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rienza cristiana solo se riesce nella titanica impresa di vivere come un angelo
in terra. Stanco di un mondo profano sempre meno recuperabile e non più
in perfetta sintonia con le idee di riforma di Ildebrando di Soana, in particolare, e romane, in generale, Pier Damiani sceglie interlocutori che a suo giudizio possono rivelarsi idonei alla realizzazione del suo progetto di riforma,
nell’ultimo periodo della sua vita sempre più orientato verso la dimensione
monastica. L’amicitia costituisce la malta che permette di costruire l’edi cio
spirituale, lo strumento attraverso cui si possono comunicare, condividere
e proporre le esperienze spirituali sublimi che rappresentano il lievito della
conversatio monastica che costituisce, quando è pura e perfetta, il lievito della società cristiana da riformare.
Umberto Longo
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