GANDHI E LA LOTTA CONTRO L`IMPERIALISMO

Transcript

GANDHI E LA LOTTA CONTRO L`IMPERIALISMO
GANDHI E LA LOTTA CONTRO L’IMPERIALISMO: CINQUE PUNTI
Johan Galtung
Giornata Internazionale della Nonviolenza, 2 ottobre 2007, Nazioni Unite, New York
Traduzione di Loretta Fabbrovich per il Centro Sereno Regis
Titolo originale:
“Gandhi and the struggle against imperialist. Five points at the UN on October 2, 2007”
http://www.transnational.org/Resources_Nonviolence/2007/Galtung_UNspeech2Oct07.html
Signor Moderatore, Ministri degli Esteri, Eccellenze, Partecipanti,
Gandhi lottava contro l’Impero Britannico, la sua invasione e occupazione. Un’invasione,
quella del Vicerè Richard Wellesley nel 1798 contro il Sultano di Mysore, che fu anche chiaramente
anti-musulmana. Nello stesso anno, Napoleone intraprese la sua missione civilizzatrice invadendo
l’Egitto per diventare egli stesso Sultano el-kebir, Grande Sovrano, ma fu cacciato nel 1801.
Arrivarono gli inglesi nel 1807 e l’Egitto fu una loro colonia sino al 1922.
Gandhi lottò contro un impero del male, che si rivelò tale nel modo con cui reagì contro la
ribellione del Sepoy (Su questo episodio, si veda: William Dalrymple, L’assedio di Delhi. 1857 lo
scontro finale fra l’ultima dinastia Moghul e l’impero britannico, Rizzoli, Milano 2007, NdT) 150
anni fa e con il massacro di Amritsar nel 1919. Churchill parlava di lui come di un fachiro
seminudo, non solo, ma sperava sinceramente che digiunasse fino a morire. Ma nel 1947 arrivò la
fine: dapprima se ne andò l’India, poi il resto dell’impero, soprattutto grazie alla nonviolenza di
Gandhi. Oggi sono entrambe fiorenti, India e Gran Bretagna, l’India con un brillante federalismo
linguistico e una formidabile economia in espansione, la Gran Bretagna sulla stessa strada, ma
ancora con qualche residuo di imperialismo. E Gordon Brown assomiglia a Tony Blair, ma senza il
suo stile, nella “relazione particolare” con il partner senior.
L’impero globale degli USA – più ampio, più profondo, più perfido – era il successore
dell’Impero globale Britannico, con Israele come suo successore in Medio Oriente e l’Australia nel
Pacifico. Tutti costoro hanno in comune il colonialismo. Ciò significa anche oggi invasione e
occupazione; da parte degli USA in Iraq, Afghanistan e in qualche misura in Arabia Saudita, e di
Israele in Palestina. Ma la gente odia essere invasa e occupata e non si fida della creatività
dell’invasore-occupante che cerca di legittimare l’azione. Tant’è che vi è una massiccia resistenza
nei quattro paesi, quanta ce n’era in Norvegia sotto la Germania.
Come poté riuscire a resistere Gandhi? Trasformando brillantemente il conflitto tra il
kshatriyah varnadharma dell’eroica lotta violenta e il suo swadharma della nonviolenza nella lotta
eroica nonviolenta, nota come satyagraha. Nata il 9/11/1906, comporta l’assoluta rinuncia a
uccidere ma la disponibilità a essere uccisi, l’estremo sacrificio.
Per molti, satyagraha significa soprattutto lotta nonviolenta per resistere alla violenza diretta
e/o strutturale; ma satyagraha comprende molte altre cose, in particolare cinque punti che vanno
oltre termini come “lotta”, “resistenza”, “eroismo” e “sacrificio”; è un percorso politico più
profondo e più saggio delle invasioni vittoriose.
Questi cinque punti si possono applicare oggi alle quattro lotte anti-imperialistiche, contro
l’imperialismo cristiano fondamentalista degli USA e il duro imperialismo sionista di Israele. Ma
questi punti gandhiani invitano gli USA e Israele alla disponibilità verso gli altri e tracciano un
doppio percorso: i messaggi gandhiani sono diretti non solo agli invasori-occupanti a Washington-
Gerusalemme, ma anche agli invasi-occupati in Iraq-Afghanistan-Palestina-Arabia Saudita. Se
venissero messi in pratica sarebbe meglio per entrambi i gruppi e per noi tutti.
Punto 1: Non temere mai il dialogo
Durante le sue lotte, Gandhi dialogava con chiunque, compreso il viceré di un impero che lui odiava
e ciò portò i suoi frutti. È patetico vedere un Segretario di Stato degli USA, quando viaggia dentro e
fuori di Israele, affermare che lei non incontrerà né Hamas, né Hezbollah, né Damasco, né Teheran,
mentre è esattamente ciò che dovrebbe fare per esprimere il suo punto di vista e forse comprendere
quello degli altri: lei pensa che sarebbe un onore troppo grande per quei gruppi del male. Ma: [1]
non è detto che costoro considerino un grande onore un incontro con gli USA, né [2] che questo
incontro li renderebbe più accondiscendenti. Comunque non se ne andrebbero.
Lo stesso discorso si applica al Mullah Omar o a Hektamayar, rappresentanti della resistenza
religiosa e nazionalistica, accanto alla resistenza della grande maggioranza degli afghani che
semplicemente rifiutano sia l’invasione, sia l’occupazione. Gli USA/NATO combattono tre guerre.
Devi dialogare. La condizione ‘prima fuori la NATO, poi parliamo’ è perfettamente comprensibile,
ma questo punto può essere espresso molto meglio in un dialogo riguardante tutte le varie questioni.
Punto 2: Non temere mai il conflitto: è un’opportunità piuttosto che un pericolo
Per Gandhi un conflitto era una sfida a conoscersi l’un l’altro, avendo qualcosa in comune e non
restando indifferenti tra le parti. Lui preferiva la violenza alla viltà e il conflitto, la disarmonia alla
totale mancanza di relazione, ma preferendo ovviamente la nonviolenza del coraggioso e le
relazioni armoniose.
Il conflitto può essere inteso al modo anglo-americano come azione violenta tra attori-parti
in gioco oppure come incompatibilità tra i loro obiettivi. La prima prospettiva porta al controllo di
una o più parti, di solito l’Altro, e anche all’indebolimento-espulsione-sterminio. La seconda può
portare alla soluzione del problema. Allora, come si possono conciliare gli obiettivi legittimi di tutte
le parti? Può darsi che anche l’Altro abbia degli obiettivi legittimi? E - horribile dictu – che io, il sé,
sia dalla parte del torto?
Un conflitto può essere considerato da chi è meno maturo e molto arrogante come occasione
per imporsi, prevalere, “vincere”. Oppure, da chi è più maturo, come occasione di auto-esame
piuttosto che di censura dell’Altro, e di ricerca di una possibile nuova realtà nella quale si possano
conciliare gli obiettivi legittimi di tutte le parti. Come le richieste del mondo musulmano di rispetto
per l’Islam e quelle del mondo occidentale di democrazia e liberi mercati. Non facile quest’ultima.
L’Occidente potrebbe imparare dalle economie islamiche il profondo rispetto per le
transazioni economiche viste come transazioni umane? E l’Islam dall’Occidente maggiore rispetto
per la diversità dei punti di vista e delle opinioni? Benvenuto conflitto, benvenuta sfida!
I punti 3 e 4 introducono un importante elemento in cui si svolgono tutti i conflitti: il tempo.
In generale i diplomatici, non solo anglo-americani, cercano di negoziare accordi ratificabili in
funzione di obiettivi, valori, interessi quali si presentano sincronicamente, al presente. Ma nella vita
reale il passato getta ombre lunghe sul presente. I conflitti sono spesso asincroni, i gruppi vivono in
zone temporali diverse per anni, decenni, secoli. Tutti hanno la loro ora media di Greenwich., e
spesso molto media, in realtà.
E nella vita reale il futuro è come un faro con luce rossa, gialla e verde: Pericolo, fermati! –
Procedi con attenzione! – Questa è la via! Alcune luci sono forti, anche accecanti, altre sono
percepite solo dai più sensibili. Le trascurate a vostro rischio e pericolo. Come l’avvertimento del
professor Stojanovic al presidente serbo Cosic sulla strategia degli USA prima dell’illegale attacco
NATO alla Serbia nel 1999: gli USA sono affetti da eccessivo desiderio di presenza, inconsapevoli
sia della storia, sia di quello che il futuro può riservare di buono, cattivo e peggiore.
Punto 3: Impara la storia, o sarai destinato a ripeterla (Edmund Burke)
Gandhi conosceva la storia degli inglesi e del loro impero meglio di taluni di loro, ma allo
stesso tempo quella del suo paese, sia i fatti, sia la letteratura, egualmente importante (come il
Mahabharata). Giunse alla conclusione che l’attitudine imperiale britannica alla gloria e al dominio
dei mari (compresa qualche terra) doveva essere combattuta alle radici, tessendo catene di
nonviolenza nel cuore dell’Inghilterra. E così fece.
Ma la storia fa sedimentare nella memoria collettiva strati di traumi, non solo di gloria. Non
potremo mai capire la resistenza dei quattro paesi senza capire i traumi subiti da
Iraq: 1258, massacro di Baghdad da parte di Ilkhan e del Papa e
1916, il Regno Unito che si crea uno spazio in Iraq, provincia 19, il Kuwait nel 1898;
Afghanistan: invasione inglese 1838-1878 e quella sovietica 1979;
Palestina: 1916 tradimento Sykes-Picot, 1948 nakhba per 711.000;
Arabia Saudita: trattato del 1945 che cancellava la visione wahhabita della vita.
Se si sono sofferti tali traumi lasciati irrisolti, la prima volta che ritorna il perpetratore senza
essere invitato la reazione, giusta o ingiusta, sarà “eccoci daccapo”. Gli anglo-americani sono così
prepotenti, da non temere le previsioni derivanti dalla storia; come molti perpetratori, hanno
memoria corta. Ma le vittime non dimenticano mai. Riconoscimento dei traumi e riconciliazione
sono quanto mai necessari.
Punto 4: Immagina il futuro, o non ci arriverai mai
“Sii oggi il futuro che vorresti vedere domani” era il modo in cui Gandhi traduceva questo
punto in non-cooperazione positiva e disobbedienza civile, svuotando le strutture oppressive, ma
allo stesso tempo illuminando il futuro e preparando i satyagrahi per la pace positiva e la
convivialità, non solo per il solito repertorio di convegni, risoluzioni e dimostrazioni.
La sua visione unitaria della lotta era Invasori andatevene!, da ripetere forte e chiaro. Ma
essa andava oltre l’indipendenza, lo swaraj, immaginando un mondo che potesse includere gli
occupanti: più inglesi di oggi, ma come amici, su una base di eguaglianza!
Molto convincente, molto disarmante. Vi si può forse trovare un messaggio per i nostri sei
paesi, nel senso di pensare, parlare e agire nei termini di un futuro insieme? Esempio: una Comunità
del Medio Oriente - modellata su quella dell’Unione Europea che ha saputo includere l’ex
Germania nazista - che comprenda i cinque paesi confinanti con Israele, Libano, Siria, Giordania,
Palestina pienamente riconosciuta e Egitto, assieme a una Israele che in passato era fortemente
sionista?
Punto 5: Mentre combatti contro l’occupazione, pulisci anche casa tua!
Gandhi certamente opponeva resistenza contro l’impero britannico e combatteva per lo
swaraj, ma ciò non gli impediva di preoccuparsi dei mali della sua Madre India, quali
l’intoccabilità, la discriminazione delle donne, la miseria e la crescente divisione tra indù e
musulmani. Alla fine quest’ ultima provocò la partizione che, con il disastroso cambio dei confini
proposto dall’ultimo vicerè, Lord Mountbatten, portò a una bagno di sangue e a un trauma che
inasprì per generazioni il lungo conflitto per il Kashmir.
Il fatto che i colonizzatori criticassero l’intoccabilità e la discriminazione delle donne,
dichiarando fuori legge l’estrema espressione del suttee (noto anche come sati, NdT) non impedì a
Gandhi di continuare a contrastare questi mali sociali. La sua logica non era quella di negare ogni
valore condiviso anche dal principale antagonista, mentre molte persone meno mature diventano
vittime della polarizzazione. Egli combatté le caste non perché i colonizzatori le usassero spesso
come leva nella loro tattica del divide et impera per dominare l’India, ma per la loro intrinseca
ingiustizia.
Torniamo agli occupanti e agli occupati: che cosa potrebbero imparare da Gandhi, oltre a
passare dalla violenza alla nonviolenza?
-Gli USA: battersi per innalzare le condizioni del 50% della società che non riesce a soddisfare i
bisogni fondamentali; ridurre il divario tra ricchi e poveri; ridare dignità ai Popoli Originari, gli
Inuit, gli Hawaiiani; eliminare le discriminazioni; ridurre alienazione e paura che alimentano la
violenza e l’abuso di droghe, nonostante il fatto che lo dicano molti di quelli che odiano gli USA.
- Israele: riconoscere agli arabi israeliani cittadinanza di prima classe, ridurre il crescente divario tra
ricchi e poveri e tra Ashkenaziti e Sefarditi e altri gruppi; ridurre la corruzione e l’edonismo
sregolato che minaccia la società, nonostante il fatto che lo dicano molti di quelli che odiano il
sionismo duro.
- Iraq: per i sunniti, rinunciare all’obiettivo di governare l’Iraq da Baghdad; per kurdi e sciiti
combattere in modo nonviolento per ottenere il diritto inalienabile di aprire le frontiere ad altri kurdi
e sciiti arabi; per tutti trovare un’unità nelle diversità in un assetto che stia tra una federazione e una
confederazione; conservare le cose positive realizzate da Hussein quali alfabetizzazione, stato
sociale, libertà di scelta per le donne se indossare, o meno, il hijab, nonostante il fatto che lo dicesse
Saddam.
- Afghanistan: dovrà essere amministrato da afghani, stabilendo un accordo con i paesi consumatori
di droga: noi riduciamo l’offerta, voi riducete la domanda creando società più umane e ci
monitoriamo l’un l’altro, nonostante il fatto che lo dicano anche gli invasori e i talebani.
- Palestina: continuare la lotta di Hamas contro la corruzione, rinnovare la società, riconoscere ai
palestinesi non musulmani la cittadinanza di prima classe; proseguire energicamente la lotta sulla
base del Corano per una maggiore eguaglianza sociale.
- Arabia Saudita: cercare di costruire un ponte tra il wahhabismo e il materialismo occidentale,
mettersi all’avanguardia nella ricerca di metodi alternativi non inquinanti e non distruttivi
dell’ambiente per la conversione dell’energia; proseguire energicamente la lotta sulla base del
Corano per una maggiore eguaglianza di genere; esplorare forme di democrazia non occidentale.
C’è così tanto lavoro da fare!
Il problema è come incanalare le energie prodotte da un conflitto in modo da far prosperare
le parti. Si devono togliere le tre (e mezza) occupazioni, gli invasori se ne devono andare a casa e
smantellare le loro strutture imperialistiche. Entrambe le parti si devono liberare del disastroso
cappio dell’imperialismo. Battendosi secondo il metodo gandhiano esse possono prosperare perché
le loro energie sono usate positivamente.
Una resistenza nonviolenta sarebbe servita all’Iraq sia contro Hussein, sia contro Bush, agli
afghani contro i loro invasori, ai palestinesi dentro e fuori di Israele contro lo sionismo duro e ai
sauditi molto meglio della violenza dell’11/9 (una esecuzione extra-giudiziaria di due edifici per i
peccati degli USA contro Allah?).
Ripetiamo che Gandhi usava questi cinque punti nel trattare costruttivamente i conflitti:
Punto 1: Non temere mai il dialogo
Punto 2: Non temere mai il conflitto: è un’opportunità piuttosto che un pericolo
Punto 3: Impara la storia, o sarai destinato a ripeterla (Edmund Burke)
Punto 4: Immagina il futuro, o non ci arriverai mai
Punto 5: Mentre combatti contro l’occupazione, pulisci anche casa tua!
Come disse questa mattina Sonia Gandhi nella suo appello conclusivo della prima
Giornata Internazionale della Nonviolenza, “abbracciamo la nonviolenza e diventiamo veramente
umani”.
Grazie all’India per aver inserito Gandhi e la sua nonviolenza nell’agenda politica!
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato unanimemente, il 15 giugno 2007,
una risoluzione che stabilisce di celebrare annualmente il compleanno del Mahatma Gandhi, il 2
ottobre, come Giornata Internazionale della Nonviolenza. La risoluzione fu proposta dall’India e
sostenuta da 142 paesi. Tra coloro che non la sostengono figurano gli USA e la Norvegia.
Il 2 ottobre 2007 si tenne un incontro informale dell’Assemblea Generale Plenaria delle NU.
Tra i relatori erano presenti il Segretario Generale delle NU Ban Ki Moon e Sonia Gandhi, che
espresse la sua gratitudine ai sostenitori della risoluzione. Seguì una Tavola Rotonda nella
Conference Room 5 dell’edificio delle NU, cui parteciparono Ahmed Kathrada, Amartya Sen, Ela
Gandhi, Gene Sharp, Jesse Jackson Sr., Johan Galtung, John Nash e Lia Diskin.