Trentamila firme per ripristinare la convenzione fra Asp e Ant

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Trentamila firme per ripristinare la convenzione fra Asp e Ant
17/12/2016
Pag. 44 Ed. Basilicata
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tiratura:31059
Trentamila firme per ripristinare la convenzione fra Asp e Ant
Consegnate ieri mattina al presidente della Giunta regionale Pittella
ALESSANDRO BOCCIA
l Trentamila firme per chiedere alla Regione Basilicata di ripristinare la convenzione dell'As sociazione
nazionale tumori Italia onlus, con l'Azienda Sanitaria del Potentino. La consegna dei faldoni con i nomi di
quanti hanno voluto sostenere la causa dell'Ant ai vertici regionali è avvenuta ieri mattina nel capoluogo,
nella sala Verrastro della Regione, nel corso di un incontro al quale ha preso parte una quarantina di
delegati dell'associazione, assieme alla presidente nazionale, Raffaella Pannuti. La convenzione con
l'azienda sanitaria, che consentiva ai membri dell'associazione senza scopo di lucro di curare a domicilio i
malati di tumore di Potenza e della Val D'Agri, è stata sospesa lo scorso aprile dopo l'assegnazione alla
cooperativa Auxilium, tramite un bando, di tutti di tutti i servizi di assistenza domiciliare sanitaria, comprese
le stesse cure palliative. Una situazione che ha sconcertato familiari e pazienti assistiti dall'Ant operante sul
territorio dal 2002. Disponibilità a trovare una soluzione è stata espressa dal governatore Marcello Pittella
che ha ricevuto i rappresentanti della onlus assieme all'assessore alla politiche per la persona, Flavia
Franconi, il capo di gabinetto della Presidenza Gerardo Travaglio, i direttori generali dell' Asp, Giovanni
Bochicchio, e dell'ospedale San Carlo, Rocco Maglietta, accompagnati dal direttore amministrativo
dell'Azienda sanitaria del Potentino Maurizio De Fino, e dai dirigenti medici Ricciuti, Bilancia e Corona.
«Siamo determinati- ha detto il presidente Pittella - ad approfondire le delicate questioni giuridiche che sono
emerse in questi mesi, individuando una soluzione che, all'insegna della massima trasparenza e
correttezza amministrativa, possa superare i problemi innescati dal mancato rinnovo, non per nostra
volontà, della convenzione con Ant. Certamente non siamo ancora giunti alla conclusione di questo
complicato percorso, ma per il momento abbiamo quanto meno allargato la cruna dell'ago». Apprezzamenti
per la sensibilità e disponibilità dimostrata, sono stati espressi dalla presidente dell'a s s o c i a z i o n e.
«Ringrazio il presidente Pittella e il direttore generale dell' Asp - ha evidenziato la Pannuti - siamo certi che
insieme potremo trovare le giuste soluzioni per proseguire il percorso ultradecennale di Ant in Basilicata».
Intanto per lunedì i vertici della Regione e quelli dell'Ant, che continua nella propria attività di assistenza
specialistica ai malati di tumore a Potenza e Villa D'Agri a titolo completamente gratuito, potendo contare
solo su risorse proprie, torneranno ad incontrarsi.
Foto: SANITÀ La consegna delle trentamila firme in favore dell'Ant al presidente Pi t t e l l a
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 19/12/2016
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POTENZA ERA STATA SOSPESA LO SCORSO APRILE DOPO CHE LA COOPERATIVA AUXILIUM
AVEVA VINTO IL BANDO PER L'ASSISTENZA
17/12/2016
Pag. 49 Ed. Treviso
diffusione:56481
tiratura:76115
Un centro per dire addio al dolore
Un punto di riferimento per alleviare le sofferenze. Al Ca' Foncello nasce il nuovo centro per la cura del
dolore. L'Usl di Treviso ha investito oltre 350mila euro per trasformare la Terapia antalgica in un vero e
proprio polo specializzato che servirà mezzo Veneto (l'altro è a Verona). La struttura diretta da Marzio
Bevilacqua sarà in grado di rispondere alle necessità non solo dei pazienti trevigiani, ma anche di quelli
provenienti dalle province di Venezia, Padova e Belluno. Ormai è tutto pronto. «Verrà inaugurata a
gennaio», annuncia il direttore generale Francesco Benazzi. L'unità operativa è stata rivista da cima a
fondo. Gli spazi riorganizzati e ampliati. In particolare è stata ricavata un'area ambulatoriale centralizzata
che rappresenta il cuore pulsante del nuovo polo interprovinciale della Terapia del dolore. Qui verranno
curate tutte le forme di dolore cronico. Ad esempio quelle derivanti da cefalee ed emicranie, così come da
lombalgie e nevralgie. Quadri clinici nei quali il dolore avendo superato una certa soglia non funziona più
come campanello d'allarme per altre patologie, ma diventa a sua volta una malattia da curare in modo
adeguato. Il nuovo centro prenderà in carico i pazienti con percorsi assistenziali personalizzati. Si parte
dalla visita per individuare i meccanismi che provocano il dolore e si arriva alla diagnosi algologica. In caso
di necessità vengono avviate terapie farmacologiche o infiltrative. L'ambulatorio si occupa inoltre dei
cateteri venosi per terapie mediche, oncologiche ed ematologiche. L'accesso ai percorsi di cura avviene
attraverso impegnativa del medico di famiglia o di uno specialista. Le visite urgenti vengono erogate nel
giro di 24 ore. I lavori per l'avvio del nuovo centro di Terapia antalgica si aggiungono a quelli conclusi a
giugno per l'ampliamento del day hospital di Ematologia, che da tempo era considerato troppo stretto
rispetto al numero di pazienti assistiti.
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SANITÀ Sarà il secondo nel Veneto e Benazzi assicura: «Diventerà operativo da gennaio»
18/12/2016
Pag. 1 Ed. Torino
diffusione:239605
tiratura:340745
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IL CASO
Presto la cannabis per uso terapeutico sarà disponibile in tutte le
farmacie
La Regione dà il via alla distribuzione
FEDERICA CRAVERO
CRAVERO A PAGINA IX L'ANNUNCIO è stato dato dall'assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta:
«La cannabis per uso medico sarà distribuita nelle farmacie di tutto il Piemonte e non solo in ospedale,
come avviene da febbraio. Noi ci siamo sempre mossi con prudenza, ma è arrivato il momento di allargare
la vendita». E il luogo scelto per divulgare la notizia è stato, non a caso, il convegno che l'Ordine dei
farmacisti di Torino ha organizzato ieri in via Galliari su «aspetti farmacologici, clinici, normativi e di
distribuzione» della cannabis terapeutica. Perché sono loro, i camici bianchi, che consegneranno ai malati a fronte di una specifica ricetta non ripetibile - la cartina di granuli ottenuti dalla macinazione delle
infiorescenze della cannabis e a dare le istruzioni per preparare correttamente il decotto. Perché è di
questo che si parla: non blister di pastiglie con un principio attivo standardizzato, ma preparazioni galeniche
che si baseranno sulla Fm2, la cannabis prodotta nello stabilimento farmaceutico militare di Firenze, dove
sono coltivate piante selezionate e viene estratto un prodotto appena entrato in distribuzione, «che andrà
ad affiancarsi e via via a sostituire analoghiprodotti importati finora dall'Olanda», come ha spiegato la
dirigente del ministero della Salute, Germana Apuzzo.
E il pubblico in sala si preoccupava di posologia, decadenza del prodotto, interazioni con altri farmaci
assunti dai pazienti, ma anche codici, prezzi, rimborsi... Tecnicamente, infatti, la cannabis è un
fitocomplesso come molti altri, ma nei fatti rappresenta una delle cure più controverse, ben più degli
oppiacei. E per quanto l'argomento sia stato il più delle volte inquinato da inopportuni parallelismi con gli
spinelli e gli aspetti ludici o di dipendenza legati a questa sostanza, in realtà ci sono aspetti da non
trascurare legati al fatto che la sostanza da cui si estrae la Fm2 è illegale. Cosa che porta con sé molti
interrogativi: dalla necessità di avere con sé una copia della ricetta per non incorrere in qualche sanzione
amministrativa in caso di un controllo delle forze dell'ordine, alla perplessità di qualche farmacista a
consegnare il prodotto a chi ha un passato di dipendenza.
«In ogni caso - spiega Mario Giaccone, presidente dei farmacisti torinesi - siamo soddisfatti degli sforzi
della Regione Piemonte, che sta lavorando per azzerare le disparità territoriali, rendendo il farmaco più
accessibile anche nei piccoli Comuni e migliorando così la qualità di vita dei pazienti in cura con la
cannabis». Per quanto, spiegano gli esperti, più che il rischio di un sovradosaggio vi sia la possibilità che si
assumano dosi di cannabis troppo basse per risultare efficaci, le perplessità sulla somministrazione di
questa preparazione riguardano anche i medici: per tutti ha parlato Guido Giustetto, medico di base e
presidente dell'Ordine: «Circolano le notizie più disparate su questo argomento - afferma - ed è anche per
questo che i medici sono a volte timidi nell'adottare questo tipo di prescrizioni». Anche perché la letteratura
scientifica è ancora scarsa e, se per alcune patologie gli effetti benefici sono più evidenti, in altri casi c'è il
rischio che i pazienti si illudano di effetti miracolosi che poi non si verificano: «Ed è per questo che il nostro
impegno coinvolge anche l'università, perché si approfondisca anche lo studio di questa materia», conclude
Saitta.
SAITTA
"Pur con prudenza crediamo sia l'ora di allargare la vendita"
GIACCONE
"Bene gli sforzi per distribuire i prodotti anche nei paesi"
News e aggiornamenti sul sito torino.repubblica.it PER SAPERNE DI PIÙ
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Pag. 1 Ed. Torino
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Foto: ALL'ISTITUTO FARMACEUTICO L'unico sito in Italia autorizzato a produrre marjiuana di Stato è
l'istituto farmaceutico militare di Firenze
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 19/12/2016
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Pag. 4 Ed. Napoli
<p>Si manifesta a seguito di una lesione o alterazione del sistema nervoso centrale e periferico </p>
<p>Un esempio classico è rappresentato dall'herpes Zoster che viene curato con farmaci antivirali </p>
Sofia Gorgoni
n mal di denti, un herpes o una colica renale sono solo alcune delle patologie, diverse tra loro, che possono
generare un dolore neuropatico. Un tipo di dolore che è la conseguenza di una lesione del sistema nervoso
centrale e periferico, secondo la definizione dello Iasp (Associazione internazionale per lo studio del dolore
). Deriva, quindi, da «un danno del nervo o da una condizione di alterazione della funzione di questo nervo
- spiega la professoressa Caterina Aurilio.
Il dolore può essere di due tipi: acuto o cronico. Il primo: «si manifesta a seguito di una patologia e ha la
funzione di allertare l'individuo (lo spinge ad andare dal medico), quindi garantisce la sopravvivenza».
Uno degli esempi classici, spiega la specialista, è il dolore odontoiatrico, legato a un mal di denti o a
seguito di un intervento chirurgico, «se viene trattato non dura più di 72 ore, infatti un mal di denti
difficilmente lo si riesce a sopportare per più di tre giorni, si va subito dal dentista».
Si tratta, quindi, di un dolore che cautela l'individuo, un naturale campanello d'allarme. Quando si tratta di
un dolore post operatorio: «in Italia - riprende la docente - abbiamo una legge, la 138, nata nel marzo 2010,
che dice che nei reparti ospedalieri il dolore è d'obbligo che venga curato, deve essere registrato in
un'apposita cartella, così come avviene con la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca».
Per quanto riguarda il dolore cronico, invece, può essere di tipo oncologico e non oncologico. In questo
caso, «un esempio classico di dolore cronico neuropatico - spiega Caterina Aurilio - si verifica in presenza
di un herpes Zoster, spesso avviene dopo i cinquant'anni e viene curato con degli antivirali».
«Non è sempre facile curarlo - continua - in quanto può insorgere in zone diverse dalla classica zona
toracica, si può prendere stando vicino a una persona che ha l'herpes o a un bambino con la varicella» ( si
tratta dello stesso tipo e si chiama, infatti, varicella Zoster). Finché non compaiono le caratteristiche tipiche
delle vesciche dell'herpes è difficile capire di cosa si tratta, spiega la specialista, «spesso, quindi, si ritarda
la terapia».
Nel caso di una persona anziana, dopo l'herpes Zoster il dolore può cambiare tipologia: «si può diventare
sensibili allo sfregamento degli abiti o al caldo e al freddo, ci sono tabelle specifiche con degli aggettivi per
caratterizzare e catalogare ogni tipo di dolore».
Il dolore neuropatico deriva sempre da altre patologie che possono essere completamente diverse tra loro.
«Negli anni 90 - racconta Aurilio - quando ho iniziato a interessarmi di terapia del dolore, i primi pazienti che
presentavano una neuropatia, venivano portati in psichiatria. Mi ricordo, ad esempio, di una donna che
veniva da una zona periferica: aveva una neuropatia post erpetica, ma i familiari vedendo la cute sana
credevano che fosse pazza. Aveva, invece, una neuropatia. Il dolore, oltre ai sintomi del paziente, ha una
verifica oggettiva da parte del medico».
Il danno del nervo è legato soprattutto alla mielina che lo ricopre. Anche nel diabete, gli alti livelli di glucosio
possono provocare un danno al nervo, così come nell'Aids.
«Patologie completamente differenti - spiega Aurilio - che possono essere infettive come l'herpes Zoster o
tossiche come nella neuropatia da alcol. Il sintomo dolore diventa esso stesso una patologia, non abbiamo
più la malattia iniziale, ma il dolore cronico diventa un patologia che può persistere per lunghi anni se non
viene curato adeguatamente e può addirittura diventare invalidante.
In tutto il mondo esistono delle scale di misura che classificano il tipo di dolore». Nello specifico, spiega la
docente: «il midollo spinale è il sistema nervoso centrale, quando un nervo funziona male si amplifica il
dolore e subentra la patologia». In questi casi è importante, quindi, curare al più presto un dolore acuto
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Neuropatia , quando il dolore è cronico
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 19/12/2016
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affinché non diventi cronico.
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Combattere i dolori dell'artrosi
I NUMERI L'artrosi sintomatica è una malattia che colpisce il 15 per cento della popolazione adulta
. Federico Mereta
Q uanto pesa l'artrosi! Limita le capacità di muoverci, rende difficile svolgere le normali attività e soprattutto
crea dolore. Ma bisogna sapere che il dolore non è sempre lo stesso: a volte dipende dall'infiammazione, in
particolare nelle fasi iniziali di malattia, poi assume caratteristiche diverse ed è legato al "carico" che si crea
su un'articolazione quando questa ha perso in gran parte la cartilagine protettiva. Affrontare in modo giusto
questa situazione significa non solo combattere al meglio il sintomo ma anche ridurre il rischio che diventi
cronico ed assuma da solo le caratteristiche della malattia. È la raccomandazione degli esperti in occasione
dell'anno europeo contro i dolori articolari, promosso dalla Federazione europea per il trattamento del
dolore. «L'artrosi sintomatica è una malattia che colpisce circa il 15 per cento della popolazione adulta ma,
oltre i 60 anni, si comincia a superare il 25-30 per cento», spiega Leonardo Punzi, direttore cattedra e unità
operativa complessa di Reumatologia dell'Università di Padova. «Le sedi più colpite sono le ginocchia,
l'anca e le mani». Il problema, quindi, è affrontare al meglio il dolore anche e soprattutto in quelle persone
che magari soffrono di altre malattie e assumono una grande quantità di farmaci. Il rischio è che la
situazione si incancrenisca, come ricorda Massimo Allegri, ricercatore all'Università di Parma. «Il dolore
svolge il ruolo fondamentale di segnale d'allarme per il nostro organismo. Se però il messaggio continua nel
tempo, il sistema nervoso va incontro ad alterazioni tali per cui si instaura un meccanismo di
cronicizzazione in base al quale l'impulso doloroso è avvertito indipendentemente o con intensità
aumentata rispetto allo stimolo iniziale. Quindi, non solo aumenta l'intensità del segnale, ma questo può
essere inviato anche in assenza dello stimolo che lo aveva innescato». Come si può controllare il dolore?
L'importante è non scegliere a caso ma avere una logica. A livello periferico si agisce con gli
antinfiammatori non steroidei, se c'è un'infiammazione, e a livello centrale con il paracetamolo, gli oppioidi e
gli adiuvanti. «Per quanto riguarda l'artrosi, purtroppo non c'è cura che possa arrestarne la progressione e
quindi si ricorre ai farmaci sintomatici», precisa Punzi. «Il primo analgesico di riferimento per efficacia e
tollerabilità, in base anche alle indicazioni fornite dalle Linee Guida Eular, è il paracetamolo. Se il paziente
non risponde a questa terapia, si passa ai FANS che però non sempre si possono prescrivere. Bisogna
tener conto, infatti, che il 15 per cento degli anziani assume anticoagulanti. Somministrare un
antinfiammatorio a questi soggetti fragili significherebbe aumentare il rischio di sanguinamento, per cui è
preferibile passare agli oppioidi deboli, come la codeina, che possono essere utilizzati in associazione al
paracetamolo a dosi più basse». Quello degli anziani fragili è un problema che la medicina generale si trova
di frequente a dover gestire. «Negli ultimi dieci anni», puntualizza Pierangelo Lora Aprile, responsabile area
dolore e cure palliative della Società Italiane di Medicina generale, «i nostri contatti per paziente/anno sono
passati da 3,7 a 9,6 a causa dell'esplosione di malattie croniche come l'artrosi, il cui trend è in continuo
aumento, con una prevalenza che cresce con l'età e raggiunge il 54 per cento nella fascia 75-84 anni. Il
medico di famiglia deve così trattare un disturbo doloroso in pazienti spesso complessi»RIPRODUZIONE
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 19/12/2016
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ECCO I FARMACI CHE SI POSSONO PRESCRIVERE
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R SALUTE/LETTERE& RUBRICHE Il medico risponde A CURA DI ELVIRA NASELLI
Dermatologia Come contrastare i dolori da herpes?
lettera firmata e-mail A novembre, dopo vicissitudini e sottovalutazioni, mi è stato diagnosticato un Herpes.
La terapia (Lyrica, Versatis cerotto, Nicetile, un integratore) non ha funzionato e per il dolore ho passato
notti infernali. Il cardiologo ha sostituito la terapia con Targin e Tachipirina e ho trovato un po' di sollievo.
Quando uscirò da questo incubo? Dott. Marco Ardigò Dermatologia Clinica, Istituto San Gallicano IRCCS
Roma L'Herpes Zoster, più comunemente chiamato Fuoco di Sant'Antonio, altro non è che la riattivazione
del virus della varicella che si ripresenta a livello cutaneo, anche dopo molti anni, localizzandosi in aree
definite della pelle. Questo avviene perché, come tutti gli altri virus Erpetici, anche quello della VaricellaZoster (questo è il nome preciso del virus) rimane localizzato nei gangli nervosi e si riaffaccia sulla pelle nei
momenti di stress fisico (influenza, altre infezioni, interventi chirurgici, ecc. ) o psicologico. Il virus Zoster
raggiunge la pelle passando attraverso i nervi, dalle strutture nervose dove risiede latente, "danneggiando"
i nervi stessi e determinando la comparsa di una persistente ipersensibilità della pelle fino a bruciore e
dolore. I primi segni clinici dello Zoster possono essere rappresentati dalla presenza del solo dolore che
compare anche da subito ed è seguito nelle ore successive dalla comparsa sulla pelle di rossore e
vescicole che progressivamente aumentano di numero ed evolvono in croste. Un inizio precoce della
terapia con gli antivirali ad uso sistemico permette di ridurre significativamente il rischio della comparsa dei
dolori post-erpetici che possono risultare anche fortemente invalidanti. Nei casi non trattati con l'antivirale
sistemico la guarigione dello Zoster avviene comunque spontaneamente in qualche giorno, ma la
guarigione delle strutture nervose, danneggiate dal passaggio del virus, avviene invece in periodi molto più
lunghi, fino a mesi, a causa della lenta rigenerazione delle fibre nervose.
L'assunzione di integratori vitaminici e antiossidanti aiutano il processo di guarigione nervosa, ma l'intenso
dolore che persiste dopo lo Zoster necessita di terapia analgesica o terapie specifiche prescritte dal
neurologo.
MUNDIPHARMA - Rassegna Stampa 20/12/2016
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20/12/2016
Pag. 58 N.51 - 26 dicembre 2016
diffusione:40000
tiratura:70000
QUEL DOLORE NELLA PARTE BASSA ELLA SCHIENA CHE RENDE
DIFFICOLTOSO PERSINO STARE SEDUTI
La coccigodinia è causata dai traumi, ma anche da vita d'ufficio e obesitàIl medico: «Per la diagnosi serve
una tac e si cura con antinfiammatori»
Francesca Solari
Milano - Dicembre una patologia di cui non si sente spesso parlare, ma può essere molto fastidiosa per chi
ne soffre: si tratta della coccigodinia, cioè un dolore che colpisce il coccige, l'osso situato nell'ultimo tratto
della nostra colonna vertebrale (vedere pagina a fianco). «Ricorda una piramide a rovescio» «Quest'osso
ha la forma di una piramide rovesciata», spiega il dottor Fabio Tresoldi, specialista in Neurochirurgia e
responsabile della unità operativa di Neurochirurgia spinale presso il policlinico San Marco di Zingonia
(Bergamo), Gruppo San Donato. «Si compone esclusivamente di materiale osseo, e la sua punta inferiore
non guarda perfettamente in basso, ma ha un'angolazione più o meno acuta rivolta verso l'alto, come a
formare una sorta di ricciolo. Questa conformazione, che varia da individuo a individuo, ha un suo peso nel
determinare la possibilità che un paziente venga colpito dalla patologia», chiarisce lo specialista. In alcuni
pazienti, poi, il coccige è eccessivamente mobile: ciò dà luogo a una situazione d'infiammazione cronica
che, oltre a provocare dolore, innesca la degenerazione dei tessuti che lo circondano. Quali sono le cause
che portano a sviluppare il dolore al coccige? «Solitamente il dolore compare in seguito a una lesione
traumatica», risponde lo specialista. Il trauma può essere acuto, come nel caso di una caduta sugli sci o sui
pattini, ma può derivare anche da situazioni protratte nel tempo, come succede a chi pratica sport (per
esempio il ciclismo) che comportano la continua sollecitazione del coccige. Sono a maggiore rischio, com'è
facile intuire, i pazienti in sovrappeso, quelli troppo sedentari, che mantengono letteralmente, troppo a
lungo, la stessa posizione, e quelli più anziani, in conseguenza all'invecchiamento delle strutture
cartilaginee che mantengono il coccige nella sua posizione. «È più facile che la coccigodinia colpisca
quando vi sono condizioni anatomiche che rendono il coccige particolarmente vulnerabile, come per
esempio una disposizione molto verticale. In questo caso esso è più esposto alla possibilità che incorrere in
lussazioni che ne colpiscono la punta. Questa tende così a muoversi, provocando un dolore tale da
impedire ai pazienti, in alcuni casi, perfino di sedersi». Sottoporsi alle radiografie Non bisogna dimenticare,
però, che il coccige si trova all'interno del bacino, nella zona detta perineale, e che vi sono dunque ulteriori
situazioni che coinvolgono questa parte del corpo che lo possono mettere a dura prova: «Nelle persone che
soffrono di stipsi cronica, per esempio, le ripetute contrazioni necessarie all'evacuazione possono
provocare il distacco di una piccola parte della punta del coccige», commenta il neurochirurgo. Lo stesso
può accadere, nelle donne, anche in seguito al parto, anche se si tratta di accadimenti estremamente rari.
Per quel che riguarda la diagnosi, la coccigodinia si può identificare tramite una radiografìa o una tac, che
potranno essere prescritte, se necessario, dallo specialista al quale fare riferimento in questo caso, ossia il
neurochirurgo o l'ortopedico. Entrambi sono esami strumentali utili a escludere la presenza di altre
patologie che possano causare il dolore, dai tumori del bacino a eventuali infezioni (che data la regione
possono essere particolarmente frequenti) e alla presenza di cisti o artrite. Solitamente la coccigodinia ha
un'evoluzione positiva, e chi ne soffre finisce con il guarire: è indubbio, però, che questa patologia può
portare un dolore anche molto acuto, che può durare nel tempo e compromettere lo svolgimento delle
normali attività quotidiane, come stare seduti e guidare l'auto. 11 dolore, inoltre, si può estendere alla
schiena, ai glutei, ai fianchi e alle gambe. Come si può intervenire? Il tempo è, di solito, la migliore
medicina: intanto, però, è possibile ricorrere ad alcuni accorgimenti per evitare di sollecitare la parte
dolente. Il bisturi? Solo se il coccige "balla" «Può essere molto utile utilizzare, per sedersi, la ciambella che
solitamente adottano le persone che soffrono di emorroidi, così che la zona del coccige non si schiacci
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/12/2016
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SALUTE Una patologia d'i cui non si sente parlare spesso riguarda un piccoloosso che diventa fonte di
dolore in conseguenza di cadute. Ma purtroppo non solo
20/12/2016
Pag. 58 N.51 - 26 dicembre 2016
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/12/2016
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contro la superficie della sedia», risponde l'esperto. «Anche l'utilizzo di "fans", ossia farmaci antinfiammatori
non steroidei (i comuni antidolorifici che si acquistano in farmacia) può essere utile per placare il dolore. In
casi più severi, si può intervenire anche con infiltrazioni di cortisone associate ad anestetico», spiega il
neurochirurgo. Al bisturi si ricorre solo nei casi di pazienti il cui coccige è molto instabile: «L'intervento
chirurgico consiste nella rimozione della parte fratturata del coccige, o di tutto l'osso; si esegue in anestesia
spinale e porta solitamente a un netto miglioramento della situazione, ma bisogna prestare attenzione a
complicazioni eventuali, e in particolare alla possibilità che si verifichino infezioni», avverte in conclusione il
dottor Tresoldi. o
Foto: d U L I V I U l l v f U U schiena può durare nel tempo e compromettere lo svolgimento delle normali
attività quotidiane, come stare alla scrivania, per chi fa lavori sedentari. Si allevia il dolore sedendosi su una
ciambella.
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Pag. 59 N.51 - 26 dicembre 2016
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Utili le tecniche di "manipolazione"
Coccige è un nome che deriva dal greco kokkyx, che significa cuculo: fu il medico greco Galeno (129-201 d
.C.) noto per avere formulato teorie assai diffuse fino all'epoca rinascimentale, a utilizzare per primo questo
termine a causa della somiglianza della forma di quest'osso con quella del becco del volatile. Ultimo
segmento rudimentale della colonna vertebrale, si compone di un numero eh? varia da 4 a 6 segmenti fusi
tra loro, che appaiono come abbozzi delle vertebre. Il coccige è, a tutti gli effetti, un residuo della coda della
quale erano dotati in epoca antichissima gli antenati dell'uomo. La sua forma è quella di una piramide
rovesciata, con una base superiore, un vertice inferiore, una faccia anteriore, una posteriore e due margini
laterali. La base si articola con l'apice dell'osso sacro. Le facce anteriore e posteriore presentano dei solchi
orizzontali che segnano i punti di fusione dei segmenti primitivi. L'apice terminale del coccige è
leggermente curvato in avanti, in modo che il vertice dell'osso sia orientato verso la parte anteriore del
corpo. A proposito delle terapie che s| possono intraprendere quando questo osso viene colpito da dolore
cronico, è importante ricordare che, oltre a quelle farmacologiche, possono essere di aiuto anche specifiche
tecniche di manipolazione della colonna vertebrale, utilizzate, oltre che in fisioterapia, sia in osteopatia, sia
in chiropratica: discipline alternative che agiscono tramite manipolazioni.
Foto: PRECURSORE Fu il medico Galeno (129201 d.C.) a utilizzare per primo il termine "coccige".
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/12/2016
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ESISTONO MODALITÀ DI CURA ALTERNATIVE Al FARMACI
21/12/2016
Pag. 53
diffusione:43304
tiratura:53954
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DETTANO LEGGE LE CONDIZIONI DEL PAZIENTE
Anestesia, ogni caso va studiato
Conti fino a dieci». È questa la frase che si sente dire una persona quando sta per entrare in sala
operatoria e inizia il percorso dell'anestesia. Quasi mai si arriva fino a quella cifra. Spesso, dopo pochi
secondi, il sonno si impadronisce dell'organismo, le palpebre diventano tremendamente pesanti e ci isola
dal mondo esterno in modo che il bisturi del chirurgo possa svolgere la sua funzione. Il tutto senza che si
provi dolore e, quando necessario, con i muscoli resi morbidi e malleabili dai farmaci derivati del curaro,
che hanno proprio questa funzione. Oggi l'anestesia è una scienza esatta, ma il trattamento va fatto su
misura caso per caso. «Dobbiamo organizzarci e studiare la situazione in base alle condizioni del paziente
e alle sue ansie - spiega Giorgio Della Rocca, Professore Ordinario di Anestesiologia presso l'Università di
Udine - . Ormai si può modellare l'anestesia come fosse un abito disegnato per rispondere ai fabbisogni
specifici del paziente. Ad esempio, se una persona è particolarmente agitata dalla prospettiva
dell'intervento, consigliamo sempre il ricovero la sera precedente per "iniziare" l'anestesia consentendo al
soggetto un riposo davvero rilassante. Poi c'è una maggiore attenzione sulla fase del risveglio, che oggi
viene gestito e monitorato con grande cautela. Inoltre, per ogni paziente viene costruito un protocollo di
analgesia post-operatoria con l'obiettivo di prevenire e curare il dolore che si presenta dopo la chirurgia». A
cosa si deve tanta attenzione? Nonostante una sicurezza sempre maggiore, l'anestesista può trovarsi di
fronte a complicanze legate all'anestesia generale, e non solo ad essa. Questo sono temibili soprattutto per
i pazienti fragili (anziani, bambini, grandi obesi, persone con patologie del sistema cardiocircolatorio o
problemi respiratori). Ed è proprio questa attenzione e la possibilità di monitorare tutto ciò che avviene in
sala operatoria a fare la differenza, soprattutto in questi casi più complessi. «I dati dell'American Society of
Anaesthesiologists dicono che nel 1950, le morti intraoperatorie riconducibili all'anestesia erano 17,9 ogni
10.000 interventi eseguiti - precisa Antonio Corcione, Presidente della Società Italiana di Anestesia
Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva - . Già 25 anni dopo erano scese a 2,2 e nel 1989 a 0,04
sempre ogni 10.000 interventi, vale a dire un caso di morte ogni 250.000 interventi». In genere l'anestesia
generale prevede l'associazione in un cocktail di diversi principi attivi, con lo scopo di non far provare
dolore e di evitare che chi è operato abbia il minimo ricordo di quanto avviene. Si somministra quindi un
farmaco ipnotico, insieme a un medicinale per dominare il dolore. In molti casi si impiega poi un
miorilassante, quasi sempre un derivato del curaro, che invece fa sì che i muscoli si rilascino e quindi il
chirurgo possa operare su tessuti "facili" da trattare. L'obiettivo è evitare la sindrome da curarizzazione
residua, che si verifica quando il corpo non riesce a espellere completamente i miorilassanti assunti con
l'anestesia: può portare difficoltà di respirazione, alterazioni della visione, debolezza e affaticabilità. «Ci
sono farmaci, come neostigmina o sugammadex (questo riesce a catturare ed incapsulare le molecole di
curaro, eliminandole rapidamente) che possono essere di grande aiuto, evitando questa situazione che può
risultare particolarmente temibile soprattutto se i muscoli del torace non consentono un'adeguata
respirazione al termine dell'intervento - conclude Corcione». Poi, con tutta questa assistenza, ci si
risveglia... L'intervento è finito. Federico Mereta RIPRODUZIONE RISERVATA PREANESTESIA Ha
l'obiettivo di tranquillizzare il paziente prima che venga introdotto nel blocco operatorio. In questa fase si
può somministrare anche un analgesico per iniziare a combattere il dolore LE FASI MANTENIMENTO
L'anestesia si mantiene sia attraverso gas che vengano fatti respirare al malato sia con due farmaci in
infusione continua: ipnotico per mantenere l'incoscienza e oppiaceo per garantire l'analgesia. L'anestesia
bilanciata associa vapore anestetico, oppiaceo e miorilassanti 2 INDUZIONE È la fase che associa l'ipnosi
ottenuta attraverso anestetici endovenosi o inalatori, l'analgesia grazie agli oppioidi e il rilassamento dei
muscoli. Si procede all'intubazione endotracheale per la somministrazione dell'ossigeno È la fa È 4
RISVEGLIO Pr Prima si eliminano gli eventuali "resti" di derivati del curaro utilizzati per rendere più "molli" i
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/12/2016
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Pag. 53
diffusione:43304
tiratura:53954
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muscoli, poi si toglie il tubo posizionato all'interno della trachea. Il malato può respirare da solo e quindi
essere risvegliato
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