ROSSI relazione - Regione Molise

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ROSSI relazione - Regione Molise
20 NOVEMBRE 2001
SECONDA GIORNATA REGIONALE PER I DIRITTI DELL'INFANZIA E
DELL'ADOLESCENZA
Palazzo delle Stelline
Corso Magenta, 61 Milano
CONVENZIONE ONU 10 ANNI DOPO
DIRITTI E … ROVESCI
INTERVENTI
Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
Giovanna Rossi
Esperienze di educazione di strada finalizzate alla prevenzione
dell’abuso di sostanze.
Luigi Regoliosi
20 NOVEMBRE 2001
SECONDA GIORNATA REGIONALE PER I DIRITTI DELL'INFANZIA E
DELL'ADOLESCENZA
Palazzo delle Stelline
Corso Magenta, 61 Milano
CONVENZIONE ONU 10 ANNI DOPO
DIRITTI E … ROVESCI
Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
(Bozza provvisoria – non citare senza il permesso dell’autore)
Giovanna Rossi
Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia
Università Cattolica - Milano
1. Come osservare famiglia e adolescenza?.............................................. 2
2. La famiglia è una relazione sociale «rischiosa»..................................... 3
2.1 I modelli di rischio .................................................................... 4
3. La normalità «rischiosa» nella famiglia con adolescenti ....................... 5
4. Quale transizione all’età adulta?............................................................ 6
4.1 Le sfide della transizione .......................................................... 7
4.2 Le risorse della transizione....................................................... 8
4.2.1 Le risorse nell’adolescenza: spunti da una ricerca.........................8
4.2.2 Il ruolo materno e paterno ....................................................................10
5. L’analisi del rischio come strumento di intervento sociale.................. 11
Riferimenti bibliografici ............................................................................ 12
Giovanna Rossi
Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
1
1.
Come osservare famiglia e adolescenza?
La famiglia è una
relazione sociale
refero
relazione tra le
generazioni
relazione
tra i sessi
religo
Per osservare la famiglia è assolutamente indispensabile porre al fuoco dell’attenzione l’intersecarsi dei
legami tra i diversi soggetti che vivono in famiglia e attorno alla famiglia, usare le metafore della
trama, della rete, dell’intreccio. È necessario, in altre parole, assumere una “prospettiva relazionale”
nell’accostarsi a questo, così come ad ogni fenomeno sociale. Tale approccio allo studio della società
consente di valorizzare, anziché depotenziare, la famiglia come centro nevralgico della rete sociale
(ovvero della società vista come insieme interconnesso di relazioni), come punto di partenza strategico
per ricostruire la società civile.
In prima battuta, possiamo subito focalizzare le due relazioni chiave che si attualizzano nella famiglia,
dall’origine della storia: la relazione tra i sessi e la relazione tra le generazioni. Ogni nuova coppia crea
un nuovo legame (un’“alleanza”) tra due “alberi” generazionali, in cui il legame di sangue “obbliga” alla
solidarietà.
L’etimologia della parola “relazione” ci porta a far risaltare un duplice ordine di significati, perché
rimanda non solo al latino re-ligo (“legame tra”), ma anche al re-fero (“riferimento a”):
a) re-ligo, indica il legame in senso stretto tra due o più soggetti, la connessione, la “struttura”,
l’intersoggettività, l’interazione, che può assumere, a sua volta, una duplice connotazione, presentarsi
cioè come vincolo o come risorsa.
b) re-fero, indica che il legame, la connessione, l’interazione, non sono mai nel vuoto e nel presente
assoluto, ma “portano con sé” un quadro di riferimenti simbolici condivisi, una “memoria”, immettono il
legame nella storia, lo riannodano ad altri legami, che lo rendono significativo.
Dunque, nella relazione familiare c’è un aspetto strutturale, ci sono aspettative reciproche che
derivano, appunto, dal legame, c’è uno scambio (non economico) tra i soggetti, ed è ciò che è espresso
dal concetto di religo, ma c’è qualcosa che va oltre: i soggetti portano con sé qualcosa, sono “latori”
(…fero, latum, ferre) di un patrimonio culturale, di cui sono i rappresentanti all’interno del legame: la
coppia è un incontro tra due mondi o, meglio, tra due storie, da cui non si può prescindere; che solo
illusoriamente possono essere ignorate, perché ciascun soggetto, che entra a far parte di una famiglia,
è a propria volta nodo di una trama generazionale.
Per queste sue caratteristiche la relazione familiare appare come il luogo dove l’individuo può
realizzarsi come persona, ossia come essere relazionale, che può essere compreso solo a partire dalle
relazioni in cui è inserito.
Ogni evento che caratterizza l’esistenza di ciascun membro della famiglia va letto nell’ambito delle
relazioni familiari e attraverso di esse: la transizione adolescenziale non può, dunque, essere
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Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
2
pienamente compresa se non come evento critico della famiglia nel suo complesso, intesa come
relazione tra i sessi e le generazioni.
2.
La famiglia è una relazione sociale «rischiosa»
La famiglia come
situazione di rischio
sociale
sfide
risorse
Il concetto di rischio viene ormai frequentemente utilizzato per connotare la società complessa e
globalizzata. Forse è stato il sociologo tedesco Ulrik Beck a chiamare per la prima volta (nel 1986) la
nostra, «società rischiosa»: dopo la pre-modernità (società pre-industriale) e la modernità (società
industriale), si apre la modernità riflessiva (società rischiosa); quest’ultima è sempre una società
industriale, ma dove la radicalizzazione della tecnica coniugata con la scienza ha prodotto il rischio
come orizzonte del vivere quotidiano.
È la fitta trama di sfide, vincoli e risorse che dischiude la natura rischiosa dell’azione sociale. Il rischio,
tuttavia, va utilizzato come categoria neutra, è ciò è possibile, considerandolo come il risultato di una
sorta di somma algebrica tra sfide e risorse. Gli addendi si possono distinguere solo per astrazione,
perché nella realtà spesso si intrecciano e invertono la reciproca posizione.
Rischiare, da questo punto di vista, significa semplicemente combinare risorse e sfide in modo più o
meno sensato (equilibrato) e la scelta è un processo di selezione tra le sfide possibili e le risorse
disponibili. Il rischio così può assumere un segno positivo o negativo in base al tipo di equilibrio
raggiunto nella combinazione di sfide e risorse.
Il modello di rischio, in parole povere, considera ogni fenomeno come l’esito di un processo in cui si
mettono implicitamente o esplicitamente sui due piatti della bilancia le SFIDE che il contesto pone agli
attori e a cui gli attori scelgono di rispondere e le RISORSE che vengono messe in campo, con maggiore
o minore facilità, per rispondere alle sfide, accettando di correre il rischio che le une non siano
adeguate alle altre. Il rischio è dunque dato dalla relazione di adeguatezza/ inadeguatezza tra sfide e
risorse.
Utilizzare il modello di rischio significa, allora, scomporre i fenomeni sociali, oggetto di studio, in due
ordini di fattori, che fanno capo l’uno al “pacchetto” delle sfide e l’altro a quello delle risorse,
nell’ipotesi che dietro ogni fenomeno ci siano, comunque, le intenzionalità degli attori che combinano
obiettivi da raggiungere e strategie di intervento, in modo più o meno sensato, più o meno equilibrato, in
riferimento al contesto di opzioni e vincoli che delimita l’azione.
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Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
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Leggere le transizioni familiari attraverso la chiave del rischio sociale declinato nelle sue molteplici
sfaccettature permette di “comprendere”, “valutare”, “discernere” di quali vincoli/risorse dispongono le
famiglie e i soggetti per rispondere alle sfide che ogni transizione pone. Anche nelle situazioni già
“degenerate” o “rischiate”, ricorrere al modello di rischio significa leggere i problemi, analizzando da
una parte le scelte che sono state compiute, le sfide che sono state accettate, e, all’altra parte, le
risorse e i vincoli che hanno determinato l’esito negativo dell’azione intrapresa.
2.1
I modelli di rischio
I modelli di rischio
Modello dei
bisogni
Mancanza delle risorse
sufficienti per
soddisfare alcuni
bisogni -sfide
RISCHIO
Modello
delle
transazioni
Inadeguatezza delle
domande (sfide)
rispetto alle capacità
di risposta (risorse)
della famiglia
RISCHIO
Modello
delle
transizioni
Mancanza delle risorse
per adeguarsi ad eventi
critici (sfide) del ciclo
di vita familiare
RISCHIO
Donati, applicando il concetto di rischio alla relazione familiare, ha individuato tre modelli possibili.
Nella realtà i tre modelli si intersecano e l’equilibrio familiare si raggiunge di volta in volta se sono in
equilibrio sfide e risorse di ciascuna delle tre dimensioni considerate: in particolare, nel caso della
famiglia con adolescenti,…
…l’inizio della fase adolescenziale crea un’area di rischio rispetto al processo di transizione all’età
adulta;…
… contemporaneamente, sullo sfondo c’è lo scenario di una transazione rischiosa tra le generazioni nella
società (la disequità generazionale);…
… a questo si può aggiungere un rischio legato all’area dei bisogni che erode alla base le risorse per la
transizione.
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3.
La normalità «rischiosa» nella famiglia con adolescenti
Esiste un rischio della
normalità
Rischio delle
transazioni
tra famiglia e
società
“dis
equ
GIOVANI
ità”
ADULTI
ANZIANI
Rischio delle
transizioni
tra famiglia e
società
o
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le
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an s raz
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ge
Utilizzare il modello di rischio per leggere la transizione adolescenziale consente di portare alla luce
un’area rischiosa nell’ambito della normalità, che caratterizza la fase adolescenziale in quanto tale, e
non solo nelle situazioni già rischiate, degenerate.
Il rischio che le famiglie con adolescenti corrono appartiene a due livelli:
• Da una parte c’è il rapporto non equo tra le generazioni: con l’idea di disequità generazionale ci si
riferisce alla scarsità degli sforzi che a livello sociale e politico si compiono per favorire l’autonomia
delle generazioni più giovani, mentre la generazione più anziana cumula un vantaggio sempre
maggiore.
A questo contesto sociale di “concorrenza tra le generazioni”, la famiglia risponde trovando un
“modus vivendi” anzi “con-vinvendi” tra le generazioni, dove le disparità riescono a trovare una
compensazione. Ma l’effetto collaterale è il rafforzamento della dipendenza dei figli dai genitori,
che influisce direttamente sulla possibilità di portare a termine la transizione all’età adulta.
• Ecco allora l’altro livello di rischio che vede la transizione protrarsi, determinando quel fenomeno
ormai noto e diffuso del prolungamento della giovinezza, recentemente definito anche come
“annidamento”. La “moratoria” può, se non si perseguono nuove sfide e nuovi equilibri, trasformarsi in
blocco della progettualità, in stallo generazionale: i giovani stentano a diventare una nuova
generazione, ad accollarsi l’onere della transizione, a portare a compimento il “passaggio di
consegne” da una generazione all’altra; rifuggono dal progettare una propria storia familiare,
accontentandosi di continuare ad essere co-protagonisti nella trama della propria famiglia d’origine.
Così, l’adolescenza e la giovinezza, da fasi che sancivano un passaggio più o meno traumatico, a
seconda dell’intensità dei conflitti familiari, si sono a poco a poco trasformate nel periodo in cui si
insabbia il ricambio generazionale.
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4.
Quale transizione all’età adulta?
Transizione all’età adulta
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Transazione
Transazione famiglia-società
famiglia-società
La transizione all’età adulta si configura - sullo sfondo della disequità della transazione tra le
generazioni - come lungo percorso in cui l’adolescente passa, attraverso tante microtransizioni, ad una
giovinezza prolungata che può transitare o meno all’età adulta se la famiglia e la società riescono ad
attuare strategie veramente emancipatorie nei confronti delle generazioni più giovani.
Il rischio effettivo e “normale” è quello di non riuscire a passare dalle microtransizioni alla
macrotransizione. Questa difficoltà evidente del diventare adulti traspare in tutta la produzione
sociologica sui giovani a partire dagli anni ’80: tutte le categorie utilizzate dagli studiosi sono
riconducibili ad un quadro di indebolimento della capacità progettuale e delle appartenenze.
Tipico è il concetto di disincanto, che rimanda l’immagine di un giovane sempre più pragmatico e
secolarizzato, che – ad esempio – considera il lavoro come un pezzo della vita, privo di quello statuto
etico di cui godeva in precedenza e dotato solo di caratteristiche negoziali. Il disincanto esprime la
disponibilità alla superficialità e al rinnovamento continuo e il rifiuto di dare stabilità a qualsiasi
appartenenza (famiglia, gruppo o classe) che non sia la “vita in generale”. Emerge una carenza di
progettualità che determina un’immagine disincantata del futuro e un appiattimento sul presente.
L’idea di reversibilità e della sperimentazione sono altri modi per dire la medesima cosa, accentuando in
questo caso, la dilatazione spazio-temporale delle esperienze giovanili, che ha come corollario la
moltiplicazione delle possibilità di vita e come conseguenza una forte capacità di adattamento e
flessibilità, caratteristiche tipiche della società globalizzata.
Il presente viene costruito in una pluralità di ambiti (famiglia, scuola. associazionismo, percorsi
lavorativi spezzati e intermittenti, reti amicali, leisure sites, ecc.) senza precise coordinate e gerarchie
di fini, che presupporrebbero la definizione di quadri unitari e integrati di valori e di sistemi generali di
riferimento. L’attestarsi del criterio della reversibilità implica la tendenza a “sperimentare”, a
compiere scelte “non per tutta la vita”, che lasciano quindi aperte le porte a un ritorno sui propri passi
con l’obiettivo di realizzare i “sogni” accantonati.
La «moratoria prolungata» dei giovani adulti sicuramente induce a riflettere sulla debolezza della
capacità progettuale, sul rischio di non vedere mai la fine dell’adolescenza, sull’appiattimento sul
presente di una generazione che sembra non voler crescere, e, interpretata alla luce del modello di
rischio, può essere letta come una delle risposte implementate dalla famiglia per fronteggiare le sfide
poste dalla società attuale, basata su un rapporto non equo sulle generazioni.
Giovanna Rossi
Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
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4.1
Le sfide della transizione
Le sfide
Famiglie con Famiglie con
adolescenti
giovani
adulti
risocializzazione
a relazioni tra
adulti
emancipazione
snidamento
Ci sono sfide di livello differente per le famiglie con adolescenti e quelle con giovani adulti:
• Per le prime, il compito di sviluppo è imparare a gestire relazioni tra adulti (tra “quasi” pari), mentre
in precedenza la relazione era di tipo gerarchico
• Per le seconde, costituire il trampolino di lancio per nuove famiglie, autenticamente emancipate e in
grado di camminare con le proprie gambe.
Obiettivo del mio intervento è focalizzare l’attenzione sulle sfide dell’adolescenza. Cerchiamo, dunque,
di comprendere più analiticamente a che cosa vanno incontro le famiglie con adolescenti.
L’adolescenza si presenta come fase di passaggio ad una giovinezza prolungata, caratterizzata dalla
permanenza nella famiglia d’origine. È necessario, allora che genitori e figli si preparino ad una lunga
convivenza, attenuando la conflittualità familiare e puntando ad una buona integrazione.
La socializzazione familiare riveste nuovamente un ruolo primario, finalizzata ad assicurare la
coesistenza “pacifica” sul piano temporale orizzontale di diverse generazioni adulte, risorsa e vincolo
l’una per l’altra.
La transizione adolescenziale coincide non più con l’uscita dalla famiglia, ma con la trasformazione del
rapporto di dipendenza nei confronti dei genitori, caratteristico della fase infantile, in una relazione di
autonomia, contraddistinta da uno stile negoziale delle relazioni tra genitori e figli, all’insegna del
riconoscimento reciproco e della reciproca credibilità: il “compito di sviluppo degli adolescenti”, la
“sfida” della fase adolescenziale, non è più quindi la socializzazione all’età adulta, ma la socializzazione
ad una situazione di giovinezza prolungata, il più delle volte in seno alla famiglia d’origine.
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Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
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4.2
Le risorse della transizione
Le risorse
Famiglie con Famiglie con
adolescenti
giovani
adulti
relazioni familiari
positive
equità
generazionale
Le ricerche dimostrano che nelle famiglie con adolescenti, ciò che discrimina, sul piano delle risorse, è
la qualità delle relazioni familiari: il livello delle aspettative per il futuro e della “voglia” di diventare
adulti dipendono soprattutto dai rapporti che intercorrono tra i genitori.
4.2.1 Le risorse nell’adolescenza: spunti da una ricerca
Nel 1993 il Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica ha realizzato una ricerca
sulle relazioni familiari degli adolescenti, in cui è stato utilizzato il modello di rischio come chiave
interpretativa e ipotesi di lavoro1.
I risultati più significativi riguardano proprio la tipologia delle risorse veramente discriminanti
rispetto alla capacità di elaborare progetti sul futuro, di ipotizzare un percorso verso l’assunzione di
responsabilità adulte.
Sono state utilizzate elaborazioni statistiche complesse per poter circoscrivere l’area delle risorse per
la transizione: le variabili considerate hanno riguardato il rapporto con genitori, nonni, insegnanti, mass
media, la presenza di amicizie e relazioni affettive, la frequenza di gruppi o associazioni, il possesso di
beni materiali, ecc....: tutto ciò che costituisce per l’adolescente un aiuto o un ostacolo, un vantaggio o
uno svantaggio, un bene o un male nel difficile percorso verso l’età adulta.
I risultati dell’elaborazione documentano che le variabili che pesano di più sono quelle relative alle
relazioni intra-familiari e inter-generazionali (Tab. 1): in altre parole, tutto ciò che si può inscrivere nel
concetto di «sequenza generazionale». Lo status socio-economico, così come il possesso di alcuni
status-symbol (moto, personal computer, CD...) compaiono sì in alcuni casi, ma con un significato
marginale rispetto a quello che assumono le relazioni.
1 L’universo di riferimento era rappresentato dagli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori di
Milano, all’interno del quale è stato raggiunto un campione, statisticamente significativo, di 595 adolescenti,
419 madri, 403 padri. A ciascun membro della famiglia è stato somministrato un questionario strutturato con
domande sia di tipo sociologico che psicologico.
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Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
8
Tab. 1 - I raggruppamenti degli adolescenti individuati dalla cluster analysis sulle risorse (Fonte: Carrà, 1995b, p.72).
1ª classe
2ª classe
3ª classe
4ª classe
5ª classe
6ª classe
Denominazione della classe
V.A.
Relazioni ottime
Adolescente senza nonni
Relazioni «a circuito chiuso»
Relazioni critiche
Relazioni pessime
Adolescente con un solo genitore
248
70
189
43
24
21
% su 595
casi
41,7
11,8
31,8
7,2
4,0
3,5
I raggruppamenti configurano un crescendo della «disfunzionalità» delle relazioni (nel senso di un
progressivo peggioramento della comunicazione, della comprensione, della capacità di aiuto, della
soddisfazione, ecc. nei rapporti tra l’adolescente e i genitori), che mostra una «singolare» coincidenza
con l’inasprimento dei giudizi che il figlio esprime sul rapporto tra i genitori (Tab. 2).
Tab. 2 - Giudizio sul rapporto tra i genitori e relazioni intra-familiari (Fonte: Carrà, 1995b, p.73).
1.
2.
3.
4.
5.
relazioni ottime
relazioni più o meno serene
relazioni abbastanza critiche
relazioni critiche
relazioni pessime
ð
ð
ð
ð
ð
genitori: coppia riuscita
genitori: hanno alti e bassi
genitori: hanno alti e bassi
genitori: litigano troppo
genitori: ognuno si fa i fatti propri
È risultato ancora più interessante l’incrocio tra le sfide e le risorse, ovvero tra gli indicatori relativi
alle une e quelli relativi alle altre, dove la centralità della qualità delle relazioni familiari è apparsa in
tutto il suo spessore.
Sono essenzialmente tre i modelli di «transazione» sfide-risorse che l’elaborazione statistica ha
messo in evidenza, sintetizzati nella Tab. 3.
Tab. 3 - Modelli della transazione tra sfide e risorse (Fonte: Carrà, 1995b, p.74).
sfide molto impegnative (valori «forti», norme tradizionali,
aspettative scolastiche e lavorative elevate, famiglia tradizionale)
1.
relazioni familiari ottime
ó
2.
relazioni familiari discrete
ó
quale futuro? (valori «deboli», rigetto delle norme tradizionali,
dilazione di matrimonio e figli)
3.
relazioni familiari critiche
ó
quale futuro? (valori «deboli», rigetto delle norme tradizionali,
dilazione di matrimonio e figli)
A un peggioramento del contesto relazionale familiare fa seguito un indebolimento del quadro etico e
normativo che orienta l’adolescente nel momento della transizione; il gap maggiore, tuttavia, è quello tra
relazioni ottime e discrete, mentre le configurazioni-sfide dell’adolescente con relazioni discrete e
critiche non presentano differenze sensibili.
L’ultimo passo, è stato quello di associare il rischio relazionale al rischio psico-sociale2.
2 “Al fine di rilevare e valutare la condizione di rischio psicosociale per l’adolescente è stato costruito un
indice adottando la tecnica MAUT, Multiattribute Utility Technology (Edward, Newman, 1982). Per la
costruzione dell’indice di rischio sono state utilizzate le seguenti variabili: autostima - misurata mediante una
versione italiana della Self-Esteem Scale di Rosenberg - socializzazione e rendimento scolastico - rilevati
mediante alcuni item costruiti ad hoc.
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Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
9
Tab. 4 - Indice di «rischio psico-sociale» e «rischio sociale» come transazione tra sfide e risorse (Fonte: Carrà, 1995b,
p.75).
1.
rischio psico-sociale basso
ó
sfide molto impegnative e relazioni familiari ottime
2.
rischio psico-sociale medio
ó
relazioni mediocri e sfide di medio livello
3.
rischio psico-sociale alto
ó
quadro relazionale negativo sia in famiglia che tra i pari;
sfide assenti
La
Tab. 4 documenta che l’innalzamento del livello di rischio si accompagna, oltre che a un
peggioramento del mondo delle relazioni adolescenziali, anche a un appannamento delle sfide che fanno
da sfondo e da orizzonte per la transizione, sfide che, significativamente, neppure affiorano nella
classe relativa all’indice di rischio psico-sociale più elevato, occupata integralmente da variabili
relazionali.
Le relazioni familiari sono, dunque, risorsa primaria per affrontare la transizione all’età adulta, per
affrontare un’adolescenza che si presenta sempre più come interminabile, sempre più come sfida che
pare poter essere affrontata solo grazie ad una preparazione entro la famiglia. È quindi evidente il
gravoso compito della famiglia e soprattutto dei genitori.
4.2.2 Il ruolo materno e paterno
Nell’ambito di questa ricerca, va segnalato che è emerso con particolare problematicità il ruolo della
madre che, presumibilmente, in questa fase della sua vita deve anche far fronte alla cura dei genitori
anziani. Si può parlare a questo proposito di sbilanciamento relazionale a carico della madre nella
famiglia attuale. Così la donna sembra quasi soccombere sotto il peso della responsabilità e perdere
capacità discriminatoria rispetto alla realtà che sta vivendo: è molto attiva nel progettare il futuro dei
figli, ma fatica a riconoscere ed accettare le loro difficoltà.
A questo gioco sembra sfuggire il padre che conquista una notevole rivalutazione del proprio ruolo
genitoriale. Egli, grazie forse alla sua ‘distanza’ dal carico educativo quotidiano, riesce a guadagnare un
punto di osservazione strategico, uno spazio ‘pensante’ nel quale può comportarsi come buon giudice
della situazione ed entrare in sintonia con il figlio adolescente. Proprio i benefici che scaturiscono da
una adeguata e corretta lettura della realtà fanno del padre un protagonista della transizione familiare
ed un ‘bersaglio’ irrinunciabile dei progetti di intervento e prevenzione.
L’analisi della varianza condotta al fine di verificare differenze tra maschi e femmine sui punteggi medi
sull’indice di rischio non ha mostrato risultati significativi. Sulla scorta di questo risultato le elaborazioni
successive sono state condotte sul campione globale e non su campioni distinti in base al gender.
I punteggi dell’indice di rischio sono stati successivamente divisi in tre classi - alto, medio e basso utilizzando come criterio lo scostamento dalla media di +/- 1σ” (Marta, 1995, p. 106).
Giovanna Rossi
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10
5.
L’analisi del rischio come strumento di intervento sociale
Dalla situazione
“rischiosa” a quella
“rischiata”
de
sfi
rrssee
o
o
rriiss
Il modello sfide-risorse è un valido congegno metodologico per combinare gli indicatori della ricerca
sociologica (e psicologica) in modo tale che essi possano ‘dire qualcosa’ su fenomeni rispetto ai quali le
categorie tradizionali non riescono più a fare alcuna luce.
Processi in costante evoluzione (o involuzione) come alcune transizioni ‘difficili’, tra cui quella
adolescenziale, trovano un valido schema di lettura se interpretati come situazioni di rischio, in cui si
intrecciano in modo più o meno adeguato aspettative/ compiti di sviluppo/sfide e
vincoli/contesti/relazioni/beni... risorse.
Si tratta in un certo senso di applicare a tutta la ricerca sociale e psicologica lo stile tipico della
‘ricerca valutativa’ in campo politico-sociale, o delle ‘valutazioni di impatto ambientale’ in campo
tecnoclogico o della risk
‘
analysis’ in campo economico, che è sostanzialmente uno stile ‘relazionale’,
perché vengono presi in considerazione tutti gli elementi del contesto di un'azione, orizzontali e
verticali, proprio come oggi richiede di essere valutato il soggetto sociale famiglia.
A questo proposito, in sede di conclusioni vorrei fare un breve accenno ad un altro fenomeno portato
alla luce dall’indagine del Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia: c’è una fascia di famiglie con
adolescenti sulla quale si deve e si può intervenire: quelle che presentano un livello intermedio di rischio
psico-sociale. Si deve perché, pur essendo le più ‘silenziose’, le meno evidenti, esse nascondono, dietro
un’aurea di ‘normalità’, incertezze educative, incertezze di crescita spesso non irrilevanti. Si può,
perché queste famiglie proprio in quanto si collocano sul ‘limitare’ sono, sì, le più vulnerabili, ma anche le
più sensibili, presumibilmente, ad aiuti esterni, ad interventi mirati. Interventi non facili, perché è
sicuramente complesso identificarle, farle venire allo scoperto, aiutarle a trasformare il loro senso di
disagio in risorsa, in strategie di crescita vera e non solo di facciata. Lo strumento più efficace ed
anche più semplice da realizzare è sicuramente quello di giocare la carta che già si è dimostrata
vincente, quella della funzionalità delle relazioni familiari, aiutando ad ampliare la rete, ad inserirsi in un
network relazionale in cui le famiglie possano trovare momenti di confronto, conforto e sostegno,
ambiti di crescita comune.
Giovanna Rossi
Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
11
Riferimenti bibliografici
E. Carrà Mittini, Famiglia e transizione generazionale: dall’adolescenza all’età adulta, in G. Rossi (a cura
di), Lezioni di sociologia della famiglia, Carocci, Roma, pp. 129-166.
E. Carrà – E. Marta (a cura di), Relazioni familiari e adolescenza. Sfide e risorse nella transizione all’età
adulta, F. Angeli, Milano, 1995.
P. Donati, Equità generazionale: un nuovo confronto sulla qualità familiare, in P. Donati (a cura di),
Secondo rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1991, pp. 31-108.
G. Rossi – E. Carrà, Sfide e risorse nella transizione all’età adulta, in E. Scabini – P. Donati (a cura di),
Tempo e transizioni familiari, “Studi interdisciplinari sulla famiglia”, 13, Vita e Pensiero, Milano,
201-250.
E. Scabini – V. Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, Cortina, Milano, 2000.
Giovanna Rossi
Famiglia e adolescenza tra sfide e risorse
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REGIONE LOMBARDIA
SECONDA GIORNATA REGIONALE PER I DIRITTI DELL’INFANZIA E
DELL’ADOLESCENZA
“Diritti e rovesci degli adolescenti: chi siamo? la situazione in Regione Lombardia”
Esperienze di educazione di strada finalizzate alla prevenzione
dell’abuso di sostanze.
Luigi Regoliosi
Premessa:
Ricordo
il colloquio tra un operatore di strada e un ragazzo attorno alle esperienze che danno
soddisfazione.
L’operatore
parlava della sua passione per la montagna, descrivendo con grande
partecipazione le emozioni e le sensazioni che provava
paragonava
in una scalata,
e il giovane di rimando
queste percezioni all’appagamento che dà il fumo di una canna.
Allora l’operatore
provava a contestare questa affermazione, distinguendo tra le soddisfazioni che uno può procurarsi
da solo, con le proprie forze e il contatto con la natura, da quelle che richiedono l’uso di una
sostanza. Alla fine, però, l’argomentazione che sembrava colpire di più il ragazzo era un’altra:
“Ogni gita in montagna ti lascia qualcosa, mentre alla fine di una canna tutto svanisce, e cosa ti
rimane, niente, nessun ricordo, nessuna emozione: tu ti potrai ricordare della prima canna che hai
fumato, perché per te era una sorta di conquista, ma di tutte le altre che hai fumato che cosa ti
ricordi?"
L’episodio è significativo per almeno due ragioni.
-
Il punto di vista del ragazzo.
Come educatori, siamo abituati ad associare questi comportamenti trasgressivi ad una
condizione di disagio:
riconoscono.
ma è una categoria dell’adulto, nella quale raramente i giovani si
La maggior parte dei ragazzi legano il consumo di sostanze alla ricerca del
piacere, dell’appagamento. Per questo molti interventi di prevenzione rischiano di partire con il
piede sbagliato.
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La strategia dell’educatore.
Non utilizza argomentazioni di carattere giuridico (è illegale, è proibito),
ti danneggia):
si misura con il ragazzo su
un tema che
né sanitario (fa male,
gli è congeniale,
il piacere, la
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soddisfazione che ti lascia dentro un gesto, un comportamento come il fumare e l’andare in
montagna.
Questa è – a mio parere – l’unica strada praticabile per una autentica prevenzione.
Cito un altro esempio, più problematico, tratto sempre dal diario di un operatore di strada.
“Io fumo quando ho dei dispiaceri, se per esempio mia madre dovesse morire, di sicuro non
piangerei, anzi mi farei una canna (o una cala).” Dice il ragazzo.
“Perchè ti faresti una canna?” domanda l’educatore.
“Perché sarebbe l’unica cosa che riuscirei a fare, di fronte al dolore non riesco a piangere, o spacco
tutto ciò che mi sta attorno o mi faccio una canna; quando è morto mio nonno , ero tranquillo al suo
funerale, ero normale, non ho pianto, ma quando mi sono trovato da solo in garage, ho rotto tutto
quello che c’era; ormai non sono più capace di piangere, è per questo che mi faccio le canne”
L’educatore replica che il pianto è una reazione naturale, uno sfogo che consente di scaricare le
emozioni. Ma il ragazzo racconta del difficile rapporto con suo padre, che a seguito di un incidente
“non era più lui”, aveva delle crisi e spesso lo picchiava : “le prime volte piangevo, poi ho smesso,
non potevo ribellarmi contro di lui perché ero un ragazzino, ma tutto il male che mi faceva lo tenevo
dentro di me, e da allora mi arrangio da solo, se ho dei dispiaceri o sono giù di morale, per
riprendermi uso il fumo, ed è per questo che mi prende sempre bene..”
In questo caso il vissuto soggettivo del ragazzo è molto diverso: alla sostanze si lega una forma di
autoterapia,
un rimedio alle tensioni e all’angoscia, che purtroppo sembra prefigurare altre, più
gravi forme di dipendenza (e in effetti si tratta di un soggetto che fa uso di diversi tipi di droghe).
Risulta evidente da questi due racconti come abbia poco senso parlare di sostanze solo a partire
dalla loro composizione chimica,
farmacologici.
distinguerle
tra leggere e pesanti sulla base di criteri
Ciò che conta soprattutto è la risposta soggettiva,
l’investimento emotivo,
la
funzione che la sostanza viene ad assumere nell’equilibrio psichico del ragazzo.
Nel secondo caso le sostanze hanno occupato un posto importante nell’immaginario del soggetto,
nella definizione che egli stesso dà di sé.
In questo caso l’intervento dell’educatore è più arduo,
perché va a toccare dimensioni molto profonde. E’ però significativo come in una chiacchiera da
bar sia riuscito a far emergere un vissuto così intimo.
I consumi e il loro significato.
Le droghe oggi – nell’esperienza dei ragazzi – sono un consumo “possibile”, a portata di mano.
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Il “consumo” é la modalità tipica con cui gli adolescenti impiegano il
“ammazza” il tempo
proprio tempo libero: si
consumando bevande, alimenti, musica, spettacoli, videogiochi...
I grandi
centri commerciali stanno diventando i nuovi poli di aggregazione: ci si incontra nel tempio del
consumo così come una volta ci si incontrava in piazza, nei cortili, negli spazi comunitari.
consumi sono diventati il minimo comune denominatore che unisce e accomuna:
I
il vestiario, le
scarpe firmate come segno di appartenenza a un certo gruppo, il fast food come scelta di un certo
stile di vita, il cd come fedeltà a una certa linea musicale...
Non deve stupire, perciò, che anche nell’ambito dei comportamenti trasgressivi prevalga una
tendenza al consumo. Si trasgredisce consumando: farmaci, alcolici, sostanze psicoattive...
Perché si consuma? Che cos’è il consumo?
Alcune considerazioni attorno alla significato della parola.
Consumare (dal latino consumere) significa letteralmente “logorare, finire a poco a poco con l’uso,
ridurre al nulla, distruggere”
e usato nella forma riflessiva: “deperire, tormentarsi, struggersi..”
(Dizionario Enciclopedico Treccani, 1970).
C’é dunque nell’etimo della parola un significato distruttivo, che evoca anche fantasmi di
autodistruttività.
L’uomo, per vivere, ha bisogno di consumare: altri esseri viventi, per alimentarsi, oggetti e utensili,
per rendere la propria vita più agevole. E’ soltanto a partire dagli anni sessanta che, nei paesi
economicamente più avanzati, con l’avvio della produzione su grande scala e della grande
distribuzione,
incomincia diffondersi
la mentalità di consumare non in funzione della
sopravvivenza o del soddisfacimento di bisogni primari, ma per acquisire beni immateriali:
benessere psichico, prestigio, status, socialità, sex appeal, affettività.... E’ il passaggio dal consumo
alla sua sublimazione, il consumismo. O, in altre parole, dall’uso all’abuso, che significa uso
improprio, o uso smodato di qualcosa per fini diversi dal suo scopo “naturale”. Si può abusare del
cibo (é il caso del bulimico) o di un farmaco, quando lo si utilizza non per ragioni terapeutiche, ma
per ottenere particolari effetti..
Dunque, c’é una precisa linea di continuità - nei comportamenti giovanili “legale” da centro commerciale e il consumismo “proibito” da sostanze.
tra il consumismo
In entrambi i casi
oggetto inanimato viene investito di aspettative e di significati che lo trascendono:
un
appartenenza,
convivialità, socialità, affettività, identità...
E significativo il fatto che nell’uso di sostanze psicoattive la componente autodistruttiva
del
consumo si sveli in modo più evidente: consumando, ci si consuma. Nell’abuso di una sostanza
tossica la ricerca del piacere
o di altri particolari significati si mescola sempre ad una - spesso
inconscia - forma di autolesionismo. Un ‘attacco al corpo’ che ha i suoi omologhi in altri
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comportamenti a rischio giovanili : sport estremi, imprese spericolate, condotte suicidarie e
parasuicidarie...
Nell’ultimo decennio le abitudini di consumo dei giovani si concentrano, più che sull’eroina, sulla
cocaina, sugli alcolici, sulla cannabis e sulle cosiddette droghe sintetiche, principalmente ecstasy e
altri derivati dalle anfetamine.
Marcella Ravenna (1999) riassume così le caratteristiche che rendono attraenti queste sostanze:
- si tratta di sostanze prodotte in laboratorio, che trasmettono una immagine di pulizia;
- che risultano funzionali alle esperienze ricreative attualmente più ricercate dai giovani;
- che soddisfano bisogni diffusi di successo-iperattività-entusiasmo;
- il cui uso é compatibile con uno stile di vita normale, anche perché hanno effetti limitati nel
tempo.
In sintesi, possiamo affermare che chi fa uso di queste sostanze non si considera affatto un
“drogato”, un ribelle o un emarginato, né ritiene che le pasticche di cui fa uso siano sostanze
stupefacenti,
ma tende piuttosto
ad assimilarle a “caramelle” o a farmaci energetici finalizzati a
migliorare le proprie prestazioni psicofisiche.
Numerose ricerche italiane e straniere hanno dimostrato che tramite le droghe (soprattutto alcool,
ecstasy, cocaina, hashish e marijuana) adolescenti e giovani ricercano stati di eccitazione
compatibili con lo svolgersi della vita quotidiana e capaci di rendere più intensi e soddisfacenti i
rapporti con gli altri, più stimolanti ed espressive le attività del tempo libero, favorendo nel
contempo i processi di identificazione con i coetanei e riducendo quella condizione di disagio che si
associa alle difficoltà legate al superamento dei compiti di sviluppo ( Schaadt e Shannon, 1994;
Ravenna e Nicoli, 1991; Palmonari e Ravenna, 1989; Bonino, 1999; Ravenna, 1997 e 1999).
Le principali variabili individuate dai ricercatori riguardano:
• Aspettative di facilitazione sociale (gruppo)
• Aspettative di rafforzamente del Sé e di regolazione delle emozioni
• Ricerca di sensazioni forti e di stati di alterazione
• Bisogno di riduzione dello stato di disagio.
Esperienze di educazione di strada con gruppi informali.
In questa mia comunicazione farò per l’appunto riferimento ad esperienze di educazione di strada
finalizzate alla prevenzione dell’abuso di sostanze (legali e illegali), da me seguite in supervisione
(cfr. Regoliosi L., 2000).
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L’abuso di sostanze é un tratto che accompagna e caratterizza molti comportamenti di gruppo.
Molto diffuso l’uso di alcoolici
(birra,
bianchino..)
e del fumo (marijuana ), cui a volte si
aggiunge l’impiego di pasticche e di cocaina.
Talvolta il consumo di sostanze (specie se illegali) avviene di nascosto, in luoghi appartati, per
diffidenza o per imbarazzo nei confronti degli educatori,
a volte viene esibito come una
provocazione, a volte, addirittura, viene offerto come segno di amicizia e di condivisione. Non é
sempre facile, per gli operatori, reagire in modo adeguato a questi eventi.
Un caso tipico é rappresentato, ad esempio, da situazioni in cui i ragazzi propongono agli educatori
di “farsi una canna” con loro. Nella totalità dei casi, abbiamo incontrato operatori che declinano, in
modo più o meno fermo, l’invito rivolto loro. Le difficoltà, però , iniziano quando si tratta di dare
una motivazione a questo comportamento, soprattutto laddove, più di una volta, gli ODS hanno
accettato di bere una birra in compagnia degli utenti. Perché una birra sì, e uno spinello no?
Soltanto perché il secondo é un consumo illegale? Se l’unica motivazione é questa, l’educatore
rischia di essere accusato di moralismo, o di pavidità. D’altra parte la scelta di aderire all’invito dei
ragazzi espone l’operatore ad altre, più gravi contraddizioni...
possono costituire, però, importanti occasioni
infatti
Si tratta di momenti critici, che
sul versante educativo-preventivo: può accadere
che l’argomento diventi oggetto di una discussione, spesso accanita, dove ODS e ragazzi
mettono in campo le rispettive posizioni ideologiche. Sta all’educatore, allora, fornire ragioni
valide alle proprie scelte, fatte in nome di un di più, e non di una mesta rinuncia al piacere.
I due casi citati in apertura mi sembra siano abbastanza esemplificativi del ruolo che l’operatore
di strada può svolgere in questo campo.
La debolezza dell’ educatore di strada costituisce, sotto certi aspetti, il segreto della sua forza.
Accostandosi al gruppo informale come un adulto disarmato,
privo della corazza del ruolo e delle
armi del giudizio e della sanzione, l’ODS ha molte più probabilità di un educatore tradizionale di
essere accolto e accettato dagli utenti e di poter interagire in modo significativo con loro.
Il gruppo e le sue funzioni.
Un
argomento particolarmente interessante, che può offrire spunti significativi all’operatore, é
rappresentato dal tema del gruppo, la sua identità, le sue scelte.
Una équipe in supervisione
sottolineava che questo tema emerge normalmente quando il gruppo si trova ad affrontare l’impatto
con soggetti diversi (un altra compagnia, nuovi arrivati che portano abitudini, mentalità differenti).
Allora il gruppo deve scegliere se aprirsi o no, se accogliere il diverso, e per farlo deve interrogarsi
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sulla propria identità, su ciò che é irrinunciabile e su ciò che può essere modificato. Nel caso
specifico raccontato in supervisione, un gruppo era stato nel giro di poche settimane invaso da una
banda di ragazzi provenienti da un altro quartiere, molto trasgressivi e accaniti fumatori di
marijuana. I componenti “storici” , che avevano
sempre tollerato il fumo ma senza farne una
bandiera, e che erano abituati ad una pacifica convivenza con la gente del quartiere, manifestavano
disagio e insofferenza per una presenza che in breve tempo aveva modificato l’immagine stessa
della loro piccola comunità. L’arrivo degli estranei li aveva costretti, forse per la prima volta, a
chiedersi: chi siamo? quali regole ci diamo? quali rapporti vogliamo avere con il mondo?
In casi come questi l’intervento degli educatori si può focalizzare sull’obiettivo di :
- Promuovere l’autocoscienza di gruppo, spingendo i suoi membri a interrogarsi circa l’identità
della propria aggregazione, i suoi ‘valori’ e le sue regole (l’uso di sostanze é coerente con la storia
e la natura di questo gruppo? la tolleranza é sempre un valore o rischia a volte di sconfinare nella
debolezza e nella indifferenza? é possibile svolgere una funzione di contenimento senza mettere in
crisi i legami affettivi? a chi tocca stabilire le regole e farle rispettare? )
- Incrementare le capacità di iniziativa del gruppo e dei singoli
(creatività, progettualità,
espressività..) per contrastare il vuoto, la noia, l’abulia che possono favorire l’uso di sostanze.
- Cogliere tutte le occasioni per discutere con i singoli e con il gruppo il significato e le
conseguenze (non tanto sul piano fisico, quanto sul versante della relazione con sé e con gli altri)
legate alla scelta di consumare o non consumare sostanze psicotrope.
- Sostenere i soggetti più deboli fornendo loro ragioni efficaci per resistere alla pressione dei
compagni più trasgressivi.
Alla base di questi interventi c’è l’ipotesi che il gruppo informale sia una risorsa, con la quale è
possibile fare alleanza.
Ogni gruppo nasce – consapevolmente o no – per assolvere a tre funzioni:
-
Offrire protezione, affettività e cura
-
Dare spazio alla espressione e alla sperimentazione dei singoli,
-
Facilitare, mediare il rapporto con la realtà.
Un gruppo è risorsa quando risponde in modo soddisfacente a queste funzioni. Un gruppo troppo
permeabile, o troppo chiuso,
che non consente l’espressione dei singoli
è un gruppo debole,
inadeguato ai bisogni dei suoi membri. L’educatore di strada è chiamato ad allearsi con i punti di
forza del gruppo e a supportare i suoi punti di debolezza.
Formale e informale.
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Un’ultima considerazione riguardo al tema delle regole e della trasgressione.
Sappiamo tutti quanto sia inefficace, nei confronti degli adolescenti,
porsi in atteggiamento
censorio o predicatorio.
La scelta di operare nell’informalità – come dicevamo – nasce proprio dall’intento di abbassare la
soglia, di esprimere vicinanza, rinunciando a posizioni di potere che creano incomunicabilità .
Ma l’educatore di strada - pur operando nell’informalità - non è del tutto privo di “forma”. Anzi,
l’efficacia del suo intervento consiste proprio nella capacità di introdurre elementi “formali” nella
informalità.
Anzitutto presentandosi
come educatore,
il che rimanda al concetto di “ruolo” e di
“mandato” : due aspetti formali di grande impatto provocatorio.
In secondo luogo dando una
struttura al proprio intervento : scegliendo un tempo e uno spazio in cui collocarsi, che diventano
una forma stabile della sua presenza nel gruppo.
Infine dandosi delle regole (tra le quali ad es.
l’astinenza da sostanze): altra provocazione, che non può non suscitare dibattito e confronto.
Portandosi dentro una forma (una struttura, un orientamento dotato di senso), senza imporla,
l’educatore costringe il gruppo a interrogarsi sul senso delle forme (le regole, i ruoli, le strutture). E’
il punto di partenza per una prevenzione non predicatoria, ma incarnata nell’esperienza di un
incontro capace di suscitare stupore.
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