1 Intervento del prof. Vincenzo Russo La giustizia tributaria come

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1 Intervento del prof. Vincenzo Russo La giustizia tributaria come
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Intervento del prof. Vincenzo Russo
La giustizia tributaria come fattore di crescita economica.
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Introduzione
Giustizia sociale e giustizia tributaria
Equità ed efficienza nel le leggi fiscali
L’attuazione delle leggi di imposta e di spesa
La riscossione delle imposte
Il contenzioso tributario
Conclusioni
1. Introduzione
Il tema che mi è stato assegnato è la giustizia tributaria come fattore di crescita economica.
Ricordo a me stesso che c’è un’ampia letteratura a livello mondiale che collega democrazia
e sviluppo. Mi basta citare Amartya Sen.
Cito quindi Rawls: “ Una teoria dell’economia politica deve includere
un’interpretazione del bene pubblico basata su una concezione della giustizia. Essa
deve guidare la riflessione del cittadino quando considera questioni di politica
economica e sociale. Egli deve assumere la prospettiva dell’assemblea costituente o
dello stadio legislativo, e accertarsi del modo in cui sono applicati i principi di giustizia”.
Passando dalla teoria alla pratica, dico che un sistema tributario moderno funziona se in
sostanza è spontaneamente accettato e percepito come equo
Far funzionare un sistema tributario è grossa parte del compito di far funzionare una
democrazia moderna secondo quanto hanno scritto i coniugi Musgrave in un celebrato
manuale adottato in diversi paesi del mondo per una trentina di anni.
Dico subito che se un sistema tributario è costruito ed è gestito bene può funzionare in
modo efficiente ed equo; può creare sviluppo e crescita economica. Al riguardo rifuggo
dall’idea che il fisco comprime la crescita. Cito qui Antonio De Viti De Marco, un grande
economista italiano che operò nella prima parte del secolo XX, che considerava lo Stato,
l’operatore pubblico come fattore della produzione pubblica e privata. Le imposte riducono
i costi di produzione del settore privato – naturalmente se il gettito è utilizzato in maniera
efficiente ed efficace. Quindi occorre guardare anche ai benefici della spesa pubblica1.
Un sistema tributario efficiente deve produrre il gettito strettamente necessario al
finanziamento dei beni e servizi pubblici a tutti i livelli di governo. Deve minimizzare gli
effetti di distorsione o di disincentivo allo svolgimento delle attività produttive.
//////// In una democrazia ben funzionante i beni e servizi pubblici che vengono prodotti
sono quelli desiderati dai cittadini che esprimono le loro preferenze con metodo
democratico. I beni pubblici indivisibili sono finanziati con il gettito delle imposte generali.
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Se all’interno di queste prevalgono le imposte dirette e progressive il sistema dei prelievi ha
contenuti di equità che possono essere ulteriormente rafforzati con la selettività della spesa
pubblica.
Una pubblica amministrazione (ovviamente inclusa quella finanziaria, inclusa la
giurisdizione tributaria) efficiente costa meno. È bene pubblico essa stessa. Perché se costa
lo stretto necessario, se non produce sprechi , libera risorse per aumentare la quantità di
beni e servizi pubblici richiesti o, a parità di livello, di ridurne il costo di produzione. ///////
È compito molto difficile in una moderna società aperta, globalizzata e sottoposta
anche alla concorrenza fiscale attuare la giustizia tributaria.
È evidente quindi che un economista intende la nozione di giustizia tributaria in senso
ampio.
2. La Giustizia sociale e la giustizia tributaria
per individuare il concetto della giustizia sociale seguo ancora Rawls il quale assume:
a) una costituzione giusta che assicura a tutti i diritti di eguale cittadinanza;
b) che “il processo politico è condotto , per quanto lo permettono le circostanze, come
una procedura giusta per scegliere tra vari governi e per emanare una legislazione
giusta”;
c) Che esista un’equa eguaglianza delle opportunità; “ ciò significa che il governo , oltre
a garantire i normali impieghi del capitale sociale, tenta di assicurare eguali opportunità
di istruzione e formazione a persone similmente dotate e motivate”
d) Che “esso (il governo) garantisce e fa rispettare l’eguaglianza di opportunità nelle
attività economiche e nella libera scelta dell’occupazione. Ciò è ottenuto per mezzo
della sorveglianza sulla condotta delle aziende e delle associazioni private, e grazie alla
prevenzione dell’instaurarsi di restrizioni e barriere monopolistiche nei posti più ambiti.
e) Infine, che il governo garantisce un minimo sociale o per mezzo di assegni familiari e
contributi speciali per malattia e disoccupazione, o , in modo più sistematico, grazie a
meccanismi come le indennità per i redditi più bassi”…
Rawls passa quindi all’analisi delle funzioni del bilancio dello Stato (operatore pubblico)
ampliando la classica tripartizione di Musgrave (allocazione, stabilizzazione,
redistribuzione) e introducendo una quarta funzione c.d. dei trasferimenti specializzata
nel prendere in considerazione i bisogni e quindi l’equità distributiva.
Cito anche il prof. Gallo che insite molto su questo punto nelle “Ragioni del fisco”.
La funzione allocativa è specializzata nel superamento dei fallimenti del mercato atteso
che il sistema dei prezzi di mercato non misura correttamente i benefici e i costi sociali e
quella di stabilizzazione – nel modello di Rawls - è mirata a perseguire “una situazione
ragionevole di pieno impiego, nel senso che coloro che vogliono un lavoro possono
trovarlo, e che la libera scelta dell’occupazione e gli investimenti sono garantiti da una
forte domanda effettiva”.
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Queste considerazioni di Rawls dovrebbero farci riflettere sul PSC a livello europeo.
È un modello teorico a cui tendere e non sempre condiviso. Ci sono complesse questioni di
teoria della giustizia, di “constitutional political economy “ e, in pratica, di giudizio
politico, ossia, di valutazione di singole esperienze storiche e sociali.
In questo quadro, la giustizia tributaria è parte significativa della giustizia economica e
questa è grossa parte della giustizia sociale e della giustizia tout court .
Ovviamente c’è un legame diretto tra giustizia sociale e giustizia tributaria ma esso va
visto nella dovuta proporzione. Se in un paese non c’è giustizia sociale, se le leggi
fiscali non sono ispirate all’obiettivo di promuovere la giustizia fiscale, è difficile
pensare che la giustizia tributaria in senso stretto possa dare un contributo decisivo
alla giustizia sociale. Non è un ragionamento circolare.
Stiamo uscendo da una lunga fase storica in cui il paradigma dominante è stato quello
di ridurre le tasse senza se e senza ma, mentre un discorso più pacato e serio avrebbe
dovuto puntare alla perequazione.
Viviamo nella società della complessità dove le transazioni, economiche, commerciali,
finanziarie si contano a decine di migliaia e questo complica enormemente il compito
del legislatore fiscale, dell’amministrazione finanziaria, della giustizia tributaria.
Lo complica la concorrenza discendente dalla globalizzazione dei mercati che costringe
ad adottare leggi di imposta più favorevoli al capitale mobile che al lavoro fisso.
3. La giustizia tributaria passa innanzitutto attraverso la legislazione.
I mercati premono sulle leggi di imposta e rendono più difficile l’attuazione degli artt. 3 e
53 Cost. Gli sviluppi della globalizzazione e dell’innovazione finanziaria, della ICT hanno
condizionato la legislazione fiscale degli ultimi 30-40 anni.
Mi limito a dire che dal modello di imposta personale e progressiva a base imponibile
tendenzialmente onnicomprensiva siamo scivolati via via verso (la c.d. cedolarizzazione
dell’imposta, ossia,) la tassazione sostitutiva e separata ad aliquota proporzionale delle
diverse categorie di reddito. È ovvio che questo cambiamento confligge con il principio
della capacità contributiva e della progressività di cui all’art. 53 Cost.
La tassazione personale progressiva diretta su base individuale si applica
prevalentemente al solo lavoro dipendente, specie se verrà approvata la proposta del
governo sull’IRI (imposta sul reddito imprenditoriale). E tuttavia ci sono dei fondamenti
etici, degli standard minimi di equità che non possono non essere rispettati senza violare
apertamente i giusti principi della tassazione. Rinvio di nuovo alle analisi del prof. Gallo.
Ci sono quindi fattori esterni e fattori interni che incidono sulla legislazione tributaria.
Dai primi anni ’70 – gli anni della I grossa riforma tributaria – a oggi grossa parte della
legislazione tributaria è stata dettata da situazioni di emergenza e di risanamento dei
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conti pubblici – peraltro mai consolidati e resi sostenibili. Questo ha inciso molto sulla
qualità della legislazione al di là dei valori e delle preferenze delle maggioranze politiche
che la promuoveva.
Su detta qualità ha inciso ed incide la conflittualità politica esasperata del nostro Paese
per cui i ministri che si alternano al governo, magari della stessa coalizione, considerano
sbagliata la legislazione promossa dal predecessore e la riscrivono ex novo.
Ha inciso e continua a incidere la legislazione casistica chiesta e data dal Parlamento in un
contesto in cui il Parlamento non si fida dell’amministrazione, il governo non si fida degli
organi della giurisdizione e viceversa . Tutti chiedono norme precise e circonstanziate ma la
legislazione resta in affanno e non riesce mai a raggiungere una realtà in continua
evoluzione.
Le prime osservazioni critiche sulla qualità della legislazione – non di rado ispirata a principi
contraddittori – sono a mia memoria del Governatore della Bd’I Carli nelle sue
Considerazioni finali dei primi anni ’70 e quelle più specifiche del prof. Antonio Pedone
sulla legislazione tributaria degli anni ’70.
Queste circostanze hanno prodotto una legislazione alluvionale e sussultoria che rende
molto difficile il lavoro sia dell’amministrazione finanziaria sia quello del giudice tributario.
Spesso è stata sollecitata una tregua legislativa ma gli inviti sono caduti nel vuoto2.
Se uno fa l’analisi delle leggi finanziarie degli ultimi 20 anni, si accorge subito che in ognuna
di esse si modificano decine e decine di norme riguardanti gli istituti sostanziali e quelle
procedurali dell’accertamento. Norme che per lo più rimangono sconosciute e inattuate.
Se si considerano i continui condoni e le continue violazioni dello Statuto del
contribuente, il quadro è quasi completo. Le regole non sono rispettate dallo stesso
legislatore, figuriamoci dagli evasori.
In un recente convegno (25-26 maggio) dell’ AIPDT è stata fatta un’analisi storica delle
grandi riforme ed è stato autorevolmente affermato che il fisco è astruso per gli stessi
esperti. “l’unica certezza è che non c’è certezza del diritto” ha detto il prof. Basilavecchia.
Equità ed efficienza vanno cercate in questo groviglio di legislazione – fermo restando che
se uno accetta la teoria rawlsiana della giustizia come equità, l’efficienza viene dopo
l’equità o comunque deve essere bilanciata con l’equità.
L’equità nella legislazione si attua con l’applicazione rigorosa del principio di capacità
contributiva di cui all’art. 53 Cost. dal lato dei prelievi, le esenzioni e la coniugazione con
schemi di trasferimenti perequativi, di imposta negativa e/o di reddito minimo garantito,
ecc.
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Ricordo che sia le deleghe fiscali degli anni ’90 sia quella degli anni ’00 non sono state
attuate.
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Dal modello adottato nella riforma degli anni ’70, che prevedeva la tassazione del reddito
entrata per le persone fisiche e quello prodotto netto per le imprese e il lavoro autonomo,
ci si è subito allontanati legiferando schemi di tassazione forfettaria per le PMI e i
lavoratori autonomi nell’assunto che l’inefficienza dell’AF non rendesse possibile
controllare l’enorme numero di contribuenti emerso dopo la riforma. Se le basi imponibili
assunte sono diverse, è difficile attuare l’uniformità e generalità di trattamento.
Già nel 1979, il prof. Pedone constatava la sostanziale suddivisione dei contribuenti
italiani tra evasori e tartassati – titolo di un libro sempre attuale e interessante.
Ritorno al mio tema principale. L’efficienza nella legislazione tributaria passa:
a) attraverso il processo di riallocazione delle risorse per superare i c.d. fallimenti del
mercato;
b) attraverso un’attenta opera di minimizzazione delle distorsioni (effetti di inefficienza
sullo sforzo di lavoro e sugli incentivi al risparmio) che quasi tutte le imposte portano con
se;
c) attraverso la previsione di agevolazioni, esenzioni, detrazioni, tax expenditure che
tengano conto di situazioni particolari, di esigenze extratributarie, ecc..;
d) la flessibilità del sistema.
Non mi addentro nella illustrazione delle proposizioni di cui alle lettere a), b), e c).
Sulla lettera d) mi limito a dire che il sistema tributario non serve solo ad assicurare un
regolare flusso di entrate necessarie a finanziarie le funzioni fondamentali dell’operatore
pubblico. Serve anche per la funzione di stabilizzazione come individuata sopra da Rawls
(ragionevole pieno impiego, possibilità di scegliere un lavoro, livello adeguato degli
investimenti garantiti da forte domanda effettiva).
Sotto questo punto di vista il sistema tributario italiano è stato sempre sotto stress perché
in 150 anni di storia , come noto, solo una volta nel lontano 1875 il bilancio dello Stato
sfiorò il pareggio. Nessun governo di destra o di sinistra è mai riuscito a spingere
l’economia verso il pieno impiego – neanche durante il c.d. miracolo economico.
4.
I problemi dell’accertamento delle imposte.
Senza code e senza controlli non c’è democrazia.
Le leggi di imposta vanno applicate e, quindi, passiamo ai problemi dell’accertamento.
Il sistema è quello della denuncia verificata. Esso presuppone fiducia e cooperazione.
Presuppone un’AF in grado di svolgere un pacchetto efficiente ed efficace di controlli. Non
è il nostro caso. Ci sono diversi metodi di accertamento ed essi sono rilevanti ai fini
dell’equità e dell’efficienza
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/////// C’è il metodo principale dell’accertamento analitico su base documentale mirato a
definire il reddito effettivo e gli altri metodi forfettari più o meno sofisticati.
Il primo è quello legiferato dalla grande riforma degli anni ’70 e subito abbandonato.
Il primo metodo è rimasto per i redditi di lavoro dipendente e accerta una base imponibile
ampia, quasi onnicomprensiva.////////
Per il reddito delle PMI e di lavoro autonomo ormai da 30 anni si sono applicati prima gli
IPR, e poi gli SdS, ossia, la tecnica di ricavi stimati.
Secondo esperti del settore gli SdS sottostimano i ricavi. I livelli dei ricavi sono negoziati dal
MEF a livello centrale con i rappresentanti delle categorie interessate. Una vera anomalia
italiana3.
Un’analisi di qualche anno fa condotta dal prof. Convenevole dell’Ufficio Studi dell’AdE ha
dimostrato che su un arco temporale di diversi anni i ricavi stimati mostravano un
andamento crescente mentre i redditi imponibili decrescevano.
Questo si spiega con il fatto che le regole di determinazione del reddito non sono state
cambiate. Acquisti regolarmente fatturati non sono detratti per non violare i criteri di
coerenza e congruità degli SdS 4.
Il sistema dei controlli non è efficiente. Non svolge un numero adeguato di accertamenti
approfonditi.
Quelli cosiddetti parziali che sono la stragrande maggioranza si esercitano nella
logica del "pizzicato" (Russo 1994: 8369) per cui recuperano qualche elemento di
materia imponibile ma, di per sé, non sono strumenti efficaci né di prevenzione né
di repressione dei fenomeni evasivi.
Controlli inefficienti ed inefficaci favoriscono il moonlighting l'evasione parziale o
l'economia in nero Chiarini e Marzano la voce.info dalla mia relazione 2006
Senza tema di essere smentito, mi sento di affermare che gli SDS, così come attuati,
promuovono l’integrazione verticale ed orizzontale tra economica sommersa e quella
legale con evasione fiscale.
//////// Gli SDS indirettamente alimentano un flusso di produzione e scambio in nero che si
intreccia con l’economia sommersa e - perché no? - anche con quella criminale se
consideriamo che la criminalità organizzata entra in attività legali non solo per riciclare i
proventi illegittimi ma anche per investire e sviluppare le sue attività.///////
E il paradosso è che più ci si adegua ai criteri di coerenza e congruità, maggiore è la base
imponibile nascosta.
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Rinvio ai lavori della Commissione ministeriale guidata dal prof. Rey del 2007 per l’analisi di una
serie di problemi tecnici relativi agli SdS , purtroppo rimasti irrisolti.
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Restano quindi due regimi diversi uno per gli imprenditori e lavoratori autonomi e l’altro
per i lavoratori dipendenti anche per la suddivisione dei redditi tra i membri della famiglia.
I primi possono farlo legalmente, i secondi no.
////////// Non si introduce l’”income splitting” o il quoziente familiare alla francese per i
lavoratori dipendenti perché costa troppo, ma nessuno si chiede quanto costa quello
surrettizio delle società di persone e delle imprese familiari.//////////
L’inefficacia storica della lotta all’evasione è comprovata da un dato molto semplice
pubblicato dall’ISTAT recentemente: nel 1981, ai tempi di Reviglio, l’evasione di imposta
era stimata tra il 7-8% del PIL come ora, 30 anni dopo.
E su un punto voglio essere chiaro: non è questione di poteri degli Uffici. 30 anni fa c’era il
segreto bancario. Da qualche decennio non c’è più e, secondo me, non trovano seria
giustificazione le recenti misure legislative che prevedono l’invio obbligatorio degli estratti
conto di lavoratori dipendenti e pensionati all’AT.
Siamo giunti ormai ad una sorta di casa correzionale del tipo Panopticon che Jeremy
Bentham, economista e filosofo inglese, propose nel 1791. L’ADE è divenuta una sorta di
Grande Fratello che sorveglia e spia tutti i movimenti di tutti i contribuenti. Non c’è più
privacy. 17 milioni di lavoratori dipendenti e altrettanti milioni di pensionati sono ora tutti
sospettati di essere evasori. E questo a fronte di circa 10 mila indagini bancarie all’anno di
cui nulla sappiamo circa la tenuta in commissione tributaria dei conseguenti accertamenti.
Per contro si sono blindati gli SDS, ossia, si è ristretto a ipotesi particolarmente gravi e
precise la possibilità di ricorrere ad accertamenti sintetici ed analitici induttivi nei
confronti di soggetti che hanno aderito agli SDS - mascherando il tutto per rigore.
Né fanno rigore i blitz sulle località turistiche. Sono gesti dimostrativi a forte effetto
mediatico ma la legge dice che per poter utilizzare quei dati e per arrivare alla chiusura
temporanea degli esercizi , detti controlli devono essere ripetuti in tre anni successivi.
I 40 anni che ci separano dalla grande riforma sono suddivisi in due sotto-periodi: prima e
dopo il 1994. Prima grande rigidità nelle procedure di accertamento. Dopo il 1994 le
procedure sono state radicalmente modificate, rese più flessibili, più partecipate, più
trasparenti. Siamo passati da un eccesso di rigidità ad un eccesso di flessibilità.
Sono stati introdotti due ravvedimenti operosi, accertamenti con adesione e/o
concordati e due possibilità di conciliazione in I e II grado e, da ultimo, il
reclamo cui si collega uno sconto sino al 40%, nella linea della transazione5.
In assenza di controlli efficaci, tale linea è fin qui servita a introdurre una
premialità negativa. In pratica siamo in un regime di condono permanente.
Come un sistema del genere possa promuovere la conoscenza , l’assimilazione,
l’accettazione e il rispetto delle regole è tutto da dimostrare.
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Il reclamo assomiglia ad un ricorso gerarchico improprio e, probabilmente, prende atto del fatto
che gli uffici usano di rado l’autotutela. Sia con l’uno sia coll’altra, non vedo il fondamento di uno
sconto sulla MIA. Se di errore si tratta, esso va corretto e, magari, va chiesto scusa al contribuente.
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5. La riscossione.
Oltre che accertate le imposte vanno riscosse.
Non credo di essere fuori tema rispetto all’argomento.
La riscossione è una delle parti più delicate del complesso procedimento di prelievo
delle imposte. Errori e ritardi nei versamenti sono gravemente sanzionati. E buona
parte del contenzioso origina anche dalle pesanti sanzioni previste.
Gli ultimi 40 anni sono suddivisi in due sottoperiodi : prima e dopo il 1999. Flessibilità
prima forte rigidità dopo con forte incremento delle somme da pagare subito.
C’è stata escalation delle sanzioni e delle misure cautelative per gli inadempienti e per
i ritardatari.
Sanzioni “estese” o improprie si aggiungono a quelle ordinarie.
Non di rado gli uffici applicano i minimi edittali e molto spesso le commissioni di
merito le annullano o le ridimensionano.
In pratica si è tornati al “solve et repete”.
I recuperi di efficienza nella riscossione, in sostanza, sono equivalenti a recuperi di
evasione ma servirebbe un’analisi statistica più attenta per capire a carico di quali
contribuenti sono operati i recuperi nella riscossione.
La Corte dei Conti ha ripetutamente certificato un miglioramento nella riscossione, ma
il sistema non appare del tutto soddisfacente.
Gli elevati livelli degli aggi e delle sanzioni e le iniquità ad essi connesse tendono a
coprire la restante inefficienza che crea scontento e forte risentimento nei confronti
dell’operatore pubblico ai vari livelli.
L’automatismo telematico impersonale che caratterizza l’attuazione delle procedure
provoca reazioni violente dei contribuenti non solo nei confronti dell’agenzia preposta
alla riscossione ma anche contro se stessi, con azioni tragiche ed irreparabili.
Le cause sono diverse ma uno sguardo di insieme mi fa dire che c’è un forte squilibrio
tra le varie vie di uscita previste nella fase di accertamento – per lo più sconosciute ai
contribuenti meno aggiornati - e la rigidità delle procedure coercitive della
riscossione. La problematica merita un’attenta riflessione perché anche questo mina il
senso della giustizia.
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Il contenzioso tributario.
Dopo l’approfondita relazione del prof. Consolo, io mi limito a poche osservazioni
empiriche.
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C’è un problema di professionalità del giudice riconosciuto da tutti ma a cui non si
pone rimedio. Basti pensare alla massa di contribuenti sottoposti agli studi di settore
per rendersi conto come i casi che sempre più verranno all’attenzione dei giudici
tributari richiedano conoscenze non solo del groviglio di leggi che ho menzionato
sopra, della giurisprudenza e prassi ma anche di economia aziendale, di ragioneria, di
regole contabili internazionali, di statistica, di nozioni elementari di teoria della
probabilità, di tecniche di analisi regressiva che mettano il giudice in grado di capire
quanto meno la logica con cui si costruiscono gli SdS e il redditometro, come sono o
possono essere stimati da un lato i ricavi delle imprese e/o di lavoratori autonomi,
dall’altro, i redditi goduti da persone fisiche sulla base di dati dichiarati, occultati, di
indici diretti ed indiretti.
Sia i verificatori sia gli uffici accertatori in sede di motivazione degli accertamenti sia i
giudici tributari sono costretti a ragionare in termini probabilistici.
Un ultimo dato di esperienza. Ho già accennato alle conciliazioni giudiziali che
flessibilizzano anche il processo tributario. Non c’è un grande arretrato anche per
effetto della raffica di condoni del 2002-03. Se solo si passasse anche gradualmente al
giudice a tempo pieno il problema scomparirebbe.
Di certo c’è un problema di qualità degli accertamenti degli Uffici e delle decisioni
delle Commissioni tributarie di merito.
C’è un problema marginale con l’arretrato della CTC da circa due anni ormai frenata o
semiparalizzata dal condono del 2010 ora prorogato sino al dicembre 2013 dall’attuale
governo.
/////////Alle soglie del mio pensionamento da giudice tributario, non difendo la
bottega ma la CTC andrebbe conservata se non altro per evitare di congestionare la
valorosa Sezione tributaria della Corte di Cassazione che ha sempre illuminato la mia
strada.//////
7.
Brevi osservazioni e conclusioni.
Non credo a riforme fiscali palingenetiche.
In fatto ne abbiamo una in corso da diversi anni, quella del federalismo fiscale che stenta
ad andare avanti. Presa sul serio la riforma federalista implica una complessa articolazione
del sistema tributario su più livelli con una vera riassegnazione dei poteri di prelievo ed un
aggiustamento progressivo del sistema che potrebbe portare oltre che ad una maggiore
equità ad un meccanismo più efficiente e trasparente.
Un sistema federale ben costruito potrebbe perseguire meglio l’efficienza. Di nuovo,
purtroppo non è il nostro caso.
Bisognerebbe rifuggire dalle innovazioni nominalistiche e dalle continue disaggregazioni
e ricomposizioni degli istituti. Così facendo il sistema il sistema diviene meno trasparente.
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Bisognerebbe legiferare con maggiore prudenza e pacatezza. Bisognerebbe rinunciare sul
serio a condoni e sanatorie.
Questo modo di legiferare mina la giustizia tributaria perché trasforma le sanzioni in una
tela di Solone e mina la credibilità dell’Amministrazione finanziaria.
“Un sistema giusto - (afferma Rawls, 2008: 257) - deve generare il proprio sostegno. Ciò
significa che deve essere ordinato in modo da far sorgere nei propri membri il
corrispondente senso di giustizia, un desiderio effettivo di agire in accordo con le sue
norme” .
In Italia, il sistema fiscale non genera il consenso della maggior parte dei contribuenti e,
quindi, non è giusto.
in Italia viviamo un clima di illegalità diffusa.
Le leggi fiscali vi contribuiscono non poco la riprova di quanto affermo sta nei dati
dell’Istat. Se sommo i dati dell’economia sommersa, quelli della base imponibile non
dichiarata, quelli della contraffazione, quelli della corruzione siamo attorno al 30% del PIL.
Come detto, gli italiani restano divisi tra evasori e tartassati.
Aumenta la disuguaglianza, la crescita è negativa e le prospettive a medio lungo termine
non sono buone come dimostra una proiezione del CSC al 2030. Si prevede lo 0,7% di
crescita all’anno e la disoccupazione in crescita può diventare strutturale.
L’ascensore sociale è bloccato come lo conferma il Rapporto Istat. È fenomeno che
interessa in vario grado altri paesi occidentali ma questo non può consolarci.
Ragionando in termini di giustizia tributaria in senso ampio alla Rawls , come fa anche il
prof. Gallo in un suo recente saggio sulla diseguaglianza , siamo in una situazione
insostenibile a cui andrebbe posto rimedio con urgenza.
Un simile sistema non è equo né efficiente.